HANS RUDOLF ZELLER

BUSONI E L'AVANGUARDIA
MUSICALE VERSO IL 1920


IL FLUSSO DEL TEMPO

Non sono purtroppo riuscito a rintracciare il prof. Hans Rudolf Zeller per chiederGli il permesso di pubblicare questo suo saggio, nell'ambito di un progetto per ricordare la figura e l'opera del musicologo Sergio Sablich prematuramente scomparso il 7 marzo 2005. Sono tuttavia convinto che, quando verrà a conoscenza della pubblicazione e del nobile scopo ad essa connesso, non avrà nulla da obiettare.

TEXT AUF DEUTSCH AM ENDE DER ÜBERSETZUNG


Negli anni Cinquanta, quando si parlava delle correnti più radicali dell'avanguardia del tempo, si poteva essere pressoché sicuri di imbattersi prima o poi nel nome di Busoni. E proprio per questo Busoni era qualcosa di più di un nome, più del nome di un grande pianista le cui composizioni venivano ignorate altrettanto ostinatamente allora, come oggi, dalla pratica teatrale e concertistica corrente. Busoni era piuttosto un emblema, un sinonimo della volontà di spingersi in avanti senza restrizioni, del progresso musicale senza titubanze, di tutto ciò che la musica moderna, ormai sul punto di diventare classica, non aveva risolto o aveva addirittura ostacolato. Tuttavia quelli che si appellavano a Busoni non erano quasi mai i compositori stessi, bensì coloro che commentavano gli sviluppi attuali cioè soprattutto i critici musicali e i saggisti. Prototipo perfetto di questo ricorso a Busoni, del resto estremamente selettivo, è il testo intitolato Musik und Technik del futuro biografo di Busoni, Hans Heinz Stuckenschmidt. Il saggio fu pubblicato nel 1955 nella raccolta di scritti Klangstruktur der Musik, la quale comprendeva tra l'altro anche contributi di Fritz Winckel, Jacques Poullin e Werner Meyer Eppler. Quale ruolo Busoni doveva assumere nello scritto di Stuckenschmidt appare già dalle prime frasi: «La domanda se la sorgente più proficua della produzione artistica sia l'espansività privata o la forma riceve risposte sempre più divaricanti. Mentre da un lato si sostiene che il primo e assoluto dovere sia che i sentimenti si scatenino, tesi fino allo spasimo, dall'altro si cerca di disumanizzare le arti, e specialmente la musica. Questa tendenza è avvertibile sin dagli anni a cavallo del secolo, ma le sue origini risalgono al medioevo. Il crescente dominio della tecnica e il distanziamento dalla persona singola hanno contribuito a che se ne prendesse coscienza. Quando si scoperse la bellezza della macchina, venne naturale attribuire alla tecnica il potere di produrre arte. L'emozione di Ferruccio Busoni al cospetto del dinamofono, la macchina musicale del dott. Thaddeus Cahill, risale al 1906, anno in cui cominciava a fiorire l'industria automobilistica e in cui si ebbero i primi primati di velocità. Lo strumento venne descritto come "an extraordinary electrical invention for producing scientifically perfect music". Musica scientificamente perfetta, quasi una formula magica...»
Un capoverso più sotto Stuckenschmidt constata: «Ma il ventesimo secolo ebbe bisogno ancora di qualche tempo per seguire le sollecitazioni di Cahill e Busoni. Soltanto la generazione che si riunì all'inizio degli anni Venti sotto lo slogan della "Neue Sachlichkeit" ("nuovo oggettivismo") mostrò interesse per la macchina musicale. Si vide un grande modello in Stravinskij: nel 1917 egli aveva composto uno Studio per la pianola, studio che in seguito sturmentò e pose alla fine dei Quattro studi per l'orchestra.» Dunque, partendo da questo pezzo, per il più successivamente strumentato, Stuckenschmidt si sforza di arrivare passo passo alla Musique concrète e alla musica elettronica, non senza tirare in ballo compositori che per la massima parte - vedi Igor Stravinskij - si erano occupati tutt'al più marginalmente della pratica e della teoria di quella che l'autore chiama "macchina musicale". Nei due capoversi finali egli giunge poi alla conclusione seguente: «Qui ha inizio qualcosa di cui non dobbiamo sottovalutare affatto il pericolo e la minaccia. Busoni aspirava nel 1906 al suono scientificamente perfetto. Noi ne disponiamo. La tecnica ci fornisce qualsiasi timbro, qualsiasi volume di suono, tessiture polifoniche o poliritmiche di una perfezione ineccepibile. Al confronto dei suoi prodotti, quanto sono in grado di offrirci i più grandi virtuosi si riduce a uno strimpellamento impotente. Ma proprio questa perfezione, questa riproduzione senza disturbi e senza ombre che è ormai produzione meccanica di arte, significa disumanizzazione. La scienza e la tecnica ci hanno insegnato a raggiungerla. Ci hanno però anche dato i mezzi per affrontarla criticamente: e questo mi sembra il compito più importante.»
Proviamo a leggere prima di tutto quel che Busoni scrisse sull'invenzione del dott. Cahill e sulle ragioni per cui l'aveva accolta tanto favorevolmente. Sono solo poche frasi, e il "suono scientificamente perfetto che non viene mai meno" (questo è il testo esatto) menzionato da Stuckenschmidt è, in realtà, una citazione dall'annuncio pubblicitario di un Mr. Baker, che Busoni riporta nella nota a pag. 44 e 45 della prima edizione dell'Abbozzo di una nuova estetica della musica. Busoni scrive invece: «Quest'uomo ha costruito un grande apparecchio che permette di trasformare una corrente elettrica in un numero di vibrazioni esattamente calcolato, inalterabile. Poiché l'altezza del suono dipende dal numero delle vibrazioni, e l'apparecchio si può regolare in modo da ottenere qualsiasi numero di vibrazioni si voglia, ne risulta che l'infinita graduazione dell'ottava è semplicemente l'opera di una leva che corrisponde all'indice di un quadrante. Soltanto esperimenti coscienziosi e lunghi e una continua educazione dell'orecchio renderanno questo straordinario materiale maneggevole ai fini dell'arte e lo metteranno a disposizione della generazione a venire"
[F. Busoni, Lo sguardo lieto, Milano 1977, pag. 68-69].
Fin qui dunque Busoni, all'incirca due pagine e mezza prima della fine dell'Abbozzo che è preceduta, come è noto, da citazioni tolte da Al di là del bene e del male di Nietzsche, da Lucerna di Tolstoj, da una Storia del buddismo e da una lettera di Vincent d'lndy. La simpatia di Busoni per l'invenzione del dott. Cahill è strettamente collegata col progetto di un sistema di terzi e sesti di tono sviluppato subito prima, precisamente una pagina prima del riferimento all'invenzione; come si ricava oltre tutto da un passaggio di un altro testo, scritto nel 1912 sul Futurismo della musica, da cui non traspare, a dir il vero, un profondo rammarico per la distruzione di quella macchina musicale: «Lo 'strumento universale' era già stato costruito in America: l'organo elettrodinamico costò un milione, rimase a dormire e andò in rovina.» Per quanto gli stesse a cuore mettere la sua teoria alla prova dei fatti e per quanto grande fosse il suo interesse per «esperimenti coscienziosi e lunghi e una continua educazione dell'orecchio», Busoni non soggiacque mai alla superstizione che vuole la tecnica onnipotente: la tecnica, senza il codice di una concezione musicale, non "fornisce" assolutamente nulla, malgrado ogni illusione del contrario. O, ad ogni modo, nulla di musicalmente rilevante: e forse proprio per questo nel 1921, alla fine del suo saggio Abbozzo di un'introduzione alla partitura del "Dottor Faust" con alcune considerazioni sulle possibilità dell'opera Busoni rimandò esplicitamente alle sue "tre teorie fondamentali", mettendo al primo posto quella dei terzi di tono, e soltanto dopo le altre due, quelle "della nuova classicità e della formazione dell'opera basata sul riconoscimento dell'unità della musica". Anche la breve Relazione sui terzi di tono, apparsa l'anno seguente (1922), contrasta in modo impressionante con qualsiasi idealizzazione della tecnica: un contrasto che Busoni ammette certo di buon grado. La relazione tratta dei suoi primi esperimenti col nuovo materiale fatti a New York su un vecchio armonio a tre manuali, a cui aveva fatto adattare due serie di terzi di tono a distanza di un semitono l'una dall'altra; da questa combinazione risultavano inoltre i sesti di tono.
La pura e semplice identificazione delle intenzioni di Busoni con un qualsivoglia apparecchio, sia con quello del dott. Cahill o con quelli della musica elettronica o della computer-music; l'assimilazione dei suoi abbozzi teorici con una sola delle realizzazioni possibili, cioè con l'aggregato tecnologico, significa spogliare la questione del suo elemento essenziale per amore dell'infausta linea diritta che dovrebbe procedere da un evento all'altro, e quindi annulla la questione stessa. Per tornare ancora a quanto scrive Stuckenschmidt: mettendo in guardia dalla "disumanizzazione", egli pone Busoni nel novero di coloro che la favorirono e ciò, si badi bene, sulla base di un'unica nota a pié di pagina; ma questo può andar bene soltanto se, come a suo tempo fece Stuckensehmidt, non si ritiene degna di menzione tutta una serie di importanti compositori (e con loro in realtà tutta una tradizione), che sin dagli anni Venti sperimentarono fattivamente, in parte in stretto contatto con Busoni e con il suo incoraggiamento, il suo grande progetto, cioè la differenziazione del sistema semitonale anche senza gli apparati della tecnologia moderna. La prevenzione verso ciò che allora si definiva in blocco e con scarsa precisione la "musica dei quarti di tono" degli anni Venti, e che si liquidava perché da tempo superata" "dall'evoluzione", era evidentemente così profondamente radicata che persino il provetto patrocinatore dell"elemento umano" in musica non osava ricordare questa tendenza divergente e i suoi pionieri, favorendo in tal modo proprio quel conformismo contro le cui conseguenze egli prendeva una posizione assolutamente critica.
Ma anche se non si vuole identificare senz'altro il salvataggio dell'elemento umano con la rinuncia ai mezzi della tecnologia moderna, oggi, dopo circa quarant'anni di musica elettroacustica ed elettronica, è difficile negare che l'avvio quasi repentino nella prima metà degli anni Venti della composizione con intervalli più piccoli del semitono, come pure il gran numero di strumenti allora già costruiti o pregettati e ancora più i pezzi stessi, fossero qualcosa di più che primi tentativi con mezzi insufficienti, appunto perché non approntati esclusivamente dai mezzi della tecnica. Il sorridente come di un anacronismo è diventato nel frattempo anacronistico esso stesso, espressione di un'ideologia reazionaria; soprattutto se si vuoi rendere giustizia, anche solo approssimativamente, alla reale fecondità dell'abbozzo busoniano, riconoscendo che la musica sperimentale non è culminata affatto nella sintesi sonora elettronica, come era sembrato per un certo tempo. La musica sperimentale, invece, ha continuato a ricorrere - per lo più con un'insensibilità e una mancanza di resistenza sorprendenti - agli strumenti in uso e ad accettare la forma tradizionale del sistema temperato, comunque dominante. Da un lato, dunque, l'onnipotenza della macchina che, potenzialmente, è capace di riprodurre ogni graduazione intervallare e sistemi tonali di tutte le specie; dall'altro, sempre ed ancora, l'ostinazione degli interpreti degli strumenti a rimanere fissati su un unico sistema, quindi su uno solo dei molti possibili, senza tentare di familiarizzare almeno con un sistema che non sia quello basato sui semitoni. Questo parallelismo di cattivo genere, predominante ancor oggi, tra la produzione sintetica dei suoni e quella strumentale e vocale non può tuttavia richiamarsi a Busoni.
Invece a Busoni può richiamarsi un altro parallelismo storico, o sviluppo parallelo, quasi segreto, quasi mai preso a tema di indagine. Esso ebbe inizio esattamente nel 1920 e può esser seguito e documentato senza interruzioni, sulla scorta di composizioni e strumenti, fino alla fine degli anni Sessanta, quindi lungo un periodo di tempo di cinquant'anni. Il 1920, anno in cui Busoni fu nominato direttore di una classe superiore di composizione alla Akademie der Kunste di Berlino, segna al tempo stesso la fine della prima fase dell'influenza del suo Abbozzo del 1907 e il passaggio dalla visione teorica alla prassi compositiva. Come Busoni aveva previsto nel suo primo Abbozzo, una nuova generazione di compositori che stava crescendo si era messa al lavoro per impadronirsi del materiale inconsueto, per tradurre in realtà la differenziazione del sistema dei suoni cui egli mirava e il rinnovamento degli strumenti, unendo in un tutto composizione, teoria e costruzione di strumenti; opponendo così alla tendenza storica che voleva l'uniformità dell'accordatura e degli strumenti, la ricerca di criteri individuali o, più esattamente, la costruzione individuale, secondo proprio proporzioni tanto del sistema dei suoni quanto dei generatori di suono. Ma poiché il nuovo materiale non era soltanto inconsueto, bensì praticamente sconosciuto, soprattutto in vista delle sue possibilità e implicazioni strutturali, composizione significava, come mai prima, sperimentazione consapevole; e avanguardia non poteva voler dir altro che spingersi innanzi nell'ignoto, esplorare, investigare, tradurre le scoperte musicali in teorie e le scoperte tecniche in musica. Proprio in questo senso, dopo il trasferimento di Alois Hába, allievo di Schreker, da Vienna a Berlino, questa città divenne nel 1920 uno dei centri di ricerca dell'avanguardia internazionale e Busoni stesso il faro e il mentore di quel gruppo raccolto attorno a Hába, di cui, nel 1922, facevano parte anche il compositore e teorico dell'ultracromatismo Ivan Wyschnegradsky, emigrato poco prima a Parigi dalla Russia, Willi Möllendorff e Jörg Mager: un gruppo che si occupava già allora dei problemi tecnici del pianoforte a quarti di tono.
Senza avere un contatto diretto con Busoni e con le attività berlinesi, tuttavia trovando in lui una valida conferma - come vedremo più tardi -, Julián Carillo lavorava, alla stessa epoca, in Messico, lontanissimo dai centri musicali europei, alla realizzazione dei suoi progetti fino allora sempre rimandati. Già nel 1895, nel corso di un esperimento acustico, aveva stabilito che il sedicesimo di tono è la più piccola frazione di tono ancora percepibile e aveva costruito, evidentemente prima del 1920, probabilmente nel 1917, un'arpa a sedicesimi di tono. Al 1922 risale il suo primo pezzo basato su più sistemi di suoni, cioè sistemi di quarti, ottavi e sedicesimi di tono, il Preludio a Colon. Già allora si delinea tuttavia in direzione radicalmente opposta ai concetti di Carrillo, Hába e Wyschnegradsky, la strada, diversa sotto ogni aspetto, presa da Edgar Varèse, i cui inizi risalgono al 1908 quando egli, affascinato dalle prospettive dell'Abbozzo, andò a far visita a Busoni. Fu un incontro che Varèse contò sempre tra i più importanti della sua vita.
Nel 1922 le sirene di Amérique: annunciarono quindi il suono continuo, non più da fissare su gradi differenziati della scala. E ben presto il principio della suddivisione e quello della gradazione, l'ottava e con essa il circolo, furono invalidati per far posto alla "spirale". L'impiego voluminoso di strumenti a percussione senza intonazione fissa era però soltanto un preludio all'autonomia loro accordata in Ionisation; e l'annosa ricerca di adeguati generatori di suono elettroacustici portò verso la metà degli anni Trenta ad enunciare apertamente quelle possibilità della tecnologia a cui Busoni aveva appena accennato: all'utopia, cioè, di una macchina approntata dalla tecnica, una macchina che potesse realizzare finalmente, senza interventi di interpreti, l'autentico "son organisé" finora ottenuto dall'orchestra. Almeno da questo punto di vista i metodi di produzione e la pratica riproduttiva della musica elettronica e di quella concreta non lasciavano nulla a desiderare; ma esse non soddisfacevano le esigenze dei compositori proprio dal punto di vista tecnico, perché, in fondo, Varèse aveva anticipato piuttosto un'avanzata tecnologica computeristica. Le due strade, quella tecnologica e quella strumentale progressista, si incontrarono almeno una volta, anche se l'incontro passò allora quasi inosservato dal pubblico ottuso, in occasione dell'Esposizione universale di Bruxelles del 1958, nel cui ambito Carrillo mostrò i suoi 15 pianoforti trasformati, strumenti che realizzavano i 15 sistemi parziali del suo sistema globale Sonido 13; mentre nel padiglione Philips venne eseguito il multimediale Poème électronique di Varèse.
Se si tengono presenti queste due strade di indirizzo e risultano completamente diversi, appare chiaro che Busoni fu, con Schönberg, il compositore che esercitò l'influenza più grande nel nostro secolo, senza mai creare una scuola, a differenza di Schönberg, soltanto in forza del suo pensiero e della sua acutezza. Ad ogni modo nel 1917, all'epoca della polemica con Pfitzner, i dadi erano già tratti: nello stesso anno uscirono, quasi a sfida, gli scritti di Möllendorff e di Mager sulla musica quartitonale, nei quali Möllendorff poteva riferirsi alle sue "esperienze sull'armonio bicromatico (brevettato)" come più tardi Charles Ives potè riferirsi alle sue Quarter-Tone Impressions ottenute da un pianoforte a quarti di tono. È difficile immaginare che Nikolaj Kulbin, appartenente alla cerchia dei futuristi russi, abbia scritto il manifesto Die freie Musik, pubblicato nel 1912 sul "Blaue Reiter", richiedendo una musica che impiegasse quarti, ottavi, terzi e tredicesimi di tono, senza aver conosciuto l'Abbozzo del 1907. La pubblcazione dell'edizione in facsimile dell'esemplare dell'Abbozzo appartenuto a Schönberg ci fa constatare quanto aspra e appassionata sia stata la sua discussione delle tesi busoniane. Invece è possibile che il riassunto e la critica di tono piuttosto scettico che Schönberg ne fece nella Harmonielehre abbiano ulteriormente contribuito alla loro diffusione, contrariamente alle intenzioni di Schönberg, stimolando semmai lo spirito di contraddizione di più d'un compositore. Colpisce che né Carillo né Hába abbiano visto in Schönberg l'antitesi di Busoni, e che anzi spesso li citino insieme. Soltanto Stravinskij appare non essere mai stato toccato seriamente da questo dibattito; già prima dell'unico incontro con Busoni a Weimar nel 1923, egli si era deciso in favore della seconda teoria fondamentale, quella della nuova classicità, oggi di nuovo molto attuale e di nuovo altrettanto fraintesa.
Invece la costellazione Schönberg-Busoni si presenta addirittura in strettissima connessione nel saggio Das Problem der neuen Musik di Béla Bartók, pubblicato nel 1920, saggio che, purtroppo, non gode neppure lontanamente dell'attenzione che merita; infatti qui l'intuizione del metodo dodecafonico sfocia nella visione del futuro o piuttosto in una prognosi che è anche testimonianza di impegno:

[...] il pensiero musicale si è mosso... per secoli sul terreno diatonico, finché finalmente, dopo il processo evolutivo testé descritto, si è svegliata la percezione musicale di una parità dei semitoni tra loro che comporta il loro pari trattamento. Questo nuovo modo di procedere racchiude in sé smisurate nuove possibilità, tanto che il desiderio di Busoni di avere un sistema di terzi o di quarti di tono appare prematuro. (Le opere di Schönberg e di Stravinskij scritte dopo la pubblicazione del suo Abbozzo di una nuova estetica provano che il sistema semitonale non ha ancora detto la sua ultima parola).

In quanto a quest'ultima osservazione sulla produttività del sistema semitonale, Busoni e Hába sarebbero stati senz'altro d'accordo.
Ma Bartók aggiunge:

Il tempo dell'ulteriore suddivisione del semitono (forse all'infinito) verrà ad ogni modo, seppur non ai nostri giorni, ma tra decenni e secoli. Ma dovrà superare... enormi difficoltà tecniche, a prescindere dalle difficoltà di intonazione per la voce umana...; tale circostanza prolungherà, con ogni probabilità, la vita del sistema tonale più di quanto sia artisticamente necessario.

È probabile che Carrillo avrebbe messo nel novero dei titubanti e degli indecisi anche Bartók e più tardi Hába, sebbene il primo avesse impiegato i quarti di tono già nel 1918 nel Mandarino meraviglioso e in altri lavori, nonché i terzi di tono nella tarda Sonata per violino solo. Egli rimproverava titubanza e indecisione a Schönberg e a Busoni,e questi rimproveri lasciavano trasparire chiaramente la soddisfazione di essere stato capace lui, il messicano, che aveva inoltre scoperto il sedicesimo di tono già nel 1895, di risolvere problemi che evidentemente andavano oltre le capacità di musicisti tanto grandi. Un saggio degli anni Cinquanta e Sessanta uscito nel 1967 in un volume dal titolo Errores universales en musica y fisica musical è intitolato Busoni, Wyschnegradsky e Hába; qui, come in molti altri testi, Carillo non si riferisce all'Abbozzo del 1907 ma alla già citata Relazione sui terzi di tono del 1912 e alla Harmonielehre di Schönberg del 1911. E sono sempre le stesse, immutabilmente, le frasi che egli mette a confronto. Dello scritto di Busoni egli cita le seguenti:

Sono passati circa sedici anni da quando fissai teoricamente il principio di un possibile sistema basato sui terzi di tono e fino ad oggi non mi sono deciso ad annunciarlo definitivamente. Perché? Perché il compito di porne le prime basi mi addossa una responsabilità di cui mi rendo ben conto. A tutt'oggi la possibilità di fare delle esperienze pratiche mi è mancata, e so molto bene che solo dopo una serie di ricerche rigorosamente controllate potrei presentare la mia idea con precisione. [...] La serie di toni interi in Debussy e prima di lui in Liszt - è come un momento d'attesa prima che l'intervallo del tono intero venga riempito di terzi di tono non ancora esistenti; in questo momento d'attesa si omette il semitono...

Per smascherare l'indecisione di Schönberg e renderla più evidente anche dal punto di vista tipografico, Carrillo conserva solo singole proposizioni e singoli sostantivi dai periodi sostituendo con punti di sospensione tutto quel che viene tagliato. Il passo cui si riferisce è quello a pag. 24 della Harmonielehre:

E non si può prevedere se saranno quarti, ottavi, terzi o addirittura, come pensa Busoni, sesti di tono, oppure se si passerà direttamente a una scala di 53 suoni, come quella calcolata da Robert Neumann. Forse questa nuova suddivisione dell'ottava non sarà temperata e avrà ben poco in comune con la nostra.

Ma a Carillo non dovrebbero essere sfuggite nemmeno le frasi successive che incitano quasi all'azione e non lasciano trasparire certo né insicurezza né tergiversazioni:

Tuttavia anche i tentativi di compone musica con i terzi e i quarti di tono fitti di quando in quando sono destinati a rimanere vani, perlomeno finché ci saranno troppo pochi strumenti in grado di eseguirla. Probabilmente quando l'orecchio e la fantasia saranno maturi anche la scala e gli strumenti adeguati compariranno di colpo. È certo comunque che questa corrente esista oggi e che raggiungerà uno scopo; è probabile che anche in questo campo si debbano superare molti giri viziosi e molti errori e che essi porteranno ad esagerazioni o all'illusione di aver trovato la soluzione definitiva e immutabile. Forse si arriverà anche a stabilire leggi e scale musicali attribuendo loro una validità estetica eterna. Ma per chi guarda lontano anche questo non significherà la fine.

Tuttavia Carillo era un critico troppo prevenuto nei confronti di Busoni. Perché tutti gli scrupoli di Busoni sul suo contributo alla realizzazione pratica non lo trattennero affatto come compositore dal propagandare con la medesima decisione e forza persuasiva il "suo" sistema. Altrimenti ancora nel 1923, dunque un anno prima della sua morte, non sarebbe riuscito addirittura a convertire al sistema dei sesti di tono un altro compositore e a preparare assieme a lui la costruzione di un armonio a sesti di tono. Questi fu Alois Hába, che ne riferì nella sua autobiografia Mein Weg zur Viertel - und Sechsteltonmusik dando ulteriori chiarimenti sui motivi e sulle difficoltà che impedirono a Busoni di comporre col sistema dei terzi e sesti di tono, nonostante i tentativi newyorchesi e il suo precario armonio. Ancor prima di seguire Schreker a Berlino, alla fine del 1920, Hába aveva composto il suo primo Quartetto per archi col sistema dei quarti di tono, lavoro eseguito poi in prima assoluta nel 1922 nella sala della Scuola superiore di musica di Berlino dal Quartetto Havemann. Lo stesso anno seguirono due altri Quartetti quartitonali: uno, l'op. 12, fu eseguito l'anno successivo in prima assoluta a Francoforte dal Quartetto Amar-Hindemith; il terzo Quartetto quartitonale non è stato finora mai eseguito. Sempre nel 1922 Hába pubblicò in lingua ceca il suo trattato sui Principi armonici del sistema a quarti di tono e, insieme con Wyschnegradsky, sviluppò nell'autunno del 1922 il progetto tecnico di un pianoforte a coda da concerto a quarti di tono a tre manuali, la cui costruzione fu intrapresa da due ditte concorrenti, Grotrian-Steinweg e August Forster. Nella primavera del 1924 i due pianoforti a quarti di tono furono presentati in pubblico per la prima volta, tuttavia non a Berlino, bensì l'uno a Francoforte in occasione del festival musicale ivi organizzato da Scherchen, l'altro a Praga.
Al cospetto di questi sforzi addirittura febbrili, ma anche unilaterali, volti a porre le basi compositive, teoriche e strumentali della musica quartitonale, ci si può rendere conto di quale profondo effetto abbia avuto su di lui l'intervento di Busoni: la descrizione di come ciò avvenne è uno dei passi più drammatici dell'autobiografia di Hába. Pare che Hába abbia conosciuto l'Abbozzo del 1907 e alcune composizioni di Busoni soltanto a Berlino; ad ogni modo egli si riferisce soprattutto al "contatto personale tra i musicisti", a cui contribuivano i "dibattiti artistici nei caffè e specialmente gli incontri regolari all'ora del thé in casa di Busoni". Infatti,

una volta alla settimana - credo tra le 15 e le 16 - qualsiasi musicista poteva andare a casa sua a prender il thé e a intrattenersi con lui e con gli ospiti presenti. Fu in occasione di questi thé che nella primavera del 1923 feci la conoscenza sua e di altri musicisti. Col suo modo di fare cordiale mi chiamava 'Ali Babà' invece di Alois Hába: ciò divertiva gli ospiti e mi procurò simpatie. Una volta Busoni prese a parte me, il suo allievo preferito Jarnach [...] e alcuni ospiti e, riallacciandosi a nostre conversazioni precedenti, mi interrogò in tono leggermente provocatorio sulla mia musica quartitonale: "Mi dica, caro Ali Babà, perché scrive col sistema dei quarti di tono? I sistemi di terzi e sesti di tono che io raccomando sono più interessanti di quello quartitonale. Non vuol provare a scrivere anche col sistema di terzi e sesti di tono?" Risposi: "Io scrivo soltanto come so e posso. Non sono ancora capace di scrivere con i Suoi sistemi. Forse un giorno ci proverò. Ma: perché non ci ha mostrato Lei come si deve scrivere musica con i terzi e i sesti di tono?" Al che egli, meditabondo: "Già, caro Ali Babà, a dire il vero finora ho avuto ancora troppo da fare col sistema semitonale. Inoltre nemmeno le circostanze esteriori mi sono state favorevoli. Per esempio, non ho trovato finora né in Europa né in America una ditta propensa a costruire un armonio a sesti di tono secondo le mie indicazioni." Congedandomi, ringraziai sentitamente Busoni per il suo incitamento e la sua fiducia. Accompagnai Jarnach per un tratto di strada ed espressi più volte vivacemente il mio rincrescimento: "Perché non ci ha mostrato lui come si potrebbe scrivere col sistema dei sesti di tono?"

Invece nella sua Neue Harmonielehre dei sistemi diatonico, cromatico, con quarti, terzi, sesti e dodicesimi di tono del 1927, Hába riferisce una conversazione che, verosimilmente, aveva avuto luogo in un altro momento e da cui risulta che Busoni non aveva affatto rinunciato definitivamente al suo progetto. Nello stesso tempo Hába tenta di rispondere anche alla domanda "perché no?", che nella versione posteriore rimane senza risposta:

Un anno prima della morte di Busoni parlai con lui del sistema dei sesti di tono. Disse che avrebbe voluto scrivere qualche cosa con questo sistema, ma che voleva aspettare che venisse costruito l'armonio a sesti di tono per poter sentire prima come suonavano. Aveva portato con sé dall'America alcuni anni fa le ance accordate per sesti di tono. Purtroppo Busoni morì prima che l'armonio a sesti di tono venisse costruito a Berlino. Dalle sue osservazioni poteri arguire che Busoni non aveva alcuna idea dei sesti di tono e delle combinazioni possibili con questo sistema: perciò non poteva scrivere musica con i sesti di tono. Le osservazioni di Busoni confermarono la mia tesi che è impossibile creare un'opera d'arte se l'artista non dispone di un'idea chiara del materiale sonoro con cui vuole lavorare. Se quest'idea è insufficiente deve appoggiarsi a uno strumento che contiene già gli intervalli del sistema che lo riguarda. Se non possiede tale strumento gli rimane solo l'aspirazione a creare: non arriva all'atto creativo. Questo era il caso di Busoni.

Forse questa versione è proprio la prima, possibilmente quella più autentica, della conversazione riferita poi nell'autobiografia. Dopo che Busoni gli aveva per così dire addossato la responsabilità della composizione con i sesti di tono, fino a quel momento possibile solo in teoria, le preoccupazioni di Hába aumentarono:

La conversazione con Busoni mi lasciò una profonda impressione. Per molti giorni non fui in grado di comporre. Il fatto deplorevole che non esistesse una musica con i sesti di tono da cui imparare come la si potesse ottenere si trasformò in un rovello sempre crescente, fino a che mi decisi di esercitarmi anche senza modelli ad adattare le mie idee di melodia e armonia al sistema dei sesti di tono e di prepararmi così a comporre una mia personale musica secondo questo sistema. Lo sviluppo interiore prese un rapido corso. Dopo tre settimane cominciai a comporre il mio primo Quartetto per archi col sistema dei sesti di tono (op. 15) e ne portai l'inizio con me alla visita seguente. Busoni esaminò attentamente questo pio primo tentativo e osservò gaiamente: "Bene, Ali Babà, Lei è nella sua persona l'apportatore di pace tra i 'quartitonisti' e i 'sestitonisti" Durante i mesi estivi seguenti portai a termine il primo Quartetto per archi atematico in due tempi col sistema dei sesti di tono. Mi fu possibile comporre 'a forza di immaginazione', senza l'aiuto di strumenti musicali, dopo essermi reso conto che era possibile abbassare o alzare di un sesto di tono ognuno dei 12 semitoni dalla scala cromatica e ciò sia nella condotta melodica, sia in quella armonica. Così arrivai a immaginare 36 sesti di tono nell'ottava. Questi possono essere concepiti anche come tre serie di 12 semitoni ciascuna a una distanza di un sesto di tono e venir trasposti.

Anche questo lavoro, prima composizione con sesti di tono, nata più di 60 anni fa, non è mai stata eseguita, come non lo è stata, del resto, un'opera di fiaba con sesti di tono del 1942 Venga il regno tuo-le operaie, nel cui originalissimo organico orchestrale si trova anche quell'armonio a sesti di tono di cui Busoni aveva sentito tanto la mancanza. Due anni dopo la morte di Busoni la ditta Schiedmayer di Stoccarda costruì per la Scuola superiore di musica di Berlino una prima versione di questo strumento, secondo le indicazioni di Hába, con la tastiera progettata da Busoni. Hába esaminò poi la tastiera per controllare la sua "funzionalità" per la armonia e la melodia moderne e trovò che lasciasse ancora a desiderare dal punto di vista della tecnica esecutiva. Nel 1927 la ditta Förster costruì una versione migliorata con una tastiera di sesti di tono a tre manuali, di 36 tasti per ottava, e provvisoriamente, a mo' di prova, con un solo gioco e senza altri registri. Lo strumento fu acquistato dal Ministero della Cultura cecoslovacco per il dipartimento di composizione in cui lavorava fiaba presso il Conservatorio statale di Praga, dove si trova tuttora.

(Traduzione di Laura Dallapiccola)