EERO TARASTI

F. BUSONI O DELL'AMBIGUITÀ
STRUTTURALE: ASPETTI MITICI E
STRUTTURALI DI "DOKTOR FAUST"

Non sono purtroppo riuscito a rintracciare il prof. Eero Tarasti per chiederGli il permesso di pubblicare questo suo saggio, nell'ambito di un progetto per ricordare la figura e l'opera del musicologo Sergio Sablich prematuramente scomparso il 7 marzo 2005. Sono tuttavia convinto che, quando verrà a conoscenza della pubblicazione e del nobile scopo ad essa connesso, non avrà nulla da obiettare.


La figura di Busoni, come compositore e pensatore, è una delle più enigmatiche della storia della musica. Tale definizione si adatta perfettamente a quello che rappresenta, senza alcun dubbio, il suo testamento musicale, l'opera Doktor Faust. Questo lavoro offre lo stesso tipo di profondità e di sintesi dell'Atlantida di Manuel de Falla, anch'essa incompiuta.
Secondo Busoni l'opera deve contenere tutto; il suo creatore deve esprimersi in essa totalmente ed infondervi tutto ciò che lo agita, l'entusiasma, tutto il suo sapere, tutto ciò di cui è capace. Egli deve essere una specie di Dante musicale e creare, nel suo campo, una "divina commedia". E questo che Busoni ha cercato di realizzare nel suo Doktor Faust - pressapoco come Mahler nelle sue sinfonie - ma tenendosi molto distante, contrariamente a quanto si potrebbe credere, dall'idea wagneriana di Gesamtkunstwerk.
Gli studiosi pensano che Doktor Faust sia una rappresentazione simbolica dell'intera vita del compositore, un lavoro biografico. Molte scene dell'opera, in realtà, acquistano tutto il loro senso in questa luce. Contrariamente all'analisi strutturale d'oggi, che isola la struttura di un'opera da ogni riferimento biografico, servendoci della nozione di "errore intenzionale", è possibile rilevare qualche caso in cui la vita e l'opera del compositore seguono la stessa struttura fondamentale. Si può quasi parlare di una sorta di percorso generativo (in senso moderno) che rivelerebbe l'isomorfismo fra l'«intreccio narrativo» della vita del compositore e la struttura profonda di tale opera; oppure, quando si parla di una composizione, per esempio, come i suoi differentilivelli realizzano, mediante trasformazioni, la struttura stessa che domina la vita del compositore.
Ci si può chiedere, dunque, quale possa essere questa struttura profonda che genererebbe la vita del compositore Busoni e il suo Doktor Faust; o ancora, attingendo alla terminologia semiotica, quale sia il suo gesto semantico o dominante.
L'articolazione di un tale percorso generativo, ricalcato, per esempio, sul modello di Greimas, non significa naturalmente, di per sé, un ritorno all'unità naïve tra vita ed opera dell'antico romanticismo. Si tratta soltanto di utilizzare il percorso generativo come un'ipotesi di lettura. Questa, almeno nel caso di Busoni, potrebbe chiarire molte questioni poste in campo dal compositore nella catena e nella situazione della comunicazione musicale.
Uno degli aspetti evidenti della vita e della produzione di Busoni, che lo avvicina ai nostri tempi, è il suo collocarsi tra due periodi stilistici. All'epoca della rottura della tonalità Busoni, indubbiamente, sottolineava nella sua estetica musicale l'unità della musica come sostegno spirituale.
Per lui l'unico principio (o quasi) di conciliazione e di mediazione fra questi contrasti era la serenità classica: l'intenzione e il tentativo di liberarsi da tutti i limiti spirituali, da tutti i pregiudizi (nazionali, per esempio) e la volontà di accettare il mondo come esso è. Questo principio di serenità non bisogna confonderlo con quello, neoclassico, di Heiterkeit, vivamente criticato da Adorno come un'attitudine impropria, quando nulla, nella situazione socio-culturale dell'epoca, era adatto a suscitare gaiezza [Il riferimento a Adorno è tratto da: HELMUTH KIRCHMEYER, Igor Strawinskij. Zeitgeschichte in Persönlichkeitsbild, Regensburg, 1958, pp. 249-250]. Da non confondere nemmeno con la nozione francese di jeu, quel "bon mauvais gout musical" che prendeva a prestito volentieri elementi sud-americani, musica da salotto, da carnevale, canzoni infantili e dei café-concerto parigini. La Junge Klassizität di Busoni, che rendeva manifesto il suo principio di serenità, non era affatto un "ismo", ma una visione particolare del mondo del compositore, un'attitudine - Bezogenheit - o ancora, in gergo semiotico, un principio modale.
Tuttavia la struttura profonda di Busoni si manifesta espressamente come un'ambiguità di opposizioni o contrasti, nel senso seguente:

1) Dal punto di vista nazionale la formazione culturale di Busoni appartiene, in primo luogo, ai contesti italiano e tedesco. Come Liszt, egli faceva parte dei grandi cosmopoliti intellettuali e musicali del suo tempo.
Egli non faceva ricorso al colore o allo stile italiano originali come ad un topos, nel senso di Leo Ratner [Cfr. LEONARD C. RATNER, Classic Music, Expression, Form and Style, London, 1980, pp. 9-27]. Nel Doktor Faust, per esempio, il protagonista si ricorda, a Wittenberg, della corte di Parma e della Duchessa mentre l'orchestra ci fa udire un motivo di scala ascendente che è una pura autocitazione di "All'Italia" dalle Elegie: in questo passaggio Busoni ricorda l'Italia della sua giovinezza! Solo per un istante, dunque, l'italianità emerge dalla sua musica, come una specie di reminiscenza, di nostalgia, ma non nel senso con cui Albéniz scriveva la suite Iberia, partendo dai ricordi che aveva delle differenti regioni della Spagna.
La seconda cultura di Busoni è quella tedesca. Paradossalmente questa non ha mai realizzato il suo grande sogno: un'opera su Faust, composta da un tedesco. Le composizioni musicali più famose che hanno trattato questo mito sono dovute al francese Gounod, all'ungherese Liszt e all'italiano Busoni. Quest'ultimo era radicato nella cultura tedesca sia per la sua formazione di compositore sia per la sua precoce ammirazione per Bach.
Fin dalla sua giovinezza, quando dava concerti in Italia, un critico musicale osservava che il suo programma presentava troppe fughe. A parte Mozart, Bach era per Busoni una delle vette più alte della musica, in parte, forse, perché vi trovava l'unione perfetta fra la profondità del contrappunto tedesco e l'arte melodica italiana. Per questo la fase più moderna del linguaggio tonale di Busoni, illustrata dall'atonalismo della Seconda Sonatina, appartiene alla rottura della tonalità apparsa proprio nell'ambiente tedesco intorno a Wagner-Schonberg e in nessun modo alla tonalità allargata della linea Musorgskij-Debussy-Stravinskij. A proposito di Busoni, come, ad esempio di W. Mellers, si può quindi affermare che egli non apparteneva propriamente ad una delle due culture, italiana o tedesca, ma ad entrambe contemporaneamente.

2) Questa dicotomia tra due culture e le attitudini spirituali che esse rappresentano, si manifesta anche nell'estetica di Busoni. Già Adolphe Appia in La musica e la messa in scena, al capitolo Germani e latini, aveva definito queste due attitudini "archetipe" dell'estetica dell'opera, sintetizzate e polarizzate nello stesso tempo nel Doktor Faust di Busoni [A. APPIA, Die Musik und die Inscenuning, Munchen 1899, pp. 192-233].
L'intento generale della teoria di Appia è evidentemente polemico e costituisce una presa di posizione in favore dello spirito germanico e contro lo spirito latino, principio critico comune a tutta la cultura tedesca di fine secolo. Pensiamo semplicemente a Langbehn e al suo Rembrandt als Erzieher [Cfr. J. LANOBEHN, Rembrandt als Erzieher, Leipzig 1889], in cui si catalizzava tutto il movimento della educazione estetica, oppure, un po' prima, in senso contrario, a Nietzsche con la sua critica a Wagner e la sua ammirazione per Bizet. Appia scrive: "La passività relativa dimostrata dal pubblico tedesco nei confronti del dramma tedesco è del tutto giustificata. Il poeta delle parole e dei suoni - Wort-Ton-Dichter - si rivolge all'animo dell'ascoltatore e gli parla il solo linguaggio che egli sappia comprendere, quello delle sue aspirazioni più intime. Per raggiungere la profondità di questo raccoglimento e mantenervisi, lo spettatore tedesco deve prepararsi ancor prima che inizi la rappresentazione: bisogna che egli prepari il suo animo ad uno stato di tranquillità perfetta" [APPIA, p. 209].
Busoni ha una concezione precisa dell'opera: egli non critica, per essere esatti, Wagner, ma non vede più nel suo Gesamtkunstwerk un programma generalizzabile. Ai suoi occhi esso è una creazione unica del genio wagneriano. Per Busoni l'opera si fonda su tre elementi:

a) l'azione, con musica e parole in secondo piano;

b) parole, con azione e musica in secondo piano;

c) musica, con azione e parole in secondo piano.

"L'opera è uno spettacolo, poesia e musica in un tutto unico." Schönberg, in particolare, loderà più tardi Busoni per aver compreso per primo che in un'opera non è necessario esprimere la stessa cosa sia con la musica che con l'azione [A. SCHÖNBERG, Style and Idea, New York, 1950, trad. it., Milano 1980, p 214].
Busoni ha presentato questa triplice suddivisione del discorso sull'opera proprio nella sua prefazione al Doktor Faust, ma egli aveva gettato ancor prima le basi della sua estetica dell'opera teatrale, un'estetica antiwagneriana, fondata quasi sulla stessa idea di alienazione che si trova nel principio brechtiano. Già nell'Abbozzo di una nuova estetica della musica egli anticipava il Doktor Faust quando parlava della presentazione del sovrannaturale sulla scena. Un'opera che presenta il sovrannaturale deve creare un suo proprio Scheinwelt il quale sarà proiettato verso gli spettatori attraverso uno specchio, magico o comico: uno specchio magico in un pezzo serio e uno specchio comico in un'opera comica. "E - aggiunge Busoni - vi siano pure intrecciate danze, mascherate e magie, così che lo spettatore abbia coscienza a ogni momento della piacevole menzogna e non vi si abbandoni come se si trattasse di un avvenimento di vita reale" [Abbozzo, p. 49]. Lo spettatore, secondo Busoni, deve rimanere sempre cosciente dell'effetto teatrale e mai confonderlo con la realtà.
Esattamente in questo modo Busoni procede nel suo Doktor Faust, dove l'azione è interrotta con serie di danze e intermezzi. Busoni, autentico spirito latino, evita in tal modo alla sua composizione ogni cedimento a livello di opera gastronomica. Egli utilizza le forme musicali - variazioni, suite di danze, recitativi, arie - come Alban Berg nel Wozzeck, ma con un senso differente: Busoni non utilizza queste forme soltanto come principi strutturali (principi di una grammatica musicale, secondo la bella definizione di David Lidov) [Cfr. DAVID LIDOV, Musical Structure and Musical Significance, part I. Toronto, 1980, p. 55] ma anche come processo stilistico, come effetto estetico. Ciò crea una tensione particolare tra la situazione drammatica e la sua presentazione musicale (è questo un principio di design), una contraddizione deliberata tra il livello semio-narrativo e il livello discorsivo. L'ironia busoniana nasce, quindi, sul percorso generativo, dal fitto che la struttura narrativa, all'origine, viene resa discorsiva in maniera inattesa, o anche contro ogni aspettativa.
L'estetica di Busoni non ha un contenuto fedele alla tradizione tedesca - quella di una melodia wagneriana-schönberghiana incessante nel flusso della coscienza - essa riprende espressamente dall'estetica latina quella forma in cui l'articolazione della musica in arie, ariosi e suite di danze, unità convenzionali dell'opera, salvaguarda la coscienza critica dell'ascoltatore. Tuttavia Busoni non soggiace a questa richiesta formale in maniera così sistematica come Berg nel suo Wozzeck. Doktor Faust presenta delle lacune nella forma musicale proprio allo scopa di far posto ugualmente alla parola o al pensiero e all'azione.

3) L'ambiguità di Busoni si manifesta nella sua vita nell'alternanza tra due ruoli della comunicazione musicale: quello dell'esecutore e quello del compositore. Il musicologo finlandese Erik Tawaststjerna è riuscito a chiarire in maniera interessante questo aspetto di Busoni paragonandolo a Sibelius, suo grande amico. Busoni voleva essere un compositore, benché venisse riconosciuto, in realtà, come grande pianista; Sibelius, invece, voleva essere un violinista virtuoso, ma è diventato un compositore celebre [ERIK TAWASTSTJERNA, Jan Sibelius, vol. 1, London, 1976, pp. 46-47]. Busoni talvolta detestava esibirsi al pianoforte e pensava che la sua carriera di pianista occupava il tempo e il talento che avrebbe voluto riservare alla composizione. Questa lacerazione tra due ruoli ebbe come conseguenza evidente il fatto che Busoni ci appaia nel secondo di essi.
Comprendiamo da qui il contrasto fra la tecnica delle citazioni, trascrizioni e parafrasi e la voce propria e indipendente del compositore. Ulrich Prinz, nella sua tesi di dottorato, ha tentato di gerarchizzare le opere di Busoni da questo punto di vista. Tra le rielaborazioni e la composizione musicale egli distingue i seguenti gradi: edizioni (cioè ristampe inalterate, edizioni pedagogiche, riduzioni per pianoforte), trascrizioni, edizioni d'interpretazione (e riadattamenti come, per esempio, una "Interpretazione da concerto" del Klavierstuck op. 11 n. 2 di Schönberg), le Nachdichtungen e infine le opere originali [U. PRINZ, Ferruccio Busoni als Klavierkomponist, Dissertation, Heidelberg, 1970, p. 22].
Sotto questo aspetto Busoni potrebbe apparire quasi come una specie di bricoleur, un compositore che non crea egli stesso gli elementi ma li prende in prestito laddove sono più agevolmente disponibili, per formare con essi delle nuove strutture. Si potrebbe anche definirlo "uomo strutturale", nel senso di Roland Barthes: una persona che scinde l'opera in parti, analizza le funzioni contenute, aggiungendovi al tempo stesso qualcosa di proprio. Il Preludio, fuga e fuga figurata, come le Variazioni sul preludio in do minore di Chopin, ci rivelano proprio un tale "decostruttore", un compositore il cui soggetto resta il più possibile "decentrato", in disparte, un compositore che tende a quell'anonimato che si poteva ancora sentire all'epoca della musica barocca. In tal senso la mancanza di voce propria porterebbe a considerare Busoni, facendo di vizio virtù, un compositore anti-romantico. Busoni potrebbe anche essere considerato un compositore "post-moderno", almeno nelle sue ultime opere, quelle che rappresentano il principio della Junge Klassizität. Mentre la produzione precedente di Busoni era piena di parafrasi e di arrangiamenti, il Doktor Faust è un incessante seguito di autocitazioni; l'autore vi ha inserito tutto ciò che vi era di originale nella sua passata produzione. Secondo Lyotard [JEAN- FRANÇOIS LYOTARD, The Postmodern Condition: A Report on Knowledge, Theory and History of Literature, Minneapolis, 1984, p. 80], Proust e Joyce alludono a qualcosa di impossibile da rendere come presente. In Proust si tratta dell'identità della coscienza che egli sacrifica all'eccesso del tempo, mentre Joyce sacrifica l'identità della scrittura all'eccesso dei libri. Parafrasando Lyotard, si potrebbe dire che l'io del compositore, in Busoni, diviene vittima dell' "eccesso di musica". Ciò si può spiegare con il doppio ruolo di Busoni compositore/esecutore, nella misura in cui lo spirito dell'esecutore, sempre pronto ad ispirarsi alla musica altrui, si riflette nel pensiero proprio del compositore sotto forma di "citazioni" e di "allusioni". La definizione della natura e dell'essenza di Busoni compositore resta dunque difficile da stabilire, una definizione che anch'egli non è riuscito sempre a rendere "presente".

4) Si può aggiungere, a quanto detto sopra, l'ambivalenza di Busoni pensatore: al radicale modernismo dell'Abbozzo fa seguito il classicismo di L'unità della musica. Quando i postmoderni del nostro tempo chiedono che "gli artisti siano rinviati in seno alla società" oppure "se la ritengono malata, devono guarirla" [Ibi, p. 73] si afferma un'esigenza che corrisponde al programma dell'estetica musicale tardiva di Busoni. Secondo Kirchmeyer "molti considerano le idee di Busoni sul classicismo come un modo di purificare la musica moderna da tutte le esperienze e da tutte le malattie, piuttosto che un fenomeno veramente produttivo ed originale" [KIRCHMEYER, p. 255].
È evidentemente un anacronismo vedere in Busoni il profeta delle tendenze contemporanee postmoderne - benché egli sia senza dubbio prqfetico sotto molti punti di vista - ma l'ambiguità estetico-teorica ci rivela anche un'altra contraddizione, quella che oppone l'esteta al compositore. Egli, come Wagner in Opera e dramma, vorrebbe spesso seguire il principio "Non fare come io faccio, ma come io dico", ma è il primo a disobbedirvi. E così che il modernismo radicale dell'Abbozzo non ha avuto alcun equivalente nell'opera musicale di Busoni. L'Abbozzo, come pure L'unità della musica, possono essere letti, tuttavia, come note di un programma per il Doktor Faust.

5) Nella misura in cui Busoni, per esempio nel Doktor Faust, cita altri compositori oltre se stesso, si tratta del rapporto tra il compositore e la tradizione in generale, del principio di musica al quadrato in senso stravinskijano propriamente detto. Per la sua qualità di Bearbeiter Busoni è un compositore completamente legato alla tradizione. Egli appartiene a quella schiera di compositori che non tentano di modificare radicalmente il linguaggio musicale e di inventarne uno nuovo ma si accontentano piuttosto di riformare l'antico. "Si può ben essere innovatori senza essere inventori", come afferma V. Jankélévitch [WLADIMIR V. JANKÉLÉVITCH, La musique et l'ineffable, Paris, 1961, p. 135]. La breve introduzione orchestrale di Doktor Faust, con il progressivo espandersi della sua sonorità per quarte e quinte vuote, rappresenta un enunciato musicale che evoca ugualmente la nascita originale wagneriana, nello stile dell'inizio dell'Oro del Reno, oppure il crescendo progressivo sulla base di uno stesso accordo di Vers la flamme di Skrjabin. Analogamente, Faust fa il suo ingresso nella prima scena - non nella versione del Teatro Comunale, di Herzog, in cui Faust è presente sulla scena fin dall'inizio - accompagnato dalle figure ansiose dei violini che richiamano subito alla mente, almeno a quella di un ascoltatore competente, la figurazione del secondo movimento della Faust-Symphonie di Franz Liszt.
In parecchi casi, tuttavia, la musica di Busoni si fonde senza discontinuità nella tradizione. Si può dire che egli si congiunga con l'estetica del mito della musica colta occidentale, formatasi in epoca classico-romantica e che oggi prosegue il suo cammino nella musica degradata del cinema, quella che gli inglesi chiamano mood music. Ho cercato, in un mio studio, di definire questa estetica del mito nella nostra musica come un reticolo di "semi" le cui varie combinazioni producono differenti "sememi" mitico-musicali, cioè le unità del contenuto - mitico della natura, mitico eroico, magico, favoloso, ballatistico, leggendario, sacro, demoniaco, fantastico, nazional-musicale, pastorale, gestuale, sublime, tragico ecc. - e la loro manifestazione nei testi musicali del periodo romantico [Cfr. EERO TARASTI, Myth and Music. A Semiotic Approach to the Aesthetics of Myth in Music. Especially that of Wagner, Sibelius and Stravinskij, New York-The Hague-Paris, 1979]. Bisogna evidentemente sottolineare che la lista dei semi sopra citata è aperta, e non un sistema chiuso, un insieme a cui ii compositore può attingere, rinnovando la tradizione di nuovi significati. Il contributo particolare di Stravinskij a questa lista, nel suo Oedipus Rex, scritto in collaborazione con Cocteau, consiste in semi ironici o anche grotteschi. Concludendo, bisogna dunque constatare che esiste in Busoni questo reticolo tradizionale del mitismo. È facile trovare nel Doktor Faust dei lessemi musicali che corrispondono a quasi tutti i semi sopra citati. Per esempio, il mitico della natura percorre interamente l'ouverture dell'opera; il magico si trova nella evocazione degli spiriti (sebbene Busoni utilizzi la stessa tecnica di Wagner nel Sigfrido, quando descrive Fafner come un drago, cioè unisce i semi del favoloso e del fantastico a quelli del magico); il demoniaco è riconoscibile nell'entrata di Mefistofele e nel suo registro vocale insolitamente alto (cfr. come Janácek illustri ugualmente il sovrannaturale con un registro molto acuto ne Il caso Makropoulos); il mitico della ballata nell'assolo di Mefistofele, nella scena della taverna di Wittenberg (tipicamente eseguita in sol minore, tonalità particolare di brani analoghi in Wagner, Glinka ed altri, a partire dalla ballata in sol minore di Senta, nel Vascello fantasma, con i suoi scarti di quinta e quarta che si trovano così in abbondanza nella ballata di Busoni); il favoloso è rappresentato dal re Salomone e dalla regina di Saba nella scena della corte di Parma; l'esotico si scopre nell'entrata del corteo alla corte di Parma; il sacro appare nella scena della chiesa, nei cori d'apertura ecc.
D'altra parte Busoni costruisce ugualmente scene intere o personaggi sotto forma allusiva: si pensi alla fine, per esempio, quando Faust incontra dinanzi alla chiesa un uomo completamente rivestito dell'armatura che, come il Commendatore nel Don Giovanni di Mozart, viene a chiedergli conto delle sue azioni; oppure alla figura enigmatica dei tre studenti di Cracovia, in fondo ai quali appaiono gli "uomini armati" del Flauto magico di Mozart (il passaggio in cui Mozart, a sua volta, compie una stilizzazione della tessitura del contrappunto barocco). Cercando un soggetto per il libretto della sua futura opera Busoni pensò anche al Don Giovanni, ma lo abbandonò per il semplice motivo che era stato già trattato da Mozart.
È evidentemente impossibile parlare di una tecnica delle citazioni quando un compositore si tuffa nella tradizione di tutta la cultura musicale in cui è immerso e che adotta quindi in modo implicito. Ma, nel caso di Busoni, si trova molto spesso una certa distanza nei confronti della tradizione oppure una trasformazione cosciente di essa. Faust, per esempio, non si presenta con lo stile vocale tipico di uno stregone o di un mago - dotto, austero e famoso - ma con un diatonismo dagli intervalli bruschi e decisi che lo fanno apparire come un personaggio vigoroso, pieno di energia nell'azione esteriore e consapevolmente teatrale, un personaggio derivato dal mondo del teatro delle marionette. Questo non può che ricordarci il neoclassicismo francese e lo Stravinskij degli anni '10 e '20. Jean Cocteau voleva una musica sulla quale si potesse danzare e marciare: paradossalmente, è questo tipo di musica che si incontra anche nel Doktor Faust. Il parallelismo con l'aria di Creonte, nell'Oediptu Rex di Stravinskij, è evidente (si potranno trovare più avanti anche delle similitudini tra il ritratto musicale della Duchessa di Busoni e quello della Jocaste di Stravinskij). Busoni compie una parodia del corale di Lutero nella scena che descrive la disputa fra studenti protestanti e cattolici, Stravinkij adotta lo stesso inno per la musica del diavolo nella Histoire du Soldat. Tutto questo ci fa pensare che all'epoca del neoclassicismo sia già nato un reticolo particolare di semi mitici ironici: la tradizione era conservata ma come distanziata e deliberatamente distorta.
La Junge Klassizität di Busoni è stata spesso considerata come un fenomeno a parte e indipendente, nettamente distinto dal neoclassicismo, inteso nel suo senso generale, ma, in via del tutto ipotetica, la somiglianza con Stravinskij è evidente. Si racconta che Stravinskij abbia incontrato Busoni qualche mese prima della sua morte, in Svizzera, in un teatro dove Busoni era venuto per assistere alla rappresentazione della Histoire du Soldat, e che Stravinskij abbia detto a Busoni: "Vedete, Maestro, ho iniziato a rispettare i classici!"

6) Il tratto che pervade tutta l'opera di Busoni è la produzione di "isotopie complesse", prendendo in prestito un termine dalla semantica strutturale di Greimas. Busoni, tuttavia, non si accontenta di utilizzare le due isotopie, o livelli sovrapposti (musica originale / adattamento o arrangiamento di Busoni), ma compie adattamenti di adattamenti, arrangiamenti di arrangiamenti ecc. Il solo fatto di trasferire l'unità musicale originale in un contesto stilistico nuovo crea per noi quindi un nuovo campo di significazione. È il caso, per esempio, del tema principale della Finnische Ballade per pianoforte. Egli cita un canto religioso finlandese "Täällä pohjantähden alla" ("Qui, sotto la stella polare"), una delle numerose reminiscenze finlandesi presenti nella sua opera. Un ascoltatore finlandese che conosca la melodia sarà disorientato dal fatto che questa è trattata in modo tale che la connotazione originale è completamente scomparsa oppure penserà che il compositore non pretende che sia conosciuta. La melodia viene utilizzata, infatti, come materia per la "decostruzione" busoniana facendo emergere, quindi, un nuovo campo di significazione.
Un altro esempio: se in un corale di Bach (cfr. l'inizio della Fantasia contrappuntistica o la prima delle Elegie per pianoforte) si aggiunge un pedale dissonante, la conseguenza non è tanto di avvicinare Bach all'ascoltatore moderno, come afferma Busoni stesso, quanto di far nascere una nuova isotopia, un nuovo "complesso" di significazione musicale, dalla fissione di due elementi estranei. Qual è, dunque, questa nuova qualità estetica, questo "quasi nulla"? Se riuscissimo a definirlo ci avvicineremmo al segreto di Busoni compositore, poiché spesso egli si accontenta proprio di questo "quasi nulla".
Le autocitazioni di Busoni nel Doktor Faust sono molto numerose. Busoni stesso si difende dalla dispersione stilistica che potrebbero eventualmente introdurre quando dichiara, nella sua prefazione all'opera, che la musica trae valore dalla sua unità (Einheit). Quindi Bach poteva scrivere la stessa musica per un brano corale, un pezzo d'organo o una composizione per orchestra. La sola cosa decisiva è la qualità della musica.
Così, per esempio, il motivo principale della Seconda Sonatina diventa nel Doktor Faust il motivo dei tre studenti di Cracovia, da cui deriva una specie di Leitmotiv che ritorna lungo tutta l'opera ogni qualvolta si fa allusione alle virtù magiche di Faust, ed anche in altre occasioni. In questo caso tra il motivo originale e la sua nuova formulazione si riscontra soltanto una differenza di orchestrazione, così che si può pensare, come osservava Busoni in maniera generale a proposito di altri soggetti per il Doktor Faust, presi a prestito dalla Seconda Sonatina, ad una specie di intertesto, nel senso semiotico della parola: un tale passaggio, insopportabilmente dissonante al pianoforte, diventa del tutto accettabile in orchestra e, in teatro, non è che una sfumatura più o meno caratteristica.
Per altro verso, la natura generale dell'orchestrazione del Doktor Faust non è quella della düstere Abblendung della scuola viennese, essa lascia filtrare, piuttosto, una certa serenità e trasparenza. La sonorità del Doktor Faust mi sembra molto differente da quella delle numerose opere pianistiche di Busoni, nelle quali egli utilizza spesso un registro più grave. D'altra parte il motivo degli studenti è ambivalente sia dal punto di vista estetico che tonale: è ambiguo, tonalmente, per la progressione cromatica di accordi paralleli ai suoni dissonanti che vi sono aggiunti e che ci impediscono di identificarne la tonalità; è ambiguo, esteticamente, perché è impossibile dire se si tratta di una goffa marcia di entrata, di natura comica, o di una marcia funebre, di carattere tragico.
La sovrapposizione dei due livelli musicali non conduce tuttavia, di per sè, ad una isotopia complessa in senso greimasiano o ad una espressione "moderna". Questi livelli devono anche appartenere a contesti e a stili differenti, come avviene, per esempio, nello "Scherzo" della Sinfonia di Luciano Berio, con le sue citazioni di Mahler e degli Swingle Singers. L'ultima parte del Preludio, fuga e fuga figurata di Busoni, dunque, non è un caso di isotopia complessa poiché il preludio e la fuga del Clavicembalo ben temperato di Bach, che si percepiscono simultaneamente come "fuga figurata", sono stati congiunti obbedendo alle regole del medesimo sistema armonico. Al contrario, la sovrapposizione del corale di Lutero e della scena corale in stile d'opera italiana, in Doktor Faust, è già un caso evidente di isotopia complessa.

7) Già Hans Heinz Stuckenschmidt si è soffermato su un aspetto della musica del Doktor Faust, cioè come Busoni articoli lunghe scene, quasi atti interi, in una serie di unità musicali dalla forma ben profilata [STUCKENSCHMIDT, Ferruccio Busoni. Zeittafel eines Europäers, Zurich, 1967, pp. 99-101]. Anche la Symphonia d'apertura segue una struttura formale simmetrica: gli accordi costituiti da intervalli di quarta e quinta ci danno un sottofondo assimilabile al cluster, sul quale si distingue l'intonazione vocale di seconda ascendente ("Pax") che domina tutta la prima metà dell'opera. Tra questi campi sonori si inserisce una sezione dal ritmo oscillante, in misura di 12/8, con progressioni di accordi paralleli di quarte, cromatismi, seconde parallele (come citazioni della Seconda Sonatina), cadenze piagali in la maggiore - tutto questo per conferire un colore e creare un'ambientazione storica e locale. Queste cadenze scompaiono verso la fine dell'opera, quando si accentua il significato universale del dramma.
D'altro canto è caratteristico di tutta l'opera che ciascun atto sia dominato da qualche "intonazione" (nel senso di Boris Asaf'ev) [ASAF'EV, Musical Form as a Process, ed. by J.R. Tull, Ohio, 1976] che conferisce una sua particolare essenza musicale e che può provenire da un qualunque paradigma musicale: la Symphonia è dominata dall'intervallo di seconda ascendente sopra citato (esso ritorna alla fine del Preludio II nelle campane); il Preludio I è caratterizzato dal motivo della marcia dei tre studenti, con il suo estremo cromatismo; la crescente tensione del Preludio II nella evocazione degli spiriti, si realizza nella progressiva ascesa della linea vocale fino all'apparizione di Mefistofele; il timbro dell'organo serve da "intonazione" nell'intermezzo della chiesa; il primo quadro dell'Hauptspiel è illustrato dalle "intonazioni" danzanti e dal melos italiano, mentre il secondo dà luogo ad una polifonia e al Trinklied tedesco.
L'insieme dell'opera è unificato da alcuni motivi che si ripetono lungo tutta la composizione: una figura melodica derivata dal motivo degli studenti, la figura ritmica della Sarabanda ecc. Busoni, tuttavia, non li utilizza come Leitmotive wagneriani, la cui connotazione fondamentale resta sempre immutata. Egli stesso afferma nell'Abbozzo di un'introduzione alla partitura del «Doktor Faust": "La musica, in qualsiasi forma e in qualsiasi luogo appaia, rimane esclusivamente musica e nient'altro; essa entra a far parte di una data categoria soltanto nell'immaginazione, per mezzo di un titolo o di un motto, o di un testo, o della situazione in cui è collocata."
Fedele a questo principio Busoni utilizza, quindi, nella sua opera, materiali identici per scene molto differenti: il motivo della Sarabanda, per esempio, appare in vari contesti, per illustrare sia i persecutori di Faust che le sue visioni allucinate; l'arpeggio ascendente sull'accordo di tonica (do diesis minore, in primo rivolto) introduce la musica seria e astratta dell'Intermezzo, così come serve a creare (questa volta in re minore) l'ambiente sacro della cappella di Munster; il nucleo melodico del motivo dei tre studenti serve da Leitmotiv anche per il coro degli spiriti; gli stessi accordi arpeggiati di tonica minore e le loro dominanti minori introducono Mefistofele sia nella scena di Parma che nel gioco di re Salomone.
Tutto ciò rappresenta per noi una parte di quella tecnica cosciente di alienazione attraverso la quale Busoni dà l'impressione di due piani differenti senza lasciarli confondere: quello della scena e quello della musica. Ciò che si produce, in realtà, è proprio il contrario; spesso la forma musicale, al suo proprio livello, articola il racconto scenico costituendo una specie di forza antinarrativa rispetto al discorso generale dell'opera. Per esempio, nella scena in cui Faust e Mefistofele stipulano il loro patto questa conversazione è articolata, a livello musicale, sotto forma di una messa e Busoni vi dispone le voci di Faust e Mefistofele come fossero parti di un obbligato. E proprio l'articolazione della messa (Credo... Et resurrexit... Et iterum ventuçum est cum gloria... Gloria... Alleluja, ciascun momento dotato della propria dinamica musicale) che solleva questo episodio dell'intreccio al di sopra della narrazione reale per farlo assurgere a momento simbolico.
Tutta la musica della corte di Parma si svolge secondo le unità formali tradizionali, in primo luogo quelle della musica per danza. Nell'introduzione si ha il seguente potpourri: corteo "alla polacca", la cui orchestrazione è una specie di pastiche di Tchajkovskij (in questa scena Busoni è molto vicino, per altri aspetti, all'opera russa. Si pensi al Russlan di Glinka e al Gallo d'oro di Rimskij-Korsakov), una danza musette, segnali di caccia, un valzer, un minuetto (il cui tema è derivato dal Concertino per clarinetto e piccola orchestra di Busoni), una marcia, durante la quale Faust fa il suo ingresso. Per il resto, la musica riveste forme convenzionali che lasciano il posto a passaggi più liberi. La Duchessa si presenta nel contesto di un piccolo valzer, ma Busoni vi inserisce, per anticiparla, i motivi della Sarabanda. Il monologo della Duchessa è organizzato come segue: un'introduzione in cui violino solo e arpa preparano la figura ascendente di un accordo di tonica arpeggiato, che diviene in seguito centrale nell"arioso"; questo, a sua volta, è seguito da una specie di recitativo ("parlando"). Il monologo termina con un motivo tratto dall'aria di Faust, l'unico passaggio dell'opera in cui appare il bel canto italiano. Allo stesso modo, la scena seguente, In una taverna di Wittenberg, è dominata da forme puramente musicali: minuetto, ma in forma rusticana, ballata di Mefistofele e suoi classici ritornelli. Nell'ultima scena si ascolta una specie di parodia delle suites di danza della corte di Parma, Ritornello-Serenata-Ritornello-Serenata, quando Wagner, l'assistente di Faust, appare come un "falso-eroe" nelle vesti del Rector Magniflcus. In questo caso lo scopo delle suites di danza è, evidentemente, quello di creare un effetto comico ed ironico.
In queste scene, che si articolano secondo le forme musicali, la narrazione corre un rischio evidente, ma la loro esclusione distruggerebbe un elemento essenziale dell'opera, poiché la loro funzione consiste proprio nell'impedire che la narrazione prevalga su altri aspetti dell'opera. Esse evitano all'opera di cadere a livello di puri Schlagworte (parole-motto). Busoni stesso intendeva con questo termine ciò che si ritrova nell'analisi del racconto, a partire da Vladimir Propp, sotto il termine di finzione, cioè un'azione che sostiene l'intreccio e costituisce l'unità minima della narrazione.
Come suggerisce il compositore, gli Schlagworte potrebbero essere delle funzioni come, in senso scenico, "i rivali", "la foresta", "la chiesa", "la sala dei cavalieri" ecc.
Abbiamo già visto, più sopra, che alcuni Schlagworte corrispondono, in musica, a complessi di intonazione che descrivono e determinano delle situazioni drammatiche.
Le forme di canto e di danza non svolgono necessariamente il ruolo di "funzioni" nella narrazione dell'opera, esse servono piuttosto da contrappesi per mantenere in ogni momento la consapevolezza del teatrale, dell'artificiale e del simbolico. Si può dire, in tal senso, che Busoni manifesta la stessa fobia per un'espressione seria e decisa della maggior parte dei compositori degli anni '10 e '20. Come diceva Cocteau, basta con la musica da ascoltare la joue dans la main. Anche l'impiego delle forme musicali si riduce, quindi, alla stessa estetica dell'ambiguo, come è avvenuto per altri aspetti del compositore, cosa che sarebbe impossibile con il Wozceck di Berg, una volta isolate le forme musicali tradizionali che vi si trovano.

8) L'ambiguità busoniana è evidente anche nella linea sintagmatica delle sue opere. Si tratta di una specie di trasformazione inattesa fra termini appartenenti a categorie opposte. Se supponiamo che la musica e il dramma agiscano, in linea di massima, secondo le attese dell'ascoltatore‑spettatore, si tratta esplicitamente di una oscillazione, contraria ad ogni attesa, fra termini opposti del livello fondamentale e non soltanto di processo abituale fra termini contrari e contraddittori del quadro semiotico.
A livello tonale o melodico, nella musica, queste trasformazioni sono evidenti. Nella Fantasia contrappuntistica si trova, in un passaggio del corale d'apertura, uno sviluppo melodico ("implorando", da batt. 78) in cui si passa bruscamente, per trasformazioni di una terza minore in maggiore, dal sol minore naturale al mi minore per tornare, dopo la dominante di mi minore, ad un campo tonale bemollizzato. Questo tipo di sviluppo melodico è caratteristico di Busoni: si ritrova nella Finnische Ballade e nel Doktor Faust. Nell'intermezzo sinfonico della Sarabanda si devia quattro volte, nelle otto battute della frase principale, da si maggiore a tonalità coi bemolli (re bemolle maggiore, fa minore, do minore e la bemolle minore). Si possono evidentemente interpretare queste deviazioni come accordi modificati nel contesto armonico di si maggiore ma che, tuttavia, per il loro capriccioso alternarsi, producono tutti un effetto sonoro che si aggiunge all'impressione di ambiguità tonale.
Jim Samson, nel suo studio Music in transition, ha molto giustamente collocato Busoni nel contesto della dissoluzione della tonalità, sebbene la sua musica, nei passaggi più audaci dal punto di vista tonale, graviti attorno ad alcuni suoni che svolgono la finzione di poli di attrazione [JIM SAMSON, Music in Transition. A Study of musical Expansion and Atonality. 1900-1920, London, 1977, pp. 19-31]. È interessante notare come l'ambiguità del discorso musicale busoniano si rifette anche a livello di intreccio dell'opera e dell'azione scenica. Si pensi alla scena d'apertura tra Faust, Wagner e gli studenti di Cracovia. Wagner presenta questi a Faust ma, dopo la loro partenza, dice a Faust di non aver visto alcuna persona. Per trovare la soluzione di questa contraddizione logica bisogna quindi supporre che Wagner abbia immaginato gli studenti. Gli eventi della realtà diventano improvvisamente irreali quando Faust afferma: Nun weiss ich WER sie gewesen (ora io so CHI essi erano); Mefistofele nella scena della taverna getta davanti agli studenti un neonato morto ma rivela che non era altro che un pupazzo. Anche qui ritroviamo la medesima struttura: trasformazione del reale nell'irreale. Alla fine dell'opera il bambino morto resuscita in un giovane adolescente, ultima azione del mago. Quando Faust tenta di pregare, il crocifisso si trasforma in Elena. Wagner, l'assistente di Faust, assume ironicamente l'aspetto del rettore. In tutte queste situazioni appare la stessa struttura della musica: trasformazione di due elementi successivi, minore e maggiore, due tonalità, tra il vero e il falso, il reale e l'allucinazione. Tutto ciò rivela un'ambiguità sintagmatica nel senso semiotico del termine.
Allo stesso modo è ambiguo il modello attanziale, quello dei ruoli narrativi principali. Non sappiamo, per esempio, cosa rappresentino i tre studenti, se sono degli aiutanti o degli oppositori di Faust, o ancora, se sono destinatori che consegnano l'oggetto magico (il libro) al soggetto-eroe perché raggiunga il suo scopo. L'ultima interpretazione è confermata dal fatto che essi appaiono alla fine dell'opera per annunciare che la "missione" di Faust è compiuta e che il tempo è scaduto.
Anche nella relazione tra Faust e Mefistofele non si sa chiaramente se Mefistofele sia aiutante o oppositore di Faust. Ma questo punto oscuro appartiene, è vero, a tutte le versioni del mito di Faust e non è un riflesso dell'ambiguità busoniana.
Faust è alla ricerca di oggetti di differente valore senza trovare soddisfazione in alcuno di essi. Tutti si rivelano oggetti falsi e ciò che resta è il puro desiderio senza oggetto, der ewige Wille (l'eterno volere). E con la magia che Faust persegue la sua ricerca e, in questo senso, Mefistofele non è che una delle creazioni della propria magia. Ciò che Goethe fa dire al suo Faust in modo penetrante (Am Ends hangen wir doch ab den Kreaturen den wir machten, ma alla fine dipendiamo dalle creature cui diamo vita), si realizza quindi nel Doktor Faust di Busoni. All'inizio Faust è ancora in possesso della sua magia ma alla fine accade il contrario: è soggetto al potere di Mefistofele, gli spiriti non gli obbediscono più.
Nel Doktor Faust sono presenti i quattro tipi di discorso magico: la magia bianca, con la quale si produce l'assenza di un oggetto negativo o la presenza di un oggetto positivo, e la magia nera, con la quale si produce l'assenza di un oggetto positivo o la presenza di un oggetto negativo.
È lecito chiedersi, allora, se esiste anche nella musica uno stile magico. In un certo senso è la musica che assume, in Busoni, il ruolo svolto in una formula magica dal verbo imperativo: "io ordino", "io comando". È la musica che rivela la relazione di potere stabilita tra il mago e l'oggetto della magia. D'altronde Busoni non sottoliena la formula magica in sé (abracadabra) come fa, per esempio, Berlioz nella scena latina del sabba delle streghe nella Damnation di Faust, ciò che conta per lui sono i risultati, gli effetti dell'atto magico.

Tentiamo ora di riassumere le nostre osservazioni su Busoni, la sua musica e il suo Doktor Faust.
La nostra ipotesi di partenza era che il rapporto tra il compositore e la sua opera richiedeva di essere approfondito e che questo era possibile assumendo il modello greimasiano di percorso generativo e allargandolo fino ad includervi l'autore stesso. Le strutture che determinano l'ambiente sociale di un compositore, le sue attività, il suo pensiero, la sua visione del mondo, possono a loro volta essere determinanti - anche se in misura differente - per la composizione stessa. Nel caso di Busoni si è studiata una sola struttura fondamentale, una specie di modello trasformazionale - il principio di ambiguità - e si è constatato che esso rappresenta una chiave di lettura in grado di spiegare ed interpretare numerosi aspetti della sua essenza.
Dal punto di vista metodologico, quindi, la cosa più difficile è individuare il percorso che conduce dall'autore, mittente del messaggio, all'opera stessa e, tentando una generalizzazione dei nostri risultati, verificare se tali interpretazioni possono applicarsi anche ad altri compositori. Bisogna concepire il nostro modello in maniera tale che esso riassuma in sé il compositore, autore di tutto il percorso generativo e delle sue strutture, oppure il primo posto spetta alle stesse strutture fondamentali, che si realizzano e si manifestano a loro volta nella vita del compositore, nella sua musica e nelle sue idee in questo campo?
Il primo termine dell'alternativa rappresenterebbe un'interpretazione genetica, se si suppone implicitamente che le strutture interne di una composizione siano le strutture interiorizzate della comunicazione esterna. Questa interpretazione dovrebbe piacere agli studiosi di antropologia.
Il secondo termine dell'alternativa consisterebbe più chiaramente in uno strutturalismo semiotico, secondo il quale la vita, il contesto, il ruolo nella comunicazione musicale e le opere, possono essere lette ed interpretate attraverso lo stesso modello generativo, il cui principio elementare, nel caso di Busoni, è quello dell'ambiguità strutturale.
Infine, la scelta del modello che faciliterà maggiormente il procedere della ricerca dipende dal contesto della ricerca stessa e dalla situazione. Se esaminiamo gli studi dedicati a Busoni vediamo che nel quadro del modello generativo ogni studioso si concentra su un solo elemento del modello (il contesto culturale, Kirchmeyer; la vita, Dent e Stuckenschmidt; la musica dal punto di vista dello sviluppo, Samson, ecc.) senza porre la questione del rapporto che esiste tra questo livello e gli altri strati dell'analisi. Questi rapporti possono essere stabiliti anche in maniera implicita se si dividono i livelli della ricerca secondo differenti segmenti e capitoli che rivelino i vari aspetti dello stesso fenomeno. La biografia di Stuckenschmidt, per esempio, è divisa in capitoli: la vita, il virtuoso, il compositore, il poeta, le lettere, l'insegnante, l'europeo. Un altro esempio è quello dell'opera di Dent, in cui i punti di vista sono presentati sotto forma sincretica e mescolata.
A cosa può servire il modello generativo sopra presentato se, nella realtà, le indagini non vi si conformano e si arrestano ad un livello qualsiasi?
Si può rispondere che esso ci permette di valutare meglio le fonti esistenti e che, d'altra parte, siamo in grado di valutare in maniera più esplicita e ragionata il problema dell'eventuale unità tra la vita e l'opera di un compositore, di analizzare i legami esistenti fra questi differenti livelli. Ma bisogna anche restare consapevoli, in ogni istante, dello statuto epistemologico del modello stesso, considerato esclusivamente come un'ipotesi di lettura e di interpretazione.

 (Traduzione dal francese di Maurizio Romito)