UGO DUSE

L'OPERA D'ARTE UNIVERSALE "NELL'AMBITO DELLA
MUSICA" E L'OPERA D'ARTE UNIVERSALE DI BAYREUTH

 


Il tema della comunicazione, o, meglio, dell'intervento, è chiaramente circoscritto, a condizione che del periodo nella sua totalità venga sottolineata la congiunzione e non come sostitutiva di "in contrapposizione" o "in contrasto"; essa assolve ad una funzione puramente provvisoria proprio per permettere alcune riflessioni che convalidino o smentiscano la validità e la legittimità solo ed esclusivamente di quell'«in contrapposizione» ovverossia "in contrasto".
L'operazione non è arbitraria perché Busoni dà per scontati i limiti della comprensione del lettore del 1921 agli opposti: melodramma "convenzionale", sia pure in senso non negativo, e Wort-Ton-Drama. Che cosa deve essere l'opera per Busoni? Quali le sue possibilità? La mappa dell'indagine non può che essere l'Abbozzo per una introduzione alla partitura del Dottor Faust con alcune considerazioni sulle possibilità dell'opera in quanto sintesi del definitivo credo busoniano sull'argomento. Alla base della concezione sta il concetto dell'unità della musica, nel senso che comunque si manifesti, e indipendentemente dallo scopo cui mira, è impossibile operare delle divisioni all'interno della musica: si possono solo individuare delle differenze di contenuto e di qualità. Cioè delle differenze nell'invenzione e nello stato d'animo, da un lato, la forma e la configurazione, dall'altro. (Si tenga presente che invenzione = talento, e stato d'animo = modo di sentire derivante dal carattere). Il concetto dell'unità della musica ha alla propria radice l'istinto dell'unità della musica, proprio di ogni musicista degno di questo nome (Bach, Beethoven e soprattutto Mozart, come esempi).
Questo concetto è un universale post rem e solo una volta giunti ad esso prendiamo coscienza che ha sempre operato nei fatti, come istinto. Ma in quanto puramente istintuale l'unità della musica era indifesa sul piano teorico, e ciò ha potuto dar luogo alla falsa divisione in generi della musica; una volta creati i generi, di essi si è arrivati a stabilire una scala di valori. Questa scala di valori può essere differente nelle varie epoche e presso i vari popoli. Tutto ciò deve dunque essere abbandonato e l'opera (che solo paradigmaticamente nel 1921 deve vantare diritti pari agli altri generi musicali perché grazie al concetto di unità della musica distruggiamo per il momento solo le scale di valori dei generi, ma non ancora i generi stessi) sarà in futuro la forma più alta e precisamente la forma unica e universale dell'espressione e del contenuto musicale. "La musica che rende eloquente l'inespresso, che solleva dalle profondità le emozioni umane per renderle percepibili ai sensi, ma che non vuoi descrivere vicende esteriori, avvenimenti visibili, trova solo nell'opera lo spazio necessario alla sua estrinsecazione."
Si tenga presente che lo spazio di cui la musica necessita per estrinsecarsi è lo spazio smisurato di cui dispone l'opera: esso si estende dai semplici motivi di canzoni, di marcia e di danza, sino ai contrappunti più elaborati, dal canto all'orchestra, dal "profano" allo "spirituale".
Nell'Entwurf si era posta la domanda sul futuro dell'opera, limitandosi allora al quesito: "In quali momenti la musica è indispensabile all'azione scenica?". E si era data questa risposta: "Nelle danze, nelle marce, nelle canzoni e quando nell'azione interviene l'elemento soprannaturale." Da questa risposta fa discendere tutta una serie di possibilità dell'opera come luogo deputato musicale del soprannaturale, dell'opera come puro gioco, dell'opera come finzione illusoria riflettente, in quanto opera seria, la vita in uno specchio magico, in quanto opera comica, la vita in uno specchio deformante.
Ora la domanda postasi da Busoni nell'Entwurf ha avuto, attraverso il concetto di unità della musica la sua risposta non più parziale e circoscritta, ma completa e risoluta. Non c'è un futuro per l'opera che non coincida con il futuro della musica, nel senso che la musica stessa troverà nell'opera la forma più alta, anzi la forma unica e totale della sua espressione e del suo contenuto.
Queste sono quindi le possibilità dell'opera per Busoni: dobbiamo riconoscere che da tali possibilità l'opera esce come fattore totalizzante che prefigura non un futuro ma il destino della musica.
Questo destino della musica affidato alla sua forma più alta, anzi unica e universale, pone la questione di che cosa deve essere l'opera per configurarsi come unica e totale espressione e contenuto della musica.

1. Problema del testo
La scelta del testo è fondamentale. L'argomento per una recitazione drammatica presenta caratteri di assoluta indifferenza. Il successo dipende dal talento dell'autore drammatico. Ma per l'opera occorrono soggetti particolari: quelli cioè che senza l'aiuto della musica sarebbero del tutto deficitari o insostenibili. Perciò da un libretto si deve esigere l'evocazione della musica, cui deve inoltre essere concesso lo spazio necessario al suo sviluppo. Si ponga mente a tal proposito che evidentemente Busoni non può aver cambiato opinione sullo "spazio necessario": lo spazio di cui dispone l'opera è uno "spazio smisurato". Ma la musica per potersi appieno giovare di esso non deve mai estendersi al di là di quanto è strutturalmente indispensabile a sorreggere la parola. Se avviene il contrario, la parabola musicale si altera in eccesso solo per reggere un testo ridondante.
A questo punto si ha lo scadimento nel dramma. Ecco quindi la tecnica della condensazione del testo, preziosa per evitare le tirate del dramma, anche se si tratta di dramma musicale.
Questa tecnica, o espediente che sia, vale per tutti i parametri, non solo per quello del dialogato: deve funzionare per l'azione, trovar posto nelle didascalie per indicare come deve esser vestito il personaggio, onde colpire subito l'immaginazione dello spettatore sul suo stato sociale; nella scenografia, concepita in senso diametralmente opposto a quella cinematografica.

2. Gli elementi costitutivi dell'opera
L'opera si compone di parole, di azione e di musica. Si tratta di tre voci contrappuntistiche simultanee sì, ma distinte. Lo spettatore si trova a guadagnare, pensare ed ascoltare. Ma lo spettatore comune - che è quello che più interessa Busoni - può seguire una sola per volta di queste attività, di queste voci contrappuntistiche. Perciò, quando viene espresso un pensiero, è opportuno che musica e azione rimangano sullo sfondo e che azione e parola, cioè pensiero, si tengano entro limiti più modesti là dove la musica svolge la sua trama.
Ora, il carattere trinitario dell'opera (sottolineo trinitario e non triadico) esige una buona distribuzione delle sue parti: poiché il tempo del declamare (o leggere) il testo di un dramma teatrale è pari a circa 1/3 di quello che occorre se quel dramma viene posto in musica, ne deriva che l'ideale di un libretto d'opera è d'essere 2/3 più breve di un dramma teatrale. L'apporto della musica, poiché una notevole parte di essa non si presenta come sinfonia, interludio o preludio, danze o marce, è però superiore ai 2/3 del testo, in quanto essa compenetra il libretto. Ne deriva che su questa base quantitativa "una buona partitura d'opera dovrebbe potersi giustificare musicalmente anche al di fuori del testo". Infatti Busoni conclude che l'eccellenza della partitura "rende possibile ad un'opera teatrale di sussistere nel futuro in quanto monumento artistico dopo aver espletato la sua breve esistenza sulle scene". Ed ovviamente la partitura ideale è quella in cui il libretto è stato scritto dallo stesso musicista, sì che il testo sia stato d'aiuto a giustificarla musicalmente.

3. Struttura dell'opera
È quella dell'opera autentica: mai potrà essere costruita differentemente, cioè una serie di pezzi brevi e chiusi. Questo era già, malgrado riserve profonde per altri aspetti, nell'Entwurf, quando afferma di ritenere giustificata, entro certi limiti, la formula dell'opera antica che abbracciava in un pezzo chiuso lo stato d'animo ottenuto con una scena movimentata drammaticamente per poi lasciarlo esaurirsi nell'«aria».
Inutile dilungarci troppo: l'ideale busoniano di fronte all'anarchia che precedette la prima guerra mondiale e che si protrasse dopo la sua fine come appendice, è quello della restaurazione. Restaurazione è per me, sotto il profilo del "racchiudere le esperienze precedenti in forme solide e belle" anche il Wozzek e la Lulu rispetto al Pelléas et Mélisande. C'è però restaurazione e restaurazione. C'è quella che si aggiorna sulla forma, quella che assieme alla forma modifica opportunamente i contenuti, "mutando perché non cambi nulla". Berg, volente o nolente, con Wozzek e Lulu appartiene a questo tipo di restauratori. Busoni no. E sono soprattutto tre le affermazioni che lo dimostrano:
1) elemento indispensabile perché l'opera in futuro sia la forma più alta, etc., etc., è che il pubblico, il quale partecipa allo spettacolo, venga educato e si lasci educare. L'educazione consiste nella liberazione dalle convenzioni del dramma parlato come contrarie alla natura dell'opera. La natura dell'opera è nell'antico Mistero, cerimonia semi-religiosa, elevata. La Chiesa cattolica insegni.
2) Un'arte puramente astratta deve rinnegare la sensualità o sessualità. Corollario: condanna senza appello del duetto d'amore.
3) Il mistico, ciò che in quegli anni era stato definito l'inesprimibile, con chiaro riferimento all' Unbeschreibliches del terz'ultimo verso del Secondo Faust, diviene una componente razziale genetica indispensabile per realizzare l'opera, intesa come forma più alta, etc., etc.

Consideriamo la prima affermazione: educazione, non coinvolgimento. Suggestione, non partecipazione. Educazione al divertimento, suggestione attraverso il sovrannaturale, il non quotidiano. Questo non si volge contro il verismo. Questa è condanna di tutto Wagner, ma anche di tanto Mozart, e del contemporaneo Strauss. Il richiamo al Mistero ignora Bartók, con Il castello del Duca Barbablù, uno dei tre libretti dal quinto libro dei Misteri di Balasz.
L'ateo che si richiama al magistero della Chiesa cattolica è il Croce della musica: la religione come educazione, l'educazione come suggestione, la suggestione come ubbidienza.

Seconda affermazione: ripudio della sensualità e della sessualità. Condanna del duetto d'amore. Qui vengono poste all'indice il Così fan tutte, il Don Giovanni, tutto Wagner, tutta l'opera dell'Ottocento. Soprattutto si dimostra di non avvertire nulla di ciò che sta per succedere: in fondo i dignitosi funerali all'opera sono stati fatti dal Wozzek, dalla Lulu, dalla Carriera di un libertino.

Terza affermazione: la musica esprime il mistico. Ma il mistico non può esprimere, neppure asemanticamente, non sopportando alcuna connotazione. Non si può rendere l'inspiegabile. Una allucinazione può essere descritta, e pertanto ne esiste il contenuto, anche se per una sola persona (è un problema analogo a ciò che chiunque è libero di predicare di Dio. De nominibus Dei di Dionigi l'Areopagita). Ma il mistico nega se stesso se viene comunque connotato. Qui evidentemente, attratto dall'irrazionalismo del magico, Busoni usa come sostantivo un aggettivo di cui è abbondantemente dotata la stregoneria medievale. D'altra parte certe sue affermazioni sul mistico numero tre, etc. possono confermare la tesi di una confusione tra stato estatico e atteggiamento mistico. Quando Wagner parla di golfo mistico, è sempre nell'ambito delle sue colorite espressioni poetiche; quando parla Busoni che propone ricette, allora ogni parola va misurata. E qui siamo al cavernicolismo di J. Mathias Hauer.

Ci sembra di aver sufficienti elementi per concludere che la nostra congiunzione può essere tranquillamente sostituita con "in contrapposizione", "in contrasto".
Il Gesamtkunstwerk nell'ambito della musica è contrapposizione al Gesamtkunstwerk del teatro di Bayereuth. Ma "l'ambito della musica" busoniano del 1921 è l'ambito della Junge Klassizität, quindi sì dell'unità della musica, ma anche del rinnovato impiego della melodia "quale dominatrice di tutte le voci, di tutti gli impulsi, supporto dell'idea e generatrice dell'armonia".
Vediamo se a Bayereuth questa idea era stata di casa.
Con molta probabilità si possono riportare certi" Appunti" di Busoni (p. 131 della raccolta curata da D'Amico) al periodo in cui scrisse la famosa lettera a Bekker in polemica con Pfltzner. Dunque fu circa verso i primi mesi del 1920 che Busoni usò l'espressione "melodia assoluta", precisando che in origine doveva essere un organismo autosufficiente, cui si unì in seguito l'armonia di accompagnamento. Nella lettera a Bekker aveva usato l'espressione "musica assoluta" riproponendo quel punto di vista espresso nell'Entwurf doversi intendere per musica assoluta quella che ebbe il privilegio originario e divino di librarsi, a volo, libera dai vincoli della materia e contrapposta alla forma. Il genio di Bach e di Beethoven avevano ricondotto quest'arte verso la sua quasi primordiale assolutezza, ma non v'erano riusciti completamente. Ora, nel momento in cui si proclama il primato assoluto della melodia, l'espressione "melodia assoluta" è una sineddoche per "musica assoluta"?
In una lettera alla moglie del 15 mano 1911 da Los Angeles (poche settimane prima di imbarcarsi con Mahler già condannato dalla malattia verso l'Europa), egli chiamò in causa Wagner come il primo ad aver riconosciuto non soltanto teoricamente la melodia quale legge suprema. La melodia wagneriana era stata la più rigogliosa d'ogni altra, anche se meno nobile e originale di quella di Mozart o di Beethoven. Tuttavia la melodia wagneriana era pur sempre viziata di materialità. Ora, sarà bene, ai fini della rapida indagine che conduco, precisare subito che Wagner distingue:

a) una melodia patriarcale
b) una melodia assoluta
c) una melodia del verso
d) una melodia orchestrale
e) una melodia dialogizzata
i) una melodia "endlos"
g) una melodia totale
h) una melodia compiuta

Di volta in volta, scartate come improponibili la patriarcale e la assoluta, egli viene mettendo, a seconda dell'argomentazione che stava conducendo, l'accento sull'uno o sull'altra. Fermo restando ad esempio che l'originaria melodia del verso del 1850 cede nel 1860 il posto alla più complessa melodia orchestrale in relazione alla circostanza che, nel suo sviluppo, la Tetralogia tende a privilegiare l'assente sul presente, e perciò (come dice Dahlhaus in Zur Geschichte der Leitmotivtechnik bei Wagner, in Das Drama Richard Wagners als musikalisches Kunstwerk, Regensburg 1970, pp. 17 ss.) i motivi orchestrali che ricordano l'assente guadagnano di importanza rispetto alla melodia del verso, espressione dell'immediato, ma che la prima è pur sempre costutiva della seconda; fermo restando inoltre che melodia compiuta non si contrappone a melodia "endlos", ma significa probabilmente melodia presupposta come compiuta nel senso che dal particolare fa nascere il generale, cioè la forma compiuta - che in tal caso è il movimento sinfonico beethoveniano -; fermo restando ancora che la melodia dialogizzata concorre a formare con la declamazione patetica e la melodia orchestrale la melodia totale, presenza simultanea di motivi diversi ma al momento dato necessari; ferme restando dunque queste definizioni, è evidente che il tutto deve essere ricondotto alla convinzione di Wagner che la melodia è la quintessenza della forma musicale (Opere complete, VII, 125). Quindi non della musica. Tanto meno, perciò, essa è la quintessenza del mondo, in quanto essenza della musica, come voleva l'ultimo Busoni.
Resta il termine "melodia assoluta". Ma in Wagner, come è noto, essa è ciò che viene costruito partendo dalla forma, una imitazione della melodia che originariamente si esprimeva in quella forma, e cioè una melodia articolata in periodi simmetrici, fondata sul principio cadenziale I-IV-V-I, con armonie che seguono un decorso logico precostituito. Musica incorniciata, generata da una melodia chiusa, autonoma sotto il profilo musicale. La melodia dell'opera antica, delle antiche forme. Qui l'accordo con Busoni c'è. Solo che per quest'ultimo è meta ciò che per Wagner è già archeologia. Ma Busoni è l'esponente della restaurazione, anche se la cerca soprattutto nell'opera.
D'altronde il Wort‑Ton‑Drama è l'opposto dell'opera busoniana: a farla diversa non contribuisce certo la precisione wagneriana del carattere cadenzato della musica assoluta.
Infine, il concetto di endlose Melodie, lo si voglia intendere in senso tecnico, o in senso metaforico, come è più probabile (nel senso dell'Infinito di Leopardi), ovvero ancora nelle varie interpretazioni di Louis, Strich, Stuckenschmidt, Geck, comunque, ripeto, lo si voglia intendere, toglie qualsiasi senso al raffronto e dà ragione della totalità della contrapposizione. Wagner la concepisce come una melodia senza principio né fine (e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni e la presente, e viva, e il suon di lei). È, in definitiva, l'espressione musicale del mito, della "poesia infinita" di Schiegel.
Detto di passaggio, l'unendliche Melodie è altra cosa: essa è la forma non ingannevole del silenzio che alto risuona, quando il musicista si pone al servizio del poeta che più alta raggiunge la vetta per ciò che non dice, per il sottaciuto, l'inesprimibile. Così, la sola volta che ne parlò, la concepì Wagner. Ma fra i 600 termini del Wagner Lexikon del 1883 di Glasenapp - Stein unendliche Melodie non c'è. E come flusso ininterrotto è un topos romantico. Come flusso ininterrotto può anche concepirsi la busoniana musica mimesi dell'immobile temporalità platonica (melodia che è sempre risuonata, risuona e risuonerà in eterno). Ma ciò, ripeto, è di nessuna importanza.
Per concludere: i due Gesamtkunstwerke sono agli antipodi. E purtuttavia, fra i rottami del Wort-Ton-Drama va trovata la scintilla del grande incendio, della distruzione del Walhalla, come tempio della forma preordinata, il seme del ritorno della musica alla scienza, del musicista che crea i suoni e non con i suoni; nella limpida unità dell'opera busoniana, e soprattutto nel Doktor Faust troviamo angoscia per l'incompiutezza dell'umano sapere e un atto di fede nell'uomo come puro volere, come Wille zur Macht per buoni propositi. Ciò, a mio avviso, con la musica, ha poco a che vedere. Forse altri la pensano come me: ne Lo sguardo lieto, sulla copertina, intendo, Busoni non guarda avanti, guarda verso il suo cane. Preferibile allora il lungo sguardo di Von der Schönheit. L'espressione di Li Tai Po recupera alla storia della musica Busoni non con le sue utopie, ma con i suoi suoni. Quindi, come sempre, ho perso del tempo.
Ma è tempo perso quello impegnato a sgomberare la strada dai luoghi comuni? Forse sì. Io guardo avanti e non ho lo sguardo lieto, ma preoccupato. È meglio così. Chi è lieto è nella beatitudine e non pensa.