Eleonora Negri

FERRUCCIO BUSONI E FELICE BOGHEN

[pp. 145-163]

LETTERA DI BUSONI A BOGHEN


L'amicizia tra Ferruccio Busoni e Felice Boghen è documentata da sedici missive autografe - fra lettere e cartoline - di Busoni conservate nel Fondo Boghen del Centro Studi Musicali Ferruccio Busoni a Empoli e da ventisei missive di Boghen conservate nel lascito Busoni della Staatsbibliothek di Berlino, oltre che da altri documenti di varia natura che si trovano prevalentemente presso le due istituzioni ricordate sopra, come dediche autografe - apposte su programmi di concerti e spartiti musicali - e ritratti fotografici che i due musicisti si scambiarono reciprocamente. Un'ulteriore decina di missive busoniane indirizzate a Boghen è stata recentemente rintracciata in possesso di un collezionista privato, che le ricevette da un allievo di Boghen, Giorgio Castelnuovo, al quale il Maestro aveva fatto questo dono in segno di riconoscenza per l'aiuto da lui ricevuto all'epoca della persecuzione razziale, della quale Boghen fu vittima.
Prima di ripercorrere la storia di questa amicizia, che interessò l'ultima parte della vita di Busoni - tanto che l'ultima delle sue lettere a Boghen risale al maggio 1924, cioè a due mesi prima della sua scomparsa - è opportuno ricordare la figura, ancora poco conosciuta, di Felice Boghen. Compositore, trascrittore di musica antica, direttore d'orchestra, pianista e didatta, Boghen fu un musicista di vasta cultura e di grande curiosità, spettatore privilegiato - se non protagonista marginale - della vita musicale italiana ed europea fra l'Otto e il Novecento per avere intrattenuto rapporti con alcuni personaggi di spicco di quel panorama. Testimonianza delle relazioni di Boghen con vari protagonisti della vita musicale a lui contemporanea è il ricco carteggio, di circa seicento esemplari, conservato al Fondo Boghen, che annovera corrispondenti del calibro di Alfredo Casella e Ottorino Respighi, Giovanni Sgambati e Giuseppe Martucci, Ermanno Wolf-Ferrari e Paul Dukas, Isidor Philipp e Maurice Emmanuel, Edward Dent e Georges de Saint-Foix, oltre a un ampio spettro di personaggi del mondo musicale e culturale italiano.
[...]


Felice Boghen nacque a Venezia il 23 gennaio 1869 da Guglielmo, orefice di origine ungherese giunto nella città lagunare dopo la repressione austriaca dei moti rivoluzionari in Ungheria, e da Ernesta Pirani, appartenente alla ricca e colta società ebraica di Ferrara. A tredici anni, dopo la separazione dei genitori, Felice si trasferì a Ferrara insieme alla madre; nell'agiato ambiente familiare dei Pirani il ragazzo, che già a Venezia aveva cominciato a suonare il pianoforte, ebbe occasione di farsi ascoltare da Giuseppe Martucci, che lo incoraggiò a dedicarsi alla musica e a iscriversi al Liceo Musicale di Bologna, dove lo accolse come allievo. Diplomatosi all'istituto bolognese in pianoforte e in composizione, Boghen si perfezionò alla scuola pianistica lisztiana di Sgambati a Roma e di Martin Krause e Bernhard Stavenhagen a Monaco di Baviera, città nella quale, nel 1902, prese anche lezioni di composizione da Ermanno Wolf-Ferrari. Contemporaneamente, nell'ultimo decennio del secolo, Boghen aveva iniziato la tipica "vita di gavetta' dei musicista italiano di fine Ottocento, sospinto attraverso tutta la penisola - e anche in Grecia, a Patrasso - da incarichi didattici, concertistici e di organizzatore musicale. In questo periodo Boghen aveva intrecciato rapporti artistici con i Serato (non soltanto con il violinista Arrigo, ma anche con suo padre Francesco, violoncellista, e la sorella Cleopatra, arpista), e con altri fra i migliori strumentisti e cantanti attivi in Italia a cavallo fra i due secoli. Il capitolo itinerante della vita di Boghen si concluse nel 1910, quando egli vinse la cattedra di armonia complementare all'Istituto Musicale "Luigi Cherubini" di Firenze. In questa città, dove stabilì definitivamente la sua residenza, Boghen insegnò anche pianoforte privatamente e svolse un'intensa attività compositiva e pubblicistica, collaborando con articoli e recensioni di argomento musicale a quotidiani come «La Nazione e «Il Nuovo Giornale» e a periodici come «L'Arte pianistica, «Musica d'oggi, «Il pianoforte», «La Nuova Musica», «Il pensiero musicale», «L'Italia musicale», «Orfeo», «La Rassegna dorica» e il «Bulletin de la Société Française de Musicologie». Il periodo più soddisfacente per Boghen dal punto di vista professionale ebbe inizio nei primi anni Venti, quando, inizialmente in buona luce presso il regime fascista, egli intensificò le sue collaborazioni e i contatti internazionali con vari esponenti del mondo musicale, principalmente a Parigi. Le cose, però, iniziarono a cambiare nel 1935, anno in cui, con il pensionamento, la sua situazione economica e personale cominciò ad aggravarsi, toccando la tragedia con la promulgazione delle leggi razziali in Italia e gli anni della Seconda Guerra Mondiale. Nonostante la sua convinta conversione al cattolicesimo risalente al dicembre 1935 - un'epoca in cui tale scelta non era ancora sospettabile di motivazioni opportunistiche - negli ultimi anni di vita Boghen fu ridotto all'impossibilità di lavorare, isolato e costretto a darsi alla macchia rifugiandosi sulle Alpi Apuane, finché, rientrato in una Firenze appena liberata, egli si spense il 22 gennaio 1945.
Il principale merito della figura di Boghen - già riconosciutogli al suo tempo e riconfermato dagli studiosi contemporanei che hanno avuto occasione di confrontarsi con le sue trascrizioni ed edizioni - consiste nella sua opera di divulgazione, particolarmente a fini didattici, della musica italiana cinque-, sei- e settecentesca. Boghen fu uno dei trascrittori di musica antica operanti in Italia in un'epoca in cui, nel nostro paese, la ricerca musicologica era ancora a uno stadio iniziale, già prima che la "generazione dell'Ottanta" propugnasse la riscoperta della tradizione strumentale italiana antica con il cosiddetto "manifesto dei Cinque" redatto nel 1911 da Giannotto Bastianelli, di cui quella riscoperta avrebbe costituito parte integrante e programmatica. Già a partire dal 1898 Boghen si adoperò per diffondere lo studio e l'ascolto di musiche di autori come Claudio Merulo e Palestrina, e dal 1913 in avanti si dedicò con regolare costanza all'edizione moderna di antiche musiche italiane. Il suo contributo in tal senso fu particolarmente significativo per la conoscenza novecentesca della musica tastieristica di Girolamo Frescobaldi, Bernardo Pasquini e Domenico Cimarosa e di lavori come lo «Stabat Mater» di Alessandro Scarlatti, a tutt'oggi acquistabile in edizione moderna nella trascrizione realizzata da Boghen per Ricordi nel 1928. Inoltre, a parte il fatto che Boghen non si sottrasse alla tendenza, tipica dell'epoca, ad adattare la sonorità della musica antica al gusto sinfonico ottocentesco con l'ispessimento della tessitura strumentale - sostituendo il pianoforte al clavicembalo o all'organo previsti dagli autori, o raddoppiando in ottava il basso - tuttavia, rispetto agli interventi arbitrari sul testo propri di tante rivisitazioni di musica antica nel primo Novecento, il sostanziale rispetto di Boghen per l'intrinseco valore estetico delle composizioni da trascrivere lo tenne lontano dalla pretesa di riscriverle - se non di "ricrearle" alla maniera busoniana - e di "migliorarle" nell'adattamento al gusto musicale del suo tempo. Da questo punto di vista il suo operato appare sostanzialmente valido e convincente anche alla luce dell'odierna prospettiva musicologica, come ha evidenziato Valentina Pagni nell'approfondita valutazione dell'attività didattica e musicologica di Boghen data nella sua dissertazione di laurea [Università di Firenze, 1996-97]. L'orizzonte che Boghen ha sempre in mente nel preparare una trascrizione di musica antica è il suo utilizzo a fini didattici, sia sul piano della prassi musicale che su quelli della formazione dei gusto e della conoscenza storica della tradizione musicale italiana. In tal senso, assume un particolare significato un apprezzamento di Busoni sull'efficacia divulgativa delle trascrizioni e revisioni di Boghen, in riferimento a una raccolta di antiche Fughe italiane pubblicate da Boghen per i tipi di Ricordi nel 1918. Tale apprezzamento era stato espresso da Busoni in un messaggio autografo che è conservato al Fondo Boghen, datato "Roma, marzo 1916", all'epoca dei concerti busoniani all'Augusteo:

Nella storia, i varii tentativi di tornare all'antico hanno sempre avuto per risultato la creazione d'uno stile nuovo, per quanto voluto. In tali avvenimenti, categorizzati col nome di Contro-Riformazioni, si compie di fatto una Riforma. Nel caso del presente fascicolo, si tratta piuttosto di trarre alla luce delle cose belle e quasi dimenticate, di studiarle e goderle, per poi trasmetterle ad un pubblico, che ne ha perduto il contatto. Anche in questo senso l'intenzione, qui eseguita con gusto e coscienza, è da considerarsi pregevolissima.

[pp. 147-151, senza note a piè di pagina]


11. FERRUCCIO BUSONI A FELICE BOGHEN*


Pallanza, S. Remigio, 5 Giugno 1916
presso il Marchese di Casanova

Carissimo Mº,

la Sonatina che Le aveva spedito mi fù [sic] rimessa di ritorno dalla Censura dopo molte settimane.
Dalla data della dedica Ella dedurrà del tempo trascorso - dico così, sperando che il fascicoletto sia finalmente nelle Sue mani. Anche la mia venuta in Italia, essa pure, fù [sic] rimandata più lungamente di quanto mi aveva proposto. Per questa ragione non mi riescì trovarmi al convegno pedagogico-editoriale a Milano. Cosa ne risultò? Quali deliberazioni si presero? A me nulla giunse di comunicato, né di stampato su questo soggetto.
Attraverso le riflessioni d'un musicografo inglese (!) imparai a conoscere il significato ed alcuni frammenti delle opere teatrali di Alessandro Scarlatti, che mi colpirono per la perfetta maestria che in esse si palesa. Come si spiega, che gli editori italiani non si son curati della pubblicazione di simili capolavori? Lessi vari articoli sull'Jomelli [sic], un anno e mezzo fà, a proposito del suo bicentenario. Ed anche lì subii l'impressione d'una possente personalità.
Come si fà a educare la gioventù italiana ad uno stile musicale nazionale, se i lavori importanti della nostra storia rimangon loro inaccessibili? - Che glie ne pare? Ed è tempo di pensarci. Già troppo a lungo nutrimmo gli allievi con altra stoffa - ed anche al dì presente, essi spensieratamente si gettano sulle produzioni modernissime, senza saper, fra queste, discernere tra le buone e le pessime. Basta pensare al cosacco danzante dalle scintillanti partiture [Stravinskij]

[lettera non firmata]


*Centro Studi Musicali Ferruccio Busoni, Fondo Boghen, Carteggi, Busoni. 2. Lettera scritta sulle quattro facciate di un foglio ripiegato, che (prima dell'acquisizione da parte del Centro Busoni) è stato forato per l'archiviazione in un raccoglitore ad anelli.
[pp.289-290]