I due incontri di Busoni con D'Annunzio
nelle lettere del musicista alla moglie Gerda

Dopo aver concluso la Sonatina Seconda e altre opere minori, nell’agosto del 1912 Busoni lascia Berlino per recarsi a Parigi dove incontra per la prima volta Gabriele D’Annunzio. Alla moglie scrive l' 11 agosto:

[…] Passai tutta la serata, interessante e solitaria, a Montmartre, fino a mezzanotte. - La sera precedente era trascorsa in modo diverso, e ti racconterò tutto per filo e per segno. Procediamo con ordine. Ancora prima, venerdì sera, avevo incontrato Vollmoeller sul Boulevard. Mi indirizzò la parola in italiano e mi disse che a Parigi constata continuamente la superiorità degli italiani sui francesi... Aveva avuto quello stesso giorno una lunga conversazione con D'Annunzio. Ci mettemmo d'accordo per il giorno seguente. 1º colazione insieme, 2º discussione approfondita del libretto. 3º incontro con D'Annunzio.
La colazione non ebbe luogo per un malinteso. La discussione si svolse all'ora del tè e diede le migliori prospettive per la mia opera futura. (Con una cosa simile in tasca, mi risento un uomo nuovo. Gli infiniti particolari che sono da soppesare; il continuo modellare e rimodellare: davvero fanno ringiovanire!) La sera andammo all'Hotel Meurice, rue de Rivoli 5 un albergo sontuoso.
D'Annunzio ci ricevette con cordialità mondana, in frack e scarpini da ballo, e in compagnia di due signore e di due signori de la haute société. C'era tra questi una bellissima italiana di una gentilezza innata, il cui nome dava una ebrietà quasi sensuale a Gabriele. Si chiama donna Beatrice di Toledo, marchesa di Casafuerte, e certo il suo nome suona come un intero lavoro teatrale di Calderon. I quattro si ritirarono subito, dopo l'usuale: “J'ai vous ai applaudi” e “quand vous reviendrez à Paris...” e restammo in tre con l'Olimpico. D'Annunzio è simpatico, pensa con rapidità e vivacità, narratore affascinante - un po' “profumato”, ricercato e, allo stesso tempo, ogni tanto timido e imbarazzato.
Ci raccontò del suo ultimissimo lavoro, che è scritto “sul corpo” (alla lettera) di M.lle Rubinstein [bio] e che, per la molta parte mimica e danzata, ha bisogno di tanta musica, quanto una pantomima. E raccontando ciò, sviluppò una tale pompa di immagini e di colori, che si restò incantati, anche se alla fine dovemmo confessarci che aveva fatto passare davanti ai nostri occhi soltanto una sfilza di quadri, di costumi e di cerimonie.
Fece capire che avrebbe gradito che io gli scrivessi la musica... Ma Vollmoeller mi disse in seguito che sarebbe una fatica senza risultato. Non crede a D'Annunzio come drammaturgo. (Egli [D'Annunzio] dipende molto dall'idea del successo, da ciò il suo smisurato rispetto per Wagner e... persino per Puccini!). D'Annunzio e io ci separammo molto cordialmente e con più di un progetto in germe, e sono stato molto contento di questo incontro. [lettera integrale]

Il secondo incontro con il poeta ebbe luogo l'anno seguente, dopo la metà di giugno, sempre a Parigi. Qualche mese prima, il 26 febbraio, da Cassel, aveva scritto alla moglie:

Mi deciderò a scrivere a D'Annunzio e credo quasi che il motivo-Leonardo mi sia più simpatico di quello dantesco. Hai avuto ancora una volta una sensazione giusta. Moi, je raisonne trop. Credo che questo periodo di pausa finirà col maturarmi e porterà chiarezza nei miei problemi. Diamogli questa interpretazione...

E il 26 maggio, da Mannheim:

Voglio fare ancora un tentativo con D'Annunzio, altrimenti bisogna che mi arrangi in qualche altro modo.

Ecco il racconto degli incontri parigini con D'Annunzio:

Ho trovato D'Annunzio a casa, rue Bassano 11, in una veste da camera giapponese da donna, pallidissimo, con un'espressione approfondita e invecchiato. Sembrava Mefistofele quando riceve lo scolaro.
“Sto appunto scrivendo un libro: 'L'homme qui a volé la Gioconda', perchè la Gioconda è in casa mia e la restituirò al Louvre non appena il libro sarà pubblicato.” Quel che mi ha raccontato in seguito è tutta una bugia cosciente, oppure ci crede egli stesso, o ancora - e questo entrerebbe nel regno dell'inspiegabile - potrebbe infine esser vero; ad ogni modo è tanto singolare che merita di venir fissato per iscritto.
“L'uomo che ha rubato la Gioconda proviene da una famiglia di pitttori mistici che risale a 600 anni fa. Egli me la portò (è stato stabilito infatti dalla polizia che ha preso il treno Parigi-Bordeaux) ad Arcachon.
Sulla figura della Gioconda si erano accumulati tanti secoli di adorazione e di amore, che il sentimento di tante migliaia di uomini aveva, in fine, fatto partecipe il quadro della sua propria vita. Però era necessario uccidere un uomo perchè la Gioconda si appropriasse direttamente di un certo elemento del sangue proveniente dal cuore; l'azione mistica riuscì e io ho vissuto quattro giorni con la Gioconda. Il mio potere non durò più a lungo ed essa si dissolse. Sul quadro è rimasto solo il paesaggio e nel paesaggio solo il suo sorriso; nel paesaggio è rimasto impresso il gesto del suo sorriso (ha ripetuto questa frase con molto compiacimento) ma la figura è scomparsa. Al Louvre il quadro verrà restituito in questo stato.”
Poe ha una novella simile, ma vi avvene il processo opposto. Là, un artista dipinge tanto a lungo un ritratto di donna, finchè non è raggiunta la massima vitalità e realtà dell'espressione; in quel medesimo istante il modello muore, la vita è passata nel quadro. - Dapprincipio la presenza di Leonardo sulla scena non gli pareva possibile. “Ho timore di farlo parlare, come non metterei le mie parole in bocca a Cristo o a Napoleone.”
Poi: la mancanza di passionalità e di sentimento di Leonardo gli sembrava contraria al teatro.
“Un cervello portato da uno scheletro, come la fiaccola dal candelabro.”
Quando però pronunciai, a guisa di formula, il concetto di 'Faust italiano' cominciò a vedere delle possibilità. ”Non un Leonardo storico, ma un Leonardo simbolico.” “Vi si dovrebbe aggiungere l'elemento mistico. ” “Una sequela di quadri senza collegamento drammatico”. Era arrivato dove lo volevo.
Parlò poi di lavoro in comune ad Arcachon, dove il paesaggio non ha una forma decisa. ”Le nubi sono le onde, e le onde la foresta, ed essa è inafferrabile.”
È stato estremamente interessante, ma a volte mi scappava un sorriso.- Ci rivediamo domani. - […] Questa sera vado a vedere 'La Pisanella' [di D'Annunzio, musiche di scena di Ilderando Pizzetti; cfr. testimonianza di Casella]... (23 giugno) [lettera integrale]

Lo stesso giorno, in un'altra lettera:

Il mondo è pieno di sorprese. Pugno sta mettendo in musica, insieme a una parigina ventiduenne [Nadia Boulanger? Ma all'epoca aveva 26 anni] “La città morta“ di D'Annunzio. E il più bello si è che D'Annunzio ci crede. È vero che dice da sé con molta arguzia: ”Pugno s'è fatto fecondare da una vergine”, ma fra il tratto di spirito e il fatto reale c'è da restar perplessi. - […]
Ora vado allo Chatelet, alla “Pisanella, ou la mort parfumée”. Vedrò M.lle Rubinstein, della quale c'è chi afferma che non sa recitare ma ballare; altri che non sa ballare ma che ha un bel corpo; altri ancora che il suo corpo non è femminile e quindi non è bello. - È proprio come San Sebastiano, trapassata da tutte le frecce...

Il giorno seguente, puntuale, riferisce le sue impressioni a Gerda:

Ieri sera, Théatre du Chatelet. Sala piena, soprattutto signore... Sipari con grandi disegni à la Reinhardt. Dietro il sipario, un altro sipario ancora. Segnale di tam-tam. - La prima scena mostra una sala del Cremlino. Come è capitata a Cipro? - Gospodin Bakst (del Balletto russo) l'ha dipinta. Anche la signorina Rubinstein è russa. La metà del pubblico - me ne accorgo ora - è composto di donne russe. Una bellezza sfiorita che viene a sedere vicino a me mi rivolge la parola chiamandomi Mr. Scialiapin! Le dico che mi rincresce. - “Mais quelle ressemblence! Je le connais personnellement!!” Si può dedurne come vede la gente.
Il primo atto è noioso e non ha presa. Una mendicante invisibile canta dietro le scene e parla anche dietro le scene. Si sente che quella che canta e quella cha parla sono due persone diverse.
La scena del secondo atto raffigura un porto. È tutto rosso, muri rossi, molo rosso, navi rosse: frammezzo un po' d'acqua azzurra. La schiava Rubinstein è messa all'asta; poi viene il giovane re che le dà il suo cavallo bianco e il suo mantello bianco e la signorina Rubinstein esce a cavallo in trionfo. Non ha danzato e non ha parlato, è solo stata ritta sulla scena strettamente fasciata in una stoffa a disegni quadrangolari.
Terzo atto: scena incomprensibile. Entrano parecchie suore, e allora si capisce che siamo in un convento -- chiostro del convento? -
Sono così stanco e così irritato che esco sotto la pioggia. Non c'è più anima viva per la strada, sebbene siano appena le dieci e mezzo. La rue de Rivoli con la sua lunga fila di lampioni (uno per ogni arcata) ha quasi un aspetto crudele. -
So che la 'Pisanella' viene soffocata tra le rose, nell'ultimo atto. Da ciò il nome: la mort parfumée. In D'Annunzio i colori hanno molta importanza. Arabe brune con rose rosse; cavallo bianco, mantello bianco. Rirerva anche molto posto a oggetti di fattura artigiana. -
La lingua francese è spaventosa sulla scena. La declamazione di parole come: blasphème innocente, con il lungo nitrito sulla sillaba accentata e i'esagerato e-muet, dà l'impressione, a lungo andare, di ascoltare gente che canta male.
Tutto l'insieme mi ha fatto l'effetto di qualche cosa di antiquato, declamatorio, patetico, variopinto, con gesti agitati, lunghe tirate e incomprensibili colpi di spada, morti e grida di ribellione; - senza humour, bilioso; un dramma alla Wildenbruch estetizzante e affettato.
Forse questa volta mi sono trovato di fronte a una cosa grande senza capirla. È possibile. Ho avuto anche, negli ultimi giorni, una sequela troppo fitta di emozioni artistiche [tra cui la mostra delle saculture boccioniane, cfr. lettere integrali] e, in parte ne sono confuso, in parte reso insensibile. -...

Il 26 giugno di nuovo si rivolge per lettera alla moglie:

Se potessi affermare, come D'Annunzio, col più soddisfatto dei sorrisi, che non sono felice, anzi che sono molto infelice (e dicendolo aveva un aspetto beato!) “perchè, come potrei creare, se non fossi infelice!”; se potessi dire lo stesso di me, con tanta intima soddisfazione, starei meglio di quanto non sto qui a Parigi. Questa città ha un effetto così contrastante, come certe donne che sono antipatiche eppure affascinano; oppure che sono molto simpatiche e intelligenti, ma lasciano freddi. Inoltre Parigi ha qualche cosa dell'uno e dell'altro genere. (Purtroppo il tempo è grigio e freddino).
Com'è antiquata Parigi, e troppo matura, come assomma tutti gli interessi, mantenendo una così manifesta indifferenza! - Forse il posto di D'Annunzio è proprio qui, come quello di Oscar Wilde e di Meyerbeer.
Sugli scaffali di D'Annunzio ci sono dei libri, vecchi e nuovi --- per esempio, sull'isola di Cipro. In ogni volume vi sono due o tre striscie di carta come segnalibri. Con tutta probabilità egli sfrutta i passi segnati, quando gli fanno bisogno - per il suo proprio libro; non sa le cose, va a prendersi le informazioni occasionalmente (e difatti è un artista, non un dotto!) e ha una pronta intuizione di quello che è adatto o significativo. - La notte dispone, nelle città, i valori e l'importanza delle strade con la illuminazione, le divide in strade brillanti e strade oscure, indica le direzioni principali con luce più forte; mentre di giorno tutto è chiaro allo stesso modo - di notte si trova la strada con maggior sicurezza, si evita tutto quel che è buio o si ritrova la strada buona seguendo il chiarore: tutto ciò l'ho capito appena qui, qualche sera fa. - È strano come si arriva tardi a conclusioni così semplici!...

Il giorno dopo:

Ieri D'Annunzio mi ha invitato a una cena a tarda ora; aveva con sé una russa grande, grande (un portento di dilettantismo!) che si è però comportata molto bene... Egli disse che sarebbe morto entro due anni (con la stessa espressione con cui mi aveva raccontato dei suoi quattro giorni passati con la Gioconda), al che la grande russa sgranò gli occhi, terrorizzati e imploranti, e io non potei fare a meno di ridere abbastanza apertamente. Quando si accorge che non ci si lascia ingannare, sorride egli stesso e dice: ”sì, ma è così”. Rinuncia al suo gioco con il sorriso, ma lo sostiene per decoro con le parole: “che lo crediate o no, è così”. - Il male è che vuol sentire qualche cosa delle mie composizioni, per potersi regolare (così dice lui), ma in realtà per sottoporle a un esame (così sento io); - è una cosa senza senso e umiliante e non so come uscire da questa situazione. È possibile che io parta improvvisamente e lasci perdere tutto. - (Non occorre che spieghi a te?)
Descrive R. come una persona comune e poco intelligente, di routine commerciale, pure, in certo modo, vuol far dipendere la cosa da costui. R. arriva qui lunedì e credo che non sopporterò un incontro. Sono di nuovo molto poco saggio lo so, e ci rifletterò ancora, ma sono stufo di inghiottire veleno col pretesto di essere invitato a bere un bicchier di vino.
Eppure, dai discorsi di D'Annunzio mi nasce la convinzione che - non appena si mettesse a scrivere - la cosa potrebbe riuscire di mia piena soddisfazione; solo la mistificazione e il lato pratico mi disturbano in lui. Eppure dice giustamente: “perchè dobbiamo torturarci per tre o quattro anni per non poter poi far nulla dell'opera compiuta?“.
Le cose sono a questo punto e entro questa sera prenderò le mie decisioni...

Il 'progetto Leonardo' non fu mai condotto in porto, soprattutto per l’enorme diversità di temperamento e di culture dei due artisti.