EDITH STEIN Nuovi
studi sulla resistenza al nazismo e sulla difesa degli ebrei della pensatrice
morta nel lager: il caso della lettera a Pio XI del 1933
Una filosofa contro il Reich
Di Marco Roncalli
«Voglia far conoscere in modo adeguato alla mittente che la sua lettera è
stata sottoposta doverosamente a Sua Santità». Chi firma questo testo - il
20 aprile 1933 - è il cardinale Eugenio Pacelli che lo indirizza a Raphael
Walzer dell'abbazia di Beuron. Era stato quest'ultimo, direttore spirituale
della mittente ad averne trasmesso al papa - otto giorni prima - una lettera
sigillata dai toni accorati. Vi era scritto tra l'altro : «Noi tutti, che
guardiamo all'attuale situazione tedesca come figli fedeli della Chiesa,
temiamo il peggio per l'immagine mondiale della Chiesa stessa, se il silenzio
si prolunga ulteriormente». E ancora: «L'idolatria della razza e del potere
dello Stato, con la quale la radio martella quotidianamente le masse, non
è un'aperta eresia? Questa guerra di sterminio contro il sangue ebraico
non è un oltraggio alla santissima umanità del nostro Salvatore, della beatissima
Vergine e degli Apostoli?». In calce la firma: «Dott.ssa Edith Stein». Sì,
è la famosa lettera della Stein a Pio XI, che dunque l'aveva considerata
(pur non rispondendo personalmente) e che forse avrebbe ricordato (ma non
è storicamente documentabile) al momento dell'enciclica Mit brennender Sorge,
nel '37. Proprio la missiva rivelata al grande pubblico due anni fa, all'apertura
degli archivi vaticani relativi ai rapporti fra la Santa Sede e la Germania
tra le due guerre. Un appello lucido, fondato non solo su ragioni morali,
ma soprattutto etico-religiose, redatto dall'autrice dopo aver scartato l'idea
di un viaggio a Roma (forse per l'impossibilità di un'udienza con il pontefice).
Un messaggio che - tre mesi dopo l'avvento al potere di Hitler e l'avvio
dei pestaggi e dei boicottaggi antisemiti, non parlava di violazione di diritti
umani, ma svelava il tentativo - più grave, poi realizzato - di eliminare
la fonte che li aveva storicamente determinati: quelle radici ebraiche e
cristiane, quelle dimensioni religiose originarie, linfa di un tessuto sociale
e b anco di prova per lo Stato. La lettera della Stein si rivela ancora
una volta punto di partenza per approfondire in prospettiva storica e filosofica
il pensiero di quest'anima approdata dall'ebraismo al cattolicesimo a proposito
del totalitarismo nazista È quanto scopriamo nella raccolta di saggi Edith Stein e il nazismo,
con contributi di Angela Ales Bello, Philippe Chenaux , Vicent Aucante e
Hugo Ott (Città nuova, pagine 118, euro 9). Se la lettera è in qualche modo
una premessa per questi saggi, la loro articolazione formula interrogativi
interessanti. È possibile parlare per la Stein di resistenza nei confronti
del regime o la missiva a Pio XI è un gesto isolato, preludio di un disimpegno
verso la vita pubblica con l'ingresso nel Carmelo del 1933? In che modo la
Stein ha "pensato" i fondamenti del nazismo? C'è una sua precisa analisi
sulla natura di questo "male politico" capace di dare fondamenti razionali
ad una "resistenza cristiana"? Perché innanzi ad una Chiesa fiduciosa in
una logica concordataria apparentemente garantista dei suoi diritti (i limiti
del Concordato si paleseranno solo nel '34 col carattere "eretico" dell'ideologia
del III Reich), e perché nel momento in cui Martin Heidegger si accinge a
divenire filosofo del nazionalsocialismo assumendo il rettorato dell'università
di Friburgo (ed Edmund Husserl già emerito viene congedato), la Stein intuisce
già quella comunanza di destino spirituale tra il popolo dell'Antico e del
Nuovo Testamento sancita solo col Vaticano II ? Secondo Chenaux (che in
questo libro offre anche novità sulla soppressione dell'Opera sacerdotale
degli "Amici di Israele" nel '28 e la genesi di un "Syllabus
contro il razzismo" nel '38), se non si può parlare propriamente di impegno
contro il nazismo da parte della Stein, dopo il 1933 la sua riflessione «la
pone agli antipodi degli ideologi del Terzo Reich e fornisce le basi concettuali
implicite a un atteggiamento di resistenza spirituale al totalitaris mo nazista».
Ed è quanto emerge dal lavoro di Ott sulla Stein filosofa e pubblicista cattolica
nell'ambiente della rivoluzione nazionalsocialista, dall'analisi di Angela
Ales Bello su lavori giovanili della Stein (come Una ricerca sullo stato del 1922 e Psicologia e scienze dello spirito del
1925) elaboranti una dottrina per definire "in contrasto" uno stato totalitario.
Ma anche dal contributo «Lo statuto paradossale della filiazione in Edith
Stein» di Aucante sul concetto di popolo eletto, quello ambiguo di razza,
di nazione, in una singolare figura che mai rinnegò né le origini ebraiche,
né l'anima tedesca, connotando ogni comunità secondo criteri di appartenenza
spirituale oltre il sangue, la famiglia, il clan, la stirpe bersaglio di
interpretazioni darwiniane o naziste. Del resto val la pena ricordare che
la Stein superò le opposizioni fittizie introdotte dal nazismo tra il popolo
ebreo e il popolo tedesco proponendo un cammino esemplare. Ce lo ricordano
le sue parole del 1942: «Chi espia il male inferto al popolo ebreo in nome
della nazione tedesca? Chi muterà questa colpa orribile in una benedizione
per entrambi le stirpi? Solo chi non permetterà a queste piaghe aperte all'odio
di generare altro odio; chi, pur rimanendo vittima di tanto astio, prenderà
su di sé il dolore tanto di chi odia che di chi è odiato».
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