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| apertura seconda
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L'autorità giocosa dei ribelli
Un'anticipazione da «Oltre l'uomo a una dimensione» di Herbert Marcuse, il primo di cinque volumi sugli scritti, i saggi
e le interviste del filosofo tedesco conservati nell'«archivio Marcuse» e ancora inediti in Italia. Il maggio francese,
la necessaria simbiosi tra estetica e rivolta politica, il carteggio
con Adorno e con i leader del movimento studentesco
HERBERT MARCUSE
Di fronte all'attuale assurdità, quali sono oggi le possibilità
della filosofia, almeno di quella filosofia che si interessa della condizione
umana? Penso si possano distinguere tre alternative. La prima, semplicemente
cancellando questo interesse, ovvero con la trasformazione della filosofia
in una tecnica professionale. In secondo luogo, un empirismo e un comportamentismo
conformisti; la reclusione della filosofia nell'universo pietrificato del
discorso mutilato e dell'azione manipolata. E terzo, la radicale trasformazione
della filosofia che, come vedremo, conduce all'autotrascendimento della filosofia.
(...) Io penso che gli sforzi per un mutamento sociale radicale si confrontino
oggi con un intero universo di possibilità, idee, valori che sono stati devitalizzati,
ipersubliminati, romanzati all'interno della cultura tradizionale e che ora
sembrano riempirsi di realismo e di contenuto politico. Così, l'immaginazione
si manifesta come facoltà razionale, come un catalizzatore del mutamento
radicale. Le possibilità reali di liberazione, le possibilità reali di creare
una società libera e razionale sono così immense, così estreme, così «impossibili»
in termini di status quo. Esse devono trovare un modo proprio di esprimersi,
devono trovare la loro strategia, il loro linguaggio, il loro stile, per
non essere risucchiate nella corruzione dell'universo politico attuale e
non essere sconfitte prima ancora di essere concepite. Credo che i ribelli
di oggi abbiano preso coscienza di questa necessità, di questo bisogno di
rompere con un passato che è ancora presente.
L'urlo della rivolta
L'apertura della società a una nuova
dimensione, questa prospettiva di rottura con la sequenza di dominio e sfruttamento,
ha il suo concreto fondamento, la sua base visibile nelle gravi tensioni
economiche del sistema globale del capitalismo delle corporations:
inflazione, crisi monetaria internazionale, accresciuta competizione tra
le potenze imperialiste, aumento dello spreco e della distruzione per assorbire
il surplus economico, l'opposizione militante nelle metropoli e i movimenti
di liberazione nel Terzo Mondo. (....)
C'è un evento simbolico che,
sebbene in se stesso transitorio e ben presto contenuto dalle strutture del
potere, illumina il momento storico di svolta; mi riferisco in particolare
agli eventi francesi di maggio-giugno. Su di essi è stato scritto tanto,
sono state fatte classificazioni, sono stati maltrattati da sociologi e da
psicologi, eppure nessuna analisi e nessuna valutazione sulle prospettive
attuali della liberazione sono adeguate senza questo punto di partenza. Proverò
a riassumere brevemente le implicazioni di questi eventi. Essi hanno dimostrato
che il movimento per un mutamento radicale può avere origine al di fuori
delle classi lavoratrici e che questa forza esterna a sua volta può attivare,
come catalizzatore, una forza ribelle repressa tra le classi lavoratrici.
Inoltre, e questo è forse l'aspetto più importante di questi eventi, sono
emersi obiettivi, strategie e valori che hanno oltrepassato l'ottocentesca
struttura concettuale e politica dell'opposizione e della politica in generale.
Queste nuove strategie e questi nuovi obiettivi indicano l'emergere di una
nuova coscienza, una coscienza anticipatrice, progettuale, aperta e pronta
a prospettive di libertà radicalmente nuove e originali.
La posta in gioco è quindi una transvalutazione dei valori, una nuova razionalità
che si contrappone non solo alla razionalità capitalistica in tutte le sue
forme, ma anche a quella socialista stalinista e post-stalinista. E questa
nuova coscienza esprime (e forma) una nuova sensitività e sensibilità, una
nuova esperienza della realtà costituita - e repressa - che ancora la ricerca,
l'urlo di liberazione nei bisogni vitali dell'uomo: nella sua «schiavitù».
L'homme revolté:
oggi è colui o colei i cui sensi non possono più vedere e sentire e gustare
ciò che gli viene offerto, in cui gli istinti più profondi si mobilitano
contro l'oppressione, la crudeltà, la bruttezza, l'ipocrisia e lo sfruttamento.
E anche chi si ribella per queste ragioni contro la tradizione culturale
occidentale alta - contro le sue caratteristiche affermative, conciliative,
«illusorie».
Questa ribellione mira ad una desublimazione della cultura - alla revoca, l'Aufhebung
del suo potere idealizzante e repressivo. E' la protesta contro una cultura
che ha sempre considerato la libertà e l'uguaglianza come valori «interiori»:
libertà di coscienza e astratta uguaglianza - davanti a dio, davanti alla
legge, e perciò coesistente più o meno pacificamente con l'attuale schiavitù
e disuguaglianza. La protesta è contro la romanticizzazione e l'interiorizzazione
dell'amore, contro l'abbellimento illusorio e la mitigazione dell'orrore
della realtà. (....)
La Ragione dell'establishment
I ribelli sono consapevoli del
fatto che questo obiettivo trascende tutta la ragionevolezza e la razionalità
dell'establishment. Oltre la legge della Ragione (questa Ragione) c'è quella
dell'immaginazione. Uno degli slogan apparsi sui muri della Sorbona nel maggio
dello scorso anno recita: «tutto il potere all'immaginazione». E' stato detto
(e io condivido questa affermazione) che il quarto volume del Capitale di Marx sia stato scritto sui muri della Sorbona; potremmo aggiungere che anche la quarta Critica di Kant è stata scritta sugli stessi muri, ovvero la critica dell'immaginazione produttiva.
L'idea di ragione, la razionalità che permea l'universo costituito del discorso
e del comportamento, non può più servire come guida, non è più adatta a definire
gli obiettivi e le possibilità della ricerca umana, della moralità umana,
della scienza umana, dell'organizzazione sociale, dell'azione politica. I
concetti tradizionali si sono sviluppati e sono stati definiti in un universo
di dominio e di scarsità e, dove hanno superato questi limiti storici, come
nella filosofia dell'illuminismo radicale, sono rimasti per lo più astratti
o separati dalla pratica storica. Una domanda sorge però spontanea: non c'è
nulla oltre la razionalità costituita, nient'altro che la mera fantasia,
l'invenzione, la speculazione utopica?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo ricorrere alla vecchia distinzione
filosofica tra immaginazione e fantasia. L'immaginazione (produttiva) è,
secondo Kant, la più importante facoltà cognitiva della mente; è il terreno
di incontro tra sensibilità e intelletto, percezione e concetto, corpo e
mente. Come facoltà cognitiva, l'immaginazione si pone a guida del progetto
scientifico e della sperimentazione delle possibilità e capacità della materia;
è giocosa, libera e, tuttavia, limitata dalla sua materia, e radicata nel
continuum
storico. Come facoltà cognitiva, l'immaginazione crea le opere artistiche,
letterarie, musicali; e con esse crea una realtà propria, ma reale:
ovvero più reale della realtà data. Parole, immagini, suoni, gesti che negano
la pretesa della realtà data di rappresentare ogni realtà e la realtà generale.
Negano questa pretesa nel nome delle possibilità represse delle relazioni
umane, dell'uomo e della natura, della libertà.
Dovrebbe adesso essere
più chiaro il significato politico dello slogan «tutto il potere all'immaginazione».
Lo slogan esprime la coscienza militante delle possibilità represse e della
loro capacità di rendere obsolete non solo le tradizionali teorie e strategie
di mutamento, ma anche i suoi obiettivi tradizionali. Il passaggio dalla
razionalità della scarsità e del dominio al regno della libertà richiede
il superamento concreto di questa razionalità, esige nuovi modi di vedere,
ascoltare, percepire, toccare le cose, un nuovo modo di provare a soddisfare
le esigenze di uomini e donne che possono e devono lottare per una società
libera. La situazione storica, quindi, trasforma l'immaginazione in un potere
meta-politico e coniuga i giocosi, creativi, sensuali bisogni estetici con
le severe esigente politiche. (...)
Linguaggi sovversivi
Il movimento di protesta è, quindi, costretto
a sviluppare un proprio linguaggio, che deve essere necessariamente differente
da quello del sistema e tuttavia deve restare comprensibile - fatto che contribuisce
alla divisione del movimento in piccoli gruppi e gruppetti. La ribellione
linguistica lotta contro la repressione linguistica praticata dall'establishment:
riconosce fino a che punto, in ogni periodo storico, un linguaggio esprima
la forma data della realtà e quindi blocchi l'immaginazione e la ragione
dell'uomo, riconducendolo all'universo dato del discorso e del comportamento.
E' il riconoscimento del linguaggio come una delle armi più potenti nell'arsenale
dell'establishment.
Oggi è un linguaggio di una brutalità e contemporaneamente di una delicatezza
senza precedenti, un linguaggio orwelliano che, possedendo praticamente il
monopolio dei significati della comunicazione, soffoca le coscienze, oscura
e diffama le possibilità alternative dell'esistenza, fissa i bisogni dello
status quo nella mente e nel corpo degli uomini e li rende del tutto insensibili di fronte alla necessità di cambiamento.
Tuttavia, questa immunizzazione ha i suoi limiti, insiti nello sviluppo della
nostra società, in particolare nella dinamica della «seconda rivoluzione
industriale». Al contrario della prima, questa è stata messa in moto direttamente
dalla scienza e si caratterizza per un quasi immediata applicazione della
scienza alla produzione e alla distribuzione. Non solo l'applicazione delle
scienze naturali alla matematica, ma anche delle scienze sociali alla pubblicità
e alla politica, della psicologia alle terribili scienze delle relazioni
umane e anche alla letteratura e alla musica come stimolato al tempo stesso
gradito e lieve, perché se fosse eccessivo nuocerebbe al business.
In un'unica realtà si ha così la strana simbiosi del pensiero umanistico
scientifico con la società repressiva, la simbiosi della creatività e della
produttività in cui la cultura intellettuale serve la cultura materiale,
in cui la creatività serve la produttività, in cui l'immaginazione serve
il mondo degli affari.
L'irrazionale in società
Il carattere quasi compiuto di questa
simbiosi, in cui pensiero scientifico e umanistico diventano macchine per
il controllo sociale, vive oggi gli effetti della sua stessa dinamica: quanto
più la scienza consegue risultati nel controllo della natura e nello sfruttamento
delle sue risorse, tanto più è alto il pericolo che gli esperimenti psicologici
e biologici di formazione del comportamento umano e dei processi vitali possano
sfuggire dal controllo; più selvaggia è la capacità dell'immaginazione di
concepire modi e significati per alleviare l'esistenza umana, più evidente
appare il contrasto tra queste conquiste scientifiche e il loro uso. E più
grande è il potenziale esplosivo nelle società costituite. Di conseguenza,
la prima forma in cui questo potenziale esplosivo si presenta alle coscienze
è l'irrazionalità che penetra la società costituita, la mobilitazione politica
delle minoranze ai margini della società e forse anche la perdita di coesione
del lavoro organizzato, di cui tuttavia restano ancora da vedere modi e direzioni.
Questa situazione ci porta ad affrontare il problema della responsabilità
dell'intellettuale. Le due facce della simbiosi tra scienza e società, tra
immaginazione e dominio che si dà oggi impongono all'intellettuale una scelta.
Questa scelta può essere formulata nel modo seguente: la ragione, l'immaginazione,
la sensibilità dell'uomo saranno al servizio di una servitù sempre più efficiente
e prospera o piuttosto serviranno a interrompere questo legame, liberando
le capacità dell'uomo, la sua immaginazione e la sua sensibilità da questa
servitù così redditizia? Credo che gli studenti militanti abbiano fatto questa
scelta e ne abbiamo pagate care le conseguenze. Oggi le possibilità concrete
per la libertà dell'uomo sono così reali e i crimini della società che ostacola
la sua realizzazione sono così palesi che il filosofo, l'educatore non può
più evitare di prendervi parte, il che significa allearsi, essere solidale
con quelli che non sopportano più e non hanno più voglia di vedere la loro
esistenza determinata e definita dalle esigenze dello status quo.
Determinata e definita da quei poteri che hanno fatto del mondo la confusione,
la sventura e l'ipocrisia attuali. (....) Se il filosofo, l'educatore, prende
ancora seriamente il suo lavoro di rischiaramento, si ritroverà, volente
o nolente, con quelli che danno significato e realtà alle parole e alle idee
pensate lungo tutta la sua vita di educatore, e non solo significato accademico,
ma un significato per cui lottare e per cui vivere.
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