Paolo Petazzi Dalla Germania | |
Mauricio
Kagel Alcune riflessioni su Aus Deutschland |
Mauricio Kagel (nato nel 1931 a Buenos Aires, da tempo residente e attivo in Germania) è una presenza a sé nel panorama della musica nuova: fin dagli esordi la sua indipendenza rifiutava formule, schemi, sistemi rigidi, già negli anni Cinquanta, quando non era un luogo comune dichiararsi estranei ad ogni forma di sistematico purismo. E ciò non comporta cadute nell'eclettismo. Con pieno diritto Kagel poteva affermare, in una intervista del 1969: "L'eclettismo è odioso, perché è il culto dell'efficienza; ma la vera mancanza di ortodossia è una esperienza meravigliosa". La sua mancanza di ortodossia si concreta fra l'altro in una specifica attenzione al suono. Egli ebbe a dire una volta: "Come Varèse sono interessato al suono sporco". Tale interesse si manifesta indipendentemente dal tipo di vocabolario di volta in volta usato, e lo si noterà, come vedremo, anche in Aus Deutschland. Di questo rapporto con il suono hanno fatto parte anche l'invenzione di oggetti sonori nuovi o l'uso distorto di strumenti storici: è il caso dell'impiego di una orchestra monteverdiana nella Kammermusik für Renaissance-Instrumente (1965-66), dove peraltro i materiali non hanno nulla di storico. Nel 1969 in Ludwig van, e poi in molti altri lavori, Kagel ha cominciato anche a usare materiali storici, o comunque stilisticamente già molto caratterizzati in partenza, materiali di ogni genere, oggetti sottratti al loro contesto, smontati e rimontati in un "metacollage" dove ogni pezzo è privato delle originarie funzioni. Determinante nella grande varietà di esperienze che non si possono ricondurre ad un denominatore comune sembra proprio la vocazione ad accumulare materiali diversi, ciascuno in sé carico di potenzialità allusive, di caratteri, di significati, e sempre presentato in montaggi imprevedibili e inquietanti, o sottoposto a riflessione, analisi e commento, in modo da svelarne i meccanismi e privarlo di ogni facile seduzione, mettendo in discussione abitudini d'ascolto acquisite. Sarebbe fuorviante e riduttivo parlare di dissacrazione e di neodadaismo (se non forse in qualche caso): più pertinente è un richiamo al surrealismo e alla necessità di prestare attenzione ad una molteplicità aperta di implicazioni. Kagel sa estrarre dai materiali che usa o cui allude una sorta di aggressiva espressività, violenta, talvolta truce, sinistra e caricata, sotto il segno dell'umorismo nero o di una ironia giocosa o feroce; ma diversi altri aspetti possono coesistere in opere che sfuggono a definizioni univoche, che creano sistematiche ambivalenze, traendo anche da un dettaglio una inquietante molteplicità di relazioni.
Al progetto di Aus Deutschland Mauricio
Kagel lavorò tra il 1977 e il 1980; la prima rappresentazione ebbe luogo alla
Deutsche Oper di Berlino il 9 maggio 1981, diretta da Michael Gielen. Nel
sottotitolo è definita eine Lieder-Oper, un'opera di Lieder, perché è scritta
in gran parte per voci e pianoforte, e perché il libretto è un montaggio,
compiuto dallo stesso compositore, di versi tratti da Lieder di Schubert e di
Schumann (tranne casi particolari, come quello della scena 14, prevalentemente
basata su testi di Hölderlin, dei quali soltanto uno, il famosissimo
Schicksalslied, fu musicato da Brahms per coro e orchestra). La scelta dei testi
di Lieder dovuti a numerosi poeti, più e meno illustri, con una prevalenza di
Goethe, Heine e Wilhelm Müller, propone i temi chiave del mondo romantico
tedesco, come l'Amore, la Morte, la Natura, evocandoli per farne oggetto di una
complessa riflessione, non per raccontare una storia: vi sono molte azioni, ma
non una vicenda lineare e continua. Sarebbe quindi vano leggere il libretto per
cercarvi una azione teatrale di tipo tradizionale; ma basta aprirlo per trovarsi
immersi nell'evocazione di tutto un mondo attraverso testi completi o
frammentari in gran parte familiari al pubblico dei concerti (anche per chi non
conosce il tedesco, ma è solito frequentare concerti di Lieder, la lettura del
testo originale risulta più chiara e più suggestiva della traduzione, le cui
possibilità di evocare e produrre associazioni di idee sono inevitabilmente
meno dirette).
I testi soltanto provengono dalla tradizione del Lied romantico, perché la
musica di Schubert e di Schumann non viene mai citata (e sull'effetto di
straniamento così prodotto dovremo tornare). Kagel crea un montaggio per libere
associazioni, e le scene si succedono spesso con brusca giustapposizione
surrealistica, che è stata paragonata alle operazioni compiute da Max Ernst nei
suoi romanzi di collage. Non univoci sono i criteri seguiti da Kagel per
trasporre sulla scena le azioni teatrali implicite nei testi dei Lieder. Nel
testo che fu pubblicato a Berlino nel 1981, in occasione della prima
rappresentazione, Kagel sottolinea le potenzialità drammaturgiche dei Lieder,
citando fra l'altro una affermazione di Liszt, che definisce i Lieder di
Schubert "opere in miniatura". E afferma poi:
"Per me era importante che il libretto, proprio perché si basa sulla
tecnica del collage, non facesse l'effetto di un pot-pourri di diverse poesie,
ma suscitasse l'impressione di essere scritto da un'unica mano. Come premessa
estetica della composizione serviva una interpretazione spinta all'eccesso dei
modelli originali: i testi dovevano essere messi in scena come tableaux vivants
del teatro barocco attraverso la loro trasposizione letterale sul palcoscenico.
Come contrasto a questo montaggio, non c'è quasi nessuna citazione musicale,
perché si mantenga nell'ascoltatore la tensione provocata da versi ben noti.
Egli può vivere l'esperienza di Aus Deutschland tranquillamente con orecchie
inquiete: suona come Kagel, ma ricorda Schubert. La coscienza dissociata
dell'ascoltatore sarebbe stata rimessa in ordine da citazioni musicali. La
corrispondenza tra citazioni del testo e musica originale avrebbe allora potuto
assumere un ruolo appagante, ma discutibilmente restaurativo, che la tecnica
della citazione non avrebbe affatto meritato".
Conviene soffermarsi su queste ultime affermazioni: si ascoltano parole che
evocano subito alla memoria famose melodie di Lieder, ma che vengono intonate in
modo assolutamente originale, con una musica la cui forza espressiva arriva
anche ad un pubblico ignaro, ma è resa più inquietante dall'effetto di
straniamento, di costante spiazzamento prodotto dal fatto che si evita
sistematicamente la corrispondenza tra la citazione del testo e la musica famosa
ad esso legata. Inoltre in quanto "opera di Lieder" Aus Deutschland è
scritta in gran parte per voce e pianoforte: ci sono numerosi personaggi, una
impegnativa messa in scena, ma dove ci aspetteremmo l'orchestra ascoltiamo un
pianoforte (o più di uno). Questa è di per sé una situazione paradossale: a
questo proposito Kagel parla della sua giovanile esperienza, in Argentina, di
prove d'opera complete dal punto di vista scenico, ma con il pianoforte:
"Proprio questa curiosa mescolanza di apparato scenico completo e
dell'accompagnamento di un solo pianoforte a sostituire l'orchestra fu il punto
di partenza della mia opera. Le prove d'insieme con il pianoforte si svolgono in
un'atmosfera che (come anche altre dimensioni del teatro musicale) è piena di
comicità involontaria e di surrealismo, ma anche di semplicità e di
affascinante fantasia". In una situazione che sembra mettere in discussione
la necessità dei colori dell'orchestra, e che nella sobria trasparenza si apre
a potenzialità inattese, la scrittura pianistica è di grandissima varietà:
può presentare caratteri "sinfonici" del massimo impegno, e evocare
studi, pezzi caratteristici, cadenze, effetti sonori. Con ragione Aloys
Kontarsky ha osservato che convergono qui le esperienze pianistiche di Kagel
degli anni precedenti. Ma accanto a scatti virtuosistici o a macchie sonore
quasi "impressionistiche" c'è posto anche per situazioni
apparentemente molto più schematiche: talvolta vengono evocate formule di
accompagnamento, anche semplici, che creano l'attesa di una melodia familiare,
determinando un nuovo inquietante spostamento di prospettive, un rovesciamento,
perché l'accompagnamento diventa melodia. In Aus Deutschland il pianoforte è
un protagonista; ma nella buca orchestrale ci sono altri strumenti a tastiera:
un piano verticale male accordato, un organo elettrico, una celesta, un armonium
(molto stonato): è importante che alcuni strumenti contribuiscano a produrre un
suono "sporco", deformato, deteriorato. Inoltre dietro la scena ci
sono un secondo pianoforte a coda, un piano verticale stonato e un armonium, a
creare una singolare "eco anonima", facendo sì che il pianoforte in
orchestra possa "dialogare con l'invisibile" (Kagel). Altri strumenti
(una banda militare, un complesso di archi e pianoforte per accompagnare danze,
un corno inglese, quattro corni) possono apparire in scena o suonare dietro le
quinte, quando sono necessari per la drammaturgia, e in rapporto all'azione
teatrale si pongono anche le registrazioni di esecuzioni strumentali o di
montaggi di rumori. Anche in questo caso sarebbe riduttivo intendere in senso
semplicemente descrittivo queste presenze sonore, che si legano ad un pretesto
drammaturgico-evocativo, ma hanno anche un forte significato musicale (si è
già accennato alla vocazione di Kagel all'impurità del "suono
sporco"). Con ragione Reinbert de Leeuw (che ha diretto le esecuzioni di
Aus Deutschland ad Amsterdam nello stesso allestimento di Wernicke) ha osservato
che solo alla prima impressione queste presenze sonore sembrano avere un valore
aneddotico: "Sono tolte dal loro normale contesto e trasferite in un
complesso intreccio di musica e testo, come se fossero riflesse in un sistema di
specchi. In questo labirinto si trovano proprio al posto giusto: sono ciò che
sono, e tuttavia non lo sono".
I testi cantati sono percepibili quasi sempre con una chiarezza che appartiene
più alla sfera del Lied che a quella dell'opera: i comportamenti vocali vanno
dal parlato, allo Sprechgesang, a un canto dove di solito (ma non sempre)
prevale una libera intonazione sillabica. Kagel ha parlato dell'intenzione di
evocare una libertà rapsodica. Non mancano esplicite allusioni ad altre
tradizioni vocali, come quella del blues e dello spiritual, quando la musica,
per così dire, si colora di nero come i personaggi in scena.
Ma chi sono i personaggi? In molti casi vengono direttamente trasposti in scena
quelli di cui si parla nel testo di un Lied, come il Leiermann (il suonatore di
ghironda, o d'organetto) della Winterreise di Schubert o i due granatieri di
Heine e Schumann, la Morte e la Fanciulla di Matthias Claudius e Schubert, e
molti altri; ma ci sono anche Goethe e Schubert, una Poetessa e un Kammersänger.
Anche nella trasposizione teatrale dei Lieder Kagel si attiene a criteri non
univoci, creando paradossali giochi di rispecchiamenti ed evocando una
intrecciata complessità di situazioni o di inattesi rovesciamenti.
Il primo personaggio che vediamo in scena, il suonatore d'organetto (o di
ghironda), è il Leiermann dell'ultimo Lied (n. 24) della Winterreise (Il
viaggio d'inverno) di Schubert. Questo ciclo, composto nel 1827 su testi di
Wilhelm Müller, è forse il punto di riferimento più importante per la
costruzione di Aus Deutschland, pur accanto a molti altri, fra i quali ha un
posto privilegiato un altro ciclo, Dichterliebe (Amore di poeta) di Schumann su
versi di Heine. Le ultime parole del libretto citano il titolo del primo Lied
della Winterreise, Gute Nacht (Buona notte), mentre le prime provengono, come si
è detto, dal ventiquattresimo Lied, Der Leiermann. Il viaggio d'inverno è
intrapreso da un giovane abbandonato dall'amata: con il primo Lied, Gute Nacht
(sulla cui citazione si basa la scena terza) egli prende amaramente congedo
dalla fanciulla che ha sposato un altro e dalla città dove ha vissuto la
delusione amorosa, negli altri Lieder parla (sempre in prima persona) del suo
vagare senza meta in una natura gelida e ostile. Il succedersi delle
riflessioni, dei ricordi, delle situazioni si riconduce ad un'unica condizione
esistenziale di mortale desolazione, di solitudine assoluta: la figura del
Viandante, che ha molteplici incarnazioni e un rilievo determinante
nell'universo schubertiano, sembra qui indagata negli aspetti di più angoscioso
sradicamento, nello smarrimento di una solitudine senza alcuna possibilità di
conforto. Alla fine del suo cammino c'è un incontro, quello con un mendicante
con la ghironda (il Leiermann che è tra i protagonisti di Aus Deutschland), cui
nessuno bada, e contro cui i cani abbaiano. A lui il Viandante chiede se non
accompagnerebbe i suoi canti, e la domanda finale resta sospesa nel vuoto: il
viaggio d'inverno si conclude in un vuoto al di là della disperazione.
Nel testo di Kagel gli elementi dell'ultimo Lied della Winterreise sono
"messi in scena": vediamo l'uomo dell'organetto (o ghironda), e i cani
che abbaiano, e che producono l'associazione con un altro Lied, Im Dorfe (Nel
villaggio, n. 17 della Winterreise). Qui il Viandante protagonista del ciclo si
dichiara indifferente all'abbaiare dei cani, che non possono turbare il suo
riposo perché egli non è più capace di sognare. In Kagel le sue parole sono
intonate dall'Uomo dell'organetto. Con i cani in scena le ragioni
dell'accostamento di frammenti dai n. 24 e n. 17 della Winterreise sono di
immediata evidenza. Un accenno al latrare dei cani si trova anche nella prima
poesia della Winterreise, il congedo dell'ironica e amara "Buona
notte", che sta alla base della terza scena, sempre con il Leiermann e i
cani come protagonisti.
Nella seconda scena invece incontriamo la "Poetessa" (Dichterin) che
intona versi di Heine, dal ciclo "Amore di poeta". Non sono evocati
personaggi in questo ciclo, il "poeta" del titolo non ha lineamenti
definiti: chi parla, al maschile, è un "Io lirico" astratto (anche se
il lettore può volervi identificare Heine o Schumann). Ma in Kagel il
"poeta" diventa una poetessa, e piuttosto anziana. Anziana in
implicita polemica con l'esclusiva presenza della giovinezza nel mondo
romantico, perché, osserva Kagel, "l'amore non sembra un tema adatto a
persone anziane, la gerontologia sarebbe la perfetta antitesi del
Romanticismo". E donna: "Era importante per me documentare l'elemento
androgino dei sentimenti romantici nella poesia e nella musica... Anche nel
mondo dei Lieder non è decisivo se canta un uomo o una donna, ma come canta. Il
Lied romantico è asessuato, pur con l'accento posto sulle passioni". Nella
drammaturgia paradossale di Aus Deutschland la figura della Poetessa che intona
i versi di Heine produce, anch'essa, un effetto di notevole complessità, cui si
aggiunge nella seconda scena il surreale intrecciarsi delle sue parole d'amore
(frammentate in modo da creare singolari ambivalenze) con quelle pronunciate
dalla Notte. Per inciso ricordiamo che anche il personaggio di Mignon, in Goethe
appena adolescente, nella scena 22 è affidato a un controtenore che deve
cantare tenendo in bocca una armonica, a suggerire l'effetto di una vecchia
sdentata (e in scena appare anche un suo "doppio", una vecchia carica
d'anni).
La Poetessa, come il Suonatore d'organetto, ritorna in molte altre scene, fra
l'altro nella settima, diretto proseguimento della sesta, che ha come
protagonista Goethe. Egli prende il posto di un personaggio teatrale, la
Gretchen del Faust, per intonare i versi di uno dei primi capolavori di Schubert,
il Lied di Margherita all'arcolaio ("Meine Ruh' ist hin"). Nella
dimensione del Lied il testo poetico non è più legato strettamente alla
situazione di Margherita nel Faust e Kagel, per così dire, lo restituisce
all'autore del testo, presentandoci in scena Goethe abbigliato come in un famoso
ritratto di Tischbein. L'ironia di questo riferimento è enormemente potenziata
da un triplice gioco di trasformazioni, che si collegano e rafforzano fra loro:
Goethe si sta truccando, e si dipinge il volto di nero, mentre il testo viene da
Kagel tradotto in inglese e anche la musica diventa "nera" assumendo i
caratteri di uno spiritual. Nella scena 7 Goethe continua a cantare frammenti
del Lied di Gretchen (e in lei si identifica, mettendosi a filare), mentre il
pianoforte rievoca in modo vistosamente riconoscibile l'accompagnamento della
famosissima Serenata di Schubert (Ständchen, pubblicata postuma nella raccolta
arbitrariamente intitolata Schwanengesang) e la poetessa ne canticchia il testo
in uno Sprechgesang che ricalca, con emissione "parlata", la celebre
melodia di Schubert. È uno dei pochissimi casi di quasi citazione, destinata ad
intensificare la giocosa sorpresa della conclusione, quando le parole rivolte
dall'innamorato alla sua bella, "Komm', beglücke mich" (Vieni,
rendimi felice) sono pronunciate dalla Poetessa come una esplicita proposta
sessuale, che Goethe si affretta ad accogliere.
Fra i personaggi di Aus Deutschland troviamo anche Schubert (voce di tenore
"con obbligo" di suonare anche il pianoforte). Egli siede al
pianoforte nella scena 15, e "accompagna" il Kammersänger (alla
lettera "cantante da camera"; ma la parola non ha un esatto
corrispondente in italiano, perché ha il valore di un titolo onorifico), quando
questi intona con grande enfasi la ballata del cantore (da Wilhelm Meisters
Lehrjahre di Goethe). Alla fine della ballata Schubert dice che i suoi canti
sono avvelenati (il primo verso di una poesia di Heine che fu musicata da
Schumann, e non da Schubert), e il Kammersänger lo prende in parola
dichiarandosi avvelenato e cadendo a terra stecchito (ovviamente nel testo di
Heine i canti del poeta sono avvelenati dalla donna amata). Anche nelle scene
seguenti i versi affidati al personaggio di Schubert non furono mai musicati dal
compositore, presente anche nella scena 17, dove si ha una nuova irruzione della
musica afroamericana, un nuovo passaggio, per così dire, dal bianco al nero.
Osserva Kagel, ricordando che all'epoca del Romanticismo europeo in America
c'era ancora la schiavitù: "In un primo momento mi interessava la tensione
drammatica di questa differenza: i romantici rendono pubblico il privato, mentre
per gli afroamericani si annienta l'identità individuale". Poi, traducendo
in un inglese dai colori lievemente dialettali alcune poesie romantiche, Kagel
racconta di aver notato la naturalezza con cui quella lirica si tingeva di nero
musicandola come un blues. "Così trovai un mezzo drammaturgico per un
arricchimento linguistico, musicale e scenico della composizione: sempre, quando
gli interpreti cantano in inglese, il linguaggio musicale si muta in una
imitazione della musica popolare dei neri dell'America settentrionale". Un
passaggio dal "bianco" al "nero" reso evidente anche sulla
scena.
Nella folla dei personaggi di Aus Deutschland sono soprattutto il Leiermann e la
Poetessa che ritornano in numerose scene; ma la rete dei collegamenti e rimandi
interni coinvolge anche altre figure (ad esempio la Notte e la Morte) e presenta
una elaborata complessità, che si aggiunge ai procedimenti di rovesciamento
paradossale, di straniamento, di rispecchiamento, frammentazione e deformazione
che caratterizzano i montaggi, il gioco di associazioni dei collage di Kagel
nella sua "opera di Lieder". Gli esempi fin qui esaminati dovrebbero
mostrare con sufficiente chiarezza che quando, a proposito di Kagel, si parla di
molteplicità di materiali, non si intende soltanto alludere alla varietà dei
caratteri musicali, ma a tutti gli aspetti della concezione dell'opera. In Aus
Deutschland i suoni sono inseparabili dalle scelte testuali e dalla
trasposizione drammaturgica del frammentato collage di citazioni, dai gesti
teatrali, dalle immagini sceniche: da tutti questi materiali nasce la
peculiarità di un lavoro che programmaticamente sfugge a definizioni univoche.
Werner Klüppelholz ha osservato (nel suo Versuch, Mauricio Kagels "Aus
Deutschland" zu verstehen scritto per la rappresentazione di Basilea):
"La vera patria di Kagel è in quel regno delle ombre tra ironia e poesia
che il Romanticismo ha scoperto e in cui tutto potrebbe essere completamente
diverso". Con ragione Reinbert de Leeuw afferma che Aus Deutschland appare
nello stesso tempo insondabile (unergründlich) e meravigliosamente naturale,
ovvio (selbstverständlich). Il mondo del Lied, di cui si nutre, vi è
radicalmente trasformato, eppure è compiutamente presente in questa evocazione.
Mauricio Kagel
Alcune riflessioni su Aus Deutschland
Si pensi ai declamatori del passato, che
da brevi componimenti creavano monologhi teatrali di carattere patetico. Secondo
uno spirito non dissimile Liszt ha definito i Lieder di Schubert "opere in
miniatura" ed ha così attirato l'attenzione sulle differenze che
intercorrono tra la lettura muta, la recitazione, l'esecuzione cantata di una
poesia. Nel contempo è evidente che nel canto liederistico sono in gioco
affetti e sensazioni di palese natura drammatica e climax in stretta successione
i quali avrebbero bisogno solo di una realizzazione teatrale per dimostrare la
loro efficacia scenica. Non da ultimo la definizione di Liszt offre materia di
riflessione in quanto vi si può trovare il presentimento di una svolta nel
senso della riduzione della forma, di un'espressione musicale dotata di
concisione. Per quanto riguarda la lingua di questo pezzo, visto che il libretto
si basava sulla tecnica del collage mi sembrava importante che non sembrasse un
pot-pourri di poesie diverse, ma che desse l'impressione di provenire da
un'unica mano. Un'interpretazione in un certo senso "esagerata"
dell'originale è stato il presupposto estetico della composizione: attraverso
la trasposizione letterale sulle scene i testi avrebbero dovuto essere messi in
scena come tableaux vivants del teatro barocco. In contrapposizione a questo
montaggio non si verifica quasi nessuna citazione musicale che mantenga la
tensione determinata nell'ascoltatore da versi celeberrimi. Infatti Aus
Deutschland va vissuto tranquillamente ma con orecchi inquieti: suona come Kagel,
però ricorda Schubert. Citazioni musicali avrebbero di nuovo riconciliato la
coscienza divisa dell'ascoltatore. La concordanza di citazione testuale e di
musica originale avrebbe potuto svolgere una funzione sì soddisfacente, ma
anche discutibilmente restaurativa che sinora non ha affatto caratterizzato la
tecnica delle citazioni.
I principi della composizione del libretto di Aus Deutschland sono emersi quasi
contemporaneamente alla scelta dei temi che rappresentano argomenti chiave del
romanticismo. Per prima cosa ho cercato di separare amore, natura e morte, i
classici temi che tuttora costituiscono la materia del romanticismo di tutti i
tempi, dalle nostre rappresentazioni romantiche sui romantici. Ciò è stato
reso necessario dal fatto che altrimenti avrebbero potuto crearsi confusioni né
utili né sufficientemente contraddittorie. Autori che hanno impresso di sé uno
stile e che lo hanno realizzato attraverso opere congeniali possono essere
talvolta identificati solo in parte in quanto persone vissute in un determinato
momento storico. Ma ci sono spesso segrete connessioni.
Un esempio desunto da una parte della storia della musica appena trascorsa.
Molti dei compositori degli anni Cinquanta tenevano ad evidenziare nei loro
scritti e nelle opere, ed anche nell'aspetto esteriore, l'influsso delle
discipline esatte (al contrario Einstein assomigliava piuttosto a un
artista...). Proprio il compositore che più ha inizialmente influenzato la mia
generazione, cioè Webern, aveva l'aspetto di un ingegnere o un matematico.
Magro, ascetico, con occhiali al tempo stesso spirituali ed oggettivi,
rappresentava perfettamente la scarsità del superfluo e l'ascesi del dopoguerra
(anche se i suoi lineamenti erano rimasti del tutto immutati rispetto
all'anteguerra). Questo ha permesso ai compositori una musica totalmente
organizzata e anche un'identificazione fisica con il loro modello. Ci si sarebbe
potuti figurare un essere umano come Rabelais sulla frontiera più avanzata di
un controllo utopicamente regolato della percezione acustica? Evidentemente no.
Si è così verificata una sorta di perfetta simbiosi. Probabilmente
l'identificazione con un Webern "brutto" non avrebbe potuto aver
luogo.
Riflessioni di questo genere sono forse contestabili, ma non si basano affatto
su considerazioni di natura soggettiva. Al contrario: io cerco di essere
oggettivo, mentre oggettivizzo tutto ciò che è razionalmente analizzabile. Il
riferimento a Webern e alla sua passione per l'esattezza dovrebbe chiarire il
mio lavoro che riguarda l'argomento, davvero inesauribile, del romanticismo.
Mi immagino il romanticismo come una specie di decotto di sensazioni inespresse e di aneliti che può essere proiettato nell'intimo di ciascuno perchè poi se ne distilli ciò che è propriamente personale. Essenzialmente mi sembra di dover distinguere tra un'idea personale su ciò che sarebbe il romanticismo e un'entità che tenderei a chiamare libido artistica. Il romanticismo è innanzitutto una contrapposizione tra due realtà: la prima corrisponde a ciò che ci si immagina come realtà e a come potrebbe essere fatta, la seconda corrisponde alla realtà vera e propria così com'è effettivamente e che in quanto tale non può essere accettata. Si viene così a creare un rapporto di tipo triangolare:
io invento
la/e realtà
la/e realtà io riconosco
hanno luogo senza di me la/e realtà
Il mio accenno alla proliferazione di realtà che si può rilevare nel mio
schema è un'inevitabile conseguenza: ciascuna delle due realtà sopra citate
consta di realtà diverse.
Come esempio può servire la creazione di una figura di Aus Deutschland: la
Notte.
Nel complesso la notte può essere vista come parte della natura perchè
appartiene simbolicamente al regno del visibile. Non è necessario dubitare
della sua esistenza per speculare sul suo conto. Il suo regolare ritorno le
assicura - come anche al sole e alla luna - un predominio illimitato nel sistema
di coordinate della rappresentazione romantica del mondo. La natura, in quanto
immagine essenziale di una verità visibile, è nel contempo il momento
risolutivo della contrapposizione tra libido artistica e realtà. Se centinaia
di persone vanno a passeggio su un prato fiorito, sicuramente una parte di
coloro che stanno ad osservare sentirà che ai fini della realizzazione
artistica tutto ciò può essere animato per mezzo di un'astrazione
intensificata oppure di una concretizzazione insistemente metaforica. Il
desiderio creativo dell'invenzione romantica è acceso soprattutto da questa
percezione creativa della natura. La natura viene costantemente descritta in
modo nuovo, viene inventata in modo nuovo e poiché viene inventata contiene
sempre significati mutevoli. Un solo significato valido sarebbe insufficiente in
quanto la natura stessa si trova in uno stato di costante mutamento. Le diverse
nature che si presentano agli occhi dei romantici assomigliano alle immagini di
un film riprese una dopo l'altra dallo stesso angolo visuale, ma con diversi
tempi di posa.
In un certo senso la notte del romanticismo corrisponde alla radio (al contrario
la televisione può essere agevolmente assimilata al giorno). Infatti con
l'inizio della notte finisce il mondo del visibile e può iniziare il sentimento
del cosmo e della sua infinitezza. Nella poesia di Eichendorff Notte così viene
detto:
Perché il Signore va sopra le vette
E benedisce la terra silenziosa.
Il dialogo della fantasia al sopravvenire dell'invisibile favorisce alla fine
del pezzo la vera animazione dell'Olimpo del compositore nella forma di
un'enorme quadro a silhouettes. "Schubert in cielo" corrisponde in
quanto combinazione di quadro a silhouettes e lanterna magica al cinema del
Biedermeier (e forse anche a un precursore del televisore, se si dovesse parlare
del rapporto con il naïf).
Certamente alcuni personaggi del pezzo
sono archetipi. Tuttavia nell'incontro con altri personaggi del pezzo si
trasformano in allegorie. In questo modo si creano diversi stadi di somiglianza
(un esempio analogo, archetipi in Goethe possono diventare nei disegni di Alfred
Kubin componenti di un'allegoria).
La Morte appare per la prima volta nel quadro 10 come immagine corrente della
paura. Tre fonti testuali sono state utilizzate per organizzare la scena. La
morte e la fanciulla di Matthias Claudius, La morte è la fredda notte di
Heinrich Heine e Il lamento della fanciulla di Friedrich Schiller. Nel quadro 20
invece la Morte è la liberatrice tanto desiderata. Di nuovo tre poesie
costituiscono la rete drammaturgica della scena: Il giovinetto e la morte di
Joseph von Spaun, La nostalgia del becchino di J. N. Craigher de Jachelutta,
Desiderio di morte di Max von Schenkendorf. Però laddove la morte non è più
temuta, ma desiderata e perde la cote per affilare la falce, la morte stessa
prova paura per lo spaventoso rovesciamento dei ruoli: solo la morte infonde
timori, i quali avvolgono con il suo odore le altre figure. Proprio il desiderio
di morte è il tema centrale del pezzo, quel desiderio di morte appagato/
inappagato che nel romanticismo - e durevolmente sino ad oggi - si mostra capace
di vitalità. Un magma di notizie e sensazioni mortuarie che nonostante il
costante mutamento garantisce sempre l'omogeneità dei suoi influssi.
Un altro esempio è Edward, protagonista
dell'omonima ballata scozzese, che con la musica di Loewe ha messo vario tempo
fa a soqquadro i salotti tedeschi. Io ne scrivo un melodramma comme il faut, ma
quasi del tipo dell'Assassinio del duca di Guisa all'inizio del cinema muto.
Dev'essere cantata con una tensione quasi insopportabile, o meglio una tensione
quasi inaudita, per poter rappresentare in modo corrispondente il senso di
ininterrotta costrizione che scaturisce da questo dramma dell'incesto. La madre
di Edward lo ha indotto ad uccidere suo marito, il padre di suo figlio. Ho fatto
rimanere muto fino alla fine del quadro un enorme cavaliere, una sorte di
Super-Padre che osserva quanto avviene in scena: l'aura di Shakespeare con un
pizzico di tragedia greca. D'altra parte: la popolarità di Carl Loewe nel
secolo scorso si basava esenzialmente su due aspetti. Per un verso era un
compositore di ballate, cioè di componimenti narrativi, per un altro verso egli
disinnescava la drammaticità delle sue vicende epiche con una musica piacevole,
che ritorna sempre uguale strofa dopo strofa. In questo modo Loewe ha attinto al
nucleo del piacere borghese. La tensione del racconto viene mantenuta visto che
si possono capire le parole cantate, ma il contenuto viene relativizzato perchè
il testo non viene intonato ricorrendo a una musica ad hoc, ricca di onomatopee,
ma come musica assoluta. Vi è insomma una statica orientata alla meta e
un'atmosfera immutata le quali riproducono all'ingrosso le peculiarità del
testo originale. Alla fine del quinto quadro ho voluto sottolineare il desiderio
di possesso che assillava la borghesia tedesca emergente al tempo di Loewe e che
l'ha portata a un pensiero aggressivo di stampo conservatore: per questo ho
fatto dire all'armatura "E che ne sarà della tua corte, della tua
casa?" dopo che Edward ha pugnalato sua madre.
È stato per me importante cercare di
documentare il carattere ermafrodita del sentimento romantico nella poesia e
nella musica. Mi ha sempre colpito il fatto che proprio nei Lieder un cantante
uomo può ad esempio cantare pieno di passione "O tu, amato mio!". Si
potrebbe parlare - utilizzando uno dei concetti preferiti di Adorno in un
contesto errato - di fungibilità della recezione. Anche nel mondo dei Lieder
non è determinante se un uomo in quanto donna si rivolge a un altro uomo, ma
come egli canta. In altre parole: vengono qui acusticamente trasposti sentimenti
più che contenuti, nuda comunicazione musicale che esclude ogni carattere
informativo. Con tutta la sua spiccata accentuazione passionale il Lied tedesco
è in sostanza asessuato. Proprio l'estrema plasmabilità di un sentimento leale
e sincero consente una trasposizione per così dire discrezionale:
dall'originale per baritono si può immediatamente ricavare la versione per
soprano. Se un tenore è innamorato e canta indirizzandosi a un altro uomo - in
questo modo sfigurando la drammaturgia concepita in origine - ciò non avrebbe
pressoché dato luogo in passato a pensieri sconvenienti. Certamente nella
letteratura operistica vi sono un certo numero di parti "in
pantaloni", dal Cherubino di Mozart all'Oktavian di Strauss, cui però lo
spettatore giunge coscientemente preparato trattandosi di casi molto noti.
Invece Aus Deutschland contiene ambiguità sessuali determinate dal mio modo di
vedere il romanticismo. Quanto il poeta del Dichterliebe canta nelle vesti di
una poetessa che sta invecchiando, ne deriva una materializzazione del testo
estremamente volubile. Il soggetto erotico assume le fattezze della poetessa che
canta, la quale proietta il componimento sul suo passato. Il fatto che
attraverso la musica le parole possono assumere una nuova sensualità acustica
abilita il compositore a precisare tale nuova dimensione dell'erotismo. Lo
stesso Schubert nel Dichterliebe si trasforma in bardo e sostituisce l'infelice
Heine. Nel mondo delle idee schubertiane si possono osservare varie
trasformazioni di questo tipo. La scelta del testo - come già mostrano i titoli
- costituisce un primo passo verso l'identificazione, senza la quale
l'attuazione sonora non è pressoché pensabile: solo essa consente di valutare
il grado di artisticità e di natura del brano, decide se il testo va deformato
oppure deve rimanere comprensibile. La messa in musica avviene a due livelli, la
comprensibilità (durata normale delle sillabe) e il canto (dilatazione delle
vocali). È di continuo in discussione il problema di come scavare il testo per
far posto a nuovi contenuti musicali. (Quand'è che durante Il viaggio d'inverno
Schubert si trasforma definitivamente nell'uomo dell'organetto?).
I poeti sono chiamati a trasporre in parole il dolore. Se un compositore decide
a sua volta di trasporre tali parole in dolore acustico, è possibile che varie
caratteristiche della poesia vengano occultate a favore di una musica
esplicitamente contrassegnata dall'inquietudine. Ne consegue che la musica (di
Schubert) viene percepita in modo più intenso della poesia (di Wilhelm Müller,
ma anche di Goethe o di Heine). [...]
Le schubertiadi possono essere considerate quasi dei precursori dell'"Associazione per esecuzioni musicali private" di Schönberg, non da ultimo visto che ne condividono lo spirito puristico. Il partecipante a una schubertiade si dichiara esplicitamente null'altro che un amatore di musica e in un certo senso va verso una professionalizzazione dell'ascolto dell'organetto. Ma a chi dedica la sua devozione, nel momento in cui si ritira nel proprio privato? Naturalmente a un singolo compositore. Questo rapporto conduce direttamente alla modernità attraverso Wagner e inoltre motiva un certo stravagante totalitarismo che si nota talvolta nei compositori, la loro aspirazione a una sorta di diritto esclusivo. (C'è così tanta musica al mondo che è ben comprensibile il desiderio - fondato o infondato che sia - a vedere il proprio lavoro come punto conclusivo, e perciò come nuova partenza. Lo scopo è sempre lo stesso, cioè raggiungere possibilmente il maggior numero di ascoltatori con il minor numero di pezzi, naturalmente i propri). Nella schubertiade la pratica della musica è connessa a una componente voyeristica. Certamente l'influsso erotico dell'interprete - allorchè si esibisce in una piccola compagnia di persone ed assume un'importanza di primissimo piano - raggiunge il suo acme. (Hollywood ci ha precocemente abituati a ciò e ci ha offerto la stessa situazione in due modi: un giovane pianista indomabile attorniato da fanciulle adoranti, che in lui vedono incarnata una sensualità assoluta derivante da una musica vissuta senza residui, oppure una cinepresa curiosa indaga ogni particolare fisico dell'esecuzione). Il piacere pubblico/privato della schubertiade corrisponde al divertimento borghese di un divertimento segreto. Solo con l'ampliamento della prassi concertistica dovuta ai concerti rock, in cui l'offerta della musica va di pari passo con una sfrenata partecipazione degli spettatori, sono caduti i freni inibitori del piacere erotico-acustico in presenza di altri. Quindi anche Woodstock - come Bayreuth - si può considerare una specie di schubertiade uniformata da un medesimo abito.
Molte figure di questo pezzo diventano progressivamente più vecchie nelle successive entrate in scena. Forse si tratta di una reazione al fatto che che nella rappresentazione di un mondo romantico non vi è alcuno spazio per le persone anziane. L'amore non sembra un tema adatto a persone che invecchiano, la gerontologia sarebbe l'esatto contrario del romanticismo. [...]
In modo molto evidente la musica di questo pezzo ha carattere rapsodico, che tende a sostituire la funzione dei bardi. Le rapsodie non sono mai state considerate come composizioni perfette e immutabili in quanto hanno una forte componente occasionale e richiamano un tipo di lavoro finalizzato al proprio sostentamento. Questo però non è esatto se si pensa che esse sono un tentativo di imbrigliare l'improvvisazione, oppure - come ad esempio in Liszt - possono diventare un campo di ricerca nell'ambito del concerto. La parola rapsodia porta con sé l'idea che la sostanza musicale e l'organizzazione formale di un pezzo sono di fatto insufficienti. Naturalmente abitudini inveterate esigono che una musica debba essere costruita con solidità e probità artigianale per avere un qualsivoglia valore. Ma indicazioni di questo genere ingannano o condizionano in senso negativo. Oggi riscontriamo un uso eclettico, per così dire a pot-pourri, delle tecniche compositive, le quali fanno pensare alle rapsodie. Ciò non è mai stato notato poiché il pensiero rapsodico non è suscettibile di allearsi con nessun altro tipo di folclore. [...]
Ho imparato dai tempi della mia pratica
teatrale in Argentina la cosiddetta prova principale col pianoforte, che spesso
poteva dare ai suoi partecipanti più gioia di altre prove. Proprio questa
curiosa mescolanza di totale dispendio scenico e l'accompagnamento solo di un
pianoforte, che sostituisce l'orchestra, è stato il punto di partenza del mio
lavoro. Le prove principali col pianoforte si compiono in un'atmosfera che - al
pari di altre dimensioni del teatro musicale - è ricca di comicità
involontaria e di surreale, ma anche di semplicità ed entusiasmante fantasia.
Parlando di questa prova non si vuole asserire la superfluità dell'orchestra,
ma essa attesta piuttosto che la ricchezza timbrica è solo in parte una
necessità assoluta per un compositore. Qui si congiungono sorprendenti evidenze
di natura musicale con un teatro completo.
Naturalmente al pianoforte spetta una funzione capitale. Nel corso del pezzo ci
si comporta in modo diverso sia dal punto di vista scenico che tecnico:
aspirazioni altissime nel senso del sinfonismo romantico, uno spartito
schematico, effetti fonici differenziati, imitazioni di altri strumenti,
accompagnamento tradizionale, cadenze, studi e pezzi caratteristici completano
una serie di possibilità che solo il pianoforte (e gli altri strumenti a
tastiera qui utilizzati) possono offrire. Sezioni con musica per pianoforte si
sentono poi sotto forma di interventi su nastro magnetico registrato. A tal fine
sono stati utilizzati due pianoforti da tempo fuori servizio, i quali però non
sono stati aggiustati per non distruggere la patina da musica
"rovinata". Dietro le quinte si sentono poi altri pianoforti che
vengono a costituire un secondo, terzo Ego del pianoforte in sala, i quali -
come un eco anonimo - dialogano con l'invisibile. [...]
Osservando come Mahler si faceva la cravatta - ha detto Schönberg una volta - si può imparare sulla composizione più che da qualunque consigliere di corte per la musica. Questa osservazione è tanto più sorprendente se si considera che Schönberg era appagato più dall'oggettivazione teorica che dalla sensazione soggettiva (si pensi al Trattato d'armonia!). La vera esperienza consiste nel fatto che Mahler si annodava il farfallino proprio come Schönberg si sarebbe aspettato. Egli non doveva scoprire nulla di nuovo, ma solo osservare una serie di gesti organici che suggellano lo scorrevole legato dei movimenti con due staccati conclusivi. Questa rappresentazione, perfettamente offerta, si basa su capacità altrettanto perfette di 'sentirla' con perspicacia attraverso l'invenzione. Un tale procedimento andrebbe in primo luogo designato ricorrendo al concetto di cultura. Qui non si trova alcuna accumulazione di conoscenze, piuttosto una certificazione di conoscenze pregressi. E se avessi composto Aus Deutschland per motivi simili a questi?
Lontanissimo dal radicalismo delle
avanguardie, Mauricio Kagel ha sviluppato un linguaggio dissacratorio, gestuale,
pieno di humour, caratterizzato da un'inventiva inesauribile e dal gusto per il
collage, per la contaminazione di stili e scritture diverse. Un linguaggio che
rompe con ogni forma accademica ma che mostra anche stretti legami con la
tradizione musicale occidentale, frutto di una grande cultura musicale e una
pluralità di interessi che si manifesta sin dalla sua prima formazione: lo
studio del pianoforte, del violoncello, dell'organo, della direzione
d'orchestra, accanto a quello (da autodidatta) della composizione, gli studi
universitari di letteratura (con Jorge Luis Borges, che gli insegna il principio
dell'"organizzazione nel disordine") e di filosofia (con una
particolare attenzione al pensiero di Spinoza), l'interesse per le forme d'arte
contemporanee, per il teatro (soprattutto quello di Beckett e di Jonesco), per i
meccanismi della comunicazione attraverso i mass media. Già nelle sue prime
composizioni Kagel dimostra una grande sensibilità, più empirica che
speculativa, per la dimensione acustica dei processi musicali ("Fin da
piccolo non ho mai pensato alla musica da fare con le note, ma alla musica da
fare con i suoni"), che poi si fonde con gli stimoli provenienti da Cage,
dalla musica aleatoria, dal dadaismo. Anche dopo il suo trasferimento in
Germania, nel 1957, come collaboratore nello Studio di Fonologia della Radio di
Colonia, Kagel conserva la propria diversità nei confronti della Neue Musik. E
lo dimostrano capolavori come Anagrama (1958) per voce e strumenti, nel quale
utilizza il linguaggio parlato (il testo è un palindromo latino) come materiale
musicale, o Heterophonie (1959-1961) per 42 solisti, in cui ricerca una gamma
straordinariamente varia di mezzi sonori, fondendo insieme stili musicali
diversi tratti dal repertorio novecentesco.
La riflessione sui meccanismi e i riti dell'ascolto, il confronto con i problemi
di sintassi che si è posta tutta l'arte, conducono Kagel ad individuare nel
teatro musicale (e nelle musiche destinate al cinema e alla radio) l'ambito
espressivo a lui più congeniale. Un ambito nel quale i principi della
composizione musicale vengono estesi a "materiali non sonori". Gli
eventi gestuali e scenici vengono così articolati in modo analogo ai suoni e
acquistano una loro musicalità ("Il nuovo teatro musicale non è una forma
di teatro tra le altre, definita dal suo stile: è l'utilizzazione del pensiero
musicale nel dominio teatrale. La parola, la luce, il movimento vi sono
articolati in maniera paragonabile a quella in cui sono articolati i suoni, i
timbri e i tempi"). I primi esperimenti in questa direzione sono Sur scène
(1959-1960), composizione per teatro da camera che coinvolge una voce recitante,
un mimo, un basso, e tre strumentisti sulla scena, nella quale vengono combinati
insieme parole, musica e movimenti, con elementi tratti dal music-hall; e
Antithese (1962), rappresentazione che accanto ad attori e suoni elettronici
prevede anche il diretto intervento del pubblico. In altre composizioni di
questo periodo sono i meccanismi del teatro a innestarsi nei processi
compositivi, e ad arricchire il momento dell'esecuzione con una serie e elementi
gestuali e scenici, sempre caratterizzati da un acuto senso del gioco. Appare
così quasi surreale l'esecuzione di Sonant (1960), per arpa, chitarra,
percussioni e contrabbasso, poiché gli strumentisti compiono azioni
apparentemente appropriate, ma senza produrre suono (i percussionisti cambiano
in continuazione bacchette ma senza usarle, il contrabbassista muove l'archetto
senza sfregare le corde). Improvisation ajoutée (1961-1962) per organo, prevede
accanto all'organista la partecipazione di due assistenti che si occupano del
cambiamento dei registri e che intervengono nell'esecuzione con alcuni inserti
vocali. Spesso Kagel si ispira, con divertito cinismo, alla vita degli stessi
interpreti rappresentandone le abitudini, le fobie, i condizionamenti di
carattere psicologico, ma anche fisiologico. Phonophonie (1963), per due voci e
varie altre fonti sonore, è ad esempio il ritratto di un cantante al momento
della sua decadenza vocale, ed è anche contemporaneamente la rappresentazione
di tre altri ruoli: un ventriloquo, un imitatore di rumori e un sordomuto. In
Match (1964), uno dei pezzi più famosi di Kagel, la partitura diventa un
accurato copione teatrale e visivo di una performance dal carattere sportivo
(sono previsti due violoncellisti nel ruolo di giocatori e un percussionista in
funzione di arbitro) che appare come una metafora delle tensioni psicologiche
che si sviluppano in una esecuzione di musica da camera. Kagel fa del teatro
anche trasformando una composizione puramente ritmica come Pas de cinq (1965) in
una passeggiata di cinque personaggi muti, forniti di bastone da passeggio, su
una struttura pentagonale appositamente costruita, le cui superfici sono coperte
di diversi materiali. O ancora, come accade in Die Himmelsmechanik (1965),
affidando sia l'azione che la musica alla sola scenografia, alle attrezzature
esistenti in un teatro.
Dopo questa prima fase creativa, nella quale la componente gestuale entra in
gioco spettacolarizzando le dinamiche implicite nell'atto interpretativo, anche
con un atteggiamento critico nei confronti dei riti della musica ufficiale, si
delinea chiaramente, a partire dal 1968, l'idea di un vero e proprio teatro
strumentale riferito direttamente agli elementi teatrali, visivi, gestuali,
associati allo strumento suonato. Dal gesto e dal personaggio che lo compie
l'interesse si sposta sull'oggetto sonoro, che diventa il vero protagonista
della rappresentazione. Emblematiche di questa poetica musicale sono tre pezzi
composti in quegli anni: Der Schall (1968), per cinque esecutori, Unter Storm
(1969), per tre esecutori, e Acustica (1968-1970), per generatori sperimentali
di suono ed altoparlanti. In queste composizioni Kagel utilizza strumenti rari o
inventati, esotici o riesumati dal passato, semplici oggetti sonori o strumenti
giocattolo. Strumenti comunque volutamente impropri, e adoperati in maniera del
tutto anticonvenzionale ("Un aspetto essenziale della mia opera è comporre
con elementi che non siano puri [...] e tornare a scoprire il nuovo negli
strumenti conosciuti e sconosciuti"), che testimoniano una perlustrazione
continua dell'habitat acustico, e che diventano, con la loro bizzarra
materialità, il centro dell'evento teatrale. Per azionare questi strumenti
Kagel chiama in causa un nuovo tipo di interprete, per il quale anche suonare
uno strumento deve assumere un significato più allargato rispetto alla sua
normale accezione. Tutti i suoi compiti vengono definiti minuziosamente.
("Per riunire la musica e il teatro in una terza dimensione è necessaria
una precisione estrema. Questa precisione è allo stesso tempo un mezzo per
attivare l'ascoltatore-spettatore in modo che possa gettare un colpo d'occhio su
quello che avviene e sul modo in cui ciò è realizzato. Perché più i processi
di realizzazione restano ermetici meno la partecipazione attiva dell'ascoltatore
potrà essere risvegliata"). E Kagel insiste molto sulla preparazione degli
interpreti la cui "libertà deve essere veramente ricambiata con una
perfetta padronanza del testo e del contesto. In questo modo gli esecutori
superano la semplice riproduzione delle loro parti, includendo, nella loro
esecuzione, l'ascolto degli altri", e sviluppando quindi meccanismi
spontanei di interazione che acquistano una immediata valenza teatrale.
Quasi un paradigma di questa concezione del teatro strumentale è la partitura
di Acustica. Essa prevede 127 azioni diverse e indipendenti, affidate a un
gruppo ristretto di esecutori i quali devono compierle in modo che ogni
movimento appaia assolutamente libero, incondizionato e privo di significato.
All'esecuzione strumentale Kagel sovrappone un nastro magnetico sul quale è
registrato materiale elettronico puro, suoni vocali e suoni prodotti con gli
stessi strumenti eseguiti dal vivo, non manipolati ("punto di partenza di
questa composizione elettronica è stato il collegamento più omogeneo possibile
di due categorie di suoni dissimili nella natura della loro produzione. Un
collegamento che, realizzato per esempio modificando il suono concreto
attraverso filtri, modulatori ad anello o trasformazioni in fase di
registrazione, mi sarebbe sembrato troppo semplificato. Deve invece essere
ottenuto attraverso un analogo trattamento degli strumenti elettronici").
Ma i veri attori di Acustica sono gli strumenti. Un vasto assortimento che
comprende anche utensili d'uso comune come un soffietto da camino, possibilmente
in cattivo stato, o un secchio d'acqua (nel quale l'esecutore lascia cedere dei
sassi o infila l'estremità di un tubo di plastica collegato ad un trombone);
oggetti di casa come porte e finestre, o una scatola (nella quale l'esecutore fa
cadere barre di legno o tubi di metallo di diversa lunghezza); strumenti
giocattolo; strumenti costruiti appositamente come il violino a chiodi
(realizzato fissando 16 chiodi di differente lunghezza lungo il bordo di una
cassa di risonanza, che vengono poi messi in vibrazione con un archetto di
violoncello o contrabbasso, o da aste zigrinate, per ottenere un effetto di
tremolo); strumenti di origini antiche come il crepitacolo (derivato da uno
strumento bizantino, e costituito da una tavola di legno sulla quale sono
fissate alcune maniglie) o lo scabellum (idiofono greco-romano costituito da una
coppia di tavolette di legno unite ad un'estremità con una cerniera e fissate
sotto una suola); strumenti derivati da culture popolari (mirliton, sansa,
raganella, rombo); campane, nacchere, campanelli, montati su tavole o aste in
modo da costituire una specie di tastiera; un violino preparato con alcune
graffette fissate alle corde. Ma in questa galleria di strumenti compaiono anche
una fiamma ossidrica (che viene indirizzata verso alcuni tubi per ottenere dei
suoni che vengono variati nella dinamica regolando l'intensità della fiamma),
una bombola ad aria compressa (collegata attraverso sottili tubi di plastica a
fischietti, canne d'organo e flauti giocattolo) e infine elettrodomestici o
strumenti elettronici, come un walkie-talkie, un ventilatore (sul cui flusso
d'aria l'esecutore ottiene dei suoni muovendo le pagine di un libro), degli
altoparlanti (montati dentro un megafono e dentro le sordine della tromba e del
trombone), una barriera luminosa (con due fotocellule collegate ad un generatore
di onde sinusoidali e onde quadre), un giradischi (che ha, al posto della
puntina, diversi materiali di bassa fedeltà, e che suggerisce a Kagel uno
scenario fantascientifico: "Esseri atterrati sulla terra da una stella
lontana, che venti sfavorevoli hanno sospinto in una città industriale.
Chiaramente provvisti di udito cercano la dimensione acustica che gli permetta
di riconoscere l'enigmatico ambiente. Si imbattono in oggetti neri, che gli
indigeni chiamano dischi, e che essi - con attenta osservazione del risultato -
azionano con un temperino, una spazzola di ferro o un imbuto di plastica").
Il risultato è un universo sonoro dove non solo decade ogni distinzione tra
suono e rumore, ma dove anche la tecnologia è ridotta a misura d'uomo, dove
anche le attrezzature elettroniche vengono utilizzate e maneggiate con la stessa
innocente operosità con la quale si può aprire e chiudere una porta.
Nella fase seguente del suo iter creativo Kagel lavora ancora con materiali
eterogenei, spesso extramusicali, ma mira ad una sostanziale semplificazione
della forma, ricorrendo ad una tecnica di montaggio simile a quella
cinematografica. Tra i materiali usati cominciano a comparire materiali noti,
che Kagel attinge da tradizioni musicali preesistenti e diffuse, e la scrittura
seriale lascia il posto ad un recupero della tonalità (che Kagel considera
semplicemente come una diversa intepretazione della serie dei dodici suoni;
così come la atonalità non è la negazione della tonalità, ma una
possibilità di organizzarla e interpretarla in modo diverso). Utilizzando i
modelli storici che hanno caratterizzato le nostre abitudini di ascolto, Kagel
mira a attivare la percezione attraverso il meccanismo della reminiscenza, e a
riflettere sulle mutate modalità dell'ascolto musicale attraverso una vera e
propria reinterpretazione del passato ("c'è un modo sempre diverso di
accostarsi alla musica del passato; cambiano le nostre esigenze e muta di
conseguenza la nostra prospettiva. Le opere del passato non se ne stanno lì
immobili ma ci parlano di volta in volta un linguaggio diverso"). Questa
reinterpretazione appare evidente nel film Ludwig van (1969-1970) e in una serie
di successive composizioni dedicate a grandi compositori del passato: Brahms e
Händel nelle Variationen ohne Fuge... (1971-1972) per grande orchestra, che
prevede anche l'impiego di due attori in costume (un ruolo parlato per Brahms e
un ruolo muto per Händel); Liszt in Unguis incarnatus est (1972) per pianoforte
e un secondo strumento a scelta (tra fagotto, clarinetto basso, violoncello,
contrabbasso e organo); Stravinskij in Fürst Igor (1982); Bach in
Sankt-Bach-Passion (1985), che è il racconto musicale della vita laboriosa e
sofferta del compositore di Eisenach. È invece la tradizione stessa del
melodramma, con i suoi meccanismi, le sue illusioni, i suoi personaggi, la sua
fruizione ad essere reinterpretata in Staatstheater (1967-1970), a diventare
l'oggetto della rappresentazione. In questa composizione scenica che rappresenta
il culmine di tutte le sperimentazioni teatrali degli anni Sessanta, Kagel vede
non "la negazione dell'opera, ma dell'intera tradizione del teatro
musicale", un teatro che si interroga in maniera critica sulle sue stesse
strutture. Attraverso il processo di stilizzazione dei caratteri tipici
dell'opera, la partitura si presenta come un variegato mosaico di elementi di
natura puramente acustica, ottico-acustica o purtamente ottica, riuniti in nove
gruppi che costuituiscono le nove parti dell'opera. A Staatstheater seguono
molti altri lavori per il teatro nei quali al gusto ludico e allusivo si unisce
un legame sempre più stretto tra la dimensione scenica (ricavata da diverse
forme di spettacolo) e quella musicale: ciò che interessa Kagel è in effetti
verificare come alcune forme possano essere trasferite, senza snaturarsi, da un
mezzo all'altro, in modo che la rappresentazione possa assumere una struttura
musicale e la musica una struttura drammatica. Vedono così la luce Zählen und
Erzählen (1976); Présentation für zwei (1976-1977); Die Erschöpfung der Welt
(1976-1978), una specie di oratorio scenico per sei cantanti solisti, una voce
recitante, sei attori, una serie di mimi, un teatro di marionette, due cori e
orchestra; Variété (1976-1977), concerto spettacolo per artisti del varietà e
musicisti; Umzug (1977) rappresentazione muta per macchinisti teatrali e
operatori scenici; Die Rhythmusmaschinen (1977-1978) azione per dieci ginnasti,
generatori di ritmo e percussioni.
L'ambivalente rapporto con la tradizione e le convenzioni del passato, il gusto
per la retrospettiva, l'uso di materiali citati, il principio compositivo del
montaggio tonale, l'arte del ritaglio e del collage trovano un'altra compiuta
sintesi in Aus Deutschland (1977-1980): "Lieder-Oper" nella quale
vengono smontate e rimontate in una complessa rete di relazioni una serie di
composizioni per voce e pianoforte tratte dal repertorio liederistico romantico.
Oltre a ricercare una concreta interazione tra i due generi del Lied e del
melodramma, Kagel tenta di estrarre la teatralità latente nella forma del Lied,
in modo che da uno svolgimento statico per eccellenza possa prendere forma un
organismo teatrale dinamico, che si propone anche come una riflessione sui topoi
del Romanticismo tedesco. Materiali e forme della tradizione occidentale (colta
e non colta) appaiono sempre più frequentemente nelle composizioni degli anni
Ottanta. Kagel esamina il passato e lo reinterpreta, creando strutture musicali
ambigue a partire da dettagli chiari, da modelli noti che vengono collocati in
contesti inabituali, o inseriti in processi musicali che creano aspettative
sistematicamente frustrate da un sapiente gioco di illusioni sonore. Questi
meccanismi compositivi si traducono in una straordinaria varietà di soluzioni
stilistiche, evidenti in tutta la produzione recente di Kagel dalla serie di
pezzi che costituiscono Rrrrrrr... (1982), accomunati solo dal fatto di iniziare
tutti con una r (Rheinländer, Rhapsodie, Réjouissance, Requiem, ecc.), fino a
Eine Brise (1996), un'azione sportiva affidata a 111 ciclisti. E gli stessi
meccanismi si possono rintracciare nelle opere cinematografiche e nelle altre
composizioni che fanno ricorso alla tecnologia audiovisiva, ma anche nelle opere
radiofoniche, dove Kagel riesce a veicolare immagini concrete e situazioni
intimamente teatrali attraverso una dimensione puramente acustica. Lo dimostrano
i numerosi Hörstücke a partire da Ein Aufnahmezustand (1969), da Guten Morgen
(1971) e da Probe (1971), esperimento per un collettivo improvvisato affidato al
pubblico; attraverso lavori come Der Tribun (1978-1979) per un oratore politico,
musiche di marcia e altoparlanti, Der mündliche Verrat (1981-1983), un'epopea
musicale sul diavolo (così come ce lo trasmettono le leggende, i racconti, le
favole, i proverbi, le formule magiche e le vecchie canzoni popolari), ... nach
einer Lektüre von Orwell (1984). Fino a Nah und Fern (1993-1994), Radiostück
per campane e trombe nel quale non viene utilizzata la voce e i due elementi
musicali (un quartetto di trombe, e le campane della Cattedrale di Utrecht)
vengono combinati con una serie di suoni concreti, sviluppati su un tracciato
ritmico comune (passi che salgono scale interminabili, battelli che passano
lungo il canale, rumori d'acqua, sirene d'ambulanza, l'abbaiare di cani, la
stessa meccanica della suoneria delle campane). Il risultato è una continua
compenetrazione di piani sonori che crea l'illusione di una moltitudine di spazi
e modifica in continuazione la prospettiva acustica, determinando anche alcuni
stranianti effetti di suono in movimento. Kagel ha cercato di rendere il senso
del vicino e del lontano "come se fosse effettivamente possibile dilatare e
comprimere lo spazio e il tempo attraverso degli eventi sonori". Dando
così vita ad una specie di surrealismo naturalista, che permette di costruire
una realtà artificiale, virtuale, con ingredienti di quella vera.
La locandina