Lo stato d'animo di Busoni è invece tutt'altro che sereno, per le ben note ragioni (esilio, desiderio impellente di tornare al lavoro, luogo che non gli è congeniale...): il nervosismo che caratterizzava i primissimi giorni, dopo quasi due settimane di permanenza e nonostante l'arrivo di Boccioni, aumenta. È sempre Serato che subisce gli sfoghi epistolari dell'inquieto musicista:
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Fuori fa un temporale biblico. Con questo
tempo l'isolazione è completa. Davanti
agli occhi sto benedetto lago inesorabile,
inflessibile con sempre quelle stesse
colline e quei medesimi seni e golfi e
l'eterno vaporetto che va su e giù... io
non ci resisto a lungo; tanto meno, che
non ho preso con me da che lavorare. E
più fuori ancora la guerra, e la guerra,
senza scopo e senza risultato, fuorché
quello di farmi nella più inconveniente
situazione! [...]
Durante i momenti conviviali, su quali argomenti vertevano le discussioni? Nella lettera di metà luglio Boccioni scrive al Maestro:

Ora che i quadretti sono da me sento la
nostalgia dei giorni passati, delle
discussioni del fervore che lei Maestro
ispirava a tutti. Sono tornato a san
Remigio: i Marchesi sono sempre gentili e
parlano di lei con ammirazione
commossa. Abbiamo sempre parlato di
lei e il buon Marchese parlava
liberamente pensando che lei non era
più là a pungere a aprire il fuoco di fila
d'una discussione inesorabile sui valori
estetici...
Quindi i problemi che venivano sollevati erano soprattutto di ordine estetico. Busoni sommamente esperto in materia, apriva e guidava le discussioni, con tale «fervore» (ma forse Boccioni usa un eufemismo) da intimorire «il buon Marchese» (che infatti riuscì a parlare liberamente solo dopo la partenza del Maestro). Ciò non stupisce affatto: si sa che Busoni, conversatore brillante e appassionato, poteva diventare aggressivo se non condivideva le idee dei suoi interlocutori e sarcastico fino all'offese se giudicava deboli le argomentazioni. Scoppiava spesso in fragorose risate, «battendosi le cosce, agitandosi in curiose contorsioni del corpo e scoccando lampi d'ira dagli occhi...»
È probabile che vi siano stati diverbi di natura estetica con il Marchese (che, per esempio, era un fervente ammiratore di Wagner, mentre Busoni lo detestava ). E anche con Boccioni i motivi di attrito non mancavano di certo, come si vedrà. Anche il pittore era un acuto e lucido propugnatore e difensore delle sue idee, con un grande potere di persuasione: «Ho acquistata una forza persuasiva enorme! Convinco chiunque, chi non la pensa come me è un idiota, ne sono certo...» scrisse nel 1913 a V. Baer. Educato nella scuola dell'esagitato e logorroico Marinetti, era da anni abituato a risse non soltanto verbali... Palazzeschi lo definiva «vulcanico ed esplosivo» per l'energia che sprigionava; Russolo era impressionato dal «corso rapido, vivace, inquieto, tormentato, genialissimo del suo cervello in continuo ribollimento». Ma di fronte alle irruenze verbali dell'amico musicista e alla sua «terribile e ironica risata» era costretto a soccombere, come si deduce chiaramente dalla seguente testimonianza (ancora tratta dalla lettera di metà luglio): «Lei ci terrorizzava un po' tutti, però erano giorni per me, che rimangono come una cosa straordinaria, come un'oasi...»
Busoni stesso si rese conto di avere esagerato e, dopo il rientro in Svizzera, scrisse una lettera di scuse al Marchese: [93]

Purtroppo io solo temo di essermi reso
antipatico e lo deploro tanto più in
quanto tutto ciò che dico (e che penso) è
dettato da intenzioni leali; tanto da
assumere talvolta delle forme burbere.
Se tale fu il caso Le domando perdono
della forma e forse di qualche
esagerazione, senza che io smentisca le
mie opinioni.

Si tratta forse, come detto, delle opinioni negative sulla musica e sull'estetica di Wagner.
Da Laureto Rodoni, Caro e terribile amico, pubblicato in questo sito. Sui probabili attriti col pittore si vedano le righe seguenti nel saggio citato.