ANTHONY BEAUMONT

Busoni the Composer

TRADUZIONE DI GIUSEPPE MARIOTTI

Quando Edward Dent pubblicò nel 1933 la sua eccellente biografia di Busoni, non fece alcun tentativo di analizzare in dettaglio alcuna opera del compositore, spiegando questo col fatto che «ciò avrebbe richiesto un secondo volume ... con numerosi esempi musicali e scritto in stile tecnico». Questo mio libro fu all'inizio concepito come l'esatto adempimento di quella funzione - e, in larga misura, è rimasto così. Nel 1970, pianificatone la forma generale e le dimensioni, iniziai il lavoro consultando innumerevoli manoscritti, ritagli di giornali e altro materiale inedito a Berlino, Cambridge, Washington, Winterthur, Zurigo, etc.
Gli interessi letterari di Busoni sono stati per me di particolare rilievo.
Attraverso i riferimenti ai libri menzionati nelle sue lettere e nei suoi diari, o attraverso il materiale che servì fonte ai suoi innumerevoli libretti si giunge gradualmente a comprendere l'importanza che il mondo letterario giocò nelle sue composizioni. Si viene così a scoprire che molte sue opere, perfino quelle strumentali, furono direttamente ispirate da quello che lesse. Naturalmente questo fatto ha spesso gettato nuova luce sulla sua musica. Qui mi sono trovato in disaccordo con la concezione
iniziale del Dent e ho iniziato a esaminare le partiture non solo sotto l'aspetto tecnico, ma anche sotto quello letterario e psicologico. Questo tipo di analisi è qualche volta soggettivo e non mi sento di dichiarare, come potrebbe il Dent, che ogni affermazione di questo libro è «relativa alla chiara evidenza». Ma dalla sola «chiara evidenza» emerge un ritratto di Busoni compositore più completo di quello che dati tecnici possono offrire.
Poiché Busoni non è ancora ben conosciuto come compositore, ci è sembrato indispensabile provvedere a una essenziale introduzione alle opere della maturità. Questo libro offre quindi più un profilo dell'anatomia della musica che una analisi scrupolosa, un orientamento, ma nulla che pretenda di essere l'ultima parola. Questo profilo è integrato da una grande quantità di informazioni concrete: sono forniti, se conosciuti, i dettagli delle prime esecuzioni e dei luoghi dove i manoscritti sono conservati, oltre alla durata (approssimativa) di ogni pezzo. Si è incluso un catalogo completo delle opere di Busoni: dei 314 pezzi elencati ho discusso solo gli ultimi cinquantadue. Confido sentitamente nel fatto che un giorno un pubblico con una migliore conoscenza di Busoni creerà la richiesta per un libro sui rimanenti.
Per ragioni di omogeneità ho realizzato personalmente le traduzioni dal tedesco, francese e italiano anche quando ne esistevano altre. Le traduzioni effettuate da altri sono riconosciute nelle note a piè pagina quando e dove queste ricorrono.
Nella lettera a Paul Bekker sulla Giovane Classicità (citata a pag. ...) Busoni fa un'affermazione che richiede un'analisi più attenta: «Quest'arte dovrebbe essere basata sul ... distacco definitivo dal tematismo [Thematisches]». Si riferiva a quel logico sviluppo di piccoli motivi che si associano alle strutture di forma sonata da Mozart a Brahms (e oltre), e invocò il suo «distacco definitivo» perchè si rese conto che era diventato un vicolo cieco. I suoi modi di sviluppare i temi sono complessi: si accosta al problema della coerenza musicale come un giocatore di scacchi.
In ogni fase calcola accuratamente la situazione del gioco, considera le possibilità e alla fine fa la mossa successiva. Molti compositori, naturalmente, pensano allo stesso modo, ma affidano le loro valutazioni intermedie alla carta (si veda, per esempio, il conciso sviluppo motivico dei quartetti op. 51 di Brahms). Busoni, all'opposto, ci mostra per così dire la mossa completa. Generalmente adopera melodie abbastanza sviluppate (qualche volta molto lunghe) piuttosto che motivi e spesso la sua musica sembra al primo ascolto mancare d'organizzazione, dato che sono assenti i procedimenti dello sviluppo a cui siamo abituati. Una maggiore dimestichezza ne rivela tuttavia le grandi qualità. Vengono alla luce ingegnose trasformazioni dei temi alla maniera di Liszt e un gran numero di nuove tecniche, intuitivamente escogitate dal materiale a portata di mano.
Una volta che questo è diventato chiaro, si comincia a percepire la forza delle sue forme.
Troviamo un altro punto di contatto con Liszt nella tendenza di Busoni a usare temi di altri compositori. Questo si manifesta involontariamente nelle sue due fantasie su temi d'opera degli anni attorno al 1880, ma dal Concerto per pianoforte in poi le sue abitudini divengono più individuali, il materiale più eclettico. Egli ricerca in particolare melodie che si si possono definire di dominio pubblico: canti gregoriani o di sinagoga, canzoni popolari, corali luterali (nella maggior parte dei quali si possono rintracciare le origini popolari) o temi orientali (che sono vagati per la storia quanto i loro popoli). Quando usa questo materiale, e ve n'è un'enorme quantita nella sua musica, egli ricerca la voce della Natura; dirige l'attenzione verso l'eternità della melodia (una riaffermazione dell'onnipresenza del Tempo) e indica la sua fiducia in una musica universale. L'uso selettivo di materiale fatto proprio è anche una caratteristica della musica di Mahler, ma è interessante notare quanto entrambi i compositori, servendosi di fonti abbbastanza differenti per i loro materiali, creino i propri mondi sonori con tanta sicurezza quanto quei compositori che si basano interamente sulle loro proprie risorse.Un sentimento di questa universalità, all'inizio istintivo, portò Busoni alla sua attività di trascrittore, di nuovo alla pari di Liszt. Le sue prime trascrizioni, arrangiamenti di opere per organo di Bach, risalgono agli ultimi anni del decennio del 1880. Quasi all'istante il loro stile inizia a influenzare le sue composizioni e opera cambi radicali nella sua scrittura pianistica. La scrittura dei suoi arrangiamenti di Bach porta alle ricche sonorità della seconda Sonata per violino e della Fantasia da J. S. Bach. Lo stile divenne poi più parsimonioso, si allontanò dalla ricca strumentazione brahmsiana verso un suono più scarno e nitido.
Questa fu una delle maggiori rivelazioni delle Elegie, la cui tavolozza tonale aggiunse alle tecniche che aveva già perfezionato sordi tremoli, chiazze di delicati colori e opposti paradossi di armoniose dissonanze e stridenti consonanze. La gamma di colori di un breve pezzo come «All'Italia!» e la rapidità con cui essi cambiano erano una novità: i nuovi suoni di Busoni incoraggiavano inevitabilmente il paragone con Debussy, e il fatto che i due compositori tanto dovevano a Liszt servì solo a confondere la questione. La situazione della sua arte elegiaca viene dimostrata in modo eclatante dal confronto tra il Klavierstück Op. 11 n. 2 di Schoenberg e la trascrizione da concerto di Busoni. La scrittura dura e senza garbo dell'originale viene ammorbidita e raffinata; le dissonanze che Schoenberg aveva proclamato con tanta convinzione sono abbellite e, come molti direbbero, banalizzate. Senza dubbio la versione di Busoni deodora la musica, ma dà rilievo alla sua abilità di assoggettare ogni musica alla sua volontà.
Nella «Nuit de Noël», nella «Berceuse» per pianoforte e in «An die Jugend» iniziò a mostrare la propria individualità e raggiunse l'apice della sua padronanza tecnica. La «Sonatina seconda», ricca di nuove e aspre armonie, e ritmi liberi, divenne il capolavoro tra le opere per pianoforte anche se, nonostante tutte queste novità, l'ombra di Liszt grava distintamente su di essa. Una delle prime caratteristiche del suo periodo di Giovane Classicità fu quella di voltare le spalle al virtuosismo.
Tuttavia, pure se la quarta e la quinta Sonatina sono molto meno esigenti in fatto di virtuosismo della maggior parte della sua musica per pianoforte, il «Diario Indiano» e la «Fantasia super Carmen» conservano un elemento di bravura, mentre la «Toccata» mostra ancora un notevole spirito combattivo in lui. È un'opera di immensa forza e energia, autoritaria e aspra. Queste qualità sono presenti, in misura più o meno grande, in tutte le altre opere tarde per pianoforte: le «Variazioni su un Preludio di Chopin», nonostante il loro deliberato charme e buon umore, possiedono la medesima spinta furiosa; il «Prélude et étude» ricorda il mondo occulto della «Sonatina seconda» ma condivide con la «Toccata» l'impaziente impeto; negli «Albumblätter» rievoca il mondo delicato delle Elegie, ma con nuova concisione, mentre il «Perpetuum mobile» e il poco noto «Sudio sui Trilli» (l'ultima opera per pianoforte di Busoni) sono scintillanti e diaboliche invenzioni.
Sebbene le sue qualità come strumentista furono interamente dedicate alla tastiera, Busoni acquisì pure una notevole capacità di approfondimento per l'orchestra. Da bambino apprese i rudimenti del violino (e apprese a sufficenza per scrivere idiomaticamente per gli archi) e il padre gli trasmise una conoscenza pratica degli strumenti a fiato. La base tecnica delle partiture di Busoni risiede in una scrittura chiara, ordinata e assolutamente padrona della tecnica. Suoi mentori furono dapprima Mozart e Rossini, da cui apprese la necessità di concentrarsi sull'essenziale.
Grazie a loro (e prima anche a Brahms) la sua orchestra è di solito piccola: solo poche opere richiedono tripli fiati, nessuna più di cinque corni, e perfino il «Doktor Faust», la sua partitura più sfarzosa, risulta modesta se paragonata agli standard del tempo. La sua grande abilità orchestrale è chiaramente influenzata da Berlioz (specialmente in «Turandot»,
«Die Brautwahl» e «Sarabande und Cortège»), e come Berlioz imparò a pensare in modo orchestrale.
Le sue partiture non suonano mai come musica per pianoforte orchestrata.
Nei suoi anni giovanili scrisse molto poco per orchestra: un'ouverture iniziata nel 1876 rimase incompiuta e il mottetto (op. 55) «Gott erbarme sich unser» (1880) sembra essere il primo pezzo completo per un organico più grande. Con relativa poca esperienza come orchestratore presentò quindi il suo «Konzertstück» al Concorso Rubinstein del 1890 e, a conti fatti, fu un grande successo. La partitura è pulita, anche se non particolarmente piena di fantasia (cosa che si può dire anche dei lavori successivi, il «Sinfonisches Tongedicht» op. 32a e la Geharnischte Suite op. 34a). Il Concerto per violino si colloca a un livello più alto mentre «Eine Lustspielouvertüre», scritta pochi mesi più tardi, ricorda tanto Mendelssohn quanto Mozart e rappresenta un tentativo consapevole di uscire dal mondo sonoro brahmsiano. Seguì quindi una pausa di circa sei anni, un periodo in cui Busoni venne a contatto con le partiture più recenti di Strauss, Mahler, Debussy, Elgar e altri. Giunse quindi il Concerto per pianoforte, con molti e originali effetti, di cui solamente pochi mal calcolati. Dispiega una grande orchestra con sicurezza e autorità. La Turandot-Suite, scritta un anno più tardi, è di impostazione più semplice e più sagace nell'uso di risorse convenzionali.
Per altri quattro anni Busoni non scrisse altra musica per orchestra. Quando, nella primavera del 1909, iniziò il lavoro alla partitura de «Die Brautwahl» il suo stile orchestrale era ancora analogo a quello del Concerto per pianoforte. La vera opera di rottura venne nell'ottobre dello stesso anno con la composizione della «Berceuse élégiaque». Qui scoprì come ridurre il suo complesso strumentale al minimo indispensabile, facendo a meno di fagotti, trombe e tromboni e utilizzando solamente trentotto strumenti: l'arpa suona solo armonici, la celesta triadi con un unico semplice ritmo, gli archi con sordina per tutto il brano; solo i fiati godono di maggior libertà, ma assolutamente senza virtuosismi; vengono evitati i registri più acuti e l'unico strumento a percussione (un gong) suona solo quattro sommesse note.
I medesimi precetti di parsimonia e intimità si notano nel «Nocturne symphonique», nel «Gesang vom Reigen der Geister» e nella «Sarabande», mentre in altre opere per orchestra nel periodo dal 1912 al 1919 (nell'«Indianische Fantasie», nel «Rondò arecchinesco», nel Concertino per clarinetto e nel «Cortège») essi sono combinati con modi di scrivere più convenzionali. Quando «Die Brautwahl» fu eseguita per la prima volta nel 1912 dimostrò di essere un embarras de richesse orchestrale, con elementi del nuovo stile elegiaco che adornano la partitura nei suoi momenti più mistici.
Nel «Doktor Faust» si combinano le raffinatezze della maturità con gli effetti drammatici del Concerto per pianoforte e de «Die Brautwahl», insieme con una certa caratteristica «gotica». Alcune orchestrazioni sono riportate tale e quali dai lavori scritti come studi per l'opera (per esempio, dal «Nocturne symphonique» o dal «Tanzwalzer»), mentre altri confronti interessanti possono essere tra gli studi per il «Faust» scritti per il pianoforte e la loro orchestrazione nell'opera («Sonatina seconda», «Toccata»).
Un altro elemento sonoro, il coro invisibile, che era stato utilizzato in modo abbastanza superfluo in «Die Brautwahl», acquista un ruolo rilevante che intensifica l'atmosfera magica della partitura.
Può sembrare curioso il fatto che dopo il 1898 Busoni non scrisse musica da camera degna di nota, e nessun Lied tra il 1886 e il 1918. In entrambi i casi ciò è dovuto al processo di emancipazione dal suo background lipsiense: quelle forme gli evocavano dei mondi di rispettabilità borghese in cui non si riconosceva per nulla, e le ombre di Schumann, Brahms e Wolf apparivano troppo vaste. Se i Lieder si testi di Goethe, scritti tra il 1918 e il 1924, rispecchiano una certa riconciliazione con quel mondo, lo si deve al fatto che altri compositori avevano nel frattempo dimostrato (specialmente al di fuori della Germania) che il Lied era in grado di sopravvivere anche nel ventesimo secolo. Con Lieder come il «Lied des Unmuts» o il «Zigeunerlieder» Busoni raggiunse esiti non convenzionale e orientati al futuro.

Non è stato facile stabilire il punto in cui dovesse iniziare questo mio studio dello sviluppo creativo di Busoni. Egli disse nel 1905 «La mia esistenza di compositore inizia solamente con la (seconda) Sonata per violino», ma tre anni più tardi si rese conto che aveva trovato la sua piena personalità «finalmente e per la prima volta nelle «Elegie». Perfino quattro anni più tardi notò, scrivendo della «Berceuse élégiaque», che «in questo pezzo... sono riuscito per la prima volta a creare un suono personale», e quando Hugo Leichtentritt fu incaricato di preparare una breve biografia per celebrare il cinquantesimo compleanno del compositore, a Busoni non piacque ogni menzione dei suoi anni formativi: «Le mie opere giovanili sul vostro scrittoio. Arrossisco!» Se si ignorasse ogni cosa prima delle Elegie o della seconda Sonata per violino, il quadro sarebbe molto meno che completo; se si risalisse ai primissimi inizi, sarebbe sovraccarico di tentativi giovanili. La maggior parte delle opere giovanili sono inoltre inedite e perfino quelle che furono stampate sono in genere quasi inaccessibili. Si può fare un'analogia con Mozart: sarebbe di scarsa utilità scrivere delle prime ventiquattro sinfonie se il mondo conoscesse ancora a malapena le ultime tre; un'analisi, anche se brillante, dell'«Oca del Cairo» sarebbe di scarso valore se poi si mancasse di far onore al Don Giovanni. Per questa ragione ho deciso di iniziare in media res, non con la seconda Sonata per violino ma con le tre opere che la precedono, tutte eseguite nei concerti retrospettivi che Busoni diresse nel 1921.
Un'ulteriore decisione, presa con una certa riluttanza, è stata quella di non dilungarsi sulle numerose trascrizioni, edizioni critiche e cadenze che Busoni pubblicò. Nè sembra possibile toccare in modo poco più che fuggevole la sua lunga e brillante carriera come pianista o il suo sviluppo come direttore d'orchestra, dagli inizi inesperti ma intraprendenti a un considerevole livello di padronanza ed eloquenza. In questi e in altri campi c'è ancora molto da scrivere.