PAUL VERLAINE POESIE I |
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da PRIMI VERSI La morte a Victor Hugo. Come un mietitore la cui falce cieca abbatte il fiordaliso e insieme il duro cardo, come piombo crudele che nella corsa brilla, sibila e inesorabile fende l'aria a colpirvi; così l'orrenda morte si mostra sopra un drago, passando tra gli umani come un tuono, rovesciando, folgorando ogni cosa che incontri impugnando una falce tra le livide mani. Ricco, vecchio, giovane, povero, al suo lugubre impero tutti obbediscono; nel cuore dei mortali il mostro affonda, ahimè!, unghie di vampiro! e sui bambini infierisce come sui criminali: aquila fiera e serena, quando dall'alto dei tuoi cieli vedi planare sull'universo quell'avvoltoio nero non insorge il disprezzo (più che collera, vero?), o magnanimo genio, nel tuo cuore? Ma, pur sdegnando la morte e i suoi allarmi, Hugo, tu sai appenarti per i poveri vinti; tu sai, quando bisogna, qualche lacrima spargere, qualche lacrima d'amore per chi non vive più. [1858.] Aspirazione Ali! Ali! (RÜCKERT.) Questa valle è triste e grigia: una fredda nebbia la opprime; come fronte di vecchio l'orizzonte è rugoso; uccello, gazzella, prestatemi il vostro volo; lampo, portami via! in fretta, presto, verso i prati del cielo dove la primavera regna e ci invita alla festa eterna, allo splendido concerto che sempre vibra, la cui eco lontana turba la fibra del mio cuore ansimante. Là, sotto gli occhi di Dio benedicente, raggiano strani fiori, là sono alberi in cui come nido gorgheggiano migliaia d'angeli; là ogni suono sognato, là ogni splendore inaccessibile formano, in un imene miracoloso, cori inenarrabili! là, vascelli innumerevoli dai cordami di fuoco fendono le onde di un lago di diamante dove sono dipinti il cielo blu e i mondi; là, nell'aria incantata, volteggiano odori ammalianti, inebriando insieme il cervello e i cuori con le loro carezze. E vergini dalla carne fosforescente, dagli occhi la cui orbita austera racchiude la siderale immensità dei cieli e del mistero, baciano castamente, come si addice ai defunti, il santo poeta che scorge un turbinìo di legioni di spiriti sulla sua testa. L'anima, in questo Eden, beve a lunghi sorsi l'ideale, torrente splendido che scende da alti luoghi e svolge il suo cristallo senza una ruga. Ah! per trasportarmi in quel settimo cielo, me, povero diavolo, me, fragile figlio di Adamo, cuore tutto materia, lontano dalla terra, da questo mondo impuro dove ogni giorno il fatto distrugge il sogno, dove l'oro rimpiazza tutto, la bellezza, l'arte, l'amore, dove non si solleva alcuna gloria un poco pura senza che i fischiatori la deflorino, dove gli artisti per disarmare i denigratori si disonorano, lontano da questa galera dove, tranne il debosciato che se la dorme, tutti sono infami, lontano da tutto ciò che vive, lontano dagli uomini e ancor più dalle donne, aquila, al sognatore ardito, per alzarlo dal suolo, apri la tua ala! Lampo, portami via! Uccello, gazzella, prestatemi il vostro volo! 10 maggio 1861. Inezie Degnate sopportare che alle vostre ginocchia, Signora, il mio povero cuore dichiari la sua fiamma. Vi adoro quanto Dio, anzi di più, e niente mai spegnerà questo bel fuoco. Il vostro sguardo, profondo e pieno d'ombra, mi fa felice se splende, e se no, triste. Quando passate, bacio la terra, e voi tenete il mio cuore nella vostra mano. Sola, nel suo nido, piange la tortorella. Stanco, io sono solo e come lei piango. L'alba al mattino resuscita i fiori, e vedervi placa ogni dolore. Se scomparite, più non crescono i fiori e, voi lontana, domina la tristezza. Se apparite, la verzura e i fiori nei prati, nei boschi, dispiegano i loro colori. Se voi voleste, Signora e mia diletta, se tu volessi, sotto le verdi fronde, andarcene a braccetto, Dio! che baci! e che discorsi folli! E invece no! Sempre fate l'arcigna, e intanto io brucio e m'inaridisco, e il desiderio m'incalza e mi morde, perché io vi amo, Signora Morte! 21 luglio 1861. Gli dei Vinti ma non domati, esiliati ma vivi, e malgrado gli editti dell'Uomo e le sue minacce, non hanno certo abdicato, serrate le mani tenaci su tronconi di scettro, e corrono nei venti. Le nuvole veloci dai mobili capricci sono la polvere ai piedi di questi spettri rapaci e la folgore urlante attraverso gli spazi è solo un'eco lontana dei loro duri olifanti. A loro volta suonano la rivolta contro l'Uomo, il loro vincitore stupefatto e malridotto dopo una tale lotta con simili nemici. Dal Corano, dai Veda e dal Deuteronomio, da ogni dogma, pieni di rabbia, tutti gli dèi sono usciti in guerra: All'erta! e occhi aperti. A Don Chisciotte Don Chisciotte, vecchio paladino, gran vagabondo, invano la folla assurda e vile ride di te: la tua morte fu un martirio e la tua vita un poema, e i mulini a vento avevano torto, mio re! Va', non fermarti, va', protetto dalla tua fede, sul tuo destriero fantastico che io amo, va', spigolatore sublime! - gli oblii della legge sono più numerosi, più grandi, di un tempo. Hurrah! noi ti seguiamo, noi, i poeti santi, dai capelli cinti di follia e di verbena. Guidaci all'assalto delle grandi fantasie, e presto, nonostante i tradimenti, sventolerà l'alato stendardo delle Poesie sul cranio canuto dell'inetta ragione! Marzo 1861. Una sera d'ottobre L'autunno e il sole al tramonto! Sono felice! Sangue sopra marciume! L'incendio allo zenith! La morte nella natura! L'acqua stagnante, l'uomo febbrile! Oh! è questa la tua ora e la tua stagione, poeta dal cuore vuoto d'illusioni, rosicchiato dai denti di topo delle passioni, che bello specchio, e che festa! Altri, pedanti, sciocchi o pazzi, ammirino la primavera e l'alba, le due verginelle, più rosee delle loro vesti; io amo te, aspro autunno, ti preferisco a tutti i visini innocenti, angelici, cortigiana crudele dalle pupille strane. 10 ottobre 1862. L'Apollo di Pont-Audemer Che fusto! diciott'anni: grandi braccia; mani da strapparvi la testa dalle spalle; su una fronte bassa e dura, capelli rossi, corti. Poi, perbacco, a ballare ci sa proprio fare! Crescono fitti i figli a quelle che raggira, nella sua pubertà fiera e selvaggia il bel ragazzo va, come un re nella porpora che sa la propria parte e parla con voce austera, e avanza a grandi passi. Più tardi, che il destino lo risparmi o lo colpisca, lo si vedrà, buon vecchio, barba bianca, occhio opaco, spegnersi dolcemente come un giorno alla fine, oppure, umile eroe, martire del dovere, rotolare sul fondo di un'oscura trincea o di un fossato, il cranio aperto da una scheggia di granata. 9 settembre 1864. Versi aurei L'arte non vuole lacrime e non transige, ecco in due parole la mia poetica: è fatta di grande disprezzo per l'uomo e di lotte contro l'amore stridulo e la stupida noia. So che bisogna penare per ascender la vetta e la salita è ripida a guardarla dal basso. Lo so, e so anche che molti poeti hanno spalle troppo strette o polmoni fiacchi. Così sono grandi coloro che, a dispetto dell'invidia, avendo vinto la vita nell'aspra battaglia ed ormai liberi dal giogo delle passioni, mentre come un albero vegeta il sognatore e si agitano - lamentoso ammasso - le nazioni, si raccolgono in un egoismo di marmo. [1866.] da POESIE SATURNINE I Saggi d'altri tempi... I Saggi d'altri tempi, che valevano quelli di oggi, credettero, e la questione ancora è poco chiara, di leggere nel cielo le buone sorti e i disastri e che ogni anima fosse legata a un astro. (Si è riso molto di questa spiegazione del mistero notturno, senza pensare che il riso è spesso ridicolo oltre che ingannevole.) Ora, i nati sotto il segno di SATURNO, fulvo pianeta, caro ai negromanti, hanno tra tutti, secondo le antiche formule, una buona dose di sventura e di bile. Inquieta e debole, l'Immaginazione in loro rende vano lo sforzo della Ragione. Sottile come veleno, ardente come lava, e raro, il sangue cola e circola nelle loro vene riducendo in cenere il loro triste Ideale. Così devon soffrire i Saturnini, così morire - ammesso che noi siamo mortali - poiché il corso della loro vita è disegnato, linea per linea, dalla logica di un Influsso maligno. P.V. MELANCHOLIA IIº Incubo |
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Vº Canzone d'autunno I singhiozzi lunghi dei violini d'autunno mi feriscono il cuore con languore monotono. Ansimante e smorto, quando l'ora rintocca, io mi ricordo dei giorni antichi e piango; e me ne vado nel vento ostile che mi trascina di qua e di là come la foglia morta. VIº L'ora del pastore La luna è rossa sul brumoso orizzonte; nella nebbia che danza la prateria s'addormenta fumosa, e la rana grida tra i verdi giunchi che un brivido attraversa; i fiori d'acqua chiudono le corolle; in lontananza, dritti e serrati, alcuni pioppi allineano i loro incerti spettri; intorno ai cespugli vagano le lucciole; si svegliano i gufi e silenziosi nell'aria nera remano con le ali pesanti, e lo zenith si riempie di sordi bagliori. Bianca, Venere emerge, ed è la Notte. VIIº L'usignolo Come volo strepitante di uccelli eccitati, tutti i miei ricordi s'abbattono su di me, s'abbattono nel giallo fogliame del mio cuore che contempla il suo ricurvo tronco d'ontano nello stagno viola dell'acqua dei Rimpianti che lì vicino scorre malinconica, s'abbattono, e poi il frastuono malvagio che un'umida brezza salendo placa, a poco a poco nell'albero si spegne e in un istante non si sente più nulla, più nulla tranne la voce che celebra l'Assente, più nulla tranne la voce - languida! - dell'uccello che fu il mio Primo Amore, che ancora canta come il primo giorno; e nel triste splendore di una luna che s'innalza pallida e solenne, una notte d'estate malinconica e greve, piena di silenzio e di oscurità, culla sull'azzurro che un dolce vento sfiora l'albero che freme e l'uccello che piange. CAPRICCI a Henry Winter. Iº Donna e gatta Lei giocava con la sua gatta, e quale meraviglia era vedere la mano bianca e la bianca zampa trastullarsi nell'ombra della sera. Lei nascondeva - scellerata! - sotto i guanti di filo nero le unghie d'agata assassine, taglienti e chiare come un rasoio. Anche l'altra faceva la sdolcinata e ritraeva gli artigli acuminati, ma il diavolo non ci perdeva nulla... E nel boudoir dove sonoro tintinnava il suo aereo riso brillavano quattro punti fosforescenti. IIº Gesuitismo È ironico il Dolore che mi uccide e aggiunge al supplizio il sarcasmo, e non tortura affatto in modo chiaro: punzecchia con un sorriso falso e in ridicola farsa trasforma il mio martirio, e sulla bara in cui giace il mio Sogno putrescente mugola un De Profundis sull'aria del Tradéri. È un Tartufo che mentre infiocchetta di rose Pompòn gli altari di Madonne corrucciate, e intanto fa intonare a cori di fanciulli quei cantici d'acqua tiepida in cui si bagna il cuore, o inamidando gli amorosi soggoli che serpeggiano nel sacro cuore delle Beate, o dicendo il rosario a bassa voce, mentre passa la mano sull'esile colletto, mentre parla dell'anima compunto, soltanto medita la mia rovina - infame! IIIº La canzone delle ingenue Noi siamo le Ingenue, bandeaux lisci e occhi turchini, che vivono quasi ignorate nei romanzi poco letti. Camminiamo abbracciate, né la luce è più pura del fondo dei nostri pensieri, e i nostri sono sogni d'azzurro; e per i prati corriamo e ridiamo e cinguettiamo dall'alba al tramonto a caccia di farfalle; copricapo da pastorella proteggono la nostra freschezza, i nostri vestiti - così leggeri! - sono di estremo candore; i Richelieu, i Caussade e i cavalieri di Faublas ci prodigano occhiate, i saluti e gli "ahimè!" ma invano, e le loro moine vanno a rompersi il naso contro le pieghe ironiche delle nostre semplici gonne; e il nostro candore si beffa dell'immaginazione di quei conquistatori benché talvolta sentiamo battere il cuore sotto i nostri manti a certi pensieri clandestini, nel saperci le amanti future dei libertini. IV o Una gran dama Bella "da far dannare i santi", da turbare sotto il cappuccio un vecchio giudice! Portamento da imperatrice. Parla italiano - e i suoi denti scintillano - con un leggero accento russo. I suoi occhi freddi, dove lo smalto incastona il blu di Prussia, hanno il lampo insolente e duro del diamante. Per lo splendore del seno, per il candore della pelle, nessuna regina o cortigiana, neppure Cleopatra la lince o la gatta Ninon eguagliano, no!, la sua bellezza patrizia. Vedi, buon Buridano, "Costei è una gran dama!". Niente da fare, bisogna adorarla in ginocchio, distesi, non avendo altri astri nei cieli che i suoi folti rossi capelli, oppure frustarla in faccia, questa femmina! V o Il signor Prudhomme È molto serio: è sindaco e padre di famiglia. Il colletto gli inghiotte gli orecchi. Gli occhi galleggiano indolenti in un sogno senza fine, e la primavera in fiore splende sulle sue pantofole. Che gliene importa dell'astro d'oro, o del viale dove canta nell'ombra l'uccello, o dei cieli, e dei verdi prati, delle radure silenziose? Il signor Prudhomme pensa a sposare la figlia con il signor Machin, giovanotto facoltoso. È di buona condizione, botanico e panciuto. Quanto ai facitori di versi, buoni a nulla e cialtroni, ha orrore di quei fannulloni barbuti e scapigliati più ancora che del suo eterno catarro, e la primavera in fiore splende sulle sue pantofole. Savitri (MAHA-BARATTA.) Per salvare il suo sposo, Savitri fece il voto di restare tre giorni e tre notti intere in piedi, senza muovere gamba o busto o palpebra; rigida - così disse Vyasa - come un palo. No, Surya, né i tuoi raggi crudeli né il languore che Chandra a mezzanotte spande sulle vette fecero vacillare, coi loro sforzi sublimi, il pensiero e la carne di quella donna di gran cuore. - Che ci assedi l'Oblìo, nero e tetro assassino, o ci prenda a bersaglio l'Invidia dal volto amaro, come Savitri rendiamoci impassibili ma come lei nutrendo alte aspirazioni. Serenata Come la voce di un morto che canti dal fondo della fossa, o amante, ascolta salire al tuo rifugio la mia voce aspra e falsa. Apri l'anima e l'orecchio al suono del mio mandolino: per te ho fatto, per te, questa canzone tenera e crudele. Canterò i tuoi occhi d'oro e d'onice puri da ogni ombra, poi il Lete del tuo seno, poi lo Stige dei tuoi capelli scuri. Come la voce di un morto che canti dal fondo della fossa, o amante, ascolta salire al tuo ritiro la mia voce aspra e falsa. Poi molto loderò, come bisogna, la carne benedetta il cui profumo opulento mi ritorna nelle notti d'insonnia. E per finire loderò il bacio delle tue rosse labbra, la tua dolcezza nel martirizzarmi, - Angelo mio! - mia Sgualdrina! Apri l'anima e l'orecchio al suono del mio mandolino; per te ho fatto, per te, questa canzone tenera e crudele. Una dalia Cortigiana dal seno duro, dall'occhio opaco e bruno che lentamente si apre come quello di un bue, il tuo gran torso splende come un marmo nuovo. Fiore grasso e ricco, nessun aroma fluttua intorno a te, e la serena bellezza del tuo corpo svolge, opaca, i suoi accordi impeccabili. Non odori neppure di carne, quel sapore che almeno emanano le donne che rivoltano il fieno, e troneggi, Idolo insensibile all'incenso. - Così la Dalia, regina vestita di splendore, solleva senza orgoglio la sua testa inodore, irritante tra i provocanti gelsomini! Nevermore Suvvia, mio povero cuore, suvvia, mio vecchio complice, raddrizza e dipingi a nuovo i tuoi archi di trionfo; sui tuoi altari d'oro falso brucia un incenso rancido; spargi di fiori i bordi spalancati del precipizio; suvvia, povero cuore, suvvia, mio vecchio complice! Innalza a Dio il tuo cantico, o ringiovanito cantore; intona, organo rauco, splendidi Te Deum; vecchio precoce, incipria le tue rughe; muro ingiallito, vèstiti di tappeti bruni e dorati; innalza a Dio il tuo cantico, ringiovanito cantore. Suonate, sonagli; suonate, campanelle; suonate, campane! perché il mio sogno impossibile ha preso corpo, e io lo tengo stretto tra le mie braccia: la Felicità, l'alato viaggiatore che non permette all'Uomo d'avvicinarsi, - suonate, sonagli; suonate, campanelle; suonate, campane! La Felicità ha camminato al mio fianco; ma la FATALITÀ non conosce tregua: il verme è nel frutto, il risveglio nel sogno, e il rimorso nell'amore; questa è la legge. - La Felicità ha camminato al mio fianco. Il bacio Bacio! rosa malva nel giardino delle carezze! Vivo accompagnamento sulla tastiera dei denti dei dolci ritornelli che Amore canta negli ardenti cuori con voce d'arcangelo dai languori incantevoli! Sonoro e grazioso, Bacio, divino Bacio! Voluttà incomparabile, ebbrezza inenarrabile! Salve! L'uomo, chino sulla tua coppa adorabile, s'inebria d'una felicità che non sa esaurire. Come il vino del Reno e come la musica, tu consoli e culli, e il dolore spira con una smorfia sulla tua piega porporina... Uno più grande, Goethe o Will, t'innalzi un verso classico. Io, povero trovatore di Parigi, posso soltanto offrirti questo mazzetto di strofe infantili: sii benevolo e, come premio, sulle scherzose labbra di Una che conosco, Bacio, scendi e ridi! Marco Quando Marco passava, ogni giovanotto si sporgeva per vederle gli occhi, Sodome in cui i fuochi d'Amore bruciavano spietati il tuo misero tugurio, o fredda Amicizia; tutt'intorno danzavano mistici profumi nei quali s'annientava l'anima piangente; sui suoi capelli rossi scivolava un incanto; il suo vestito emanava musiche strane quando Marco passava. Quando Marco cantava, le sue mani sull'avorio evocavano spesso la nera profondità delle arie primitive mai più riprese, e la sua voce saliva ai paradisi della sinfonia immensa dei sogni, e allora l'entusiasmo trasportava verso cieli conosciuti chiunque udisse quel timbro d'argento che vibrava senza tregua quando Marco cantava. Quando Marco piangeva, le sue lacrime terribili sfidavano il bagliore delle armi più belle; le sue labbra di sangue scurivano il loro carminio e la sua disperazione non aveva nulla d'umano; simile al focolare esasperato dall'olio la sua ira cresceva, rossa, come se fosse d'una leonessa che all'aspra foresta comunica la sua collera terribile, quando Marco piangeva. Quando Marco danzava, la sua gonna cangiante andava e veniva come una marea, e, come flessibile bambù, il suo fianco si torceva, sporgendo il bianco seno: un lampo partiva. La sua gamba di marmo, enfaticamente cinica, sollevava i suoi splendori opachi, ed era come il rumore del vento della notte tra le fronde, quando Marco danzava. Quando Marco dormiva, oh! quali profumi d'ambra e di carne, mescolati, riempivano la stanza! Sotto i lenzuoli la linea squisita del dorso sinuosa ondeggiava, e nell'ombra delle tende il respiro saliva ritmico e leggero; un sonno felice e calmo chiudeva i suoi occhi, e quel dolce mistero incantava i vaghi oggetti sparsi sugli scaffali; quando Marco dormiva. Ma quando lei amava, flutti di lussuria straripavano, come da una ferita esce un sangue vermiglio fumante e ribollente, da quel corpo crudele che il suo crimine assolve; il torrente infrangeva le dighe dell'anima, annegava il pensiero, e tutto sconvolgeva al suo passaggio, e risorgeva agile e insaziabile come fiamma, e poi gelava. FESTE GALANTI Chiaro di luna La vostra anima è un paesaggio squisito che maschere e bergamasche ammaliano suonando il liuto e danzando e quasi tristi nei fantasiosi travestimenti. Pur cantando in tono minore l'amor vincitore e la buona sorte, alla felicità non sembran proprio credere e si fonde il loro canto col chiaro di luna, col calmo chiaro di luna triste e bello che negli alberi fa sognare gli uccelli e singhiozzare d'estasi gli zampilli, gli zampilli alti e svelti tra i marmi. Pantomima Pierrot che non ha niente d'un Clitandro si vuota un fiasco senza più attendere e, pratico, prende a morsi un pasticcio. Cassandro, in fondo al viale, versa una lacrima misconosciuta per il nipote diseredato. Quel ribaldo di Arlecchino combina il rapimento di Colombina e si fa quattro piroette. Colombina sogna, sorpresa di sentire un cuore nella brezza e di udire delle voci nel suo cuore. Sull'erba L'abate divaga. - E tu, marchese, ti metti la parrucca di traverso. - Squisito questo vecchio vino di Cipro, ma non, Camargo, come la vostra nuca. - Mia fiamma... - Do, mi, sol, la, si. Abate, la tua perfidia si svela! - Che io possa morire, mie Signore, se per voi non colgo una stella! - Vorrei essere un cagnolino! - Baciamo le nostre pastorelle, ad una ad una. - Ebbene, Signori? - Do, mi, sol. - Eh, buonasera, Luna! Il viale Truccata e dipinta come al tempo degli àrcadi, fragile tra i nodi enormi dei suoi nastri, eccola passare sotto gli ombrosi rami, nel viale dove verdeggia il muschio sulle vecchie panche, con mille moine e mille vezzi riservati di solito alle amate cocorite. È azzurra la lunga veste a strascico, e il ventaglio che sgualcisce tra le dita sottili dai larghi anelli è rallegrato da soggetti erotici, così vaghi che lei sorride, fantasticando, a più di un dettaglio. - Bionda, insomma. Naso grazioso e bocca incarnatina, grassa e divina d'orgoglio inconsapevole. - Del resto, più fine di quel nèo che ravviva il bagliore un po' ingenuo dell'occhio. La passeggiata Il cielo così pallido e gli alberi così gracili sembran sorridere ai nostri abiti chiari che ondeggiano leggeri con noncuranza e movimenti d'ali. E il vento dolce increspa l'umile vasca e la luce del sole attenuata dall'ombra dei bassi tigli del viale ci giunge azzurra, non a caso morente. Squisiti seduttori e civette incantevoli, teneri cuori, ma liberi dal giuramento, noi conversiamo deliziosamente e gli amanti stuzzicano le amanti, la cui mano impercettibile talvolta sa dare uno schiaffo, ricambiato da un bacio sull'ultima falange del mignolo, e poiché la cosa è immensamente impertinente, selvaggia, si è puniti da uno sguardo molto duro che contrasta, del resto, con la smorfia assai clemente della bocca. Nella grotta Ecco! mi uccido ai vostri piedi! perché è infinita la mia afflizione, e la tigre terribile d'Ircania è un'agnella in confronto a voi. Sì, qua dentro, crudele Climene, questo gladio che in molte battaglie stese tanti Scipioni e tanti Ciri, porrà fine alla mia vita e alla mia pena! Ma ne ho proprio bisogno per scendere ai Campi Elisi? Con frecce acuminate non mi trafisse Amore il cuore, non appena il tuo sguardo mi abbagliò? Gli ingenui I tacchi alti lottavano con le lunghe gonne di modo che, secondo il terreno e il vento talvolta balenavano polpacci, troppo spesso intercettati, e noi amavamo l'ingannevole gioco. Talvolta, poi, il dardo di un insetto geloso tormentava il collo delle belle sotto i rami ed eran lampi improvvisi di bianche nuche, ed era grande festa nei nostri occhi folli. Cadeva la sera, un'equivoca sera d'autunno: le belle, sognanti, appese al nostro braccio, bisbigliarono allora parole talmente speciose che l'anima nostra da allora ne trema stupita. Corteo Una scimmia in giubba di broccato trotta e sgambetta davanti a lei che spiegazza un fazzoletto di pizzo nella mano ad arte inguantata, mentre un negretto tutto rosso sostiene a braccia tese i lembi della pesante veste sospesa, attento ai movimenti d'ogni piega; la scimmia non perde d'occhio il seno bianco della dama, tesoro opulento invocato dal torso nudo di un dio; talvolta il negretto solleva, birbante, più su del necessario, il sontuoso fardello per veder ciò che sogna di notte; lei avanza sulle scale e non pare troppo sensibile all'omaggio insolente dei suoi famigli animali. Le conchiglie Ogni conchiglia incrostata nella grotta dove ci amammo ha la sua specialità. Una ha la porpora delle nostre anime rapita al sangue dei nostri cuori quando io ardo e tu t'infiammi; un'altra ostenta i tuoi languori e i tuoi pallori quando, stanca, ce l'hai coi miei sguardi beffardi; quest'altra imita la grazia del tuo orecchio, e quella la tua rosea nuca, corta e grassa; ma una, tra tante, mi turbò. Pattinando Fummo vittime entrambi, Signora, di reciproci raggiri, per via di quel turbamento da cui fummo colpiti nell'Estate. La Primavera aveva certo un po' contribuito, se ben ricordo, a rendere confuso il nostro gioco ma in modo meno oscuro! Perché l'aria è così fresca a primavera che insomma le rose in boccio, che Amore pare schiudere ad arte, hanno profumi quasi innocenti; e gli stessi lillà hanno un bel diffondere il loro alito pungente nell'ardore del sole nuovo: quest'eccitante tutt'al più rianima, tanto lo zefiro soffia, beffardo, disperdendo l'afrodisiaco effluvio, così che il cuore riposa e anche lo spirito è assente, e i cinque sensi, euforici, si danno alla pazza gioia, ma soli, proprio soli e senza che la crisi monti alla testa. Fu il tempo, sotto cieli chiari, (ricordate, Signora?) dei baci superficiali, dei sentimenti a fior d'anima. Liberi da folli passioni, pieni di amara benevolenza, come godemmo entrambi senza entusiasmo - e senza pena! Felici istanti! - ma venne l'Estate: addio, rinfrescanti brezze! Un vento di greve voluttà investì le nostre anime sorprese. Fiori dai calici vermigli ci lanciarono odori maturi e ovunque i cattivi consigli caddero dai rami su di noi. Cedemmo a tutto questo, e fu una ben ridicola vertigine a sconvolgerci finché la canicola durò. Risa oziose, pianti senza ragione, mani strette all'infinito, madide tristezze, deliqui, e che pensieri incerti! L'Autunno, per fortuna, con la sua luce fredda e i venti rigidi, giunse a correggerci, breve e secco, dalle nostre brutte abitudini, e ci indusse bruscamente all'eleganza richiesta ad ogni amante irreprensibile e ad ogni degna amata... Ora è Inverno, Signora, e chi su di noi scommise, trema per la sua borsa, e già le altre slitte osano disputarci la corsa. Con le due mani dentro il manicotto, tenetevi bene sul sedile e filiamo! - e assai presto Fanchon c'infiorerà - checché si dica! Fantocci Scaramuccia e Pulcinella, uniti da un malvagio disegno, gesticolano neri contro la luna. Intanto l'eccellente dottore bolognese coglie lentamente i semplici nell'erba bruna. Allora sua figlia, musetto grazioso, sotto la pergola, di nascosto, scivola via mezza nuda alla ricerca del suo bel pirata spagnolo, del quale un languido usignolo grida lo sconforto a squarciagola. Citera Un padiglione dalle ampie aperture ripara dolcemente le nostre gioie rinfrescate da roseti amici; l'odore tenue delle rose, grazie al lieve vento estivo, si fonde coi profumi ch'ella si è messa; fedele alla promessa dei suoi occhi, il suo coraggio è grande, e il suo labbro trasmette una febbre squisita; e dato che l'Amore tutto appaga tranne la fame, sorbetti e confetture ci preservano dagli sfinimenti. In barca Tremola la stella del pastore nell'acqua più nera e il pilota cerca un acciarino nei calzoni. È il momento, Signori, ora o mai più, d'essere audaci, e io metto le mie mani dappertutto, ormai. Il cavaliere Ati, che gratta la sua chitarra, a Clori l'ingrata lancia un'occhiata scellerata. L'abate confessa Egle sottovoce e quello sregolato del visconte concede al proprio cuore ogni libertà. Intanto si leva la luna e lo scafo nella sua breve corsa fila allegro sull'acqua sognante. Il fauno Un vecchio fauno di terracotta ride al centro delle aiuole del giardino, certo presagendo un brutto seguito agli istanti sereni che hanno condotto me e te - pellegrini malinconici - fino a quest'ora che in fuga volteggia al suono dei tamburelli. Mandolino I donatori di serenate e le belle ascoltatrici si scambiano frasi insulse sotto fronde canore. È Tirsi ed è Aminta, ed è l'eterno Clitandro, e Damide che per tante crudeli compone dolci versi. Le corte giubbe di seta, gli abiti lunghi a strascico, la loro eleganza, la gioia, le loro morbide azzurre ombre volteggiano nell'estasi di una luna rosa e grigia e il mandolino chiacchiera tra i fremiti di brezza. A Climene Mistiche barcarole, romanze senza parole, cara, poiché i tuoi occhi color del cielo, poiché la tua voce, strana visione che sconvolge e turba l'orizzonte della mia ragione, poiché l'aroma insigne del tuo pallore di cigno, poiché il candore del tuo odore, ah! poiché tutto il tuo essere, musica penetrante, nimbi d'angeli morti, toni e profumi, ha, con alme cadenze, in sue corrispondenze indotto il mio cuore sottile, così sia! Lettera Lontano dai vostri occhi, Signora, per motivi imperiosi (tutti gli dèi chiamo a testimoni) languisco e muoio, come è mio costume in casi simili, e con il cuore pieno di amarezza vago tra affanni in cui l'ombra vostra mi segue, di giorno nei pensieri e di notte nei sogni, e di notte e di giorno, adorabile Signora! Sicché infine il mio corpo cedendo spazio all'anima, anch'io a mia volta diventerò un fantasma e allora, nel lamentevole spasmo degli abbracci vani, dei desideri innumerevoli, la mia ombra per sempre si fonderà nella vostra. Nell'attesa, mia diletta, sono il tuo servitore. Da te tutto procede secondo i gusti tuoi... il pappagallo, il gatto, il cane? È sempre bella la compagnia? E quella Silvana di cui avrei amato l'occhio nero se il tuo non fosse azzurro, e che talvolta mi fece dei cenni, perbacco!, è ancora la tua dolce confidente? Ora, Signora, un progetto impaziente m'ossessiona: conquistare il mondo e tutti i suoi tesori per porli ai vostri piedi come pegno - indegno - d'un amore pari a tutte le più celebri fiamme che abbian rischiarato le tenebre dei grandi cuori. Cleopatra, in fede mia, fu amata meno da Marcantonio e da Cesare che voi da me, siatene certa, Signora, e io saprò combattere come Cesare per un sorriso, o Cleopatra, e come Antonio fuggire al solo pensiero di un bacio. E con questo, carissima, addio. Perché, vedi, parlo troppo e il tempo che si perde a leggere una missiva non varrà mai la pena di averla scritta. Gli indolenti - Beh! malgrado i destini gelosi, moriamo insieme, volete? - La proposta è insolita. - È bene ciò che è raro. Dunque moriamo come nei Decameroni. - Hi! hi! hi! che amante bizzarro! - Bizzarro, non so. Amante irreprensibile, di certo. Allora, moriamo insieme? - Signore, voi scherzate ancora meglio di come amate, e con parole d'oro; ma stiamocene zitti, ve ne prego! - E così quella sera Tirsi e Dorimene, seduti accanto non lontano da due ilari silvani, ebbero il torto inespiabile di rinviare una squisita morte. Hi! hi! hi! che amanti bizzarri. Colombina Leandro lo sciocco, Pierrot che con un salto di pulce scavalca la siepe, Cassandro sotto il cappuccio, e poi Arlecchino, quel birbante così fantasioso dai folli costumi, con gli occhi lucidi sotto la maschera, - do, mi, sol, mi, fa, - e tutti vanno, ridono, cantano e danzano davanti a una bella bambina cattiva i cui occhi perversi come gli occhi verdi delle gatte difendono le sue bellezze e dicono: "Giù le zampe!". - Continuano ad andare! Fatidico corso degli astri, oh, dimmi verso quali cupi o crudeli disastri la bambina implacabile, che svelta solleva le gonne, la rosa sul cappello, conduce il suo gregge di gonzi? L'amore per terra Il vento dell'altra notte ha abbattuto l'Amore che nell'angolo più misterioso del parco sorrideva tendendo malignamente l'arco, e il cui aspetto ci fece sognare un giorno intero! Il vento dell'altra notte l'ha abbattuto! Il marmo al soffio del mattino rotola sparso. È triste vedere il piedistallo con il nome dell'artista che si legge appena nell'ombra di un albero, oh! è triste vedere il piedistallo in piedi tutto solo! E pensieri malinconici vanno e vengono nel mio sogno dove il dolore profondo evoca un avvenire solitario e fatale. Oh, è triste! - Anche tu, non è vero?, sei commossa da un quadro così dolente, benché il tuo occhio frivolo s'incanti alla farfalla di porpora e d'oro che vola sopra i frammenti sparsi nel viale. In sordina Calmi nella penombra che gli alti rami spargono penetriamo il nostro amore di questo silenzio profondo. Uniamo le nostre anime, i cuori ed i sensi in estasi, in mezzo ai vaghi languori dei pini e dei corbezzoli. Socchiudi gli occhi, incrocia le braccia sul seno, e dal tuo cuore assopito scaccia per sempre ogni progetto. Lasciamoci persuadere al dolce soffio che culla e che ai tuoi piedi viene ad increspare le onde di erba rossa. E quando, solenne, la sera cadrà dalle nere querce, voce della nostra disperazione l'usignolo canterà. Colloquio sentimentale Nel vecchio parco gelido e deserto sono appena passate due forme. Hanno occhi morti, e labbra molli, e le loro parole si odono a stento. Nel vecchio parco gelido e deserto due spettri hanno evocato il passato. - Ricordi la nostra estasi d'allora? - E perché vuoi che la ricordi? - Batte ancora il tuo cuore solo a udire il mio nome? Ancora vedi in sogno la mia anima? - No. - Ah, i bei giorni d'indicibile felicità quando univamo le nostre bocche! - Può darsi. - Com'era azzurro il cielo, e grande la speranza! - Vinta, fuggì la speranza, nel cielo nero. Andavano così tra l'avena selvatica, e le loro parole le udì solo la notte. |
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