WILLIAM SHAKESPEARE

ENRICO IV - PARTE PRIMA - QUARTO ATTO

Atto quarto
SCENA I - Il campo dei rivoltosi presso Shrewsbury

Entrano Hotspur, Worcester e Douglas

Hotspur - (A Douglas)
Ben detto, nobile scozzese, è vero:
se in questi tempi di raffinatezza
non si scambiasse per adulazione
il dir la verità com’essa è,
Douglas dovrebbe avere tante lodi
come grande soldato che il suo nome
dovrebbe avere corso in tutto il mondo
come nessuno in questo nostro tempo .
Per Dio, io non son uso a lusingare,
e del linguaggio degli incensatori
diffido; ma nessuno più di te
ha nel mio cuore un posto così alto.
Douglas - Tu sei il re dell’elogio.
Vero è che non respira sulla terra
uomo tanto potente
ch’io non abbia il coraggio di sfidare.
Hotspur - Sii tale, e tutto andrà per il suo verso.

Entra un Messo con una lettera

Che lettera hai costà?
(Il messo gli consegna la lettera)
Io non posso che dirti: “Ti ringrazio”.
Messo - Questa lettera vien da vostro padre.
Hotspur - Da mio padre... Perché non viene lui?
Messo - Egli non può, signore, è assai malato...
Hotspur - Sangue di Cristo! Come si permette
mio padre di ammalarsi proprio adesso
ch’è giunta l’ora di menar le mani?
Chi è dunque alla testa dei suoi uomini?
Al comando di chi vengono qui?
Messo - Io, signore, vi reco la sua lettera,
non quello ch’egli ha in mente.
Hotspur - Puoi dirmi almeno, prego, se sta a letto?
Messo - Sì, signore, era a letto
da quattro giorni quando son partito,
e al momento che mi son messo in viaggio
i medici eran molto preoccupati.
Worcester - Ah, fosse stata almeno definita
la nostra situazione
prima che intervenisse questo male!
Mai ci fu sì preziosa come adesso
la sua buona salute.
Hotspur - Andarsi ad ammalare proprio ora!
Venirci meno in un tale frangente!
Questo male ci infetta il sangue vivo
nelle vene di questa nostra impresa,
ci contagia, come una peste, il campo.
Mi scrive qui ch’è un suo male interiore;
che non poteva in così breve tempo
trovar chi radunasse i suoi amici,
e che non ha ritenuto opportuno
affidare sì delicato compito
a gente che non fosse, come lui,
con l’animo infiammato alla contesa.
Ci dà comunque l’ardito consiglio
di muovere ugualmente all’offensiva
con le modeste nostre forze unite,
non fosse che allo scopo di saggiare
come è disposta con noi la fortuna;
perché - mi aggiunge - non è più possibile
tirarsi ormai indietro,
visto che il re conosce certamente
i nostri piani. Beh, che ve ne pare?
Worcester - È una mutilazione bella è buona
per noi questo malanno di tuo padre.
Hotspur - Eh, certo, un brutto taglio,
come un arto che sia strappato via.
Eppure, in fede mia, così non è:
quest’assenza ci appare, in verità,
più gravosa di quanto scopriremo
alla prova dei fatti.
Mi chiedo infatti se sarebbe bene
puntare tutte le nostre risorse
su un sol getto di dadi,
ed affidare una sì alta posta
all’azzardo di un’ora così incerta.
No, non sarebbe stato affatto bene:
avremmo messo in gioco tutto insieme
il fondo e l’anima d’ogni speranza,
e conosciuto l’ultimo confine
di tutte quante le fortune nostre.
Douglas - Così avverrebbe, credo, in fede mia.
Mentre, per come stanno ora le cose,
ci resta una preziosa eredità
a cui possiamo baldamente attingere
la speranza di quello che verrà.
E ciò mantiene viva in tutti noi
la confortante attesa d’un rifugio
ove cercare un ultimo riparo.
Hotspur - Un punto di raccolta,
appunto, un tetto in cui trovare asilo,
se mai il diavolo e la fortuna
avessero a guardare di malocchio
su questa vergine nostra intrapresa.
Worcester - Avrei desiderato, tuttavia,
che fosse stato qui anche tuo padre.
La natura e il carattere
di questa nostra ardita iniziativa
non tollerano alcuna spaccatura.
Ora si penserà sicuramente
da parte di coloro che non sanno
il motivo per cui ei non è qui,
che a consigliarlo a rimanere estraneo
a quest’azione sia stata saggezza
oppure lealtà verso il suo re,
o pura e semplice sua repugnanza:
pensate come simil congettura
possa influire sulle decisioni
di questa o quella fazione indecisa,
e alimentare dubbi d’ogni sorta
sulla schiettezza della nostra causa.
E noi, che, lo sapete, siam la parte
che ha l’iniziativa dell’azione,
dobbiamo a questo punto far di tutto
per evitar giudizi troppo attenti
e turare spiragli e feritoie
per i quali ci possa sogguardare
l’occhio della ragione popolare.
L’assenza di tuo padre, in realtà,
solleva agli occhi della gente ignara
una cortina dietro il cui velame
può sospettarsi nelle nostre file
l’esistenza d’un senso di paura
ch’era stato finora insospettato.
Hotspur - Tu forzi troppo il senso delle cose.
Io, dal mancato arrivo di mio padre,
traggo piuttosto questo buon avviso:
che ne derivi lustro e buona fama
e più forte motivo di ardimento
a questa nostra grande iniziativa
che non fosse qui con noi mio padre:
perché la gente penserà che noi,
anche senza il suo aiuto,
abbiam saputo raccogliere forze
bastanti da scagliar contro un regno,
e che, fatti più forti col suo aiuto,
potremmo addirittura rovesciarlo.
Sì, qui va tutto bene,
tutte le nostre membra sono sane.
Douglas - Come non può desiderarsi meglio.
Ed in tutta la Scozia
non c’è lingua che sappia pronunciare
la parola “paura”: non esiste.

Entra sir Richard Vernon
Hotspur - Oh, cugino, Vernon!
Con tutta l’anima, sii benvenuto!
Vernon - Volesse Dio che anche benvenute
fossero le notizie che vi porto.
Eccole in breve: il conte di Westmoreland
alla testa di settemila armati
è in marcia verso questa direzione,
ed è con lui il principe Giovanni.
Hotspur - Niente da preoccuparsi. C’è di più?
Vernon - Sì, anche il re in persona, a quanto ho appreso,
è sceso in campo con un forte esercito
e punta a grandi marce su di noi.
Hotspur - Daremo il benvenuto pure a lui.
E suo figlio, quel matto gambalesta
del principe di Gallese, dove sta,
con tutto il suo codazzo di gregari,
che hanno sempre tenuto a spregio il mondo
e gli hanno detto “Va’ come ti pare ”?
Vernon - Tutti in assetto e in armi, piume al vento
come struzzi che van battendo l’ali,
freschi come aquilotti
usciti mo’ dal bagno; luccicanti
come icone di santi in cotte d’oro,
fiorenti come il maggio, sfolgoranti
come il mese di maggio, sfolgoranti
vispi come capretti,
scatenati come torelli in foja.
Ho visto il giovane Harry,
morione alzato e cosciali alle gambe,
spavaldo nella splendida armatura,
levarsi su come un Mercurio alato
e muoversi così sicuro in sella,
come un angelo sceso dalle nuvole
a far piroettare e volteggiare
ed impennare un Pegaso focoso,
da lasciare incantati tutti gli occhi
con la sua maestria nel cavalcare.
Hotspur - Eh, basta, basta! Questi panegirici
mi fan venire addosso la terzana
più del sole di marzo!... Vengan pure:
verranno incontro al loro sacrificio
in quella loro ricca agghindatura;
e li offriremo, caldi e sanguinanti,
alle vergine dea occhi-di-brace
della fumosa guerra: su quell’ara
lo stesso Marte sederà in corazza,
tinto di sangue su fino agli orecchi.
Ardo all’idea che questa ricca preda
è pur vicina, ma non ancor nostra.
Su, su, voglio provare il mio destriero
che mi deve scagliare come un fulmine
contro il petto del Principe di Galles!
Enrico a Enrico, cavallo a cavallo,
focosi entrambi, e non si staccheranno
finché uno dei due, disarcionato
a terra, non sarà più che un cadavere.
Oh, fosse qui Glendower!
Vernon - Quanto a lui,
ho appreso, mentre attraversavo il Worcester,
che ci vorranno ancor due settimane
perché possa raccoglier la sua forza.
Douglas - Ah, questa sì ch’è la peggior notizia
finora udita.
Hotspur - Sì, davvero gelida.
Quanti potranno esser gli effettivi
delle truppe del re?
Vernon - Sui ventimila.
Hotspur - Mettiamo siano pur quarantamila:
anche assenti mio padre ed il Glendower,
i nostri sono più che sufficienti
per questa gran giornata.
Andiamo, presto, a passarli in rassegna.
Il giorno del Giudizio s’avvicina:
Se dobbiamo morire,
moriamo almeno tutti in allegria!
Douglas - Non parlare di morte.
Io per questi sei mesi della morte,
della sua mano non debbo temere.

(Escono)
SCENA II - Strada in vicinanza di Coventry

Entrano Falstaff e Bardolfo

Falstaff - Bardolfo, tu va’ a Coventry,
avanti a noi: fammi trovare là
una borraccia piena di vin secco:
io seguito a marciare con la truppa.
Saremo a Sutton Coldfield questa sera.
Bardolfo - I soldi, capitano?
Falstaff - Paga tu,
intanto, e metti tutto in conto spese.
Bardolfo - Ma una borraccia di secco fa un angelo .
Falstaff - Se fa un angelo, tienitelo tu
per il disturbo, se poi ne fa venti,
tienteli tutti, ne rispondo io.
Ordina a Peto, il mio luogotenente,
a nome mio, di venirmi a incontrare
all’altra estremità della città
Bardolfo - Va bene, capo. Vado.

(Esce)
Falstaff - Se dico che non ho da vergognarmi
dei soldati del mio raggruppamento,
son proprio una salacca in salamoia!
Ho sfruttato a mio basso tornaconto
il mandato affidatomi dal re
di far arruolamenti per l’esercito.
Per reclutare cencinquanta uomini
ho messo in tasca trecento sterline
e rotti. Recluto, in verità,
soltanto bravi figli di papà,
figli di contadini benestanti;
scapoli giovanotti fidanzati
prossimi a celebrare il matrimonio :
una merce di ricchi vitelloni
che preferiscono sentire il diavolo
piuttosto che il rullare d’un tamburo,
capaci di morire di paura
al primo sparo d’una colubrina
più ratto d’un fagiano impallinato
o d’un’oca selvatica cacciata.
Mi sono dato, insomma, alla ricerca
di tutti molliconi pane-e-burro,
gente dal cuore piccolo
meno della capocchia d’uno spillo
e che m’hanno pagato a peso d’oro
per farsi esonerare dal servizio;
sicché tutta la truppa al mio comando
consiste solo di portabandiera,
di caporali, di luogotenenti
di miseri appuntati sbrindellati
scalcagnati e cenciosi come Lazzaro,
quello rappresentato negli arazzi
con intorno i levrieri d’Epulone
che gli leccan le piaghe: tutta gente
che il soldato l’ha visto da lontano,
servitori infedeli licenziati,
figli cadetti di padri cadetti,
apprendisti fuggiti dai padroni,
stallieri senza più un’occupazione:
le tarme d’una società tranquilla
e in lunga pace; gente miserabile,
dieci volte più squallida e stracciona
d’una vecchia bandiera sbertucciata.
Insomma, per colmare le vacanze
di quelli che han pagato per sottrarvisi,
mi trovo a comandar tali elementi,
- centocinquanta in tutto -, che somigliano
a tanti scalcagnati figliol prodighi
appena mo’ tornati alle lor case
dal far la guardia ai porci
e dal mangiare rimasugli e ghiande
Ho incontrato per strada un bello spirito
che m’ha chiesto se avessi alleggerito
i capestri di tutta l’Inghilterra
e reclutato i cadaveri appesi.
Spaventapasseri mai visti prima!
Con simili campioni nelle file,
mi guarderò assai bene, garantito,
dallo sfilare per le vie di Coventry.
Tra l’altro, queste risme di furfanti
non sanno che marciare a gambe larghe,
come avessero i piedi ancora in ceppi;
e, per la verità, la maggior parte
li ho tratti io stesso fuori di galera.
In tutto il mio reparto,
esiste solo una camicia e mezza;
e quella mezza son due pannolini
uniti insieme e messi sulle spalle
come cotta d’araldo senza maniche;
e l’unica camicia, a dirla tutta,
dev’esser quella rubata al mio oste
a Sant’Albano, o all’altro locandiere
dal naso rosso a Daventry.
Ma, non fa niente: quanto a biancheria
ne troveranno su tutte le siepi.

Entrano il Principe di Galles e Westmoreland
Principe - (A Falstaff)
Ehi, pallone rigonfio!
Come vanno le cose, materasso?
Falstaff - Oh, Hal! Sei tu? Come ti va, bellezza?
Che diavolo ci fai da queste parti ?
E voi, mio buon signore di Westmoreland?
Vi domando perdono, vostro onore,
ma vi facevo già arrivato a Shrewsbury.
Westmoreland - Infatti dovrei essere già là,
ed anche voi, sir John, sarebbe tempo.
Ma le mie truppe sono già sul posto.
Posso dirvi che là ci aspetta il re:
ci toccherà marciar tutta la notte.
Falstaff - Per me, niente paura: sono all’erta
come un gatto che vuol rubar la panna.
Principe - Rubar la panna... Eh, lo credo bene,
a forza di rubarla, sei già burro.
Ma dimmi, a chi appartengono questi uomini
che ci vengono dietro?
Falstaff - Sono i miei.
Principe - Non ho mai visto più compassionevole
gente stracciona.
Falstaff - Poh, poh, senti, senti!
Per essere infilzati da una lancia
vanno bene; son carne da cannone.
Buoni a riempire quanti altri più in gamba
una fossa. Via, via, ragazzo mio,
son uomini, son uomini mortali!
Westmoreland - Sì, sir John, ma li vedo troppo grami,
troppo straccioni... troppo allampanati...
Falstaff - Da chi hanno preso tutti quegli stracci,
in fede mia, non saprei proprio dire;
e quanto alla magrezza,
non l’han presa da me, sicuramente.
Principe - Ah, questo è certo, lo potrei giurare,
salvo che non s’intenda per magrezza
tre dita di grassume sulle costole.
Però, compare, vedi di sbrigarti
Percy è già sceso in campo.

(Esce)
Falstaff - (A Westmoreland)
Che! È già in campo il re?
Westmoreland - Lo è sir John,
e noi ci siam troppo attardati, temo.

(Esce)
Falstaff - Bene.
“Zuffa finita
“a lottatore pigro,
“inizio di banchetto
“ad ospite perfetto”.

(Esce seguendo gli altri due)
SCENA III - Il campo dei rivoltosi presso Shrewsbury

Entrano Hotspur, Worcester, Douglas e Vernon

Hotspur - Attaccheremo questa notte stessa.
Worcester - Non mi pare possibile.
Hotspur - Se no,
concederemo loro del vantaggio.
Vernon - Nemmeno per idea!
Hotspur - Ma come no!
Non son forse in attesa di rinforzi?
Vernon - Anche noi.
Hotspur - Ma i loro sono sicuri,
i nostri incerti.
Worcester - Nipote mio caro,
làsciati consigliare: questa notte
meglio non muover penna. Dammi retta.
Vernon - Sì, sì. meglio non muoversi, signore.
Douglas - (A Vernon)
Non gli date davvero un buon consiglio.
Voi parlate così
per trepidezza e povertà di cuore.
Vernon - Douglas, non calunniatemi!
Per la mia vita - perché con la vita
son pronto a sostenere quel che dico,
se onore me l’impone - il mio rapporto
con l’infiacchita e trepida paura
è così poco stretto quanto il vostro
o quello di qualunque altro scozzese.
E domani, in battaglia,
si vedrà chi ha paura, signor mio.
Douglas - Bene, allora domani... o questa notte.
Vernon - Benissimo.
Hotspur - Io dico questa notte.
Vernon - No, questa notte no, non è possibile.
Francamente, mi meraviglia molto
che uomini di sì grande esperienza
quali voi siete, non si rappresentino
quali difficoltà frenano ancora
la nostra iniziativa. I cavalieri
di Vernon, mio cugino, ch’eran dati
per certi qui, non sono ancora giunti;
quelli di vostro zio, Tomaso Worcester,
son giunti appena oggi, e il loro spirito
e la loro baldanza e il lor coraggio
son talmente assonnati e intorpiditi
dalla fatica, che ciascun cavallo
vale ancora metà della metà
di quello che dovrebbe.
Hotspur - Ma lo stesso può dirsi, in generale,
di tutta la cavalleria nemica,
sfiancata anch’essa dalla lunga marcia;
mentre di quella nostra una gran parte
ha avuto modo di rifocillarsi.
Worcester - Già, solo che l’esercito del re
è di gran lunga superiore al nostro.
Per l’amore di Dio, nipote, ascolta:
aspettiamo che sian qui giunti tutti.

(Tromba a parlamento)

Entra sir Walter Blunt
Blunt - Vengo latore di graziose offerte
dalla parte del re,
se m’accordate rispettoso ascolto.
Hotspur - Sir Walter Blunt, voi siete benvenuto,
e Dio volesse che foste dei nostri.
Non pochi tra di noi v’hanno assai caro,
e si dolgon che un uomo come voi
di grandi meriti e di buona fama
non sia passato dalla nostra parte,
ma ci si trovi a fronte, da nemico.
Blunt - E Dio voglia che tale io rimanga,
fino a tanto che voi,
trasgredendo ogni regola e confine
di buona ed obbediente sudditanza
vi sollevate in armi da ribelli
contro la sacra maestà del re.
Ma vengo al punto della mia missione.
Il re mi manda per saper da voi
la natura delle doglianze vostre,
e per quale ragione congiurate
dal petto della nostra civil pace
tale arrogante spirito di rivolta,
dando esempio d’audace crudeltà
ad un paese ossequiente alle leggi.
Se il re avesse mai dimenticato
in qualche modo i vostri buoni meriti,
che comunque egli ammette per il primo
essere molti ed alti,
v’invito a formular le vostre istanze,
e avrete tosto quanto vi è dovuto
con gli interessi, e insieme il suo perdono
assoluto e totale per voi stessi
e per chiunque a vostra istigazione
s’è sviato su questa falsa strada.
Hotspur - Il re è gentile, e noi sappiamo bene
Com’ei conosca ben quando promettere
e quando mantenere.
Quella stessa corona ch’egli porta
gliel’abbiam data noi,
mio padre, mio zio Worcester ed io stesso.
Quand’egli non aveva a sostenerlo
che ventisei seguaci
e non era nessuno in faccia al mondo,
miserabile, gramo, senza soldi,
ignorato da tutti, un fuorilegge
che ritornava in patria di nascosto,
fu mio padre a recargli il benvenuto
al suo sbarco sui lidi d’Inghilterra;
e ad udirlo giurar davanti a Dio
ch’era tornato per il solo scopo
di riottenere il ducato di Lancaster,
reclamare i diritti ereditari
e poter vivere in santa pace,
il tutto in mezzo ad innocenti lacrime
e smielate proteste di lealtà,
mio padre, mosso dal suo nobil cuore
a un naturale impulso di pietà,
gli giurò aiuto, e tenne la promessa;
talché quando i signori ed i baroni
del regno videro che Lord Northumberland
era dalla sua parte, grandi e piccoli,
cappelli in mano e ginocchia per terra,
gli si fecero incontro riverenti
nelle città, nei borghi, nei villaggi;
l’aspettavano lungo il suo passaggio
facendo ala sui ponti, per le strade
a deporgli le loro offerte ai piedi,
a giuragli la loro fedeltà,
a offrigli come paggi i loro figli,
a seguirlo dovunque, passo passo
in mezzo a moltitudini osannanti.
In breve, il tempo che la sua grandezza
acquistasse contezza di se stessa,
ed è salito un gradino più in alto
di quanto comportasse il giuramento
da lui fatto a mio padre sulla spiaggia
a Ravenspurgh, al tempo che il suo sangue
era povero in canna .
Ed ora non fa altro che pensare
a riformare editti ed ordinanze
che dice - bontà sua -
esser troppo severi per il popolo;
grida al sopruso e fa mostra di piangere
sulle sventure della “cara patria”;
e a mostrarsi così, con quella faccia
mascherata da sete di giustizia
s’è facilmente accattivato il cuore
di quanti aveva in tal guisa adescati.
Ma va ancora più in là: taglia la testa
a tutti quei favoriti del re
che questi aveva, nella sua assenza,
partito essendo in guerra per l’Irlanda,
lasciato qui a fare le sue veci .
Blunt - Beh, non son qui venuto
per ascoltare questo.
Hotspur - Vengo al punto.
Non passa molto, che depone il re.
Subito dopo gli toglie la vita,
e passa, senza porre alcun indugio
a gravare di tasse tutto il regno.
Fa di peggio: abbandona suo cugino,
il conte Edoardo Mortimer di March ,
- che dovrebb’essere ora il suo re,
se stesse ognuno al posto che gli spetta -,
prigioniero nel Galles,
senza far nulla per il suo riscatto;
tiene fuori delle sue grazie me,
proprio nel colmo delle mie vittorie
più fortunate, cerca in ogni modo
d’irretirmi, servendosi di spie;
caccia mio zio dal Consiglio, insultandolo,
ed espelle mio padre dalla corte
in uno dei consueti accessi d’ira;
infrange i giuramenti un dopo l’altro,
aggiunge torto a torto, e in conclusione
ci riduce a cercar la sicurezza
nel radunare questo nostro esercito,
ed a scrutare tutti un po’ più a fondo
nella legittimità del suo titolo,
la cui linea ci par troppo indiretta
per fondarvi una vera dinastia.
Blunt - Questa risposta debbo riportare
per voi al re?
Hotspur - Non ancora, sir Walter.
Prima vogliamo consultarci qui.
Voi tornate dal re.
Mio zio domani, di primo mattino,
se ci verranno dati pegni certi
e piena sicurtà pel suo ritorno,
sarà da lui con le nostre proposte.
Ed ora, addio.
Blunt - Non c’è che da augurarsi
che vogliate accettare di buon animo
l’offerta sua di grazia e di giustizia.
Hotspur - È ben probabile.
Blunt - Ne prego Iddio.

(Escono tutti)
SCENA IV - York, il palazzo dell’Arcivescovo

Entrano l’Arcivescovo di York e sir Michael

Arcivescovo - Sir Michael, per favore, di volata,
questo messaggio con il mio sigillo
per il Lord Maresciallo;
e quest’altro per mio cugino Scroop;
gli altri ai destinatari in indirizzo.
Non perdereste un attimo,
se conosceste la loro importanza.
Michael - La posso indovinare, monsignore.
Arcivescovo - È probabile. Caro mio sir Michael,
domani è tal giornata
che le sorti di centomila uomini
verranno al paragone: perché a Shrewsbury,
a quanto mi risulta con certezza,
il re con forte nerbo di soldati
raccolti qua e là un po’ alla svelta
affronterà lord Harry in campo aperto;
e, con la malattia di lord Northumberland
il cui apporto era, per il numero,
il più grosso, e con l’assenza di Glendower,
anch’esso ritenuto, come l’altro,
un buon nerbo a rinforzo a quest’azione,
ma che non viene più perché distolto
da cattivi presagi,
ho paura che gli uomini di Harry
si dimostrino affatto insufficienti
per misurarsi con quelli del re
in un urto campale decisivo.
Michael - Non mi pare ci sia da aver paura,
mio buon signore: Douglas e Lord Mortimer
sono con lui.
Hotspur - No, Mortimer non c’è.
Michael - Ma c’è Mordake, ci sono Vernon
lord Worcester, e una cospicua schiera
di nobili signori
tutti uomini d’arme di valore.
Arcivescovo - Questo è vero, ma il re ha radunato
intorno a sé il fior fiore d’Inghilterra,
e c’è con loro il Principe di Galles,
suo figlio, e l’altro figlio suo Giovanni Lancaster,
e Westmoreland ed il pugnace Blunt,
e molti altri campioni come loro,
tutti uomini assai considerati
per la maestria nel mestiere dell’armi.
Michael - Sì farà loro ottimamente fronte,
non dovete aver dubbi, monsignore.
Arcivescovo - Non spero meno, ma le circostanze
mi dicono che aver paura è d’obbligo;
e, a prevenire il peggio, buon sir Michael
andate, presto; ché se mai lord Percy
dovesse avere avversa la fortuna,
il re, di questo son più che sicuro,
prima di congedare le sue truppe
non si terrà dal venirci a trovare
qui, nel cuore dei nostri territori,
perché ci sa alleati dei ribelli.
È pertanto prudenza elementare
fortificarsi contro un tale evento.
Debbo tornar di là
a scriver lettere ad altri amici,
perciò addio, sir Michael.

(Escono da opposte parti)