JULES LAFORGUE
MORALIT LEGGENDARIE
AMLETO
ovvero
Le conseguenze della piet
filiale
TRADUZIONE DI NELO RISI
pi
forte di me.
Dalla
finestra diletta, cos belante ad aprirsi con i fragili vetri gialli fermati
tra losanghe di piombo, Amleto personaggio bizzarro poteva, quando gli cantava,
fare dei cerchi nell'acqua, come dire nel cielo. Questo fu il punto di partenza
del suo cogitare e aberrare.
La torre, dove
il giovane principe s'era fermamente costretto a vivere dopo l'anomalo paterno
decesso, s'erge lebbrosa e trascurata scolta in fondo al parco reale, sulla
riva del mare che di tutti. Tale angolo di parco la cloaca che convoglia i
rifiuti delle serre, gli spenti mazzolini degli effimeri balli. Il mare il
Sund, ai cui flutti non ci si pu affidare, con la costa della Norvegia in
vista o la citt di Elsinborg, nido al malagiato e pratico principe
Fortebraccio.
L'assise
della torre, dove il giovane e sventurato principe si fermamente costretto a
vivere, funghisce in riva a un'ansa stagnante che lo stesso Sund tende a
arricchire con le schiume meno chiare dei suoi quotidiani e anonimi travagli.
Povera ansa
stagnante! Le flottiglie dei cigni regali dall'occhio lepido non vi fanno punto
scalo. Dal fondo, lutulento per masse filamentose, salgono nei crepuscoli
piovorni fino alla finestra di questo principe cos umano i cori d'intere
schiatte di rospi, viscidi rantoli espettorati da vecchi catarrosi cui una
minima variazione atmosferica basta a rimuovere i reumatismi o le tenaci cove.
E gli estremi risucchi delle navi da carico, come i perpetui acquazzoni,
riescono a malapena a rimuovere la cutanea lebbra di quest'angolo d'acqua
decrepita, ossidata da una scia bavosa di fiele (come della malachite liquida),
qua imbrattata da mucchi di foglie piatte a forma di cuore attorno a dei
rudimentali tulipani gialli, l irta di magri ciuffi di giunchi fioriti, di
fragili ombrelle che, sia detto per inciso, ricordano il fiore della carota dei
nostri climi.
Povera
ansa! Rospi di casa e fioriture irresponsabili. E povero angolo di parco!
mazzolini buttati via da giovani donne proprio al rintocco di mezzanotte. E
povero Sund! flutti svillaneggiati dai capricciosi altani, rimpianti inviliti
dalle pi che usuali faccende di un Fortebraccio dirimpettaio!...
Ecco perch
(salvo burrasche) questo cantuccio d'acqua davvero lo specchio dello
sventurato principe Amleto, nella sua torre di paria, nella sua camera con due
finestre vetrate di giallo che danno l'una sul grigio sporco dei cieli, sullo
slargo e su un'esistenza senz'uscita, e l'altra che si spalanca al gemito
perenne del vento tra gli alberi d'alto fusto del parco. Povera stanza cos
strapazzata in seno a un inguaribile, insolvibile autunno! Perfino di luglio,
come oggi. oggi il 14 luglio del 1601, un sabato; e domani domenica: nel
mondo intero le ragazze andranno candidamente a messa.
Ai muri,
una dozzina di vedute dello Jutland, quadri irreprensibilmente ingenui,
ordinati tempo addietro a un pittore condannato alle galere e che le stanze del
castello vedono esposti a dozzine. Tra le due finestre, due ritratti al
naturale; il primo di Amleto, molto mondano, con un pollice infilato nella
cinta di cuoio grezzo e un sorriso accattivante dal fondo di una penombra
sulfurea; il secondo di suo padre, calato entro una bella armatura nuova, con
l'occhio malizioso e faunesco: fu suo padre il re Orwendill, anomalmente
deceduto in stato di peccato mortale e che Dio, secondo la ben nota
misericordia, si tenga l'anima. Su un tavolo, nella luce d'insonnia dei vetri
gialli, tutto un corredo d'acquefortista irrimediabilmente corroso da sporche
amenit. Un ricettacolo graveolente di libri, un piccolo organo, uno specchio
alto da terra, una sdraio; e una credenza col suo segreto (la paura di morire
avvelenato dopo il losco paterno decesso). Nella stanza da letto, in prossimit
del letto, un'edicola gotica in ferro battuto che per un gioco di chiavi in
grado di esibire due statuette di cera: Gheruta madre di Amleto e il suo
attuale marito, l'adultero e fratricida usurpatore Fengo, modellati entrambi da
un pollice ricco in estro vendicativo, e con il cuore puerilmente trafitto da
un ago - il bel vantaggio! In fondo all'alcova, ahim, una doccia.
Nerovestito,
con lo spadino al fianco e con in capo il suo sombrero da nottambulo, Amleto, i gomiti
sul davanzale, contempla il Sund, il vasto e laborioso Sund che smercia il
solito flusso di anonimi flutti, aspettando che il vento e l'ora offrano il
destro per qualche superbo scherzo mancino a danno delle povere barche dei
pescatori (unico svago alla fatalit che li opprime).
Dopo il
cielo di ieri e in previsione di quello di domani, oggi una giornataccia
livida sienn alleggerita dal recente acquazzone, che per promette una bella
domenica per l'indomani. gi il crepuscolo, uno di quei crepuscoli che le
Cronache del tempo riportano con un'emozione cos contenuta; coi rumori della
citt di Elsinore, dal vasto specchio d'acqua messo tra s e i dominii reali,
che s'avvia a disperdere il frastuono del giorno di mercato affogandolo nelle
taverne.
- Ah!
sospira Amleto, se come questi flutti io potessi spassarmela in lungo e in
largo. Ah! dal mare alle nuvole, dalle nuvole al mare! vada come vada...
E
abbracciando con un gesto ad hoc il felice inconsapevole panorama, cos divaga:
- Ah! solo
che me ne occupassi... Ma tutto per istanti cos ricco e cos labile! e
niente pi prezioso d'un bel tacere, tacere, e agire di conseguenza... -
Stabilit! Stabilit! il tuo nome Donna... La vita, a rigore, posso anche
ammetterla! Ma un eroe! Anzitutto essere condizionato dai tempi e
dall'ambiente! La chiami lotta schietta e leale per un eroe, questa?... Un
eroe! e tutto il resto non che commedia!...
- Quanto a
me, se io fossi una giovane per bene, tollererei che solo un puro eroe osasse
posare le sue labbra sul mio destino; un eroe di cui all'occorrenza si possano
citare le formule, o le gesta... Ah! in tempi come questi di 'danno' e di 'vergogna', Michelangelo dixit (uomo ben
superiore ai nostrani Torwaldsen), non vi sono pi giovinette; sono tutte
samaritane, e tralascio le adorabili pupattole, ahim, infrangibili, vipere e
oche di prima piuma. - Un eroe! O semplicemente vivere. Metodo, Metodo, che
vuoi da me? Sai bene che ho mangiato il frutto dell'incoscienza! Sai bene che
sono io che annuncio la nuova legge al nato di Donna, e che sto soppiantando
l'Imperativo Categorico per instaurare in sua vece l'Imperativo Climaterico!...
Il principe
Amleto ne ha tante sul cuore che non starebbero in cinque atti n in tutta la
nostra filosofia che regge il cielo e la terra; ma ci che al presente pi
l'infastidisce l'attesa di quei commedianti che non arrivano e sui quali
conta in modo cos tragico; perdipi egli ha appena fatto a pezzi le lettere di
Ofelia scomparsa la vigilia, lettere scritte su carta doppia d'Olanda con una
smania di mocciosa venuta su dal nulla, e talmente restie a essere lacerate che
le dita gli bruciano ancora maledettamente. Miseria, e quisquilie!...
- A
quest'ora, dove si sar cacciata? Da dei parenti in campagna, ma sicuro. Torner
torner, conosce bene la strada. Del resto, e quando mai m'ha capito? Se ci
penso! Aveva un bell'essere adorabile e sensitiva all'eccesso, sotto sotto saltava
fuori l'Inglese imbevuta fin dalla nascita della filosofia egoistica di Hobbes.
Non v' niente di pi piacevole nel possesso dei nostri beni del pensiero che
essi siano superiori a quelli degli altri dice Hobbes. cos che Ofelia mi
avrebbe voluto, come un suo bene, anche perch io ero socialmente e
moralmente superiore ai beni delle sue piccole amiche. E di che pensierini
era capace sul benessere e sul conforto nell'ora in cui s'accendono le lampade!
Un Amleto di comodo! Maledizione! Un po' di piet almeno per il mio angelo
custode se non per me! Ah! se in una sera come questa m'apparisse qui, nella
mia torre d'avorio, una sorella ma cadetta di quell'Elena di Narbona che seppe
andare a conquistarsi a Firenze il suo adorato Bertrando, conte di Rossiglione,
pur conscia del disprezzo di cui era ricambiata!... - Ofelia, Ofelia, mio dolce
piccolo inganno, ti supplico fa ritorno; non ci torner pi su. - Insomma mio
caro, hai un bell'essere Amleto, sei sempre una simpatica canaglia. Basta cos.
- Ah, eccoli!
Sulle rive
d'Elsinore, laggi a sinistra egli scorge (chi non sa dei suoi occhi
sorprendenti, da rondine di mare?) un assembramento, e non v' dubbio che si
tratta di quei famosi commedianti.
Il
traghettatore li stava imbarcando sul suo battello piatto; un botolo abbaiava a
quegli stracci; un ragazzino aveva smesso di giocare a rimbalzello. Uno di quei
signori, tutto agghindato, afferr un paio di remi imitando il traghettatore,
col gesto di chi si degrada per divertire la compagnia, e puntarono alla volta
di... Gli indici tesi indicavano il Castello, una dama lasciava pendere il suo
braccio nudo sul filo dell'acqua; e i latrati le risa le voci giungevano
stemperati come all'acquerello. C'era davvero materia per una bella serata
secentesca.
Lasciando
la finestra Amleto s'installa davanti un tavolo, poi sfoglia due smilzi
quaderni.
- Eppure s!
L'impulso era di affidarmi all'orribile, orribile, orribile avvenimento al fine
di esaltare la piet filiale, figurarmi il fatto in tutta la sua irrefutabilit
poetica, far gridare l'ultimo grido al sangue di mio padre, caldarmi Ð
ý $)! ho preso gusto all'opera, io! Poco per volta dimenticai che
si trattava di mio padre assassinato, spogliato di quel che gli restava da
vivere in questo bel mondo (pover'uomo, pover'uomo!), di mia madre prostituita
(visione che mi ha distrutto la Donna spingendomi a far morire di vergogna e di
consunzione la celeste Ofelia!), del mio trono, per finire! Me ne andavo a
braccetto con le finzioni di un bel tema. Che sia un bel tema, indubbio!
Rifeci il lavoro in versi giambici, intercalai accessori profani, espunsi dal
mio vecchio Filottete una epigrafe sublime. S, scavavo i miei personaggi pi
addentro del vero! forzavo i documenti! Con immutato genio ho difeso la causa
del bravo eroe e del pessimo traditore! Poi a sera, dopo aver ribadito
un'ultima rima con una tirata a effetto, mi addormentavo sorridendo beato alle
domestiche chimere, come un onest'uomo di lettere che col lavoro della penna
mantiene una ricca prole! Mi addormentavo scordando di rivolgere le mie
preghiere alle due statuine di cera e di ritorcergli l'ago in cuore! Va va,
istrione! Guardatelo il piccolo mostro!
E il
giovane insaziabile principe corre a genuflettersi dinnanzi al ritratto di suo
padre e ne bacia i piedi sulla fredda tela.
- Vero che
mi perdoni, padre? Tutto sommato tu mi conosci...
E nel
rialzarsi, non riuscendo a schivare l'occhio paterno, sempre e comunque
ammiccante sotto un'aria regalmente faunesca:
- Del
resto, tutto ereditariet. Sii scienza e istinto e finirai col vederci
chiaro.
Torna a
sedere presso i suoi quaderni, che contempla con uno stesso occhio regalmente
faunesco.
- Eppure vi
sono delle belle pagine l dentro, se solo i tempi fossero meno grami!... Come
vorrei essere semplice chierico a Parigi, monte Santa Genoveffa, dove oggid
fiorisce una scuola di neo-alessandrini! Un semplice misero bibliotecario alla
corte brillante dei Valois! invece che in quest'umido castello, in quest'antro
di sciacalli e di rozzi personaggi dove non si nemmeno sicuri della propria
pelle!...
Hanno
battuto due colpi con una chiave d'oro sul martello d'argento della porta.
Entra un valletto.
- I due
primari della compagnia sono qua, secondo gli ordini di vostra Altezza.
- Che
entrino.
- E poi sua
Maest la regina chiede se vostra Altezza persiste a volere che lo spettacolo
abbia luogo proprio questa sera.
- Diamine!
e perch no?
- Gi ma
anche il seppellimento del lord ciambellano Polonio ha luogo proprio questa
sera, o vostra Altezza lo ignora?
- Ma che
ragionamenti! C' chi recita e c' chi sparisce dietro le quinte, ecco tutto. E
l'Ideale si elegge ugualmente il suo massimino tutte le sere, suvvia, vecchio
mio.
Il valletto
si fa da parte e chiude la porta dietro la riverenza dei due comprimari
annunciati.
- Entrate
fratelli. Sedete e servitevi; ecco le sigarette. Qui c' del Dubeck, e delle Bird's-eye. Niente cerimonie in casa mia.
Tu, come ti chiami?
- William,
replica l'attor giovane in farsetto a spicchi ancora impolverati.
- E voi,
mia giovane signora? (Dio com' bella! Ancora dei guai!...).
- Ofelia,
riepiloga costei con nel sorriso un che di imbronciato, un sorriso infido da
morire e cos malefico che il giovane principe sbotta, tanto per creare un
diversivo:
- Come!
ancora un'Ofelia nella mia melassa! Oh, questa logora mania dei genitori
d'imporre ai propri figli dei nomi teatrali! Perch Ofelia mica preso dalla
vita, oh, no! Sono tutte storie da palcoscenico e da repliche: Ofelia,
Cordelia, Lelia, Coppelia, Camelia! Per un paria come me non avreste un altro
nome di battesimo (di Battesimo, sia ben chiaro!), magari per farmi piacere?
- S,
Signore, mi chiamo Kate.
- Alla
buon'ora! e vi sta meglio! Qua le mani, che ve le sbaciucchi Kate, come vuole
il cerimoniale.
E si alza,
e la bacia in fronte, a lungo, su quella fronte a cui volta brusco le spalle
per andare alla finestra e tuffare un istante il viso tra le mani.
William fa
un segno alla compagna:
- Di', non
ci avevano ingannato. Lo davvero.
-
Possibile? rispondono con tutta la mansuetudine blu di cui sono capaci gli
occhi di Kate che, paffete!, Amleto t'incontra tornando al suo posto.
Amleto alza
le spalle, adulatorio:
- Ebbene,
ragazzi miei, basta con le cerimonie. Che cosa avete nel vostro repertorio?
- Abbiamo Le
Allegre Comari di Saint-Denis, Il Dottor Faustus, L'Apologo di Menenio Agrippa,
Il Re di Tule.
- S, s,
il resto posdomani, al suo momento. Tutte belle concezioni, ma non immacolate come
le mie. Per qui e per stasera, mi studierete in segreto il dramma che vi dico
io. D'altronde sarete regalmente ricompensati. un mio dramma. Richiede solo
tre ruoli principali. C' un re, di nome Gonzago e una regina, Battista; il
luogo Vienna. La regina intrattiene relazioni adulterine e orditrici con il
cognato Claudio. Un dopopranzo, il re fa la siesta: cova sotto la pergola i
suoi peccati in fiore; la regina finge austeramente di mondare delle fragole
per il risveglio dello sposo. Sopraggiunge Claudio. I due complici si scambiano
un bacio silenzioso, poi fanno fondere del piombo in un cucchiaio e lo versano
delicatamente nell'orecchio del re.
- Che
orrore! si lascia sfuggire Kate con un sospiro che finisce in broncio.
- Orribile,
vero? orribile! orribile! ... Dunque dicevamo che versano del piombo fuso
(questo liquido pallido!); il povero re Gonzago spira tra le convulsioni ...
orribili, orribili; e, badate bene, in stato di peccato mortale. Allora Claudio
gli toglie la corona, se la calca sul capo e offre il braccio alla vedova. Ne
consegue che, a dispetto dei pronostici pi incresciosi, William sar Claudio,
e Kate la regina, due bei mostri, in fede mia.
- che...
esita Kate.
- che,
dichiara William, per consuetudine la mia compagna e io non incarniamo, di
preferenza, che ruoli simpatici.
-
Simpatici? Razza di villani! E in base a che voi potete giurare se un essere
simpatico, in questo mondo? E il Progresso allora, dove lo mettete?
- Sempre
agli ordini del nostro grazioso signore.
- William,
a voi il manoscritto, ve lo affido e soprattutto non lo smarrite; sul serio, ci
tengo. Studiatelo come si deve per stasera. E badate bene: tutto quello che ho
segnato a matita rosso sangue di bue dovr essere recitato con foga e
sottolineato; e tutto quello che compreso in una graffa a matita blu me lo
potete sopprimere come troppo episodico, sebbene in fondo... tutto sommato
queste strofe, per esempio:
Un cuore
sognante tramite occhiate
Monde da
ogni idea di zizzania!
Mie povere
forze estenuate dall'arte!
A furia di
ripetermi ho l'emicrania!...
O
luna di miele
Cala,
cala!
E questa:
O
animula tanto brava
O carne
fiera e incorrotta,
la mia
indole che lotta
Per essere
vostra schiava.
- Toh, com'
grazioso! si lasciano scappare William e Kate guardandosi.
- Lo credo
bene. Ah! se i tempi fossero meno grami!...
E questa:
Oh! va
in convento!
Coi tempi
che corrono l'amore
Lo si
scambia incredulo e quieto
Come un
saluto.
- Davvero
singolare, ne conviene l'attore.
E Amleto, principe
di Danimarca e creatura sventurata, esulta!
- E questo
graziosissimo girotondo:
C'era
una bella blusa;
Ron ron il
gattino fa le fusa,
C'era
una bella blusa
Con tutti i
suoi bottoni... ecc.
Eccetera,
eccetera! - Insomma, un destino ben curioso il mio!... Ma questo, lasciatemelo:
il canto di trionfo dell'usurpatore Claudio, e lo si canta sull'aria di
Ingannevoli premonizioni!... ricordate?
Vi
garantisco io
Che
Domenedio
Avr gran
cura
Di questa
avventura!
Dunque
intesi. Ecco il manoscritto, ve lo riaffido, mio buon William. Lo spettacolo,
del resto, non ha luogo che alle dieci e io verr un po' prima dietro le quinte
per vedere come vanno le cose. O, nell'attesa, non vorreste che io mi
proverbiassi con voi per farvi accettare questo?
I due
comprimari intascano e escono a ritroso.
William
declama in sordina alla compagna:
La
mattana dappertutto e senza convenevoli
Tocca il
girovago o l'attore di genio
E nemmeno
la guardia che veglia alle porte
Salva
Amleto dalla malasorte.
- Povero
giovane! sospira angelica Kate, e dire che non sembra neanche pericoloso...
Amleto,
uomo d'azione, resta un bel po' a sognare sul suo dramma ormai in buone mani.
Poi si esalta:
- Ci siamo.
Messer Fengo capir, a buon intenditore... Non resta che agire e apporre la mia
firma! Agire! Ucciderlo! che vomiti la vita! Uccidere... Mi sono fatto la mano
uccidendo ieri Polonio, mi spiava da dietro quel l'arazzo che raffigura la
Strage degli Innocenti. Ah, ho tutti contro io! e domani Laerte e posdomani il dirimpettaio
Fortebraccio! Devo agire, mi d'uopo uccidere o evadere da questo luogo. Oh!
evadere... Libert libert! Amare vivere sognare, essere famoso ma lontano! Oh,
cara la mia aurea mediocritas! Ci che manca a Amleto la libert, proprio cos. - Non
chiedo niente a nessuno io. Non ho amici, non un amico in grado di raccontare
la mia storia, un amico che mi preceda ovunque evitandomi le intollerabili
spiegazioni. Non una donna che mi sappia apprezzare. Dimenticavo, una
samaritana! samaritana per amore dell'arte, che concede i suoi baci solo ai
moribondi, in sull'estremo, che non possano poi vantarsene.
- E pensare
che in fondo io esisto! che ho una vita tutta mia! Un'eternit in s prenatale,
un'eternit in s dopo morto. Invece passo i miei giorni ingannando il tempo!
con la vecchiaia alle porte, l'orribile vecchiaia venerata e riverita dalle
giovinette, da ipocrite ragazze abitudinarie. Mica posso scalpitare cos
anonimo! Come se bastasse lasciare delle Memorie... Amleto Amleto, se lo si
sapesse! Tutte le donne verrebbero a singhiozzare sul tuo cuore divino, come in
passato andavano a singhiozzare sul corpo di Adone (con qualche secolo di
civilt in pi).
- Bah, che
se ne farebbero della mia biografia, attaccate come sono al loro pane
quotidiano, ai loro amori e ai circostanti decessi? S certo, per un momento,
sulla scena, dopo che hanno banchettato; ma una volta rientrati alla
magione!... - Uomini e donne in coppia ammireranno i mei scrupoli esistenziali
ma non li imiteranno davvero, n perci proveranno maggior vergogna tra loro,
da uomo amato a donna amata, nell'intimit. Poi, mi si accuser di aver fatto
scuola! E se io lo nominassi il mio dannato Maestro, il mio Maestro universale!
- Tuttavia, ah! come sono solo! cos, l'epoca non vi pu niente. Ho cinque
sensi che mi annodano alla vita; ma il sesto senso, quel senso dell'Infinito! -
Fortuna che sono ancora giovane, e fintanto che godr ottima salute andr tutto
bene. Ma la Libert! la Libert! E sia, me ne andr, ritorner anonimo tra la
brava gente e far un matrimonio valido per la vita e per ogni giorno. Di tutte
le mie idee questa sar stata la pi amletica. Ma stasera bisogna agire,
bisogna oggettivarsi! Avanti, passando sulle tombe, come la Natura!
Amleto
lascia la sua torre, imbocca un lungo corridoio tappezzato di monotone vedute
dello Jutland (che passando copre di eroici sputi) quindi svolta in un
pianerottolo dove i due alabardieri di guardia hanno appena il tempo di
riconoscerlo e di fare il presentatt'arm; altri, su delle panche giocano agli
aliossi. Amleto gli grida passando: Sustine et abstine! Libert, libert! e
fischiettando scende ancora una rampa di scale e sbuca sotto il peristilio
d'ingresso, davanti alla loggia del castellano.
La finestra
del castellano aperta, alla persiana appesa una gabbia. Prima ancora di
vedere la gabbia Amleto ci si butta sopra, la spalanca, vi coglie un tiepido
canarino appisolato, gli torce il collo tra pollice e indice e, sempre
fischiettando allegramente, lo scaglia in fondo alla stanza, proprio in testa
(oh, ma per caso) a una bimbetta che sta l col suo lavoro all'uncinetto,
profittando dell'ultimo sprazzo di luce, e che smette, gli occhi spalancati e
le mani giunte, di fronte a quel fulmineo misfatto!
Amleto
scappa senza voltarsi. E di colpo torna indietro, si avvicina alla finestra,
entra nella camera. La piccola sempre l, a mani giunte. Amleto si getta ai
suoi piedi.
- Oh!
perdono! perdono! Non l'ho fatto apposta! Espier ci che vorrai se me lo
ordini. Sapessi come sono buono! Ho un cuor d'oro come non se ne fanno pi.
Vero che tu mi capisci?
- O mio
signore, mio signore! balbetta la bimba. Oh! se sapeste! Vi capisco tanto! da
tanto che vi amo! Ho capito tutto!...
Amleto si
alza. Eccone un'altra! pensa.
- Hai un
padre infermo?
- No mio
signore.
- Peccato:
gli faresti degli ottimi cataplasmi.
- Oh, voi,
voi! Saprei curarvi cos bene!
- Ma certo,
ripasser luned prossimo; il mio cancro non suppura ancora (non so proprio
perch). A luned, mio angelo.
Debitamente
sollevato Amleto se ne va. sempre per allenarmi pensa che ho ucciso
quell'uccellino.
Giovane e
sventurato principe! Dopo il davvero anomalo decesso del padre, strani impulsi
di distruzione lo afferrano spesso alla gola.
Un giorno
Amleto era partito di buon'ora per la caccia. Allora la premeditazione l'aveva
tenuto desto tutta notte (la notte che porta consiglio). Armato di
pregevolissimi spilli esord infilzando gli scarabei che la Provvidenza gli
faceva trovare sul suo cammino, lasciandoli poi proseguire in quello stato.
Strapp le ali alle futili farfalle, decapit le lumache, tagli a rospi e rane
le zampe posteriori, spolver di salnitro un formicaio e v'appicc il fuoco,
raccolse pi e pi nidi pigolanti tra le fratte, per abbandonarli alla
corrente, e cos vedano il mondo; falciando nel frattempo a dritta a manca
miriadi di fiori, ignorando a bella posta le loro virt terapeutiche. Dopodich,
a caccia! Lo incantava la foresta coi suoi mille brusii primaverili, non
diversamente da come l'avrebbe incantato una camera di tortura coi suoi mille
sfrigolii sui fornelli! E la sera, finalmente, dopo una vana siesta pi in l
sotto gli alberi che non hanno occhi per vedere, ritornando sui suoi passi, uno
spasimo residuo lo spinse a prelevare dalle vittime, che non avevano saputo
celarsi per morire e che ritrov sul suo cammino, una libbra di occhi
perforati; ci si lav le mani, se ne ingrass le falangi facendole
scricchiolare, gi tutte indolenzite. Ah! IL DEMONE DELLA REALT! il piacere di
constatare che la Giustizia non che una parola, e che tutto lecito - con
ragione, per Dio! - contro gli esseri inferiori e muti. Ma avvicinandosi al
castello, istupidito dall'insonnia e dalle esaltazioni, Amleto avvertiva che la
diffusa pena del crepuscolo io stringeva dappresso per strangolarlo. Rientr
furtivo correndo a rinchiudersi nella sua torre, guazzando stralunato ai buio
dentro un brulichio di sbatter d'occhi forati, occhi spenti imbrattati di
lacrime inessicabili, finch si rannicchi cos vestito sotto le coperte,
bruciando un sudor freddo, piangendo un elisir di lacrime, disposto a idee
quasi suicide o mutilanti a espiazione; auscultando il suo buon cuore, il suo
cuor d'oro sommerso per sempre in quel pantano di poveri occhi forati,
eternamente meditabondi. - E l'indomani: Bah! Ero davvero ridicolo! Le guerre
allora? E i tornei da mattatoio dei bei tempi andati, e il resto! Povero
provinciale! Ciarlatano! Callista!.
L'irreparabile
assassinio dell'uccellino non che turbi, dunque, pi che tanto Amleto, - un
semplice clic di valvola in accordo coi suoi animal spirits. Comodo davvero: e se Amleto non
ancora al punto di pensare di non aver apprezzato alla stessa stregua la triste
Ofelia (oh! non molto diversamente, povera implume!) il suo Angelo Custode non
da meno.
Il cimitero
di Elsinore giace ammucchiato verticalmente sulla strada maestra, a venti
minuti dalla citt. Amleto passa sotto la tripla porta di cinta; qui hanno vita
cinque o sei stamberghe grazie al corpo di guardia; poi la campagna, come
dappertutto, triste e piatta, oltre le difese...
Degli
operai fanno ritorno; degli oziosi sostano, incerti sul da fare, a quell'ora in
citt.
A Elsinore
il principe Amleto non lo riconoscono proprio. Esitano, non lo salutano. N la
sua esile figura fatta... Ma giudicate voi.
Di media statura,
costituzionalmente bene in carne, Amleto ha una testa allungata, un po'
infantile, che porta non troppo eretta; dei capelli castani che spiovono a
punta sulla fronte nobile, per ricadere lisci e deboli, spartiti da una bella
riga dritta, a nascondere due graziose orecchie di fanciulla; una maschera
imberbe ma senza che dia nel glabro, d'un pallore quasi artificiale eppure
giovanile; due occhi blu-bigi sempre stupiti e candidi, ora frigidi ora
scaldati dalle insonnie (ventura vuole che questi occhi romanzescamente timidi
irradino pensieri limpidi e non infangati, perch Amleto, con la sua aria di
guardare sempre all'ingi come di chi cerca di definire con invisibile antenne
il Reale, farebbe pensare pi a un camaldolese che a un principe ereditario di
Danimarca); un naso sensuale; una bocca ingenua normalmente aspirante ma che
passa presto dal semichiuso tenero al rictus un po' losco dei gallinacei, e da
una simile grinta stiracchiata agli angoli pei ferri delle odierne galere
all'irresistibile risata tagliata a salvadanaio di un ragazzetto paffuto sui
quattordici anni; il mento, purtroppo, non affatto sporgente! e ancor meno
volitivo l'angolo del mascellare inferiore, salvo nei giorni di noia
immortale quando con l'avanzare della mascella e, di conseguenza, con
l'arretrare nell'ombra della fronte vinta, l'intera maschera si ritrae come
invecchiata di ventanni. E ne ha trenta. I suoi piedi sono femminili; le mani
solide e un po' contorte e contratte, all'indice della sinistra porta uno
scarabeo egizio di un bel verde smalto. Non veste che di nero, e se ne va se ne
va con un piglio strascicato e corretto, corretto e strascicato...
Ed con un
piglio strascicato e corretto che Amleto si dirige verso il cimitero al calar
del sole.
Incrocia
branchi di proletari, vecchi, donne e bambini che fanno ritorno dalle
quotidiane capitalistiche galere, curvi sotto il peso di un destino sordido.
- Perdio!
cogita Amleto, lo so quanto voi se non meglio; l'attuale ordine sociale uno
scandalo da far mozzare il fiato alla Natura! e io non sono che un parassita
feudale. E con questo? Sono nati l dentro, una vecchia storia, il che non
impedisce le loro lune di miele, n la loro paura della morte; e tutto bene
quel che non ha fine. - Ma svegliatevi una buona volta! e fatela finita!
Mettete tutto a ferro e a fuoco! Schiacciate come cimici d'insonnia religioni
caste lingue idee! Rifateci un'infanzia fraterna sulla Terra, che nostra
madre, e si vada tutti a pascolare in climi pi temperati.
Nei
Giardini dei nostri istinti
Coglieremo
di che guarirci.
S, stai
fino se li aspetti! Sono troppo imbevuti di domestiche tirannie per osare, e
non ancora sufficientemente estetici e chissamai per quanto tempo ancora troppo
vili dinnanzi all'Infinito. Che inghiottano a bocca aperta un Polonio,
filantropo da strapazzo, che snocciola loro: Arricchitevi! - E dire che per
un attimo ho avuto anch'io la mia follia apostolica, come Ciakya-Muni figlio di
re! Oh! lall, io e la mia impagabile esistenziucola (da dividere con un'impagabile
donnacola) dovremmo prendere l'iniziativa? E perci usare la mia fragorosa
testa matta! Via, non siamo pi proletari dei proletari. E tu, Giustizia umana,
non sii pi forte che Natura! Amici miei, fratelli: l'approssimativo storico o
l'evacuativo apocalittico, il caro vecchio Progresso o il ritorno allo stato di
natura. Nell'attesa, buon appetito e buon divertimento per domani che
domenica.
Ardua la
salita che dal viottolo mena al cimitero. Amleto s'imbroncia gualcendo dei
papaveri tra le dita. arrivato troppo tardi: la cerimonia che aveva per tema
Polonio seppellita; gi se ne vanno le ultime ombre ufficiali. Accovacciato
dietro una siepe Amleto le lascia passare senza essere visto; c' chi d il
braccio a Laerte, figlio del defunto, che fa proprio pena. Una voce fuori della
grazia di Dio esclama: Ma quando si ha un pazzo in casa lo si rinchiude!
Nel
rialzarsi Amleto si accorge di aver disturbato seriamente un formicaio. - Tanto
vale! pensa. E perch il Caso mi sia debitore... e lo finisce a colpi di
tacco.
Sono usciti
tutti. Nel cimitero Amleto non trova che due becchini e si avvicina al primo
che sta sistemando le corone deposte sulla tomba di Polonio.
- Avremo il
suo busto solo il mese entrante annuncia, non invitato, l'uomo.
- Di che
cosa morto, si sa?
- Di un
urto apoplettico. Era un buontempone.
A questo
punto Amleto che, in coscienza e malgrado una natura cos artista, non se n'era
ancora avveduto, intuisce che ha davvero ucciso un uomo, soppresso una vita,
una vita di cui si pu rendere testimonianza. Il nomato Polonio ...
intravvedeva davanti a s quarantanni buoni almeno (era di quelli che in ogni
occasione vi ricordano di godere di una salute di ferro) e con una stoccata
inconsulta ma fatale Amleto, proprio cos, glieli ha cancellati, come si taglia
in un preventivo troppo salato. Derisorie diatribe di fenomeni che non hanno
senso alcuno fuori di questa terra!
Amleto si
pianta davanti a quel becchino che l'osserva aspettandosi dei complimenti per
come ha disposto le corone; lo squadra dall'alto in basso, poi gli ringhia in
faccia: Words! words! words! capite? parole parole parole!
E si dirige
verso l'altro becchino, incurante del suo grido: E vattene fannullone!
- E voi,
brav'uomo, che cosa fate qui?
- Sua Signoria
lo vede, risistemo le vecchie tombe. Ah! da quel d che i vecchi hanno smesso
di asciugare i muri da queste parti. Il nostro cimitero rimasto sempre cos
piccolo, mentre le cortesie del defunto re hanno raddoppiato quasi la
popolazione della sua cara citt.
Il
becchino, un po' bevuto, cerca l'equilibrio su una zappa.
- Ah,
davvero? raddoppiato la popolazione...
- Si vede
che Sua Signoria non di queste parti. Il defunto re (morto pure lui di un
urto apoplettico) era sottaniere ma bell'uomo e cuor d'oro, e dappertutto dove
ingravidava si lasciava dietro un buon ricordo e scudi sonanti con la sua
effigie.
- E dite un
po', il principe Amleto proprio il figlio di sua moglie Gheruta?
- Eh no
affatto! Sua Signoria avr forse sentito parlare del matto mattissimo defunto
Yorick...
-
Naturalmente.
- Ebbene,
il principe Amleto non altro che suo fratello per parte di madre.
Amleto
fratello di un buffone di corte; non s' poi fatto tutto da s come
credeva!...
- E quella
madre... lei?
- Sicuro, la
madre era la pi maledettamente bella zingara che, col vostro rispetto, si sia
mai vista. Era venuta da queste parti dicendo la buona sorte col figlio Yorick.
Fu trattenuta al Castello e un anno dopo mor mettendo al mondo il nobile
Amleto; quando dico mettendo al mondo... Mor del taglio cesareo che le fecero.
- Ah! ah!
non poi stato tanto facile accalappiare Amleto in questo basso mondo!...
- Proprio
cos. Era seppellita dove Sua Signoria vede che abbiamo sterrato. Un mese fa
viene un ordine della regina di riesumare i resti e di bruciarli malgrado che
la zingara fosse cristiana quanto voi e me, e cos quel giorno facemmo a chi pi
imbotta. Poi venuto il turno del suo povero Yorick, di cui Sua Signoria pu
calpestare qui i resti.
- Non ci
penso proprio.
- Devo
aggiustarmi per far posto entro un'ora al corpo della nobile figlia di Polonio,
Ofelia, che hanno ritrovato. Eh gi, siamo tutti mortali.
- Ah!
Ofelia... Ia damigella poi stata ritrovata?
-
Sissignore, vicino alla chiusa. suo fratello Laerte che venuto stamane a
avvertirci. Faceva una pena, povero giovane. molto amato. Sapete che si
occupa del problema degli alloggi degli operai? Davvero succedono di quelle
cose...
- E in giro
si dice che il principe Amleto diventato pazzo, non cos? (Mio Dio, mio
Dio! vicino alla chiusa...)
- Si, una
rovina. L'ho sempre detto che siamo maturi per l'annessione. Un bel mattino il
principe Fortebraccio di Norvegia ci sistema tutti. Io il mio gruzzolo l'ho gi
convertito in azioni di Norvegia. Tutto questo non m'impedir di lisciare il
fiasco domani che domenica.
- Bene
bene, continuate il vostro lavoro.
Amleto gli
mette in mano uno scudo e raccoglie il cranio di Yorick, poi si perde con la
sua andatura strascicata e corretta tra musolei e cipressi, gravato da destini,
da ben loschi destini, non sapendo troppo che fare per rimettersi con un po' di
decenza nel suo ruolo.
Amleto si
ferma, col cranio di Yorick accostato all'orecchio e ascolta, ascolta,
rapito...
- Alas,
poor Yorick! Come
uno crede in una sola conchiglia di sentire il gran fracasso dell'Oceano,
sembra a me d'ascoltare qua dentro inestinguibile la sinfonia dell'anima
universale di cui questa scatola fu un crocicchio di echi. Ecco un'idea ben
fondata. La vedete voi una specie umana che non andasse pi addentro in fatto
di spiegazioni sulla morte, vale a dire in fatto di religione e che si
attenesse a quel fragore vagamente immortale che risuona nei crani? Alas,
poor Yorick! I
cari elminti hanno degustato l'intelletto di Yorick... era un ragazzo di un
umorismo a dir poco infinito, a me fratello (una stessa madre per nove mesi) se
fratello lo si pu usare in una accezione particolare. Fu qualcuno. Aveva l'io
minuzioso, aggrovigliato e ritorto; si vantava. E tuttoci dov' finito? N
visto n conosciuto. Neppure pi traccia del suo sonnambulismo. Il buonsenso in
s, dicono, non lascia traccia. C'era una lingua qua dentro, che barbugliava: Good
night, ladies; good night, sweet ladies! good night, good night! E che musica, che fioritura
spesso di scurrilit. - Egli prevedeva! (Amleto fa il gesto di buttare
avanti il cranio).
Egli si ricordava. (Stesso gesto indietro). Parlava, arrossiva, SBADIGLIAVA! - Orribile
orribile orribile! - Ho ancora ventanni, forse trenta da vivere, e verr il mio
turno come per gli altri. Gli altri? - Oh Tutto! che miseria non esserci pi! -
Ah! voglio andarmene gi domani e informarmi in giro pel mondo dei processi pi
adamantini d'imbalsamazione. - Vissero anch'essi, i piccoli personaggi della
Storia, imparando a leggere, curandosi le unghie, accendendo ogni sera la
lampada sporca, innamorati, golosi, vanesii, avidi di complimenti di strette di
mano e di baci, nutrendosi di ciarle di parrocchia, dicendo: Che tempo far
domani? Ecco che viene l'inverno... Quest'anno non abbiamo avuto prugne. - Ah,
tutto bene quel che non ha fine. E tu, Silenzio, perdona alla Terra; la
girellona non ha troppo la testa a segno; il giorno della grande addizione
della Coscienza di fronte all'Ideale essa sar catalogata con un povero idem nella colonna
evoluzioni-in-miniatura dell'Evoluzione Unica, nella colonna delle entit
trascurabili. - E poi, parole parole parole! Questo il mio motto finch non mi
si dimostrer che le nostre lingue sposano bene una realt trascendente. -
Quanto a me, potrei col mio genio essere ci che comunemente detto un Messia
se non fossi troppo ma troppo viziato come un Beniamino della Natura. Io
intendo tutto, io adoro tutto, io voglio fecondare tutto. Ecco perch, come
l'ho inciso sul muro del mio letto in un distico regolarmente canagliesco:
La
facolt mia rara d'assimilazione
Avversa il
corso della mia vocazione.
Mi annoio
ma in un modo veramente sublime! - Insomma, che cosa aspetto qui? - La morte!
La morte! E chi mai, con tutto il suo ingegno, trova il tempo di pensarci? Io
morire? Via, via! ne riparleremo con calma domani. - Morire! D'accordo che si
muore senza accorgersene come ogni sera si scivola nel sonno; non si ha
coscienza del passaggio dall'ultimo pensiero lucido al sonno alla sincope alla
Morte. D'accordo. Ma non essere pi, non esserci pi, non esserne pi! Solo al
pensiero di non poter pi stringere sul cuore, in un pomeriggio qualunque, la
secolare tristezza racchiusa nel pi piccolo accordo di piano! - Mio padre
morto, la carne di cui sono un prolungamento non pi. Giace da quella parte,
allungato sul dorso con le mani giunte. Che posso farci, pi di passare un
giorno a mia volta per di l? Cos anch'io sar visto, dignitosamente allungato
con le mani giunte, senza ridere! E diranno: Dunque finito l anche lui,
quel giovane Amleto talmente vezzeggiato, talmente ricco di un amabile brio?
lui l, fattosi talmente serio, n pi n meno come gli altri; che con tanta
dignit ha subto senza ribellarsi il grandissimo torto di essere l?
Amleto si
prende il futuro cranio di scheletro tra le mani e prova a rabbrividire con
tutte le sue ossa.
- Oh!
attenzione! Cerchiamo di essere seri in questo luogo! Oh! dovrei saper trovare
delle parole appropriate! Ma che ci posso fare se a tuttoci io resto freddo? -
Vediamo un po': se ho fame ho la netta sensazione del cibo; se ho sete ho la
netta sensazione del liquido; se avverto che il mio cuore disponibile posso
piangere sul sentimento degli occhi amati e della pelle tenera; dunque se
l'idea della morte mi tanto estranea, vuol dire che sono ebbro di vita, che
la vita mi ha in pugno, che la vita mi riserba qualcosa! Ah! vita mia, a noi
due dunque!
- Ehi voi
laggi! gli grida dietro il secondo becchino, sta giusto salendo il corteo
funebre di Ofelia!
Il primo
impulso del pensatore Amleto di scimmiottare ad arte il pagliaccio sorpreso
nel sonno da un colpo di mazzuolo di grancassa sulla schiena, ed a malapena
ch'egli riesce a reprimerlo. Poi scivola dietro una balaustra trilobata a
giorno e s'apposta in attesa.
Il
malinconico corteo sbuca fuori (una volta per sempre!). Per gli scossoni
dell'erta, alcune rose bianche cascano dal velluto nero che copre il feretro
(cascano, ahi noi! una volta per sempre!).
- Non che
pesi poi tanto, cogita partecipe Amleto. Dimenticavo; sar gonfia d'acqua come
un otre, la sudiciona; ripescata nella chiusa! Doveva finire da quelle parti,
avendo dato fondo senza criterio alla mia biblioteca. - Oh, mio Dio! Ora
apprezzo certe sue occhiate blu! Povera sventurata ragazza! Cos magra e cos
eroica! Cosi inviolata e cos modesta! - Ma pazienza! la rovina delle rovine!
Domani il conquistatore Fortebraccio ne avrebbe fatto la sua amante; quanto a
questo un vero turco! Ben'inteso, ne sarebbe morta di vergogna, la conosco,
l'avevo bene ammaestrata io! Se ne sarebbe andata all'altro mondo lasciandosi
dietro una pessima reputazione di Bella Elena, non fosse che io...
Per un
attimo si smemora Amleto seguendo i gesti dei frati officianti intorno alla fossa;
si sbrigano i fratoni perch domani domenica e avranno il loro da fare. Una
ragazza, cos presto seppellita che sposata. Ma dove lo trovi il tempo di
reagire a tuttoci? Tanto lunga l'arte quanto breve la vita! E per il suo
umile ruolo, Amleto non pu che provare un brivido di rimorso a fior di nervi.
- Sebbene!
sebbene! Io che sono cosi buono di cuore io che, come tutti sanno, ho un cuor
d'oro, aver fatto questo! Oh, Amleto, vergognati!... - Povera Ofelia, povera
Lil; era la mia piccola amica d'infanzia, io l'amavo! Proprio cos! chiaro e
lampante. Inoltre non chiedevo di meglio che di rigenerarmi secondo lo sguardo
del suo sorriso. Ma tanto grande l'Arte quanto breve la vita! E la
praticit inesistente. Da parte di madre e di fratello, e di tutto, ero
dannato in partenza. (Dev'essere cos). Di conseguenza, dunque, la pena che
allora non potevo mancare di farle, la rese magra al punto che la fede che in
tempi migliori le avevo infilato al dito cadeva ogni momento, prova celeste
questa che... E poi aveva un'aria di moritura! e ancora, con tutti quei balli a
corte dove ci si scolla gi all'et di sedici anni, le sue spalle non furono
per me una verginit da saccheggiare; il diavolo mi porti se ricordo quando
vidi per la prima volta le sue spalle! Ora, risaputo che la verginit delle
spalle per me tutto, su questo io non transigo. E poi, con tutto il celeste
dei suoi sguardi alzati, non era diversa dalle altre. Avevo le mie buone
ragioni per essere deluso. Non mi mancava che di osservare i suoi piccoli atti
di femmina; dentro di me pensavo: A quali occhi ormai credere, dannazione!
Avrei dovuto cavarglieli, quegli occhi, e lavarmici le mani. Del resto, per
finire, c'era quella voce infernale che arrivava sempre un bel po' prima ai
nostri appuntamenti e che m'intronava la testa fino a farmela perdere coi suoi
l'abbraccer! No! Assolutamente! No, parole parole parole! Era da impazzire;
devo risparmiarmi. - Su, su, salmodiate Holy, holy, holy, Lord God Almighty! La personalit divina, ma che
idea! Quando si dice fabbricare una personalit. - Il suo paradiso quanto
ancora ricordo. Perch, effettivamente, essa aveva ci che chieder sempre alla
fidanzata del mio genio, una bocca di un'ingenuit accogliente ma custodita da
due occhioni che sanno, o meglio (come quell'attrice Kate, ammettiamolo) due
sottili occhi blu vagabondi e creduli, custoditi da una bocca devastata con la
piega amara agli angoli, immortalmente sulle sue. E il suo profilo, qui del
resto sta il metro per valutare la bellezza della donna, non ricordava il
profilo di nessun animale, dal bull-dog alla gazzella. Ma che nell'intimit io
abbia colto in lei una sfumatura canina. Insomma, era una santa in gonnella.
Sarebbe stato un guaio che invecchiasse. Amante di Fortebraccio poi! Ah,
Ofelia, come non eri nata per essermi compagna! come non eri abbastanza
sconosciuta per esserlo! L'ho aiutata ad appassirsi e la Fatalit ha fatto il
resto.
Ofelia,
Ofelia
Il tuo bel
corpo sullo stagno,
Tanti
giunchi galleggianti
In preda
alla mia rancida follia...
La
cerimonia volge al termine (una volta per sempre!). Si sentono risuonare sulla
bara le palate di terriccio, ahi!, risuonano sulla bara una volta per
sempre!...
- Ripeto,
aveva un torso angelico. C' forse un rimedio, adesso, a tuttoci? Ors: dieci
anni della mia vita per risuscitarla! Dio non fiata! Aggiudicato! Vuol dire che
non c' un Dio o che non mi restano neppure dieci anni di vita. La prima
ipotesi, naturalmente, mi sembra la pi vitale.
Amleto,
uomo d'azione, lascia il suo nascondiglio solo, beninteso, dopo essersi
accertato che quell'animale di Laerte se n' andato con tutta l'onorata
compagnia.
- Fratello
mio Yorick, porto a casa il vostro cranio; gli dar un posto d'onore sullo
scaffale dei miei ex-voto, tra il guanto di Ofelia e il mio dente di latte. Ah!
con tutto quel che successo ne avr del lavoro quest'inverno! Ho
dell'infinito in cartellone.
Cala la
notte, tempo d'agire! Amleto ricalca la via del Castello senza lasciarsi
troppo prendere dalla quotidianit notturna delle grandi strade. Per prima cosa
sale sulla torre a posare quel cranio, ninnolo solenne. Resta un istante, coi
gomiti appoggiati alla finestra, a contemplare la bella luna piena d'oro che si
specchia nel mare calmo dove serpeggia una colonna franta di nero velluto e
d'oro liquido, magica e senza scopo.
Riflessi su
di un'acqua malinconica... La santa dannata Ofelia ha galleggiato cos tutta la
notte...
- Oh, non
per questo posso uccidermi, privarmi della vita! Ofelia! Ofelia! Perdonami! Non
piangere cos!
Amleto
rientra in camera sua brancolando febbrilmente.
- Non posso
tollerare le lacrime delle ragazze. S, far piangere una ragazza mi sembra pi
irreparabile che sposarla. Perch le lacrime sono della prima infanzia; perch
il versar lacrime esprime semplicemente un dispiacere cos profondo che tutti
gli anni d'incallimento sociale e di ragione si sgonfiano e vanno a picco
dentro questa sorgente zampillata dall'infanzia, dalla creatura elementare
incapace di fare del male. Begli occhi di Ofelia, malgrado tutto inviolati
proprio perch inaddomesticabili, addio! Si fa tardi, tempo d'agire.
Rimandiamo baci e teorie.
Amleto
scende a vedere come va il suo dramma.
Un
corridoio dove normalmente si conservano i cibi pei gran balli di gala stato
diviso in tante piccole stanze per servire da camerini agli attori.
Amleto,
senza pensarci troppo, spinge con dolcezza la porta di uno di quei camerini e
entra. Ma resta sulla soglia: e chi ti vede l tra i bauli sfatti, piangente
come una Maddalena scossa dagli ultimi singhiozzi di una crisi? proprio lei,
Kate, stesa sul pavimento in una veste di broccato rosso laminato a strisce
d'oro, le braccia e le spalle offerte, libera ancora dal corpetto e col seno
nudo sotto una camicetta tutta a pieghe, l, come una povera creatura, forse
consolabile.
Dolcemente
e con destrezza Amleto si chiude la porta alle spalle e s'approssima alla nuova
storia.
- Allora?
cosa c' Kate? Che cosa c'?
La bella
Kate non sembra poi tanto commossa dalla presenza di sua Altezza. Resta ancora
a lungo prostrata nella superiorit delle sue lacrime, nella superiorit della
sua infanzia ritrovata. Ma dato che prima o poi bisogna sempre arrivare al
dunque, essa si alza e senz'altro segno d'interessamento per sua Altezza che di
voltargli le spalle, riprende a aggiustare, qua e l nel disordine, il suo
costume di regina di una sera lottando irritata contro i nodi dei lacci in un
residuo di lacrime. - Malgrado tutto generosamente bella! Oh certo, se gli
parla, se gli parla sfiorando l'amletismo senza immergervisi, Amleto perduto!
Perduto e vinto!
- Su, non
proprio cos; Kate, amica mia, ma che c'?
E la prende
con dolcezza per la vita.
- Ditelo, a
me.
Ed ecco che
la bella Kate lo fissa immortalmente, poi si lascia andare affondando il viso
nel petto del casto principe e riprende a singhiozzare, a piangere tutte le sue
lacrime su quel giubbetto di velluto nero dove Ofelia ne ha versate, e come, il
mese scorso.
Amleto si
sente in dovere di picchiettare la sua nuca di baci calmanti e no, e intanto le
liscia le ciocche dei capelli.
Ci vorrebbe
la penna di Amleto per ammannirvi il sentimento della bellezza di Kate. Kate
una di quelle apparizioni che v'inchiodano l per strada, senza pensare di
seguirla (tanto a che serve? diciamo, chiss quante occasioni ha, quella) e che
in un salotto guardata non con benevolenza, follia o tenerezza, ma con
disinvoltura e distacco (chiss com' abituata alle teste che si voltano
stordite! meglio non allungare la coda, pensiamo). Poi si viene a sapere che
vive come tutte le altre, o sposata o sola o qua e l. E ci si meraviglia che
non sia la tale famosa, oppressa da drammi internazionali nonostante i suoi
venticinque anni e una cert'aria di mostro che ha sempre fatto un buon sonno il
giorno prima.
E Kate, che
ha discretamente passeggiato, ha passeggiato tutt'altro che in modo epico.
Miseria se ha passeggiato! O cittadine di provincia, paralumi accesi, sudici
interrnediari, sbattere di porte! O miseria, o occasioni! Ne ha fatto di
strada, e tuttavia qui che vi guarda; e la bocca atteggiata a una campanula
appena schiusa, e i suoi grandi occhi sconosciuti balbettano: Cosa?... Ah?...
e quanta modestia in quella dolce crocchia sulla sua nuca delicata! - Beh,
lasciamo perdere, essa appartiene all'altro sesso, essa schiava, essa non
sa...
Non sa
niente, e a Amleto non resta altro che andare su e gi con la smorfia
caritatevole e ghiotta delle sue labbra adolescenziali, lungo la pelle
delicatamente risciacquata delle caste spalle scosse dal dispiacere, e
rivelarsi creatura, creatura senza parole.
E no! a
quest'ora le praterie naturali sono lontane! Per prima cosa: tabula rasa, e da
stasera!
- Ora Kate,
mi direte il perch, di queste lacrime in cui vi ho sorpreso, voi che ancora
ieri non mi conoscevate e che stasera trovate naturali i miei baci. Dovete
dire.
- Oh no,
mai!
- Cos
terribile, dunque? Andiamo, proprio a me...
E siccome
la parola gli muore tra le spalle nude nel su e gi delle sue guance, Kate lo
guarda in faccia, abbassa gli occhi, stira le braccia, poi dice con voce
strascicata e con un fare annoiato:
- Bene,
ecco! Sar una disgraziata, ma di animo elevato, voglio che lo si sappia. A
quante sublimi eroine ho dato vita sulla scena lo sa solo Dio! Ma quando ho
letto il mio ruolo con le scene dell'infanzia e del primo fidanzamento in
quella specie di lavoro che avete scritto, oh! credetemi!... Com' cos, il
nostro povero destino, pietoso e spietato! Oh! dovete essere unico e
incompreso! e mica matto, come quei tipi da stuzzicadenti e speroni d'argento
dicono in giro. Ma come dovete avergliele cantate anche! Insomma, ecco, molto
semplice... No! no!
- Continua,
continua, Ofelia.
- Ecco!
credetemi, mentre mi vestivo io mi ripetevo il monologo in chiesa, e di colpo
il cuore scoppiato un'altra volta in lacrime, e mi sono sentita andar gi sul
pavimento. Se voi sapeste che cuore grande che ho! Ah! basta con questa vita
sfacciata e vuota! Domani mollo tutto, torno a Calais e mi faccio monaca per
consacrarmi ai poveri feriti della guerra dei Centanni.
Amleto,
anche se bene educato, non pu proprio contenere la sua allegria d'artista.
il suo battesimo di poeta! e questa commediante glielo serve sul piatto del
primo teatro di Londra. E eccolo che assilla di spiegazioni la povera Kate, e
si fa indicare i passi pi insignificanti, per rispecchiarsi con cosmico cuore
in quegli occhi esperti che il suo genio va dilatando di gloria.
- Dunque tu
credi che dinnanzi a un pubblico di capitale e sotto le luci, l'effetto sarebbe
sbalorditivo? E che per strada mi guarderebbero passare sorpresi del mio
portamento triste? E che c' chi si ucciderebbe di fronte all'enigma della mia
vita? O Kate, tu sapessi! Questo dramma, non niente, l'ho concepito e
riscritto in mezzo a ripugnanti preoccupazioni domestiche. Ma ne ho pieni i
cassetti lass, di drammi e di poemi, di fantasmagorie e di metafisiche,
inauditi, folgoranti o portatori di morte lenta! Ah! vedrai se ci ameremo,
lascio tutto anch'io, partiremo, stanotte sotto questo chiaro di luna tanto
terso! Ti legger tutto! andremo a vivere a Parigi.
Kate
comincia di nuovo a piangere in silenzio.
- No, no
Amleto, non fa per me; voglio ritirarmi, farmi monaca, curare i feriti della
disgraziatissima guerra dei Centanni e pregare per voi.
Bussano
alla porta.
- Da brava,
Kate, asciugate i piacevoli occhi, affrettate la vostra toletta; ritorner
prima che finisca lo spettacolo. Vi amo! vi amo! So che mi darete ragione di
questa immensit. - Avanti!
il
direttore di scena; di sfuggita Amleto gli intima:
- E,
naturalmente, mi raccomando il segreto! Questo dramma non mio. Ma uno dei
tanti del vostro repertorio. Dateci dentro.
- Eh!
continua con voce forte Amleto salendo nella sua stanza, me ne infischio di
questa rappresentazione e della sua moralit come del primo amante di Kate! -
Il dado tratto. Ho il mio piano, io. Sono cose che arrivano quando meno te
l'aspetti. A me la vita e il resto, e i pi che gloriosi pessimismi!
Amleto si
veste pesante; sistema delle acqueforti che ammucchia con dei manoscritti,
dell'oro e dei preziosi dentro due cofanetti. Sceglie alcune armi maneggevoli.
Poi accende uno scaldino, vi posa sopra un rame da incisione su cui adagia le
due statuette di cera dal cuore trafitto infantilmente da un ago, e le due
statuette liquefano presto, unendosi teneramente in un magma ripugnante.
- Me ne
infischio anche del trono. Abbruttisce troppo. Fortebraccio di Norvegia mi
direbbe che questo il miglior partito da prendere. E sia; tutto bene. I morti
sono morti. Girer il mondo. E Parigi! Sono certo che recita come un angelo,
come un mostro. Faremo sensazione. Avremo dei curiosi nomi di battaglia.
Per un
attimo Amleto cerca un curioso nome di battaglia; macch! gi lo prende alla
gola la distanza che percorreranno quella notte a cavallo. Gi domani,
domenica, che le ragazze di Elsinore staranno come sempre a messa e ai vespri,
gi domani a quest'ora essi saranno lontano, malinconicamente lontano dai
bastioni di Elsinore!
Amleto
suona al suo scudiero per gli ultimi preparativi. Nell'attesa si diverte a
spruzzare con getti di saliva i quadri appesi ai muri della sua camera, quelle
vedute dello Jutland che furono di peso alla sua giovinezza sterile e
denutrita.
Re Fengo e
la regina Gheruta volgono intorno un sorriso frollo d'affabilit installandosi
nei loro stalli; in sala si prende posto con un frufru incerto da campo di
grano maturo che tende l'orecchio per sentire da che parte tirer il vento. I
paggi arretrano verso le porte. Il sipario si apre a destra e a sinistra della
scena.
Da un canto
in ombra di una tribuna, Amleto cui nessuno fa mai caso, sta osservando, seduto
su un cuscino, la sala e la scena tra le intercolonne della balaustra.
Pubblico
tempestoso lo stereotipo che gli viene alle labbra. - Via, Amleto, che
tuttoci vi lasci impenetrabilmente freddo. La sala non ha valore, l'etichetta
impedendo di applaudire, e ogni viso si conforma a quelli della coppia reale
che non sar affatto a suo agio, quindi, niente affatto imparziale a partire
dal secondo atto.
La
rappresentazione ha inizio, che Amleto conosce a memoria. assorto nello
studio degli effetti scenici, controlla in anticipo la risonanza delle sue
parole di fronte a un vero pubblico, rumina dei ritocchi. Finalmente appare
Kate e l'opera si fa elettrica.
- Perbacco!
Non ero che uno scolaro! Ecco cosa mi mancava, la prova del palcoscenico! Oh!
non ho espresso neanche un quarto di quello che mi cuoce dentro. E lei! com'
decisamente e chimericamente bella, cosi pettinata alla Tito! E non sembra
nemmeno accorgersi di dove sta andando! e in nome del Cielo! quei suoi occhi
che ora sanno tutto, proprio tutto! ora niente, proprio niente! Giuro che una
creatura forgiata per portare a termine cose di cui si parler tra millanni.
Noi c'intendiamo. Faremo furore. Ha anche lei, come Ofelia, quell'aria
affettata; ma che in lei si traduce in fascino (osservazione da ritenere!).
Voglio amarla come la vita. - Oh! in che modo ha detto questo:
Torna
quaggi
Torna a
vagire tra i miei capelli miei
Di me, te
ne far bracciali di confiteor,
Vuoi
tu? inanllati...
Vengo,
certo che vengo! E io che credevo di conoscere la Donna! la Donna e la Libert!
mentre le insudiciavo aprioristicamente di luoghi comuni! Tanghero! Callista! -
E i due criminali laggi; parola mia, sono ben disposti verso lo spettacolo.
Ancora non hanno capito donde viene un cosi orrendo dramma. Forse mi sono
cullato un po' troppo tra le fioriture dell'immaginazione e, malgrado i tagli,
ne restano ancora. Ma aspettiamo la scena del giardino. - To', non c' Laerte.
Ci si alza
per l'intervallo. Il re e la regina (i paggi hanno ripreso a reggere lo
strascico dei loro mantelli) fanno circolo e dispensano sorrisi affabili e
frolli. Si passano in giro filetti di aringa e piccoli corni di bue selvatico
schiumanti cervogia.
Dalla II
scena dell'atto seguente, quella della pergola dove il re Gonzago prende ad
assopirsi ventilato dalla moglie, il pavido cuore di Fengo capisce! E senza
attendere l'entrata di Claudio, ecco che s'accascia svenuto. La regina si erge,
molto Erinni alla Paul Delaroche; un prodigarsi in un repertorio di moine e
di bisbigli. Un colpo di alabarda del ciambellano successore di Polonio (felice
d'inaugurare cos le sue funzioni) fa tirare il sipario sul dramma orrendo.
Ritto nel
suo angolo Amleto balbetta:
- Musica!
Musica! Dunque era vero! E io che ancora non ci credevo!... - Secondo me, in
fondo, sono abbastanza puniti cos. Scappo; un giorno di pi e mi
avvelenerebbero come un topo, un lurido topo!
E infila di
slancio le scale di servizio piene di tintinnii di campanelli e di appelli. I
camerini sono deserti. Per prima cosa Amleto riprende il suo manoscritto
lasciato l, aperto al punto interrotto.
Kate lo
aspettava.
- Un
semplice svenimento. Ti racconter poi. Ma lascia che t'abbracci! Hai recitato
come un angelo. Ora non abbiamo un minuto da perdere... come due topi!
L'aiuta a
venir fuori dai suoi broccati; che buona idea la sua, di tenere sotto il solito
vestito! Amleto l'avvolge in un mantello e le calca in testa una berretta.
- Seguimi.
Attraversano
il parco, facendo svolare gli uccelli assopiti. Amleto fischietta allegramente.
Escono da un portoncino; uno scudiero l che regge due cavalli per le
briglie.
Il tempo
d'inserirsi in sella tra quei preziosi cofanetti e eccoli partiti, al trotto,
nel pi naturale dei modi. (No, no! Non possibile! E accaduto cos in
fretta!).
Vanno per
campi, per raggiungere la strada maestra senza passare dalla porta di Elsinore,
la grande strada senza la luna che poi laggi star cosi bene attraverso pianure
e pianure...
la strada
dove Amleto, qualche ora fa, camminava incrociando i giornalieri del
proletariato:
Fa un tempo
dolce di termosifone da paradiso. E la luna recita, non senza successo,
l'incantesimo delle notti polari.
- Kate,
avete cenato prima dello spettacolo?
- Ah! no,
figuratevi se avevo voglia di mangiare.
- da
mezzogiorno che io non tocco cibo. Tra un'ora arriveremo a un ritrovo di caccia
dove mangeremo qualcosa. Il custode il mio balio. Da lui potrai vedere una
miniatura di me infante.
Amleto
s'accorge che stanno passando proprio in prossimit del cimitero.
(Il
cimitero...)
Come punto
da chissacch tarantola, scende dal suo cavallo che lega a un albero, un albero
malinconico e indifferente.
- Solo un
minuto, Kate. per la tomba di quel pover'uomo di mio padre che fu
assassinato. Ti racconter. Torno subito; il tempo di cogliere un fiore, un
semplice fiore di carta che ci far da segnalibro quando rileggendo il mio
dramma saremo costretti a interromperlo per i baci.
Procede tra
le dure ombre dei cipressi sulle pietre al chiaro di luna, va dritto alla tomba
d'Ofelia, della gi misteriosa e leggendaria Ofelia. E l, a braccia conserte,
attende.
-
Indubbiamente,
Da
costumati
Al fresco
Dormono
I
trapassati.
- Chi va
l? Sei tu, Amleto della malora? Cosa vieni a fare in questo luogo?
- Siete
voi, mio caro Laerte, qual buon vento?...
- S, sono
io; e se voi non foste un povero demente, irresponsabile a detta delle ultime
conquiste della scienza, vi farei scontare qui all'istante sulle loro tombe la
morte del mio onorevole padre e quella di mia sorella, giovinetta di rara
perfezione!
- O Laerte,
niente pu turbarmi. Ma state pur certo che prender in considerazione il
vostro punto di vista...
- Giusto
cielo, che mancanza di senso morale!
- Allora,
voi credete che sia successo?
- Basta!
Fuori di qui, pazzo, o trascendo! Chi finisce pazzo segno che nato
ciarlatano.
- ... tua
sorella!
- Ah!
A questo
punto si leva nella notte dal diffuso chiarore spettrale un abbaiare cos
sovranamente solitario di un cane da pagliaio alla luna, che il cuore
dell'ottimo Laerte (il quale, ci penso ahim troppo tardi, avrebbe meritato
piuttosto d'essere l'eroe del nostro racconto) deborda, deborda dal buio
anonimato del destino dei suoi trentanni! troppo! E afferrando con una mano
Amleto per la gola, con l'altra gli pianta nel cuore un vero pugnale.
Il nostro
eroe piega le orgogliose ginocchia sul prato e vomita boccate di sangue, e mima
la bestia braccata da morte certa, e vuole parlare... stentatamente articola:
- Ah! Ah! qualis...
artifex... pereo!
Rendendo la
sua anima amletica alla natura indifferente.
Laerte,
idiota per troppa umanit, si china, bacia in fronte il povero morto, gli
stringe la mano poi, a tentoni nel vuoto, fugge attraverso il recinto e per
sempre, a farsi monaco, forse.
Silenzio e
luna... Cimitero e natura...
- Amleto!
Amleto! presto chiama la voce brividosa di Kate; Amleto!...
La luna
allaga ogni cosa dentro un silenzio polare.
Finalmente
Kate viene a vedere.
Kate vede.
E palpa quel cadavere livido di luna e di estinzione.
- Si
pugnalato, o Cielo!
Si china su
quella tomba e legge:
OFELIA,
FIGLIA DL LORD POLONIO E DI LADY ANNA
MORTA
DI ANNI DICIOTTO.
E la data
d'oggi.
- Era lei
che egli amava! Allora perch portarmi via con amore? Povero eroe... Che fare?
Si china,
lo bacia, lo chiama.
Amleto, my
little Hamlet!
Ma la morte
la morte, si sa da che c' vita.
- Far
ritorno al Castello coi cavalli, ritrover lo scudiero testimone della nostra
partenza, e dir tutto.
Riparte
allo stesso trotto, voltando le spalle alla luna piena che doveva stare cos
bene laggi, sulle pianure, le pianure, alla volta di Parigi e degli splendidi
Valois, che ricevono il gran mondo.
Si seppe
tutto, il riprovevole colpo di scena a danno delle personalit, il rapimento,
ecc... Si mand a cercare il cadavere con fiaccole di prima qualit. - O serata
tutto sommato storica!
Ora si d
che Kate fosse l'amante di William.
- Ah! ah!
fece l'uomo, cos tu volevi mollare Bib!
(Bib
un'abbreviazione di Billy, diminutivo di William).
A Kate
tocc una bella scarica di botte che non era la prima e non doveva nemmeno
essere l'ultima, purtroppo!
- E
tuttavia Kate era cos bella che in altri tempi la Grecia le avrebbe alzato
degli altari.
E tutto
rientr nell'ordine.
Un Amleto
di meno; non per questo la razza si estinta, diciamocelo pure!
IL
MIRACOLO DELLE ROSE
L'altra
seminagione di Sensitive si comport in un modo un poco diverso, infatti i
cotiledoni s'abbassarono durante la mattinata fino alle ore 11 e 30, per poi
alzarsi; ma dopo mezzogiorno e 10 caddero di nuovo. E il grande movimento
ascensionale della serata non ebbe luogo che a partire dalle ore 1 e 22.
Darwin
I
Mai, mai la
piccola citt termale con la sua Giunta insipiente, delegata da montanari avidi
e, malgrado l'abito, nient'affatto operetta, mai ne ebbe sentore.
Ah! se
tutto fosse soltanto operetta!... Se tutto evolvesse a tempo di quel valzer
inglese Myosotis
allora in voga al Casin (io afflitto in un angolo, come si pu immaginare),
valzer in coscienza cos malinconico, e giorni, inesorabilmente ultimi bei
giorni!... (Oh! quel valzer, magari io ve ne potessi inoculare in due parole il
sentimento, prima di lasciarvi entrare in questa storia!)
O guanti
mai rinfrescati dalla benzina! O malinconico e brillante va e vieni di tali
esistenze! O sembianze di felicit tanto scusabili! O belt che invecchieranno
tra neri pizzi, vicino al caminetto, incapaci di apprezzare la condotta degli
figlioli atletici e gaudenti che allora misero al mondo con una malinconia cos
casta!...
Piccola
citt, piccola citt del mio cuore.
Non che i
malati deambulino intorno alle Fonti, con in mano il bicchiere graduato. Vi si
fanno i bagni; acqua a 25 gradi (quattro passi dopo il bagno, poi un pisolo)
buona per i nevropatici, e soprattutto per la donna, per le muliebri in quello
stato.
Li vedi che
vanno in giro, i bravi nevropatici, tirandosi dietro una gamba che non valzer
neanche pi sull'aria tenue e compassata di Myosotis, o spinti dentro una carrozzella
imbottita d'usatissimo cuoio; li vedi in pieno concerto lasciare
improvvisamente il loro posto al Casin, in preda a strani rumori di
deglutizione automatica; o durante la passeggiata volgersi improvvisamente
portando una mano alla nuca come se qualche spiritaccio li avesse colpiti con
una rasoiata; li incontri in prossimit del bosco, la faccia scossa da tic
inquietanti, seminando tra le fenditure antidiluviane coriandoli di lettere
lacerate. Sono i nevropatici, figli di un secolo troppo brillante; te li trovi
tra i piedi ovunque.
Il vecchio
sole, amico delle serpi, dei camposanti e delle bambole di cera, calamita qui
come altrove qualche tisico, razza tardigrada eppure cara al dilettante.
Una volta
s che si giocava in quel Casin! (o epoche brillanti e irresponsabili, il mio
cuore falotico, il mio cuore come vi rimpiange!) Ma da quando non vi si gioca
pi (ombra del principe Canino che avevi sempre al fianco il fedele Leporello,
quale imperscrutabile beccamorti ha cura di voi?) le sale dai superflui custodi
decorati, in panno blu con bottoni di metallo, si sono proprio spopolate. La
sala dove si leggono i giornali, fissi da sempre al loro posto, ospita sempre,
tanto per tenervi lontano, qualche nevropatico dalla deglutazione automatica, e
a quel rumore Il Tempo vi casca di mano. La vecchia sala da gioco non ha pi che delle
trottole olandesi, dei biliardi, delle cabine in vetro per lotterie infantili
e, negli angoli, degli impianti per giocatori di dama e di scacchi. Un'altra
sala serve da rimessa per il piano a coda di un tempo, - o ballate
inguaribilmente sentimentali di Chopin, ne avete seppellita ancora una di
generazione! mentre la giovinetta che vi suona stamane, ama, convinta che prima di lei
l'amore non sia mai stato provato, prima dell'avvento del suo cuore sensibile e
spaiato e s'impietosisce, o ballate, sui vostri esili incompresi. Nessuno
solleva pi la fodera a fiori stinti che copre questo pianoforte di un tempo;
ma i soffi di vento delle belle serate arrischiano strani arpeggi di armonica
tra le stalattiti di cristallo del luminario che rischiar le ben nutrite
spalle volteggianti sulle arie galeotte di Offenbach.
Ah! ma dal
terrazzo del galeotto Casin d'un tempo si gode anche la vista sul sano e fitto
tappeto verde di un Tennis ove tutta una giovent per l'appunto moderna, muscolosa,
ben lavata e responsabile della Storia, d libero corso ai propri animal
spirits, a
braccia nude e con superbo e responsabile torace, in presenza di Ragazze
istruite e libere che si muovono, zoppicando con eleganza nelle loro scarpe
piatte, sfidando l'aria aperta e l'Uomo (invece di coltivare l'anima immortale
e di pensare alla morte che , con la malattia, la condizione naturale di ogni
cristiano).
Di l da
questo verde tappeto di giovent per l'appunto moderna, stanno le prime colline
e la cappella greca dalle cupole dorate, con le sue cripte dove viene relegato
tutto ci che infossa della famiglia dei principi Stourdza.
E pi
sotto, ecco la villa X... ove, debitamente indotta, immusonisce una regina
cattolica decaduta che crede sempre di onorare con la sua presenza la localit,
come un tempo, e presso la quale ci si mette in nota sempre meno.
Poi le
colline, luoghi da cartoline a pi colori ritoccate, coi torrioni romantici e
coi villini da schizzare.
E sulla
piccola stramba citt e sul suo cerchio di colline, il cielo infinito di cui si
orbati, giacch queste effimere femminine non escono mai, in verit, senza
che esse frappongano un frivolo ombrello tra s e Dio.
Il comitato
per i festeggiamenti prospera: notti veneziane, ascensioni di aerostati
(l'aeronauta si chiama sempre Karl Securius), caroselli infantili, sedute di
spiritismo e di antispiritismo; e sempre al suono della brava orchestra locale
cui niente al mondo potr mai impedire di andare alle Fonti ogni sette e trenta
del mattino per il corale d'apertura della giornata, poi dopopranzo sotto le
acacie della Passeggiata (oh! gli a solo della piccola arpista che si mette in
nero, e si sbianca di cipria, e alza gli occhi al soffitto del Chiosco per
farsi rapire da qualche esotico nevropatico dall'anima fremente come la sua
arpa!), poi la sera sotto la luce elettrica di rigore (oh! la marcia dell'Aida sulla cornetta a pistone, verso
le ineluttabili e chimeriche stelle!...)
Eccola
dunque, in definitiva, questa piccola stazione di lusso, come un ricco apiario
in fondo alla valle.
Coppie
vaganti, ricche tutte di chissacch passato, e senza un proletario in giro (oh!
se le capitali fossero delle delicate citt termali!), nient'altro che
subalterni di lusso, valletti, fiaccherai, cuochi in bianco sul limitare delle
porte la sera, guidatori d'asini, mandriani di vacche da latte per tisici. E
tutte le lingue, e tutte le teste che la civilt fa belle.
E al
crepuscolo, proprio nel momento della musica quando, tra due sbadigli, vien
fatto di alzare gli occhi a guardare l'eterno cerchio delle colline ben tenute
e coloro che passeggiano tra sorrisi acuti e pallidi, si prova ma esasperata la
sensazione di vivere in una prigione di lusso dal verde cortile, e che si
tratti di malati messi l, patiti di romanzesco e di passato, relegati lontani
dalle autorevoli capitali dove si rumina il Progresso.
Ogni sera
si cenava sul terrazzo; un poco pi in l, la tavola della principessa T...
(una brunona malfatta e millantata) convinta, poveretta, di fare dello spirito
in mezzo a dei familiari che ne erano altrettanto convinti, poveretti!; - io
guardavo il getto d'acqua zampillare e salire alla diavola verso la stella di
Venere appena apparsa all'orizzonte, proprio nel momento in cui, destando echi
nella valle, salivano pure i razzi, i razzi d'artificio come getti d'acqua
supplementari ma pi affini alle stelle, - stelle del resto ineluttabili e
chimeriche vuoi per il getto d'acqua e i razzi d'artificio, vuoi per la marcia
dell'Aida
nostalgicamente fulminata dalla canna pensante della cornetta a pistone. Serate
davvero ineffabili, quelle. Voi che c'eravate e che non vi avete attratto, come
il magnete la folgore, la fidanzata ignota, non datevi pi la pena di cercare
perch colei che trovereste sarebbe sicuramente un'altra, una povera altra.
O piccola
citt, sei stata il mio solo amore; ma gi ho detto troppo. Da quando lei (Lei)
deceduta, io non vi ho pi fatto ritorno, n voglio averci pi a che fare;
non per sentimentalismo (quantunque il sentimentalismo non sia ci che la gente
vanesia crede) ma per un nonsocch che non ha nome in nessuna lingua, allo stesso
modo della voce del sangue.
II
E venne il
giorno del Corpus Domini.
Era dal
mattino che le vecchie campane scampanavano.
Campane
mie campane!
Doglianze
divine!...
Ma le
divine campane urtavano troppo contro certi interessi bassamente pubblicitari.
Difatti doveva aver luogo la processione, la piazza principale ne era la sosta
d'obbligo, e su questa piazza principale tutti gli anni i due alberghi
d'Inghilterra e di Francia ridestavano le penose rivalit di Waterloo e del
Gran Premio, nella messa in scena delle loro edicole.
Anche
questa volta l'opinione pubblica (vox populi, vox Dei) diede la palma all'albergo
d'Inghilterra.
E di fatto,
sul tappeto a bacchette di rame che ricopre i gradini della scalea, oltre
l'addobbo classico dei quattro quadri di soggetto religioso con i portafiori da
refettorio e i candelabri con tutte le candele accese nel sole di giugno, ecco
che questo covo dei figli d'Albione esibiva in cima all'ultimo gradino, tra la
confusione dei ventagli di palma, una Santa Teresa (patrona del luogo) il cui
isterico policromo rococ catturava malsanamente gli sguardi. Mentre l'albergo
di Francia non aveva trovato di meglio che rincarare l'orgia di fiori dell'anno
prima.
anche
vero che al terzo cantone della piazza principale, il palazzo della duchessa
H... frapponeva, a salvaguardia del buon tono e a edificazione delle masse, la
superiore serenit di un isolato altare provvisorio: in mezzo a le peonie, le
piume di pavone e le candele rosa, tra una Sacra Famiglia del Tiepolo e una Maddalena
attribuita a Luca Cranach, tre stipetti a reggere il blasone della nobildonna
ricamato su uno scudo di felpa amaranto.
E tuttavia
fu con voce unanime che venne proclamata la vittoria dell'Inghilterra. Ma
vittoria brutale, vittoria dell'orpello e del paganesimo impressionista,
vittoria che pi tardi, in un mondo migliore, coster cara.
E questo
nel momento in cui l'altare provvisorio dell'albergo di Francia, senza voler
entrare in merito alla convenienza dei suoi deliziosi canestri di gigli (che
non filano, come sa il regno di Francia), stava per essere teatro di una
seconda edizione pi estetica del Miracolo delle Rose!
S, il
leggendario Miracolo delle Rose!
Agli occhi,
se non altro, di colei che ne fu l'eroina, toccante e tipica creatura troppo presto
sottratta all'affetto dei suoi cari e al dilettantismo degli amici.
Sulla
piazza principale dove gli alberghi d'Inghilterra e di Francia stanno a evocare
le penose rivalit di Waterloo e del Gran Premio e dove avverr la sosta
d'obbligo della processione del Corpus Domini, gi sostano al sole gruppi di
stranieri in abiti nuovi fiammanti (invece di coltivare la loro anima immortale
ecc...) e di brava gente del luogo.
Un gran bel
vedere, nella canicola di giugno; quand'ecco che entra in scena una figura
crepuscolare!
- State
comoda cos, Ruth?
- S
Patrick.
La giovane
malata si stende convenientemente sulla sua sdraio sotto il peristilio
d'ingresso dell'albergo e il fratello Patrick l'avvolge ben bene nelle coperte
da viaggio, mentre il portiere gallonato sistema con insolente ossequiosit un
paravento alla sua sinistra.
Patrick
siede al capezzale della sorella; ha con s il fazzoletto diafano come un
profumo, la bomboniera di catec all'arancio, il suo ventaglio (un ventaglio, o
ironia e malinconico capriccio del momento!), il flacone di muschio naturale
(ultimo conforto ai moribondi); ha con s questi tristi accessori d'uso della
sorella, li ha con s costantemente al servizio dei suoi sguardi, sguardi gi
reimmessi alle originarie altezze dell'aldil della vita (la vita, dieta del
nulla), sguardi intenti per l'occasione a meditare sullo sfumato di mani, le
sue, dalle falangi malinconicamente madreperlacee.
Mai Ruth
era stata sposa o promessa, eppure l'anulare sinistro dalle falangi
malinconicamente madreperlacee porta una fede, in verit molto sottile (ancora
un mistero).
Ideale
bellezza agonizzante troppo presto rapita al dilettantismo degli amici, nel suo
abito grigioferro dalle lunghe pieghe dritte, avvolta in una cappa a mantellina
doppia di pelo da dove emerge una stuarda di pizzo bianco chiusa a mo' di
spilla da una vecchia foglia di moneta d'oro con su tre fiori di giglio, coi
capelli rosso ambra a cascata sulla fronte finemente intrecciati dietro la nuca
pura in un dolce nodo piatto alla Julia Mammea; gli occhi sgomenti, buoni ma
selvatici e la piccola bocca golosa eppure esangue, e con quell'aria
tardivamente, tardivamente adorabile! Tardivamente adorabile, ch come potrebbe
il cereo incarnato avvampare ormai in scenate di gelosia?...
Ecco che
dice, pur di dire qualcosa per il piacere di ascoltarsi:
- Ah!
Patrick, il rumore di questa fiumara mi far morire...
vero, a
lato dell'albergo scorre a salti il torrente.
- Suvvia,
Ruth, non mettetevi delle idee in testa...
Allora,
tanto per distendere i nervi, crea lo scompiglio tra le scialbe rose tee (il
medico le ha proibito le rose rosse del colore del sangue) disseminandole sullo
scozzese a scacchi bianchi e neri, finendo col concludere come sempre ma con
una smorfia sottilmente vittimistica che dissipa anche il sospetto della posa:
- Mi sento
fiacca, Patrick, davvero fiacca, come una fiala svuotata...
Sono
fratello e sorella, per di madri diverse (molto diverse), lui le minore di
quattro anni, primaticcio e nobile come un verde patrio abete. Calarono due
mesi fa in questo albergo di cui occupano un villino appartato.
- Fiacca,
Patrick, fiacca come una fiala svuotata...
Troppo pura
davvero per vivere, troppo nervosa per vivere alla giornata ma anche troppo
adamantina per lasciarsi mordere dall'esistenza, l'inviolabile Ruth che simile
a una fiala si svuota evaporando poco a poco, di stazione invernale in stazione
invernale, al sole amico dei camposanti, delle putredini e delle bambole di
cera vergine...
L'anno
passato fu vista in India, a Darjeeling, ed l, oh acerba etica! che la sua
tisi si piment d'allucinazioni. Fu in seguito a un bizzarro suicidio in cui si
trov (lei gi cos lontana dalla rissa di questo basso mondo cruento) suo
malgrado coinvolta nel pi segreto di un giardino, durante una notte di luna,
ispiratrice perdutamente involontaria e testimone unica. E da quella notte
crede di ravvisare sempre, nelle tracce di sangue del suo espettorato, sangue
rosso e veemente, lo stesso sangue dell'enigmatico suicida e a quel sangue di
cose essenziali e cocenti cos radicalmente versato essa delira.
Tisica,
allucinata: quale che sia il fondamento di tutto questo romanzesco, la giovane
dama non ne ha per molto come ci si permette di canticchiare gi nei servizi,
al seminterrato dell'albergo (questo piano impietoso).
Cos, come
in un sogno che per una stagione o due interrompa i suoi viaggi personali e il
suo perfezionamento dell'eroe, il buon Patrick segue d'un occhio fatalista le
moribonde, moribonde aurore delle etiche macchie sugli zigomi della sorella e
le lunule di sangue dentro i suoi fazzoletti. Non vive che curvo sull'orlo dei
suoi occhi, acuti a volte come quelli degli uccelli selvatici dell'Atlantico, a
volte annebbiati da una pece, curvo sulle vene azzurrine delle sue tempie,
azzurrine come gli estivi lampi; e servendola a tavola, portandola a spasso,
offrendole ogni mattina un piccolo mazzo di fiori da poco, mostrandole delle
immagini colorate, suonando per lei al piano dei piccoli pezzi norvegesi da un
album di Kjerulf, o con voce assolutamente naturale leggendole qualcosa.
Patrick per
l'appunto, nell'attesa della processione, e non volendo fare troppo caso a
qualche grossolano indiscreto fermo ai piedi della scalinata, sta finendo di
leggere una pagina di Serafita alla sorella.
- ... Per
un attimo un'anima ristette, come bianca colomba, posata su quel corpo...
- Facile a
descriversi! dice Ruth; no, davvero si tratta di una volgare sdolcinatura
serafica; una pagina che risente di Ginevra dov' stata scritta. E quel
messaggero di luce con tanto di spada e di cimiero! Povera, povera Serafita!
no, quel Balzac dal collo taurino non poteva esserti fratello.
sublime
nel suo riserbo, Ruth riprende con una mano a scompigliare le rose tee
disseminate sullo scozzese a scacchi bianchi e neri, mentre con l'altra
tormenta una strana piastra smaltata che sembra inchiavardare esotericamente
l'asessuato petto.
Strana,
davvero strana questa piastra di smalto che essa accarezza sull'asessuato
petto! Accostiamoci, di grazia; uno smalto burinato, di gusto barbaro e
futuro, uno splendido occhio gigantesco di coda di pavone sotto una palpebra
umana, il tutto incastonato tra pietre tonde esangui. A Parigi, in un giorno di
maggio, al Bois, un povero diavolo che Ruth da qualche tempo trovava sempre sul
suo cammino, venne fuori da un cespuglio, segu la sua carrozza e getta ai suoi
piedi quella piastra di smalto dicendo con la voce pi naturale del mondo: Per
voi sola, e sappiate che il giorno in cui la doveste lasciare, io lascerei
questa vita. Ecco che una sera, facendo Ruth il suo ingresso in un salone, un
signore svenne a quella vista. Riavutosi, il signore balbett che non era lei
la cagione ma la piastra di smalto che portava sul petto, e pregava che gliela cedesse
per la sua collezione. Ruth oppose un rifiuto, raccont la storia fornendo i
ragguagli che sapeva, utili a identificare l'invasato. L'amatore si mise in
cerca, fall, perdette la salute, e un giorno and da Ruth dove rese a madre
natura la sua povera anima d'amatore di cose artificiali.
Ecco
svelato l'arcano! Per una fatalit imperscrutabile Ruth, quest'incantevole
agonizzante, passa la vita a seminare suicidi sulla sua via, sulla sua via
crucis.
Prima di
venire a rattristare la piccola citt termale Ruth operava a Biarritz; e
malgrado l'orrore del sangue volle assistere a una corrida a San Sebastiano.
Ruth e
l'imperturbabile fratello avevano preso posto sopra lo stallo dei tori, nel
palco del governatore. Ah! come vibrava nell'ampia gala di velo tea, gala
drappeggiata alla brava, senza pieghe n volantini, imbastita in fretta col
passo ricavato da un sudario, probabilmente per non ferire con un taglio troppo
accentuato, con una rifinitura troppo resistente, la friabilit indifesa e
fuori delle mode di colei che doveva indossarla!
giocoforza riconoscere che il sangue bestiale che colava l, lappato lentamente
dalla sabbia dell'arena, rimpiazzava il sangue del suo incubo abituale.
Educatamente,
senza un conato, Ruth tripudi allo spettacolo di sei rozze sventrate alla
cieca, di quattro tori lardellati di ferite e proprio all'ultimo trafitti, e di
due banderilleros atterrati, uno anche ferito alla coscia. Era lei a trattenere
ogni volta il braccio del governatore presidente, quando l'arena tutta coi suoi
mille fazzoletti sventolati gli intimava di sventolare il suo perch cessasse
il massacro dei cavalli dei picadores e facesse accorrere i banderilleros.
- Oh! non
ancora 'signor
presidente',
ancora uno scontro, il pi bello...
Al quinto
toro una scarica d'improperi s'era abbattuta sul troppo debole 'signor presidente'. Due cavalli giacevano
rantolando teneramente tra le zampe l'uno dell'altro nell'attesa che li si
finisse; due altri furono trascinati via perdendo a fiotti le budella.
Finalmente, a un segnale, anche i pesanti picadores vestiti di giallo si
ritrassero lasciando il toro solo, in un silenzio predisposto, faccia al
banderillero a pi fermo coi suoi due dardi ornati di nastri in resta.
Sanguinava, il povero toro, delle molte scalfitture messe a segno (vale a dire
a fior di pelle, per esasperare senza indebolire). Balza, poi gir stretto
ritornando a fiutare e a rivoltare con le sue corte corna le flaccide masse dei
due cavalli stesi, e arrestandoglisi davanti a fronte bassa, sentinella
fraterna, come cercando di capire. Invano il banderillero in posizione lo
chiamava, lo scherniva, gli lanci pure il suo berretto a nappine di seta nera
tra le zampe, il toro si ostinava a cercare frugando la sabbia con zoccolo
rabbioso, stranito dai clamori variopinti di quel campo recintato dove non
sventrava che dei brocchi con le bende sugli occhi o dei volteggianti brandelli
insanguinati.
Un capador
scavalc la barriera e corse a scaraventar gli sul muso un otre sgonfio, e fu
applaudito.
Quand'ecco
che di colpo, dinnanzi ai ventimila ventagli palpitanti in un grande silenzio
d'attesa sotto uno splendido cielo scoperto, la bestia tese manifestamente il
collo verso Ruth come a individuare in lei sola la causa di tante cattiverie ed
emise, lontano dai pascoli nativi, un muggito cos sovranamente sventurato (a
dir tutto, cos geniale) che vi fu un minuto di totale turbamento, uno di quei
minuti in cui si fondano le nuove religioni mentre, svenuta e delirante, era
portata via, chi? - la bella dama crudele della loggia presidenziale.
E Ruth che
riprendeva il suo ritornello in modo straziante:
- Il
sangue, il sangue... l sull'erba; tutti i profumi d'Arabia...
Naturalmente,
poich Ruth era passata di l, l'ecatombe di cavalli e di tori doveva quel
giorno completarsi in un modo ben curioso! S, quel 'signor presidente' che vedeva per la prima volta,
senza averla mai prima conosciuta, la nostra giovane e tipica eroina, questo
strano individuo con la faccia di febbre gialla e con gli occhiali d'oro,
questo creolo assonnato e impassibile di fronte alle richieste e ai sarcasmi di
tutta l'arena, doveva suicidarsi la stessa sera indirizzando con qualche
cianfrusaglia (ricordi dell'esilio consolare in colonia, esilio che, come
diceva, gli aveva lasciato l'anima strana e stanca) una enigmatica e nobile
lettera a Ruth che Patrick fortunatamente riusc a intercettare, desistendo
tuttavia dal coglie re il nesso di quell'epidemia di scene sconcertanti.
E chi mai
pot idearle, se non Colui che regna nei cieli?
III
Le campane
avendo preso fiato come esseri umani, ciondolarono ancora un bel po' in seno
all'inconsulta Natura, la quale ignora se pi naturata o pi naturante,
pur unendo i due estremi.
Si
avvertiva, al rumore, l'incedere della Processione di Colui che regna nei
cieli. Si sentiva la fanfara. La processione apparve.
Venivano
primi due giovani cantori in robbia, praticoni e disincantati, l'uno con
l'incensiere, l'altro con la gran croce d'argento vecchio.
Dietro, in
uno scalpiccio di gregge, una scuola di ragazzetti, due per due, vestiti a
festa dalle povere mamme che s'erano fatte in quattro, tutti col libro dei
salmi aperto sul fondo del loro cappello, pigolando straccamente le loro litanie
alle acacie a ombrello del Corso. I due in testa, assettati come degli
influenti omarini borghesi, inalberavano un ponderoso stendardo di crespo usato
di cui altri due, meno influenti, reggevano i fiocchi. A un tratto il padre di
uno di costoro, uscendo dalla siepe degli spettatori, avanz nei ranghi e con
un'aria di parrocchiano sistem la riga impomatata del commovente Eliacin col
suo personale spazzolino da barba. Gli ultimi quattro del gregge, i pi
grandicelli e palliducci nel loro abito nero da comunicandi, offrivano la
spalla alle stanghe di una barella dove troneggiava una Piet, stile rue Saint
Sulpice. Quattro cantori con tanto di gibus strinato, riccamente inguantati e
con sciarpa sgargiante a croce di Sant'Andrea, sorvegliavano andando e venendo
il tutto, pugno sul fianco come degli ufficiali di cerimonia.
Venivano
quindi le bambine, angioletti di zucchero d'orzo, tutte in bianco cinturato
d'azzurro, i capelli ricci incoronati di mughetti, le braccia nude a reggere
cestini di petali da spargere, che delle borghesi danarose scortavano sotto
ombrellini materni.
Poi delle
collegiali non in divisa e in abbigliamento dimesso che con voce incerta
elevavano un cantico.
Poi un
accalcarsi di educande in bianco, qualche congregazione di Figlie di Maria, con
coroncina e guanti, eccessivamente presentabili, a scorta qua di uno stendardo,
l di una barella col suo idolo di cartapesta, vaghe rustiche reliquie.
Ancora in
bianco, una fila raccolta di comunicande dai lunghi veli pieghettati, occhi
bassi, mani giunte in punta, mormoranti all'unisono cose che il cuore sa
ritenere. (Ah! quando c' di mezzo il cuore...)
Ora era la
volta della banda, robusta, preceduta dal corpo dei pompieri, una chiassosa
banda paesana in finanziera e gibus: ottoni ammaccati al ritorno dai balli di
nozze, clarini di minchioni in bisboccia, e la botte della grancassa dalla
pelle piena di lividi e con la pagina di musica sozza per l'uso, ficcata in
cima allo strumento. Stavano giusto macellando la marzia nuziale dal Sogno
di una Notte d'Estate
di Mendelssohn.
Ancora
quattro bimbette scelte, con i cestini pieni di petali di rose da spargere e
finalmente, su quattro pertiche tenute da uomini importanti, era la volta del
baldacchino rosa frangiato d'oro che riparava l'ecclesiastico officiante il
quale, pomposo all'aspetto ma annichilito nell'intimo, offriva a quei fedeli di
strada il sole leggendario del Santissimo Sacramento.
E il
baldacchino fece sosta dinnanzi all'edicola dell'albergo di Francia!
O passi
attutiti d'unzione edificante, silenzio in pieno giorno al sole, campanella dal
suono gracile e sacro come a messa nel momento dell'elevazione, colpi
d'incensiere! Di tutta evidenza, il Santo Sacramento era il centro della
processione.
I signori
si erano scoperti, numerose signore s'inginocchiavano sul bordo del
marciapiede. Non vi fu uno scettico di lusso che osasse prendere la parola.
O silenzio
in pieno giorno al sole, campanella dal suono gracile e sacro come a messa nel
momento dell'elevazione, incensieri alzati da nuvole di omaggi! Erano tutti in
visibilio.
Ma per
Ruth, la sventurata e tipica eroina che mi sono eletto! questo silenzio
affascinante al punto di urlare, questa campanella gracile e implacabile da
Giorno del Giudizio non forse l'arnese delle desolazioni, delle desolazioni
delle ingiuste valli d'oltretomba dove l'altro erra, il Suicida, il Suicida per
troppo amore, il Suicida senza tante definizioni, col suo buco in fronte?...
E
disgiungendo le mani febbrilmente pie essa s'aggrappa al braccio del fratello e
riprende a vagire dal fondo dei suoi sonnambolici limbi:
- Il
sangue, il sangue, l sull'erba!... Tutti i profumi d'Arabia... O Patrick, se
solamente sapessi perch. Io piuttosto di un'altra, in questo vasto mondo dove
il nostro sesso in maggioranza?...
E Patrick
che ora potrebbe gridarle davanti a tutti: Sei tu che hai cominciato! invece
le carezza le mani, le passa il flacone dei sali muschiati e aspetta con
dolcezza, senza scandalo, bench la senta svenuta.
Il
sacerdote portatore del Santo Sacramento si volta un attimo con ostentazione
verso la ricca giovane malata per gratificarla a distanza, d'un moto di labbra,
del suo santo ministero.
In quello
stesso istante fu vista una bimba, spinta da un giovane che radioso e teso
restava al suo posto, uscire dai ranghi una bimba rossa di vergogna ma come
mossa da un ordine terribile, salire la scalinata e venire a spargere attorno
allo sdraio della povera svenuta tutte le rose rosa del suo cesto. (E manc
poco che cadesse ridiscendendo).
Vi sono
nella vita dei minuti assolutamente strazianti, strazianti per ogni classe
sociale. Questo non lo fu, ma ve ne sono; e l'eccezione non pu che confermare
la regola.
La
processione si mosse, ora diretta a incensare col Santo Sacramento la Santa
Teresa dell'albergo d'Inghilterra, di un isterico policromo rococ, prima
d'incensare a sua volta l'altare di famiglia della duchessa H. In testa avevano
ripreso i cantici, e la coda della processione sfilava.
Sfilava, la
coda della processione. Prima i valletti della regina decaduta; poi, su due
file, tutto un senato di borghesi col cappello in mano, stigmatizzati in modo
indelebile dai loro mestieri: dai macellai apoplettici ai pallidi pasticceri;
poi i paesani, curvi, stratificati, dai crani malfatti, col berretto in mano, due
o tre sulle grucce, qualcuno solitario che si dice addosso le orazioni; poi le
suore di carit, maniche larghe a manicotto e con le cuffie le cui ali
palpitano come Spiriti Santi mostruosamente inamidati per volere di una
religione dai riti veleggiati via; poi delle dame col parasole, e delle
domestiche; poi delle contadine in scialli del tempo che fu, col gozzo cotto
dal sole; qua e l a intervalli un uomo o una donna sgranando a gran voce il
rosario mentre i vicini mormorano responsori.
E la
processione del Corpus Domini chiudeva, stupidamente tronca, chiudendo su una
frotta di timide domestiche.
E il
pubblico non irregimentato filava via verso la lista delle vivande tra la
polvere e i petali finiti sotto i piedi.
Tuttavia,
mentre si smonta l'edicola:
Passata
la festa, gabbato lo santo!...
Ruth si
ridestata e guarda, esulta, una mano sulla piastra di smalto che inchiavarda
l'asessuato petto, l'altra che indica in giro:
- O
Patrick, Patrick! Guarda, al posto del sangue vi sono delle rose! Non pi sangue
ma rose di un sangue trascorso e ormai riscattato! Oh! dammene una che la
tocchi...
- Per,
proprio vero! fa Patrick, col suo tenero istinto e tutto preso dalla sorella,
senza riflettere. Oh! sangue davvero tramutato in rose...
- Allora
salvo, Patrick?
- Ma
sicuro, salvo.
La sorella
si riempie le mani di petali e vi singhiozza dentro.
-
Poveretto! ora s che non dovr pi occuparmi del suo stato.
Il tutto
chiuso da un accesso di tosse che giocoforza annaffiare con l'eterno sciroppo
benzoico.
Perch,
grazie alle rose rosa dell'anonima bimbetta cos provvidenzialmente sfogliate
in loco, Ruth era esorcizzata delle sue allucinazioni e poteva ormai dedicarsi
tutta all'unico e non contagiato travaglio della sua tisi, di cui riprese il
diario con una penna intinta in un calamaio a fiori blu tipo Delft.
Inutile
dire che non seppe mai che quella stessa sera del Corpus Domini il fratello
della bimbetta dal cesto di rose miracolose si suicidava in una camera
d'albergo, col pensiero rivolto a lei, avendo a testimone unico dello stato del
suo povero cuore Colui che regna nei cieli.
Ma il
Miracolo delle Rose era giunto al suo fine nella gloria trionfante di sangue e
di rose! Alleluia!
LOHENGRIN
FIGLIO DI PARSIFAL
Quante
ore della notte io ho vegliato accanto al caro corpo che dormiva, cercando di
capire perch mai tenesse tanto a evadere dalla realt.
A.
Rimbaud
I
Ah, quanto
sono irreparabili, foss'anche solo nell'immaginazione, le sere dei Grandi
Sacrifici!...
Naturalmente,
per la degradazione della vestale Elsa sulla piazza del Sagrato di Nostra
Signora, in un rintocco di Nox Irae di tutte le campane, era stato scelto il sorgere del
Primo Plenilunio implacabile e divino di fronte al mare eterno delle belle
sere.
Su due
palchi drappeggiati inviolabilmente di tele di lino stanno contrapposti il
Bianco Concilio e la Corporazione delle Vestali; tra le due istituzioni una
folla in bisbigli e un uditorio che fa corona, tutti in piedi; occhi blu,
verdi, grigi, sgomenti nell'attesa, di fronte al mare sovrumano delle belle
sere.
Fa ancora
giorno pieno, non un alito clemente di brezza a contrariare le corte fiamme dei
ceri.
Ma che cosa
si prepara?
Oh, di
grazia! come tutto bianco e barbaro in quest'ora, sulla riva di un mare che
sta come dentro un solenne bacile! E come tuttoci lontano dal mio villaggio!
...
Ecco che
nell'incanto dell'orizzonte appare adesso Nostra Signora.
Infatti,
oh, la bella d'oro vecchio luna piena, allucinante, tonda, stuporosa, da
palpare! Tanto vicina che la si direbbe un'opera degli uomini della Terra,
aerostatica esperienza di tempi nuovi (gi, una luna ingenua nella sua
dismisura come un pallone mollato!)
Come sempre
tutto ci d un brivido.
E come
sempre, le facciate gessose della piazza a balconi addobbati con sudari
d'ufficio e il rosone dallo sboccio sepolcrale della Basilica del Silenzio si
tingono di un pallore attraente, e in questo incantesimo tutto nuovo le corte
fiamme gialle dei ceri ricordano i poveri vecchi gioielli di famiglia.
Salve
Regina dei Gigli!
Ostia di
Lete! Specchio trasfigurante!
Mecca delle
Sterilit polari!
Oh,
Eucaristia tuttopiaghe, Eucaristia malcauterizzata, ostia sul ciborio
dell'oceano!
Ecco che
all'orizzonte le onde finora in vena di bonaccia eseguono da lei attratte un va
e vieni ninnante, palesemente ninnante, come a implorarla di calare un po'
stasera, tanto per vedere... e allora s che la coccolerebbero nottetempo!
Sul che lo
scampano agonizza.
E la folla
ulula allora (uomini donne vecchi bambini, tutti in un coro di soprano acuti)
lo Stabat di
Palestrina in versione, per, infinitamente purgata!
A quel
segnale sovracuto la lanterna-uccelliera del Faro della Dea lascia liberi i
gabbiani consacrati!
Simili a
uccelli falena svolarono via con pigolii selvaggi verso la Grande Luna roteando
al Suo Cospetto; e dopo queste preliminari devozioni, attesero alla solita
pesca delle belle sere.
Tutti a
sedere, niveamente ebbri di tali preludi.
Che
silenzio!...
Si alza il
Gran Sacerdote anziano di Selene; in un silenzio polare adempie i tre offertori
d'incensiere alla Luna Piena e dice:
Davvero,
mie sorelle, sere come questa s'addicono alla vostra bellezza!
Ecco a noi
giunta sulle invalicabili lagune del mare l'Immacolata Concezione (la sola)!
Ave, Vergine delle notti, piana di ghiaccio, sia benedetto il nome tuo tra
tutte le donne, tu che dai lustro ai seni e fai sgorgare il latte lustrale.
Le Vestali
si alzano, tranne l'ultima fila delle pi giovani ancora votate al silenzio, e
ripetono l'invocazione, - allora tutte (in tre tempi, ma non senza una certa
assai scusabile atteggiata flemma) buttano indietro la pallida casimirra,
sciolgono il soggolo di lino e esibiscono al benefico Astro i loro giovani
seni, - oh! come altrettante ostie, come altrettante aspiranti lune; - le
novizie un po' rabbrividendo al sentirsi far dure le loro mandorle sotto la
carezza del sacro raggio venuto cos da lontano attraverso le invalicabili
lagune del mare.
Una di
costoro, isolata in prima fila, rimasta estranea all'incantevole cerimonia,
abbassando anche il capo sul suo busto condannato.
Il Grande
Sacerdote, che la teneva d'occhio, riprende con pi animo:
Mandorle
dei seni, suggelli di maternit, poppate gli effluvi dell'Eucaristia che s'alza
sul mare e compie il suo giro nei nostri dormitori. Perch voi siete ancora le
sue vergini, degne di albergare i suoi Misteri, di custodire i suoi filtri e le
magiche formule, degne di benedire le focacce nuziali. Natale! Natale dunque!
al Virgineo Faro, alla scolta dei Poli, al Labaro delle Societ moderne!.
E si
risiede.
Tocca al
vicario di Diana Artemide ergersi, doricamente drappeggiato, pallido come la
statua del Commendatore dei Credenti.
Elsa!
Elsa! Elsa! squilla tre volte con le sue canne di perfetto settario.
La Vestale
isolata in prima fila, la donnina dal seno vergognosamente celato, viene avanti
a testa bassa sul palco, davvero afflitta.
Elsa,
Vestale giurata, guardiana dei misteri, dei filtri, delle formule e del
frumento delle focacce nuziali, che ne hai fatto della chiave del tuo registro?
Ah! ah! il tuo seno conosce altre carezze da quelle cos lontane della luna, la
tua carne s' imbevuta d'una scienza ben diversa dal culto; mani profane hanno
sciolto la tua cintura e rotto il sigillo delle tue piccole solitudini! Che
cosa sai rispondermi, per esempio?.
Elsa
articola angelica: Credo di essere innocente. Un crudele equivoco! - (e a
bassa voce: Mio Dio, quanti pettegolezzi!).
Con un
gesto convenuto il Bianco Concilio fa segno di continuare.
il turno
del confessore di Ecate che si alza e sgrana l'atto d'accusa.
Nella
notte del... ecc... ecc...
(Insomma
nient'altro che dei sospetti, dei miserabili sospetti).
...Il solo
fatto di essere pubblicamente sospettata rende inadatti al culto. - Vedova
Elsa, dimenticate che foste Vestale. Dimenticate, col pi terribile per sempre,
misteri formule filtri e lievito di focacce! Ora, vedova Elsa, contemplate per
l'ultima volta la Dea: se, come il rito vuole, dopo tre intimazioni il vostro
fidanzato non si presenter per assumervi, i vostri begli occhi saranno
abbruciati per contatto e con la massima delicatezza compatibile dall'Aerolite
del Sacrilegio sceso tra noi al tempo della prima luna dell'Egira, aerolite che
riposa, come sapete bene sulle bende nell'ipogeo della Dea, nel pi segreto
della Basilica del Silenzio. - Popolo! passeremo alle tre intimazioni di rito.
Era palese
che Elsa non si dava neppure la pena di lanciare uno sguardo a caso su quella
folla da cui non s'attendeva, dunque, ombra di Cavaliere.
Le Matrone
dalle cuffie a bendelle di Sfinge la fanno scendere dal palco, la spogliano
della pallida casimirra e del soggolo di lino e delle perle del culto. Annodano
le perle nel soggolo e nella casimirra, e il tutto sprofonda nelle necropoli
sottomarine dentro un cofanetto di piombo; successione di simboli
impressionante.
Il che,
agli occhi del popolino, fa apparire Elsa fidanzata. - Oh! attraente e
promessa, dentro una lunga veste livida costellata dal basso in alto di occhi
di piume di pavone (nero blu verde-oro, risaputo ma vale la pena di
ricordarlo), con le spalle nude, con le braccia nella loro angelica nudit, con
la vita fermata proprio sotto il giovane seno da una larga cintura blu da dove
pende una piuma di pavone con un occhio anche pi superbo, su quel gioiello
di occhio centrale che la poverina tiene per pudore le piccole mani dai lunghi
mezzoguanti blu incrociate! Nondimeno i suoi occhi restano pur sempre succosi
come delle bocche, attesoch la sua bocca semiaperta venuta a assumere, per
la circostanza, tutta la tristezza di uno sguardo.
Un mormorio
palese d'ammirazione corre tra le donne (lo spirito di corpo, ahinoi, le fa
come sempre solidali) le quali intonano:
Felice!
davvero felice colui che la condurr sotto il suo tetto. Le sue forme sono
deliziose; - ci sbagliamo, o non ha ancora diciottanni?.
Elsa
neanche si degna di confermare questo dettaglio irresistibile.
Ma un
araldo avanza tenendo ben alto su una patena, perch il popolo veda, l'aerolite
che deve corrodere i begli occhi succosi; suona col suo corno d'avorio ai
quattro punti cardinali, poi...
- Non
potreste suonare con maggior convinzione verso l'orizzonte dei mari? gli fa
notare Elsa.
- Ci prende
in giro.
- per
farci perdere del tempo. - All'ordine! - L'accecamento degli occhi!
- Non
voglio avere niente da rimproverarmi, dichiara il Gran Sacerdote: Araldo, ottemperate
e date fiato con pi convinzione verso l'orizzonte dei mari!
L'araldo
suona a scorno verso il noto orizzonte dei mari! poi grida:
Chi vuol
prendere in legittima sposa Elsa, vestale da strapazzo, si faccia avanti e lo
giuri con voce chiara e distinta!.
Elsa non
batte ciglio, anzi, d di schiena alla cerimonia come a ispezionare l'ignoto
orizzonte dei mari.
Nessuno ci
trova da ridire. - Chiss quante madri, oggi, hanno messo i propri figli sotto
chiave! - pure altera! Mi sa che non si mette bene.
Le altre
due intimazioni restano senza risposta.
Aggiudicato!
Elsa
irrompe: - Passatemi prima uno specchio!
Un giovane
esce dalla folla e porge alla condannata uno specchietto tascabile (poi a bassa
voce: Di', mi amerai? Vorrai seguirmi dappertutto con occhi folli se...
-
inutile. Grazie tante).
Ecco che si
rimira e s'ammira! Invece d'abbandonarsi al compianto della sorte dei suoi
occhi, Elsa s'aggiusta la pettinatura, liscia l'arco delle vantate sopracciglia
e s'aggiusta ancora i capelli.
(Che
mancanza di senso morale!)
- Spero che
adesso mi si lascer dire una piccola preghiera alla Luna, nostra padrona, no?
Senza
aspettare che deliberino Elsa s'inginocchia sulla sabbia della riva. E tendendo
le piccole mani dai mezzo guanti blu all'orizzonte cos incantato dei mari,
incomincia a salmodiare:
Buon
Cavaliere che in una notte fatale e memorabile m'apparisti cavalcando un gran
cigno luminoso!
Abbandonereste
voi la vostra ancella? Fatale Cavaliere voi sapete bene che i miei occhi
succosi sotto le vantate sopracciglia e la mia bocca triste sono alla vostra
merc, e che con sguardi folli io vi verr dietro dappertutto.
Ah! ho la
carne tanto stordita dalla vostra visione che il mio piccolo cratere (mette la
mano sul cuore) ancora mi fa male! Mi sono scoperta un mucchio di tesori; io vi
dico che il vostro capriccio, cos nobile, sar tutto il mio pudore.
Grazioso
Cavaliere, non ho ancora diciottanni. Venite dunque ad assumermi, non vi
morderete certo le mani. - Angelus! Angelus! Io sono la Sulamita! Non ho che
la probit in eccesso di un fiore.
Con la mano
a schermo sugli occhi si china per un attimo a scrutare il magico orizzonte,
poi riprende strascicando le parole:
S, dico
bene, alla vostra merc, Grazioso Principe! E sapr forgiarvi delle corazze di
scorta.
Ebbene, ve
lo voglio confessare: il gusto di quel che porto addosso vi far sbocciare ben
pi di una famelica papilla! - E le lune dei miei gomiti, che mandano lampi
come allodole ripiombanti! ah! ah!...
Come pu
l'adorabile Cavaliere tollerare ch'io invecchi cieca e paria in mezzo a questa
societ borghese? Io sono bella, bella bella! come uno Sguardo incarnato!
Certo che
vi capisco, e in anticipo! Se vi seguir? ma dappertutto con occhi folli!
Voglio tenermi cos perennemente sospesa alla luce della vostra fronte che mi
scorder perfino d'invecchiare, sapr incastonarmi nella vostra scia di luce al
punto di divenire un piccolo diamante che l'et non potr pi intaccare!
Ah no! no,
non sono che una povera creatura del sesso! non far altro che lavare ogni
mattina con le mie lacrime la vostra armatura di cristallo...
Poi si
volta verso l'Esecutore.
E a quel
cuore tre volte corazzato di bronzo: - Ma se vi dico che sta per arrivare! Me
l'ha promesso; almeno vedrete una volta per tutte che cosa io intenda per un
bell'uomo. - Ah eccolo! eccolo! eccolo! Ma guardate voi piuttosto!
I gabbiani
ripigolavano spauriti verso le uccelliere dormitorio del Faro.
Proprio
cos, o dolce sera...
Veniva
dall'orizzonte sul filo delle onde remissive e nell'incanto della Luna Piena
sgranata, mirabilmente e con il collo atteggiato a prua, un luminoso cigno
badiale cavalcato da un efebo in raggiante armatura che, sublime d'ignota
fiducia, tendeva le braccia diretto alla Riva tribunalizia...
E ai nostri
carnefici di tramutarsi in allocchi accalcati sul litorale, attorno a Elsa
sgomenta, la quale riesce appena a articolare: Ma non spingete cos! Non vedete
dunque che mi sgualcite l'abito?.
E gli
allocchiti carnefici:
- Chi sar
mai l'onesto Cavaliere che avanza sui mari, armonioso di coraggio, schietto
come le cime, col cece della Fede in fronte? che luminarie! Elsa, senza
sottintesi, noi ci felicitiamo con te; avrai dei bei bambini, di sicuro. E come
sta in arcione sul serafico uccello, frana di neve fatta cigno! Oh! perlomeno
Endimione in carne e ossa, il giovincello di Diana. E il suono della sua voce,
chiss come sar... provvidenziale!
Arriva, glissando,
ingigantendo, magico, mantenendosi in posa, sicuro di tutto!
Come
dev'essere ricca e raffinata la sua famiglia! Chiss in che ombrosi e incantati
recessi sta sorbendo i gelati a quest'ora? lontano, a tal punto lontano?...
Sar in viaggio da molto, lui?...
Eccolo!
Come proprio Lui! Quale donna potrebbe avere con lui incompatibilit d'umore?
Il gentile
Cavaliere ha toccato terra sulla riva. Per prima cosa, accarezzando il collo
atteggiato a prua del bel cigno taciturno e molto araldico:
Addio e
tante grazie mio bel cigno quadrigato, riprendi il tuo volo contro l'orizzonte
sbarrato dalla Luna Piena, supera le grandinate di stelle, doppia il capo del
Sole e rivoga tra gli argini cagliati di miriadi della Via Lattea verso i
nostri laghi senza pari del Santo Graal; va, mio piccolo cuore!.
Il cigno
spiega le ali e puntando con un fremito imponente e nuovo fa rotta, veleggia
spiegato e presto scompare del tutto di l dalla Luna.
Arte
sublime di bruciarsi le navi alle spalle! Nobile fidanzato!
Poi che il
cigno fu debitamente perduto di vista segu un silenzio gelido, un tantino
provinciale. Il Cavaliere avanza appena intimidito e dice:
Non sono
affatto Endimione. Arrivo dritto dal Santo Graal. Mio padre Parsifal, mia
madre non l'ho mai conosciuta. Sono Lohengrin, il Cavaliere Errante, il giglio
delle future crociate per l'emancipazione della Donna. Nell'attesa, soffrivo
troppo in ufficio, da mio padre. (Ho una certa predisposizione all'ipocondria).
S, vengo per sposare la bella Elsa dal collo di cigno che abita qui tra voi.
Dite, dov' sua madre ch'io le parli....
- orfana
come tutte le Vestali, Elsa, proclama l'Araldo.
- Davvero!
Eccola! la riconosco bene. Oh, perch ti nascondevi? Ma che belle piume di
pavone! chi te le ha date? Te le spiegher all'alba! Ma che occhi belli hai!
Che figura... armoniosa!
Caddero
insieme ai piedi l'uno dell'altra; insieme ma pi o meno fatalmente, purtroppo.
- Buon
Cavaliere, cos come sono, compreso il mio passato, cos come posso essere io
mi prosterno alla vostra merc. Gi lo sapevate, e non mi disdico.
- Ma no
Elsa, tu sei troppo preziosa, (che divino esemplare umano!) alzati!
- vero,
non sono poi tanto male; ma voi m'insegnerete a conoscermi a fondo, sono cos suscettibile
di perfezione! Oso darvi anch'io del tu?
- O mia
piccola Virtuosa dei Messali!
- Lo dite
con gusto.
Allora, che
si suoni mortalmente a nozze! campane campane della Citt! campane delle belle
domeniche sulle province tranquille! Gioia della biancheria pulita come se
durante la settimana non ci si fosse sporcati! Allegria decorosa di collegiali
a festa sotto la porta grande del duomo! Campane! Campane! Giovani sacre
frementi e tutte senza risparmio avvicendantisi in un solo inno avveniristico! Ah!
le campane che proprio cos suonano: La tovaglia bianca gi messa. Ecco la
focaccia. Dite: questa la mia carne e questo il mio sangue!.
Per tre
volte i tre zotici preti elevano gli incensieri zeppi e fumanti al topazio
della Luna Piena, proprio per niente turbata da quei curiosi feticismi.
E si va su
in processione al Tempio, verso gli amboni nuziali illuminati e i grandi organi
scatenanti gli Osanna! e i Crescite et multiplicamini!
- Sapete il
latino? chiede Elsa.
- Cos
cos, e voi?
- Oh! non
sono tanto sofistica! Sono una ragazza, punto e basta. Pare che il latino non
sia mica poi cos pulito nelle parole, l'ho letto in un vecchio almanacco...
S'inginocchiano
davanti alla Tavola Santa drappeggiata di panni virginali, sotto un baldacchino
d'orifiamme percosse dalle raffiche di allegria dei grandi organi.
Sta per
cominciare... e il tutto si svolge con un bel spiegamento di sacro...
Allo
sbocciare delle Valve d'oro del Tabernacolo si offre alla vista l'Ostensorio
dalla patena a forma di luna, libero dalle fasce, esposto su un manutergio.
Non hanno
bisogno di scambiarsi occhiate in tralice per comunicare perdutamente tra loro:
- Non so
te, ma io soffoco sotto i tuoi occhi, dice Lohengrin.
E bagna con
lacrimoni lustrali i panni della Tavola Santa.
-
Conoscerai la mia leggiadria, dice a bassa voce Elsa convinta. Come! tu batti i
denti! Ma non t'impressionare! Di tutto quello che succede qui io non credo a
niente; per me la loro luna come una matrigna, sul serio, uno spelacchiato
idolo da vecchi.
- Sar per
via dell'organo...
- Ah! sai,
vado matta per la musica io! Dalle tribune ululavano i soprano:
Orfani
innamorati, le praterie della giovinezza attendono i vostri agonici fianchi.
Titubando e belando sui ritornelli dei rigogoli notturni dei vostri cuori,
flagellandovi con verghe di qualit, ipnotizzatevi in presenza della Luna
quando stagione di semina e carezzatevi poi con tanta fantasia da dar vita,
fuor di crisalide, alle vostre farfalle notturne! Perch il resto non che
Desiderio.
Infine,
mentre l'organo dipana la matassa di una fuga sul noto tema: Si fa tardi
tutti escono, meno processionalmente di come erano entrati, scossi da tante
opposte emozioni.
La notte si
annuncia calda. I tetti, il litorale, la citt e la campagna dormono gelati di
luna; le praterie marine luccicano alla lunare serata di gala; lo spazio come
spolverato da una manna impalpabile di sortilegio.
L'ostia
abbagliante allo zenit! Verrebbe quasi voglia di staccare le gondole per
andare laggi, sullo specchio d'acqua, a catturare con una rete quell'immagine
ferma di ostia cos abbagliante!...
Elargendo
questo spettacolo con un gesto, e davanti a questa mostra del bianco, il
Concilio grida alla coppia la formula di rito: Buon pr ragazzi! la
tovaglia apparecchiata.
Oh!
le tovaglie fini
Dei
sacri festini!
Andatevene
via gente in baldoria
A casa
tutti gente in allegria.
Ragazzette
in male di marito
Chiss che
l'anno prossimo
Dio non
v'abbia esaudito!
I cori
svanirono, e i ragazzi rimasero solo, poverini, nel loro duetto.
II
Era alle
dipendenze del Ministero dei Culti la Villa Nuziale, perduta in un'ansa della
costa trasformata a giardino. La si cedeva gratis agli sposi novelli, durante
la loro prima settimana; perci non v'erano levatrici distaccate presso la
casa.
Sembrava
prossima, vedendo cos vicino il meraviglioso solitario pioppo argentato che ne
indicava l'ingresso. Ma in virt degli ingegnosi tornanti dei sentieri in
fiore, il duo impiegava degli interi quarti d'ora prima di avvertire il
bisbiglio del meraviglioso pioppo della soglia.
Quarti
d'ora a due, o semplicemente a braccetto, estasiati da teneri sussulti.
- Caro
Cavaliere, il chiaro di luna vi sta proprio d'incanto sulla misteriosa corazza
di cristallo!
- Vero? e
come ci sublima tuttoci!...
- E sulla
mia bellezza, che effetto fa il chiaro di luna?
- Le volute
dei vostri capelli scuri non sono meno calde.
- Ah! il
cuore lo altrettanto. Ma perch non mi date pi del tu?
- che mi
state diventando un personaggio, un personaggio con il quale dovr fare i
conti.
- Nevvero!
Ma... patti chiari amici cari.
- Quanta
magia nelle siepi di questi sentieri scoraggianti! ...
Il chiaro
di luna era cos intenso che i nidi cinguettarono e i formicai furono presi da
frenesie diurne.
Finalmente
apparve il nuziale pioppo sublime con le sue foglie d'argento impalpabile,
tutt'un fremito nell'incantesimo polare sullo sfondo diaccio di cielo blu oltre
marino!
Ecco
Lohengrin che lascia il braccio della compagna e mette un ginocchio a terra:
- E credevo
di essere Lohengrin, il Giglio fatto uomo! Ma come mi superi pioppo glorioso!
nato quaggi, tu sei vegetante; tu tendi per sottilissime unanimi branchie
all'Empireo e il tuo fogliame impalpabile d'argento, sulla soglia di questa
villa nuziale, mormora con immutata purezza vedendo le coppie che entrano, che
entrano e escono sette giorni dopo, e cos se ne vanno.
- Entriamo!
entriamo! la nostra casa! intona Elsa battendo le mani.
Si
avventurano dunque senza esitare, in preda al disagio e al silenzio, coi piedi
spossati dalle tiepide ghiaie, e si affrettano verso qualcosa come dei salti
d'acqua l intorno, - ancora attraverso scoranti labirinti di tassi potati a
corridoio e per ammassi curiosamente plastici tra i balsamizzanti spruzzi
opalini dei cloffete-clop solitari, nel mezzo di rotonde piazzuole a terrazze
di marmo concentriche, dove bianchi pavoni ancheggiano nel loro strascico
immacolato al chiaro di luna.
Erano
proprio delle cascate quelle che loro sentivano, un circo di cascate
ininterrotte attorno a una vasca la cui acqua, profonda un piede appena e
translucida, offriva alle magie lunari le miche brillanti del suo fondo di
sabbia pura.
Ah! gettano
corazza di cristallo e strascico stellato di begli occhi di pavone: -
edenicamente nudi essi entrano in acqua con risatine assurde, per allungarsi
fiaccamente al centro, sotto una coperta ideale, poggiando sui gomiti e dicendo
qualcosa, tanto per riaversi.
Si sorvegliano,
senza parere.
Lohengrin,
adolescente e spirito superiore, le gambe troppo incrociate, alla turca.
Elsa
stirandosi sotto la luna, magra, duramente sagomata e goffa (Detesto le molli
curve che per eccesso franano in anticipo verso la putredine), fianchi superbi,
gambe per galoppare in allevamenti sassosi; eretta nel busto e senza vergogna
dei suoi seni tanto acerbi che potrebbe nasconderli sotto due piattini.
Elsa,
appoggiata sui gomiti e nell'acqua fino al collo, scioglie i capelli e li
sparpaglia a onda intorno al viso abbassato che per un attimo, tra quelle alghe
e sullo stelo di un collo, appare come un crudele fiore lacustre.
Ottenuto
l'effetto, si riscuote:
- Sai, non
ne potevo proprio pi di quella vita conventuale e dei suoi culti platonici.
Per caso, non mi trovi un po' incartapecorita? Che ne dici, caro, se facessimo
una galoppata nei prati?
- Se vi va.
- Ah! non
mi ami. Me l'aspettavo! Sarebbe stato troppo bello!
- S che ti
amo! troppo!...
Le tende il
braccio, in una stretta di mano cordiale; poi per riaversi:
- Su,
raccontami un po' la tua vita...
- Ma
tesoro, non ho vissuto... fino a questa notte. (Ma sapete che non ho ancora
diciottanni?) - Ho sognato e
questo e quello, voi insomma, Grazioso Cavaliere.
- E
naturalmente, sai tutto! Non rispondi? Non ti sono mai passate sotto gli occhi
le tavole anatomiche del destino della specie?...
- Oh! tutta
la vita vi pentirete di avermi detto questo!
- Ma non ho
detto niente! Dopotutto alludevo a cose molto naturali e molto piacevoli!
- Le donne
avranno sempre l'ultima parola, sospira Lohengrin guardando nel vuoto.
Si alza;
anche lei si alza, impadronendosi del suo braccio con un gesto gentile ma
fermo.
- Vi bagno
forse? fa lei.
- Oh, non
fateci caso.
Compiono il
giro della vasca, arrestandosi dove i salti d'acqua sono pi belli, spezzando
un attimo con la punta del piede la falda rifrangente che filtra tra le loro
dita, furibonda e diaccia. Un pretesto per stringersi addosso al suo tesoro. E
lui la calma, non con la banalit di un bacio, ma con qualche parola
appropriata.
Stanchi di
combattere si siedono su una proda intensamente erbosa.
- Adesso
come va? chiede lui.
- Dove?...
- Senti!
non senti in giro il singhiozzo di un uccello notturno?
- Oh! e
questo rumore di germinazioni dappertutto? Che notte!
Ors!
mormora tra s il misterioso cavaliere. Non l'Assoluto, ma il compromesso;
niente troppo, consentito tutto.
E
s'arrischia a carezzarla con una buona dose di curiosit. Poi alzando la voce
fa la seguente riflessione: Questa Villa Nuziale puzza di fossa comune.
- Siamo
tutti mortali, dice in tono molto conciliante lei.
Finalmente:
Se rientrassimo? sospira lui per due.
La Luna
Piena altissima, tumefatta e colore del polipo.
Nella
notte, ricca in svolgimenti naturali, non s'avverte che lo sconnesso gracidio
delle raganelle dei fossi.
- Guarda!
cosa sono quelle costruzioni laggi? Ahss! la si direbbe una pietra con dei
simboli graffiti e delle regole...
- Vieni,
vieni o prenderai freddo.
Tornano
indietro senza parlare, lui gravato da responsabilit trascendenti, lei di
casa.
Lui pensa:
Nessun
Assoluto,
Il
compromesso;
Niente di
troppo,
Tutto
permesso.
Lei pensa:
il
nido arredato
Dall'uomo
idolatra,
Le bufere
scadute
Notte e d
accanto al fuoco:
Proprio
niente per poco
Quasi mai
una lite,
Bella cosa
due vite
Che si
sanno arrangiare.
Entrano.
la villa invasa d'erbe folli. Facciata con garofani a spalliera bendisposti,
scalinata di mattoni rosa, balcone maiolicato a fiori, tetto di canne, una
banderuola a forma di gatta che miagoler. Corridoi a eco, troppe scale a
chiocciola. Stanze vuote. Nomi e date incisi col diamante sugli specchi. Piani,
salita, discesa: aveva ragione lui, tuttoci puzza di fossa comune.
Che
peccato, oh rabbia che fuori sui prati faccia troppo fresco! Lui gi cos
intirizzito.
E quei
trofei d'orsi neri e quei cuscini stinti in una mansarda la cui finestra a
ogiva guarda sulle solitudini del mare e lascia libero accesso al debordante
chiaro di luna!
Insomma,
la vita o una notte di allucinazioni?
Appoggiato
sui gomiti, Lohengrin pu scorgere l'ombreggiatura delle ciglia sulla guancia
di Elsa, di Elsa calata fino alle spalle dentro fiere pellicce.
- Che cosa
guardate l? fa lei.
- Rifletto
sui prodigi d'organizzazione del corpo umano.
Un
silenzio. Elsa si solleva mettendosi sui gomiti:
- Oso
pronunciarmi?
- Dite.
- Posso
veramente? Dico a voi, che pure ho visto in sogno, e cos buono, cos
discorsivo! E che m'avete portato qui! Posso, per quella schiettezza che mi ha
fatto?
- L'Eterno
femminino! ecco, sorellina, cosa vuol dire far gruppo a s. E se ci mettessimo
noi a organizzare l'Eterno mascolino?
- Oh, via!
ma cosa fatta...
- E gli
uomini di genio! Perch vi accanite a farli soffrire gli uomini di genio? Da
dove viene l'istinto che turba in certi momenti il pensatore?...
- Se un
istinto, non posso saperlo.
- So io,
perch sudino il capolavoro che voi li fate particolarmente soffrire! Sapete
bene che sono soprattutto gli stravolti capolavori di quegli infelici a ridarvi
ogni generazione quella nobilt che render pi attraenti le vostre figlie alla
generazione successiva.
- E con
questo? se tutti ci guadagnano!...
- Mio Dio!
mio Dio! E sarebbe una semplice schiava secolare priva di malizia?
Se fosse
una spia trascendente? Oh, mentre l'uomo seppellito imputridisce e basta, se la
donna partisse in un mondo femminile dove verrebbe ricompensata secondo la
qualit e la quantit di tutti coloro che avr saputo abbindolare quaggi,
facendoli lavorare in nome dell'Ideale! ...
- Uffa! che
caldo! ...
- Ma non
rispondi ai miei dubbi?
- Ti giuro
che non so niente; ti amo e non ho altro pensiero che di piacerti perch tu mi
adotti. Credi che non abbia anch'io i miei dispiaceri, i miei dispiaceri, i
miei dispiaceri?
- Via, non
piangere cos! non piangere! Sorridimi: pi di cos! Su, cantami qualcosa.
- Non
conosco che le filastrocche.
- Ottimo,
t'ascolto.
Elsa
tossisce un po', e canta con un residuo di lacrime nella voce:
Sansone
credeva in Dalil,
Giro
girotondo, giro girotondo!
La ragazza
pi bella del mondo
Non pu
dare che quello che ha.
- Chi ve
l'ha insegnata? Non sapreste qualcosa di meno epitalamico?
- Con la
mano sul cuore e con gli occhi al baldacchino Elsa salmodia:
Tu ci
lasci e te ne vai
Te la batti
e ti ritrai.
Fai le
trecce? Le disfai?
Sono sempre
eterni guai.
- No! non
sta mica bene! Elsa, sareste per caso libidinosa?
- Ignoro il
senso di questa parola. - Ah! perch non cantate voi allora?
Lohengrin
declama con un accento perfetto:
C'era
una volta un re di Tule
Fino alla
morte fu fedele,
Amava un
cigno le cui ali
Bianche sui
laghi erano vele,
Quando
la morte sopraggiunse...
Morire!
morire! oh, non voglio morire! Voglio vedere tutta la terra. Voglio sapere la
verit sulla Ragazza.
Lohengrin
ha la faccia sul cuscino e singhiozza disperatamente. Elsa si china sulla sua
tempia, e sulla tempia che brucia alita con sincerit infernale:
- Bambino,
bambino, bambino, conosci i fasti voluziali? Guarda i confetti dei miei giovani
seni, tocca come la mia capigliatura di un nero tenero sensuale, gusta, gusta
un po' le mie puberose... O rancori uggiversali! esperienze nevricide, notti
martiridescenti!... Amami a fuoco lento, inventriami, massacrami,
massacrilgiami!
- Ma, voi
divagate? Mi fareste temere per la vostra...
- Ah! non
indispormi anche tu cos! Alla fine, ferisce!
-
Indispongo perch...
- Cosa?
cosa? Se non chiedo che di amarti.
- Vorr
dire che detesto i vostri fianchi magri! non ammetto che i fianchi larghi, io!
Almeno ricordano con franchezza la servit del figliare che, dopotutto, sta in
fondo a queste belle cose.
- Non dire
cos! Che ti ho fatto di male?
- Scusa,
scusa! non piangere! Era una cattiveria. Oh! al contrario, ma io vado matto per
i fianchi duri e dritti!
- Dici
davvero?
- S, alla
follia! Non vedo altro!
- E allora!
- Ti
spiego; quel che non sopporto in te, che malgrado i tuoi fianchi stretti,
insomma antimaterni, tu ti muovi invece col perpetuo ancheggiamento del
mammiferino che ha appena scaricato il qualche chilo del suo parto (cosa c' da
ridere?); s, proprio quell'ancheggiamento di chi, meravigliata di trovarsi
cos leggera dopo nove mesi di fatica, va in giro sentendosi pi leggera del
naturale, come approfittando di quella leggerezza intermedia prima che si
ricominci un'altra volta, anzi facendo dell'ancheggiamento liberatorio la
propria esca per i prossimi gravatori! Questa io la chiamo leggerezza,
aberrazione bell'e buona. Afferri?
- S s,
non ci avevo mai pensato. Ma d'ora innanzi mi sorveglier, s tesoro, far
tutto secondo i tuoi dettami.
- Eh no!
nemmeno pensarci: incurabile. Su, su! ancora delle lacrime! non piangere! non
piangere! Lo sai che non posso soffrire le lacrime.
Lohengrin
le passa delicatamente la mano sul collo per calmarla.
- Che
sorpresa la tua mano! dice lei.
Fa la
morta; si ricorda che il primo complimento del sorprendente cavaliere stato
per il suo collo di cigno; ma no, la mano insiste su un punto...
- Com' che
lo chiamate voi questo?
- Non so;
il pomo d'Adamo.
- Come?
- Il pomo
d'Adamo.
- E questo
non vi ricorda niente?
- Parola
mia no.
- E v...va
dunque! A me ricorda i giorni peggiori della nostra storia! - Oh! non piangere!
non piangere! Chiuso, ti dico che ho chiuso.
- Sul
serio, tesoro?
- Ecco,
lasciami fare un riposino, un quarto d'ora tutto per me, nel silenzio della
notte, - poi ti prometto che in nome di questa irresistibile notte mi far un
dovere di adorarti ben bene.
- Come
vorrai, tesoro.
Lohengrin,
il sorprendente cavaliere, le volta la schiena dopodich, impossessandosi pi
che follemente del suo cuscino e afferrandolo perdutamente tra le braccia in
una stretta maldestra contro il petto e la guancia, prende a vagirgli, come un
bimbo, un bimbo incurabile, vi dico!
O mio buon
buon buon cuscino, tenero e bianco come Elsa! O mia piccola Elsa, beb
incosciente che ti meravigli dei miei abissi, beb succulento, nubile da
sgranocchiare, misirizzi, creatura dagli organi divini, sei un fenomeno! Ah!
voglio amarti a tentoni, trovare il cammino della tua anima!...
Dove sei?
dove sei? fa che ti adori da ogni parte! O mio buon cuscino, non ti rester il pi
piccolo spazio fresco (dopo una giornata cos faticosa) per la mia fronte. Mio
buon cuscino bianco e puro come un cigno, mi senti?
Mio cigno,
mio cigno mi senti! Oh, non c' dubbio che sei proprio tu, pallido e muto! sei
tu!
Ecco,
m'aggrappo alla prua del tuo collo insommergibile, portami via di l dai mari
immacolati, rapiscimi in spirali, povero Ganimede, di l dalle prode della Via
Lattea, oltre le grandinate di stelle e l'infido capo del Sole, verso il Santo
Graal dove mio padre Parsifal prepara un progetto di riscatto per la nostra
sorellina umana cos terra terra!...
Tu sai
tutto questo, mio buono, mio tenero cigno! Ci sono, m'afferro bene, trattengo
il respiro! - Addio, voi!....
Oh, la
finestra della sala nuziale scoppi follemente dentro un ciclone di magia
lunare! e ecco che il cuscino mutato in cigno spieg le sue ali imperiose e
cavalcato dal giovane Lohengrin s'alz in spirali siderali puntando verso la
libert meditativa, puntando, sopra le desolate lagune del mare, oh ben di l
dal mare! verso le altitudini della Metafisica dell'Amore, i cui ghiacciai a
specchio nessun alito di ragazza potranno mai appannare per tracciarvi con un
dito il proprio nome e la data!...
da allora
che in notti come questa i poeti celebrano a freddo e inviolabilmente dietro la
loro fronte una certa festicciola dell'Assunzione.
SALOM
Nascere
uscire: morire rientrare.
(Proverbi
del regno di Annam raccolti dal padre Fourdain delle Missioni Straniere).
I
Erano
passate giusto quel giorno duemila canicole da che una semplice rivoluzione
concertata dai Mandarini di Palazzo aveva portato il primo Tetrarca, un infimo
proconsole romano, sul trono delle Bianche Isole Esoteriche - trono da quel d
ereditato per selezione controllata e isole da quel d perdute alla storia,
salvo tuttavia restando quell'unico titolo di Tetrarca, inviolabile alla stessa
stregua di Monarca, oltre i sette simbolismi di stato propri della desinenza tetra in opposizione alla desinenza monos.
In tre
blocchi, su dei piloni tozzi e nudi, con cortili interni gallerie sepolcreti,
col vantato giardino pensile dalle giungle verzicanti agli atlantici venti e
con un osservatorio di vedetta a duecento metri su di casa nel cielo con cento
rampe di cinocefali e sfingi il tetrarchico palazzo altro non era che un
monolito sgrezzato, ricavato dal ventre, ben messo, insomma tirato a lustro
dentro un monte di nero basalto screziato di bianco, con in pi l'aggetto di un
rumoroso molo pedonale a doppia fila di pioppi incassati color viola-gran
lutto, proteso verso la inquieta solitudine marina, fino allo scoglio
imperituro su cui, avorica spugna, s'esibiva alle nottambule giunche un faro
d'opera buffa.
Titanica
funerea mole venata di livido! facciate d'un nero eburneo riverberanti
misticamente l'odierno sole di luglio: sole sul mare a tal punto riverberato di
nero che le civette del pensile giardino, dall'alto dei loro polverosi pini,
osano contemplarlo senza danno!...
La galera
che ancora ieri portava i due principi intrusi, presunti figlio e nipote di un
certo Satrapo del Nord, si culla sugli ormeggi ai piedi del molo, tra i
commenti di figure oziose ma schiette nel gestire, al modo indigeno.
Cos nel
ristagno di mezzod che si perpetua, legittimo dato che la festa non sarebbe
esplosa che alle tre, il palazzo poltriva non riuscendo a scrollarsi di dosso
la sua siesta.
Dalla
corte, l dove convergono le grondaie, veniva uno sbellicarsi di gente al
seguito dei Principi del Nord e a servizio del Tetrarca, un ridere senza
capirsi tra i giochi di piastrelle e gli scambi di tabacco. C' chi mostra ai
colleghi stranieri come vanno strigliati gli elefanti bianchi...
- Ma da noi
non ci sono elefanti bianchi, cercavano di far capire.
E i
palafrenieri gi a toccarsi, come a scongiurare propositi empi. Dopodich
restavano allocchiti davanti ai pavoni bighellonanti in cerchio, con la ruota
sgargiante al sole, sopra il getto d'acqua; ma si divertivano, ne abusavano
anche! ai loro barbari appelli rispondevano echi gutturali a rimbalzo nel caos
di pi piani di rocce.
Tutti
costoro rientrarono in fretta per accudire alle proprie faccende quando sulla
terrazza centrale apparve il Tetrarca Smeraldo-Archetipas sfilandosi i guanti
al sole, Aedo universale allo Zenit, Lampiride dell'Empireo, ecc...
Oh, il
Tetrarca sulla terrazza, cariatide di dinastie!
Dietro a
lui la citt, in un bruso di festa, che sciorina le sue ricche innaffiature; e
pi in l, dopo i bastioni nani smaltati di fiorellini gialli, come si stendeva
lieta la pianura! Strade graziose con i quartieri dalle selci rifilate,
scacchiere dalle svariate colture. Davanti a lui il mare, il mare sempre nuovo
e venerabile, il Mare, dato che non c' modo di chiamarlo altrimenti.
Ora il
silenzio era unicamente punteggiato dall'abbaiare festoso e chiaro, laggi, dei
cani che i bimbi, tra il brillo dei nudi corpi nelle miche delle sabbie arse,
eccitavano con esotici fischi contro la spiegata curva della linea del mare,
sul cui pelo dell'acqua gli stessi giocavano poco fa a rimbalzello con delle
frecce di scarto.
Cos,
poggiato sui gomiti, godendosi il fresco degli invisibili ruscelletti, tra le
clemtidi della terrazza, il Tetrarca buttava svogliato in volute senz'arte,
tristi e sconnesse, il fumo della sua dose meridiana di narghil. Ieri, per un
istante, all'arrivo sospetto di un messaggero che annunciava i Principi del
Nord, il suo destino troppo pago su queste isole troppo paghe aveva vacillato
tra i terrori strettamente domestici e un dilettantismo assoluto che trover il
suo conforto del tutto per tutto nella rovina.
Perch era
proprio della razza di quei figli del Nord, mangiatori di carne dalle facce non
rasate, l'infausto Johanaan piombato qui un bel mattino, con tanto di occhiali
e una barbaccia rossa, a commentare proprio nella lingua del paese certi
opuscoletti che distribuiva gratis, ma propagandandoli in un modo cos
sedizioso che per poco il popolo non l'aveva lapidato, e che adesso se ne stava
a cogitare in fondo all'unica segreta del tetrarchico palazzo.
Che dopo
tanti secoli di esoterismo senza storia, il ventesimo centenario della dinastia
degli Smeraldo-Archetipas dovesse sorbirsi, mazzo di luminarie, una guerra
dell'altro mondo? Johanaan aveva parlato della sua patria come di un paese
intristito dall'indigenza, affamato dell'altrui bene, dedito alla guerra come a
una industria nazionale. Che i due principi fossero venuti a reclamare quel
tizio, un signore di genio, dopotutto, e loro suddito, a complicare il fatto
pretestuoso esibendo un nordico diritto delle genti?...
Ancora
fortunato! poteva ringraziare le misteriose intercessioni di sua figlia Salom
se il boia non era stato distolto dalla tradizionale sinecura onoraria e
spedito a Johanaan col sacro kris...
Ma, un ben
misero allarme! Il viaggio dei due Principi non era che una circumnavigazione,
in cerca di colonie vagamente occupate, con scalo strada facendo, per
curiosit, alle Isole Bianche. proprio in quest'angolo di mondo rischiava la
corda il loro celebre Johanaan? Eccoli avidi di particolari sulle tribolazioni
di quel povero diavolo gi cos poco profeta in patria.
Cos il
Tetrarca poppava la sua dose meridiana di narghil, con animo svuotato e con
umore malfermo come sempre, del resto, sul mezzod - pi malfermo oggi tra i
rumori crescenti della festa nazionale, i petardi i cori gli sbandieramenti e
le limonate...
L'indomani,
la galera di quei signori si sarebbe dileguata all'orizzonte; certo infinito,
ma di l dal quale vivevano sotto lo stesso sole numerosi altri popoli.
Curvo sulle
giulebbanti clemtidi della balaustra di maiolica, intento a sbriciolare una
focaccia di fior di farina per i pesci dei vivai sottostanti,
Smeraldo-Archetipas rimuginava il fallimento - oh, esigua rendita! - delle sue
facolt in pensione, la tarda vecchiaia indubbiamente frustrando ogni impulso
galvanico, vuoi artistico o meditativo o gemellare o industriale.
E pensare
che il giorno della sua nascita un grosso temporale s'era abbattuto proprio sul
nero dinastico palazzo, e che da gente degna di fede era stato visto un lampo
iscrivere l'alfa
e l'omega!
Giorni e giorni sciupati sospirando su quel mistico trillo! Non s'era mai
manifestato proprio niente. E poi, alfa e omega possono voler dire tante cose...
Per finire,
da quasi due mesi aveva rinunciato ai temi fatui, esortandosi a ritrovare
quella fiammella di rassegnazione al nulla dei suoi ascetici ventanni, per
imporsi con applicazione la regola dei pellegrinaggi quotidiani alla necropoli
avita, cos fresca, d'altronde, l'estate. - L'inverno era alle porte, con le
cerimonie del culto della Neve, con l'investitura del nipote. E gli restava
sempre Salom, la sua bambina, che non voleva sentir parlare delle dolcezze
dell'imene!
La mano di
Smeraldo-Archetipas era gi sul gong, per la richiesta di altre focacce
destinate ai pesci di lusso al luglio, quando alle sue spalle risuon sulla
pietra la verga di bronzo del Profitente d'inezie. I Principi del Nord erano
rientrati dalla visita in citt; attendevano il Tetrarca nella sala dei
Mandarini di Palazzo.
II
Detti
Principi del Nord, bardati, impomatati, inguantati, gallonati, con tanto di
barba e di riga all'occipite (le ciocche riportate sulle tempie per dare
rilievo ai profili di bronzo) erano in attesa, una mano con l'elmo poggiata
sulla coscia destra, l'altra a tormentare l'elsa della sciabola, stando in
bilancia come stalloni che fiutano la polvere. S'intrattenevano coi notabili:
il grande Mandarino, il Gran Maestro delle Biblioteche, l'Arbiter Elegantiarum,
il Conservatore dei Simboli, il Rettore delle Selezioni e dei Ginecei, il Pope
delle Nevi e l'Intendente della Morte, tra due ranghi di scribi allampanati e
svelti, con la cannuccia al fianco e il calamaio sul cuore.
Le loro
altezze si congratularono col Tetrarca, complimentandosi del buon vento che...
in un giorno cos glorioso... in queste isole - chiudendo con un elogio alla
metropoli, la cui Basilica Bianca, dove avevano udito un Toedium laudamus sulla pianola dei Sette Dolori, e
il Cimitero degli Animali e delle Cose non erano tra le curiosit di minor
conto.
Fu servito
uno spuntino. Ma dato che i Principi si facevano scrupolo di toccare la carne
presso degli ospiti tanto ortodossi in fatto di vegetarianismo e ittiofagia, la
tavola cos delicatamente disposta, tra i cristalli, sembrava dipinta, coi
mazzi di carciofi callipigi natanti in baccelli di ferro bivalve e puntuti, con
gli asparagi sui graticci rosa di giunco, con le anguille grigio-perla, e i
dolci di datteri, la gamma delle gelatine di frutta, la variet di vini dolci.
Allora il
Tetrarca e il suo seguito, con in testa il Profitente d'inezie, si sentirono in
dovere di fare agli ospiti gli onori di palazzo, del titanico funereo palazzo
venato di livido.
E per
incominciare, una visita al panorama delle isole dall'alto dell'osservatorio,
per poi scendere di piano in piano attraverso il parco il serraglio e
l'acquario, gi gi fino alle cripte.
Il corteo
attravers lesto, in punta di piedi, le stanze di Salom, arroccate - il caso
di dire - pneumaticamente lass tra un continuo sbattere di porte e un
dileguare di due tre torsi di negre dalle scapole di bronzo lucenti. Giusto in
tempo per notare al centro di una sala rivestita di maioliche (oh, cos
gialle!) una vasca d'avorio lasciata l con una spugna bianca di dimensioni
ragguardevoli, i rasi inzuppati e un paio di babbucce rosa (oh, cos rosa!).
Poi una libreria, poi una stanza ingombra di materiali metalloterapici, una
scala a chiocciola e una piattaforma per una boccata d'aria dall'alto - ah!
giusto in tempo, prima che sparisse una ragazza musicalmente avvolta dentro una
mussola d'impalpabile giunchiglia a pallini neri, per vederla scivolare via nel
vuoto, con un gioco di pulegge, verso altri piani!...
Ai
Principi, che l'intrusione gi prosternava in galanti salamelecchi, fu di monito
quel cerchio d'occhi stupefatti che stava a significare: Bene bene, sia chiaro
che di tuttoci che qui accade, niente ci riguarda.
Si riprese
a circolare all'aperto, tra frasi leggere di ammirazione soffocata, intorno a
questa cupola d'osservatorio che fa da tetto a un grande equatoriale di
diciotto metri, cupola mobile, pittata a affresco impermeabile, e la cui massa
di centomila chili sospesa su quattordici perni d'acciaio nella sua slitta di
cloruro di magnesio virava, a quanto pare, in due minuti sotto la lieve
pressione della mano di Salom.
A
proposito, se a questi impagabili esotici gli prendesse l'uzzolo di buttarci di
sotto? pensarono unibrividendo i due Principi. Ma in due, nella loro uniforme
attillata, erano dieci volte pi robusti di quella dozzina di pallidoni
depilati, con le dita cariche di anelli, sacerdotalmente impediti nei loro
broccati rilucenti di lam. E si divertirono a riconoscere laggi al porto la
loro galera, simile a un coleottero dalla teca di lamiera forbita.
E quelli
intanto a snocciolargli le isole, arcipelago di chiostri naturali, ognuna con
la sua casta, ecc...
Ridiscesero,
passando per una sala dei Profumi dove l'Arbiter Elegantiarum prese nota dei
doni che le loro altezze si sarebbero degnate di accogliere; poi additando i
pasticci segreti di Salom: belletti senza carbonato di piombo, ciprie senza
biacca n bismuto, corroboranti senza cantaride, acque lustrali senza
protocloruro di mercurio, depilatori senza solfuro di arsenico, latte senza
sublimato corrosivo n idrossido di piombo, tinture vegetali purissime senza
nitrato d'argento, iposolfito di soda, solfato di rame, solfuro di sodio,
cianuro di potassio, acetato di piombo (possibile?) e due damigiane d'essenze
di fiori marzolino - autunnali.
In fondo a
un corridoio umido, interminabile, che puzza d'agguato, il Profitente apr una
porta resa verde dal muschio e dalle fungosit come un vecchio scrigno: e il
sovrano silenzio del vantato giardino pensile colse tutti di sorpresa - ah!
giusto in tempo per veder sparire dietro la curva di un sentiero il fru-fru di
una figurina ermeticamente avvolta dentro una mussola di impalpabile
giunchiglia a pallini neri, scortata da molossi e da veltri i cui latrati
saltellanti, veri singhiozzi di fedelt, finirono col perdersi in lontani echi.
Oh!
solitudine chilometricamente fonda d'un verde severo, in una eco di labirintici
recessi, annaffiata da macchie di luce, di null'altro addobbata che di legioni
d'erti pini, coi nudi tronchi rosa-salmone, espansi solo lass a ventaglio in
polverose ombrelle orizzontali... Le barre di luce si posavano tra quei tronchi
con la stessa tranquilla dolcezza che esse assumono tra le colonne di una
cappella claustrale dalle finestrelle grigliate. Una brezza marina spirava tra
i fusti eccelsi, col rombo bizzarro di un direttissimo che si perda nella
notte. Poi il silenzio delle altezze, che di casa, s'installava nuovamente.
Prossimo, oh! in qualche luogo, un usignolo si sgolava in raffinati gorgheggi;
lontano gli rispondeva un altro, come in famiglia, dentro una voliera
secolarmente dinastica. Era un inoltrarsi computando lo spessore di quel suolo
artificiale, sul veltro delle foglie morte e degli strati di aghi di mille
epoche trascorse, cos accogliente per le radici di quei pini patriarcali! E
ancora: abissi di prati, di pendii erbosi evocanti festivit faunesche, di
acque morte dove s'impegolano noiati annosi cigni adorni d'orecchini troppo
pesanti per dei colli affusolati; e svariati decameroni di statue policrome,
tirate gi dai basamenti, in pose di una nobilt sorprendente.
Per finire,
il recinto delle gazzelle faceva da trapasso, del resto senz'altra pretesa, tra
i pomari e il Serraglio e l'Acquario.
Le belve,
al passaggio, neanche alzarono le palpebre; gli elefanti si dondolavano in un
robusto frusciare d'intonaco, ma il loro pensiero era altrove; le giraffe, pur
nel garbo del manto caffellatte, parvero eccessive, ostinandosi a guardare pi
su della corte vivace; le scimmie non si curarono d'interrompere le scene
d'intimit del loro falansterio; le uccelliere scintillavano assordanti; i
serpenti, da una settimana, non smettevano pi di cambiar pelle; e le scuderie
apparivano vuote proprio delle bestie pi pregiate: stalloni cavalle e zebre
dati in prestito alla municipalit per una cavalcata in quel giorno.
L'Acquario!
Ah! L'Acquario, per esempio! Fermiamoci qui. Come volteggia in silenzio...
Labirinto:
a destra di grotte a forma d'ambulacro, a sinistra di paratie con squarci
vitrei e luminosi per le nazioni sottomarine.
Lande coi
dolmen incrostati di ornamenti gommosi, circhi a gradoni basaltici dove i
granchi in un ottuso brancicante buonumore postprandiale s'intralciano in
coppia con occhietti ridevoli tra le chele cuculiatorie...
Pianure e
pianure di una rena cos fine che talvolta si leva sotto i colpi di coda d'un
pesce piatto venuto da chissaddove, in un garrire libertario d'orifiamma, e che
visto passare e che ci lascia e se ne va, tra uno spiare qua e l d'occhiacci
a fior di sabbia, e in ci sta proprio tutto il suo quotidiano.
O una
desolazione di steppe con al centro un solo albero, folgorato, ossificato, dove
a grappoli vibratili saprofitano gli ippocampi...
E sfilate
di muschi, in un cavalcavia di ponti naturali, dove ruminano in un ribollio
fangoso le gualdrappe embricate dei limuli dalla coda di topo, e qualcuno si
dibatte capovolto, cos, di suo gusto, tanto per strigliarsi...
Sotto
caotici archi di trionfo in rovina le aguglie vanno in giro come frivoli
nastri; e migrano alla buona gl'ispidi nucleobranchi dalle ciglia a ciuffo
intorno a una matrice che si fa vento nella monotonia dei lunghi viaggi...
E campi di
spugne, spugne dalle parcelle di polmone; coltivazioni di tartufi dal velluto
arancione; e tutto un cimitero di molluschi madreperlacei; e queste piantagioni
di asparagi fittili e turgescenti nell'alcool del Silenzio...
E a perdita
d'occhi distese, distese smaltate di bianche attinie, di cipolle grasse a
puntino, di bulbi dalla mucosa viola, di lembi di trippe finiti da qualche
parte ma in grado di rifarsi per davvero un'esistenza, di moncherini le cui
antenne ammiccano al corallo dirimpettaio, di mille verruche senza senso;
un'intera flora fetale e claustrale e vibratile che agita il sogno imperituro
di poter un giorno sussurrarsi mutui rallegramenti sullo stato attuale delle
cose...
Oh! ancora
questo altopiano, cui s'abbarbica a ventosa la Scolta di un polpo, grasso e glabro
minotauro di tutta una regione....
Prima di
uscire, il Pope delle Nevi si gira verso il corteo che rist e parla, quasi
recitasse un'antica lezione:
N giorno
n notte, Signori, n inverno n primavera, n estate n autunno, e altre
simili fanfaluche. Amare, sognare, mai mutare di posto, al riparo da cecit
imperturbabili. O mondo di soddisfatti, voi state in una beatitudine cieca e
silenziosa, mentre noi, noi ci inaridiamo in smanie sopraterrestri. Perch mai
le antenne dei nostri sensi, di noi, non sono limitate dal Cieco e dall'Opaco e
dal Silenzio, invece di fiutare di l dal nostro naso? Perch non sappiamo
incrostarci nel nostro cantuccio e l fermentare la sbronza del nostro piccolo
Io?
Tuttavia,
o villeggiature sottomarine, pur con le nostre smanie sopraterrestri, noi siamo
a conoscenza di due leccornie che vi valgono: il viso della troppo amata che
sul guanciale si sigilla, ciocche piatte agglutinate nei sudori di poco fa,
bocca ferita che rivela il pallore dei denti in un raggio d'acquario della Luna
(oh, non cogliete, non cogliete!) - e la Luna stessa, questo giallo girasole,
schiacciato, inaridito a forza d'agnosticismo (oh! cercate, cercate di
cogliere!).
Cos per
l'Acquario; ma quei principi stranieri furono in grado di capire?
Rapidi e
discreti, tutti infilarono il corridoio centrale dei Ginecei, affrescati da
scene callipediche, di una mestizie fradicia d'aromi femminili; non si sentiva
che il gorgoglio di un gioco d'acqua - a sinistra? a destra? - abbeverante con
la sua freschezza la rete di una melopea indicibilmente schiava, sterile e
sventurata.
L'ignoranza
dei riti locali potendo esporli a qualche sinistra topica, i Principi
attraversarono d'un sol passo discreto la necropoli tetrarchica, una doppia
fila di armadi a muro, celati da ritratti a figura intera, che racchiudono
fiale e quantit di realistici oggetti devoti, naturalmente degni di devozione
solo per la famiglia.
Ma era
chiaro che desiderassero soprattutto rivedere il loro vecchio amico Johanaan!
Seguirono
dunque un funzionario dalla chiave ricamata di traverso lungo il filo della
schiena, il quale arrestandosi in fondo a un budello che puzzava di salnitro,
indic una grata che per mezzo di un praticabile fece abbassare ad altezza
d'appoggio; fatti pi prossimi, riuscirono a distinguere in fondo a una cella
l'infelice Europeo che si sollevava, distolto dal suo stare bocconi, col naso
tuffato in un disordine di scartafacci.
Sentendosi
augurare un duplice cordiale bongiorno nella lingua materna, Johanaan s'era
messo ritto, aggiustandosi i grossi occhiali rabberciati con dello spago.
Oh! mio
Dio, i suoi principi qui! - Seratacce d'inverno, con gli zoccoli imbevuti di
fanghiglia, in prima fila tra poveri diavoli, reduci dalla loro giornata
salariata, che si attardano un attimo l, trattenuti da tirannici poliziotti a
cavallo, per osservarli scendere impennacchiati dalle carrozze di gala e salire
tra due file di sciabole sguainate lo scalone di palazzo, di quel palazzo dalle
finestre 'a giorno' a cui andandosene egli mostrava
il pugno mormorando ogni volta che i tempi erano vicini! - E ora, eccoli
arrivati, questi tempi! ecco acquisita al paese la rivoluzione promessa! e dopo
dio, ecco il suo povero vecchio profeta Johanaan! e questo intervento del re in
persona, questa intrepida lontana spedizione dei suoi Principi venuti a
liberarlo, senza alcun dubbio una consacrazione commovente voluta dai popoli
per sigillare, grazie a lui, l'avvento della Pasqua Universale!
Per prima
cosa, automaticamente si prostern come d'uso dalle sue parti, sforzandosi di
trovare una frase memorabile, storica, certo fraterna, degna anche...
La parola
gli fu illico
soffocata dal nipote del Satrapo del Nord, un soldataccio dalla calvizie
apoplettica che farfugliava a sproposito, imitando Napoleone, la sua
esecrazione per gli ideologhi: - Ah! ah! eccolo l'ideologo, lo scribacchino,
il riformato di leva, il bastardo di Rousseau! Sei venuto fin qui per farti
impiccare, gazzettiere declassato! Un bel sollievo! Che la tua zazzera tignosa
vada presto a raggiungere nel cesto della ghigliottina quelle dei tuoi
confratelli del Calza-Becchi! s, la congiura dei Calza-Becchi, teste ancora
fresche....
Oh! bruti,
inestirpabili bruti! dunque il complotto del Calza-Becchi era fallito! i suoi
fratelli, assassinati! e nessuno in grado di fornirgli particolari pietosi.
Finito, finito, non resta che crepare come i fratelli sotto il Tallone
Costituito. Lo sventurato pubblicista si chiuse risoluto in un silenzio,
nell'attesa che, una volta sfollato tutto quel bel mondo, nel suo cantuccio
morte lo colga. Due lacrimoni bianchi gli colarono sotto gli occhiali lungo le
guance smunte verso la barba rada. - Di colpo fu visto ergersi sui piedi
scalzi, le mani tese a un'apparizione, e singhiozzare gli epiteti pi dolci della
sua lingua madre. Tutti si volsero, - ah! giusto in tempo per vedere, in un
tinnir di chiavi, sotto il lividore di quell''in pace', eclissarsi una svelta figura
indubbiamente avvolta dentro una mussola d'impalpabile giunchiglia a pallini
neri...
Johanaan
ripiomb bocconi sul giaciglio; e come s'accorse d'aver rovesciato il calamaio
sugli scartafacci, prese ad asciugare l'inchiostro con una tenerezza infantile.
Il corteo
risal, senza commenti; il nipote del Satrapo del Nord tormentando il collare
della sua gorgera e masticando tra s sacri princpi.
III
Su un modo
allegro e fatalista, un'orchestrina dagli strumenti d'avorio stava
improvvisando una introduzioncella unanime.
Entr la
corte salutata dal festoso baccano di duecento invitati di lusso levatisi in
piedi dai loro triclini. Ci fu un attimo di sosta dinnanzi a una piramide di
doni offerti al Tetrarca in quel giorno. I due Principi del Nord si davano di
gomito, eccitati all'idea di togliersi il collare del Tosone Ferreo per
passarlo al collo del loro ospite. Non osarono, n l'uno n l'altro. La
pochezza artistica del collare, soprattutto in quell'occasione, saltava agli
occhi. Quanto al valore onorifico, non essendoci niente del genere in giro,
sembr loro che le spiegazioni utili a metterlo in luce rischiassero di cadere
nel vuoto, o a malapena in un successo di stima.
Tutti
presero posto; Smeraldo-Archetipas presentando figlio e nipote, due prodotti
superbi (superbi, sia chiaro, nel senso esoterico e bianco), agghindati
emblematicamente.
Allora,
nell'aerea sala fiorita di giunchi color giallo giunchiglia, cinta a pergolato
da un'assordante uccelliera, con al centro un getto d'acqua montante in colonna
a trafiggere lass il bianco velario di gomma variamente dipinto e ricadente in
un crepito di dolce pioggia ristoratrice, tuttoci fece dieci file di letti,
ciascuno addobbato secondo il gusto del commensale, lungo le tavole a emiciclo
- e, di fronte, una scena d'Alcazar di vaste proporzioni, dove il fior fiore
dei saltimbanchi dei giocolieri delle bellezze e dei virtuosi delle Isole
sarebbe venuto a esibirsi.
Una brezza
ben studiata correva lungo il velario, reso tuttavia pesante dai continui
rovesci del getto.
E le
uccelliere, ilari pel loro frusciare colorato, tacquero a malincuore quando la musica
inizi a accompagnare il pranzo.
Povero
Tetrarca! le musiche, e la platea dei lussuosi omaggi in un giorno pomposo lo
irritavano profondamente. Assaggiava appena la studiata successione delle
portate, piluccandovi con spatole di neve indurita, andando in oca come un
bimbo, a bocca aperta, dinnanzi agli strepitosi rabeschi del fregio
volteggiante sul palcoscenico dell'Alcazar.
Si
esibivano, su quel palcoscenico:
La ragazza
serpente, esile, viscosamente squamata di blu di verde di giallo, il petto e il
ventre d'un rosa tenero; glissava e si torceva, mai sazia di contatti
personali, e intanto intonava da blesa l'inno che cos principia: Bilbili, mia
germana Bilbili, oh tu mutata in fonte!...
Poi una
processione di costumi sacramentalmente inediti, simbolizzanti ciascuno un
desiderio umano; una vera finezza!
Poi degli
intermezzi, sul piano dell'orizzonte, di cicloni di fiori amperizzati: una
tromba orizzontale di mazzetti esagitati...
Poi dei
musici pagliacci con sul cuore la manovella di autentici organetti di Barbera
che giravano con arie da Messia, punto influenzabili, anzi disposti a compiere
fino in fondo il loro apostolato.
Altri tre
pagliacci recitarono l'Idea la Volont l'Incosciente. L'Idea scilinguava su
tutto, la Volont dava capocciate alla scena, e l'Incosciente faceva larghi
gesti misteriosi come chi, tutto sommato, ne sa pi di quanto pu dire. Questa
trinit, del resto, aveva un solo identico ritornello:
O pagana
gente,
Un bel
niente!
Il niente,
santuario
Al
bibliotecario!
Fu un
successo d'ilarit.
Poi dei
virtuosi del trapezio, dalle ellissi quasi siderali!...
Poi fu
introdotto un pavimento di ghiaccio naturale, e schizz fuori un pattinatore
adolescente, con le braccia incrociate sugli alamari d'astrakan bianco, il
quale non s'arrest che dopo aver descritto tutte le combinazioni di curve
conosciute; poi fece un giro di valzer sulle punte come una ballerina; poi
disegn al bulino sul ghiaccio una cattedrale d'un gotico fiammeggiante, senza
trascurarvi un rosone, un ricamo! Poi figur una fuga in tre parti, finendo con
un groviglio turbinoso alla fachiro posseduto 'dal diavolo' e usc di scena, gambe all'aria,
pattinando sulle proprie unghie d'acciaio!...
Si chiuse
il tutto con una sfilata di quadri viventi, nudit di un pudore vegetale, in
una simbologia gradualmente euritmica, attraverso i calvari dell'Estetica.
Tolti dalle
carriole i calumeti, la conversazione si fece generale, e Johanaan ne faceva le
spese, con tutto quel tripudio sopra la sua povera testa.
Il
disquisire dei Principi del Nord intorno all'autorit, all'esercito, alla
religione suprema, scolta di pace, di pane e di concorrenza internazionale fin
con l'imbrogliarsi; per tagliare corto, citarono a guisa d'epifonema il
seguente distico:
Del
resto si sa che ogni uomo professa
Il
perfezionamento della Specie stessa.
Era
opinione dei mandarini che occorresse atrofizzare, neutralizzare le fonti della
concorrenza sociale, chiudersi in cenacoli iniziatici, vivacchianti in pace tra
loro, al riparo della Grande Muraglia, ecc. ecc...
E la
musica, andando per conto suo, pareva voler proseguire ci che la gente era
troppo effimera per formulare.
Finch il
silenzio s'allarg come una sciabica dalle maglie pallide gettata in una sera
di ricca pesca; tutti si alzarono; pare che sia Salom.
Entr,
scendendo la scala a chiocciola, rigida nella sua guana di mussola; fece segno
con la mano di risdraiarsi; una piccola lira nera le pendeva dal polso; sulla
punta delle dita spicc un bacio in direzione di suo padre.
Venne a
approdare frontalmente sulla pedana, davanti al sipario chiuso dell'Alcazar,
aspettando che la si contemplasse con agio, divertendosi a ondeggiare, per
darsi un contegno, sui piedi esangui dagli alluci divaricati.
Non
prestava attenzione a nessuno. - I capelli incipriati di pollini sconosciuti si
scioglievano sulle spalle in ciocche piatte, arruffati con fiori gialli e
paglie gualcite sulla fronte; le spalle nude trattenevano, rialzata da bretelle
di madreperla, una ruota di pavone nano dal fondo cangiante, marezzato,
azzurro, oro, smeraldo, aureola su cui spiccava una candida testa, testa
superiore, certo, eppure cordialmente incurante di sapersi unica, il collo
svuotato, gli occhi corrotti da espiazioni cangianti, le labbra schiuse ad
accento circonflesso d'un rosa pallido su una dentatura dalle gengive d'un rosa
anche pi pallido, in un sorriso dei pi crocifissi.
Oh! dolce
forma celestiale di estetiche ben assimilate, esperta reclusa delle Bianche
Isole Esoteriche!...
Ermeticamente
avvolta dentro una mussola d'impalpabile giunchiglia a pallini neri che,
agganciandosi qua e l a fibbie diverse, lasciava libere le braccia in
un'angelica nudit e formava tra due ombre di seni dalle mandorle guarnite d'un
garofano una sciarpa ricamata dei suoi verdi anni che riunita un poco pi su
della deliziosa fossetta ombelicale in una cintura a volanti doppi d'un giallo
intenso e geloso gettava un'ombra inviolabile ad altezza del bacino, nella
stretta delle magre anche, per finire alle caviglie e risalire da dietro in due
sciarpe fluttuanti separate, riagganciandosi infine alle bretelle di madreperla
della ruota di pavone nano dal fondo cangiante, azzurro, marezzato, smeraldo,
oro, aureola a quella candida testa superiore, essa vacillava sui suoi piedi,
quei piedi esangui dagli alluci divaricati, unicamente calzati d'un anello alle
caviglie da cui piovevano delle frange smaglianti di crespo giallo.
Oh! il
piccolo Messia da matrice! Come la testa doveva pesarle! Delle mani non sapeva
che farsene, anche le spalle rivelavano imbarazzo. Chi mai poteva averle
crocifisso il sorriso, piccola Immacolata-Concezione? E corrotto il blu dello
sguardo? - Oh! esultavano i cuori, come la sua gonna deve emanare ingenuit!
Come l'arte lunga e la vita breve! Oh, parlare con lei in un cantuccio,
accanto a un getto d'acqua, conoscere non il suo perch, ma il suo come, e
morire!... morire, a meno che...
Forse ci
racconter qualcosa, dopotutto?...
Chinato in
avanti, dentro una frana di serici cuscini, le rughe dilatate, le pupille che
sugano dalle feritoie delle palpebre sdorate, tormentando contegnosamente il
Sigillo appeso al collo, il Tetrarca aveva appena passato a un paggio l'ananas
che stava mangiucchiando e la sua tiara turrita.
- Chiuditi
in te stessa! chiuditi prima in te stessa, Idea e Forma perfetta, o Cariatide
delle isole senza storia! supplicava.
Eppoi
sorrideva a tutti, da padre felice, con l'aria di dire: State per vedere ci
che vedrete, mettendo al corrente in modo assai sconnesso gli ospiti
principeschi, dal che essi si resero conto che, per decidere il destino della
personcina in questione, la Luna s'era cavata molto sangue, e d'altronde era
voce comune (c'era stato un Concilio in proposito) che fosse la sorella di
latte della Via Lattea (per lei, tutto!).
Cos,
delicatamente poggiata sul piede destro, l'anca rialzata, l'altra gamba flessa
indietro alla Niobide, avendo dato libero sfogo a una risatina tossicolosa,
forse per render noto che non occorreva certo credere che si prendesse sul
serio, Salom pizzic a sangue la sua lira nera e con la voce atimbrica e
asessuata del malato che reclama la sua pozione di cui sicuramente non ha mai
avuto bisogno pi di voi o di me, eccola improvvisare l per l:
Com'
stimabile il Nulla, Vita latente che vedr la luce posdomani, al pi presto, e
stimabile, assolutorio, coesistente all'Infinito, limpido in sommo grado!. Li stava prendendo in giro?
Continu:
Amore!
mania inclusiva di non voler assolutamente morire (ben misera scappatoia!), o
fratellastro, non dir certo che giunto il momento di spiegarsi. Dal tempo
dei tempi, le cose sono le cose. E come sarebbe giusto farsi delle concessioni
reciproche sul terreno dei cinque sensi attuali, in nome dell'Incosciente!
O
latitudini, altitudini, dalle Nebulose di buona volont alle piccole meduse
d'acqua dolce, ors fatemi la grazia di andare a pascolare gli empirici pomari.
O passeggeri di questa Terra, eminentemente idem a innumeri altre ugualmente sole nella vita
in travaglio indefinito d'infinito! L'Essenziale attivo s'ama (seguitemi bene),
s'ama in modo dinamico pi o meno di buon grado: un'anima bella che si suona la
piva in eterno, affar suo. Siate, voi, i passivi naturali; entrate vera-Mente
automatici negli Ordini dell'Armonia Ben-Vigilante! E me ne racconterete di
belle.
Eh s,
teosofi idrocefali, come dolci volatili del popolo, anodino gruppo di fenomeni
privi di garanzia di un governo ultraterreno, ritornate a essere degli
individui minati dall'incuria, brucatemi giorno dopo giorno, di stagione in
stagione, questi Delta senza sfinge i cui angoli, comunque, equivalgono a due
retti. L il vero decoro o generazioni inguaribilmente puberi; simulate
soprattutto l'impaccio nei limbi irresponsabili delle virtualit che vi ho
detto. L'Incosciente
'far da s'.
E voi,
fatali Giordani, Gangi battesimali, sideree correnti insommergibili, cosmogonie
di Mamma! lavatevi, entrando, la macchia pi o meno originale del Sistematico;
fate che masticati anzitempo in filacce per la Grande Virt Curativa (diciamo,
palliativa) che aggiusta gli strappi prativi, epidermici, ecc. - Quia est in ea virtus
dormitiva. - Va'....
Qui tacque
Salom, ricomponendo i capelli incipriati di pollini sconosciuti; le ombre dei
suoi seni cos ansimanti che i garofani ne caddero lasciando vedove le loro
mandorle. Per riprendersi, cav dalla sua nera lira una fuga senza senso...
- Oh!
continua continua, di' tutto quello che sai! gemeva Smeraldo-Archetipas
battendo le mani come un bimbo. Parola mia di Tetrarca! ti dar tutto quello
che vorrai, l'Universit, il mio Sigillo, il culto delle Nevi? Inoculaci la tua
grazia d'lmmacolata-Concezione... Mi noio, ci noiamo tanto! vero, signori?
In effetti,
dall'uditorio esalava un brusio di un malessere inedito; qualche tiara titubava.
Era un vergognarsi gli uni degli altri, oh debolezza del cuore umano! malgrado
il perbenismo della schiatta... (vicino, tu m'hai capito).
Poi che
ebbe fatto giustizia sommaria di teogonie, teodicee e formule sulla saggezza
delle nazioni (e col tono secco di un direttore del coro che dice: Una battuta
di troppo, vero?) Salom riprese il suo mistico zirlo appena delirante, la
faccia subito rivolta all'indietro, il pomo d'Adamo che saltava da far paura, -
non essendo pi se stessa ormai di un tessuto aracneo con un'anima a goccia di
meteora.
O maree,
oboi lunari, corsi, fioriture al crepuscolo, venti declassati di novembre,
fienagioni, carriere mancate, sguardi ferini, vicissitudini! - Mussole color
giunchiglia a pallini funebri, occhi sfatti, sorrisi crocifissi, incantevoli
ombelichi, aureole di pavoni, garofani caduti, fughe insensate! Era un sentirsi
rinascere incolto, giovane oltre misura, l'anima sistematica spirando in
spirali tra rovesci dai clamori innegabilmente definitivi, per il bene della Terra,
e partecipe d'ovunque, palpato di Varuna, con l'Aria Onniversale di chi
s'accerta del al dunque.
E Salom a
insistere follemente:
Vi dico
che lo stato puro! O settari della coscienza, perch catalogarvi individui,
vale a dire indivisibili? Soffiate sui cardoni di queste scienze nel Levante
dei miei Settentrioni!
vita,
forse, il persistere nel tenersi al corrente di s e di tutto il resto, a ogni
tappa formulando la domanda: Ah! ma chi si vuole ingannare, qui?
Organizzazioni,
schiatte, regni: via! Niente si perde, niente si aggiunge, tutto di tutti; e
tutto addomesticato in anticipo, senza bigliettini confessionali, dal
Figliuol Prodigo (intendiamoci, lo si liquider a dovere).
E non
saranno dei trucchi da espiazioni e ricadute, ma le vendemmie calpestate
dell'Infinito; non sperimentale, fatale piuttosto, imperocch...
Siete voi
l'altro sesso, noi siamo le piccole amiche d'infanzia (sempre inafferrabili
Psiche, questo vero). Tuffiamoci dunque da stasera nella mansa armonia delle
moralit prestabilite, galleggiamo alle derive col ventre in fiore smarrito nel
vento; in un profumo di sprechi, di doverose ecatombe, verso il laggi dove non
batte il nostro cuore n il polso della coscienza.
In un
avanzare di stanza in stanza, tra salve di valve, in fornicature senza cesure,
dentro cotte smunte, e che si abdichi verso l'obliquo delle derive pi
primitive, in un tirarsi tutto fuori da me! - (Non posso dire che ci riesco).
La piccola
vociferante gialla a pallini funebri ruppe la sua lira su un ginocchio, poi si
erse fiera.
Per darsi
un contegno l'uditorio intossicato si asciugava le tempie. Pass un silenzio di
confusione ineffabile.
I Principi
del Nord non osavano consultare gli oriuoli, tanto meno chiedere: A che ora la
si mette a dod? Non dovevano essere pi delle sei.
Il Tetrarca
scrutava i disegni dei suoi cuscini; era finita, ma la dura voce di Salom lo
riscosse di colpo.
- E ora,
padre mio, gradirei che mi faceste portare di sopra in camera la testa di
Johanaan servita su un piatto qualunque. Ho detto. Salgo ad aspettarla.
- Ma non
pensarlo neanche, piccola mia! uno straniero...
Tutta la
sala opin fervidamente con la tiara che in quel giorno fosse rispettata la
volont di Salom; e le uccelliere, riprendendo l'assordante scintillio,
dettero il loro consenso definitivo.
Smeraldo-Archetipas
sbirci verso i Principi del Nord; non un segno di approvazione o di
riprovazione. Senza dubbio la cosa non li riguardava.
Aggiudicato!
Il Tetrarca
lanci il suo Sigillo all'Intendente della Morte.
Gi i
convitati, chiacchierando d'altro, sciamavano verso il bagno serale.
IV
Coi gomiti
sul davanzale dell'osservatorio Salom, che ha in uggia le feste nazionali,
ascoltava il mare intimo delle belle notti.
Un tutto
esaurito di notte stellata! Eternit di braceri allo zenit! Oh! di che
smarrirsi, si fa per dire, in un esilio dei pi celeri! ecc.
Salom,
sorella di latte della Via Lattea, non lasciava il suo in s altro che per le
stelle.
Grazie allo
spettro, sulla scorta della fotografia a colori delle stelle cosiddette gialle,
rosse, bianche di sedicesima grandezza, Salom s'era fatta squadrare dei
diamanti esatti per disseminarli nella capigliatura e su tutta la sua bellezza
e sulla camicia da Notte (mussola viola gran-lutto a pallini d'oro) onde
conferire a quattr'occhi sulle terrazze con i suoi ventiquattro milioni di
astri, come un sovrano che dovendo ricevere i suoi pari o satelliti li dispone
nell'ordine secondo le loro circoscrizioni.
Salom
disprezzava i volgari capocchioni di prima seconda grandezza, ecc. Fino alla
quindicesima grandezza gli astri non appartenevano al suo mondo. Del resto,
spasimava solo per le nebulose-matrici; non le nebulose gi formate, dai dischi
planetiformi, ma le amorfe, le perforate, quelle a tentacoli. - E la nebulosa
di Orione, un pasticcio gassoso dai raggi striminziti, restava pur sempre la
gemma prediletta della sua corona a barlumi.
Ah! care compagne
delle praterie stellari, Salom non pi la piccola Salom! E quella notte
avrebbe visto nascere un'era nuova di relazioni e di cerimoniali!
Anzitutto,
esorcizzata dalla sua verginit tissulare, gi si sentiva, al cospetto di
quelle nebulose-matrici, ugualmente fecondata da evoluzioni rotatorie.
Dipoi, il
fatale sacrificio al culto (davvero fortunata d'uscirne cos a buon prezzo!)
l'aveva obbligata all'atto (grave, si ha un bel dire) chiamato omicidio,
affinch l'iniziatore sparisse.
Infine, per
guadagnarsi il silenzio mortale dell'Iniziatore, aveva dovuto servire a delle
genti contingenti l'elisir, anche se allungato, distillato nell'angoscia di
cento notti della tempra di questa attuale.
Mass, era
la sua vita; Salom era una specialit, una piccola specialit.
Ora l, la
testa di Giovanni (come gi quella di Orfeo) brillava su un cuscino tra i
frammenti della lira d'ebano, spalmata di fosforo, lavata, imbellettata,
inanellata, ghignando ai ventiquattro milioni di astri.
Non appena
in possesso dell'oggetto, per sgravio di coscienza scientifica, Salom aveva
tentato i celebri esperimenti postdecollatorii di cui tanto si parla; se lo
aspettava: i passaggi di corrente non provocarono sulla faccia che delle
smorfie senza importanza.
Un'idea,
per, ce l'aveva.
E dire che
non abbassava pi gli occhi dinnanzi a Orione! Per dieci minuti buoni
s'irrigid a fissare la mistica nebulosa delle sue pubert. Che notti, che
notti future per chi avr l'ultima parola!...
E quei
cori, quelle salve di spari, l dove si stende la citt!
Finalmente
si scosse, da persona ragionevole, rialzando il suo scialletto; e scov su di
s il torbido e sabbiato opale d'oro grigio d'Orione che depose nella bocca di
Giovanni come un'ostia; misericordiosamente, ermeticamente baci quella bocca,
e la sigill col suo marchio corrosivo (procedimento istantaneo).
Salom
attese, un minuto!... nessun segnale attravers la notte!... con un suvvia!
vivace e irritato impugn nelle sue piccole mani di donna quella zucca di
genio...
Desiderando
che la testa cadesse in pieno mare senza prima fracassarsi sulle rocce delle
fondamenta, prese un certo slancio. Il relitto descrisse una bastante parabola
fosforescente. Oh! che nobile parabola! - Ma l'infelice piccola astronoma aveva
calcolato assai male il suo slancio! sbilanciata oltre il parapetto, e con un
grido finalmente umano! rimbalzando di roccia in roccia Salom fin rantolante
dentro un anfratto pittoresco lavato dai flutti, lungi dai rumori della festa
nazionale, lacerata al vivo coi suoi diamanti siderali penetrati nelle carni,
il cranio sfondato, paralizzata dalla vertigine, insomma conciata, agonizzando
per un'ora.
E non le fu
data neppure la grazia di vedere la testa di Giovanni che galleggiava sul mare
come una stella fosforescente...
Quanto ai
cieli lontani, erano lontani...
Cos
trapass Salom, almeno quella delle Bianche Isole Esoteriche; meno vittima del
caso illetterato che dell'esser vissuta nel fittizio e non alla buona, come
ciascuno di noi uso fare.
PAN E
LA SIRINGA ovvero L'invenzione del flauto a sette canne
Sul suo
piffero mattutino Pan si lagna, Pan d fiato a lamentele private destando echi
nella Valle-d'Erba Diasprina, in Arcadia.
Chi non ha
vissuto un bel mattino d'estate, in una valle scervellatamente incantevole, chi
non in grado di dire: So di che si tratta?
Entro uno
slargo felicemente intatto, le cateratte primaverili di un sole tutto radiose
nebbie di beatitudine, tutto diluvi effervescenti d'un vivo zuccherino dove il
Sole stesso entrerebbe in infusione, si riversano inondando i tronchi delle
selve d'alto fusto e le tovaglie delle colline e l'intera valle! O miliardi di
prismi d'ottimismo! O giovent, o bellezza, o unanimit! Oh! del sole...
Giovane e immortale, Pan non ha mai amato, almeno come lui e io l'intendiamo.
Tutta la
notte, nella valle immersa in un fenomenale assolo di luna, Pan s' lagnato
amaramente sul suo imperfetto e monotono zufolo-piffero, sul suo piffero da due
soldi. Poi ha finito per cedere al sonno. I sogni gli hanno svuotato anche pi
il cuore. All'alba ha stirato e sgranchito le sue gambe di capra dai peli torti
dalla rugiada (non fa pi ginnastica); ora l in mezzo al timo, pancia in
gi, poggiato sui gomiti, ed ecco che riprende a snocciolare le sue miserie sul
piffero che ha solo quattro note: un solitario nella solitudine soave del
mattino. Quando si ama, non resta che aspettare, cos, all'aria aperta, cercando di
esprimersi per il tramite dell'arte...
Pan aspetta
e intanto canta:
L'Altro
sesso! l'Altro sesso!
Ecco la
tutta Eva menomuccia
Venire
avanti, in estasi
Pel ruolo
che le tocca,
Con un
brillo negli occhi
Maritali,
Con tutti i
suoi capelli sulle spalle,
Nel sacro
sole che va su!
Oh, dite
dite!
L'Eva
menomuccia che scende dalle altezze
Con la sua
carne sacrificale
E l'anima
dai rossori subitanei!
Un corpo e
un'anima
Amici
dall'infanzia!
Mia tutta
donna
Di essenza!
Venendo
avanti, vive
Con un
cuore troppo grande,
Col miele
rosa delle sue gengive
E i seni
timidi come due leprotti!
Un
venticello si destreggia
Tra gli
orecchini di cerase
E il nasino
le s'impenna quando
Grida al
sole: Stupendo!.
Ben salda
sulla terra
Butta l la
sua sfida:
Non sono
una pavoncella
Non sono
mica una pupattola!
Tutto un
can can io avrei fatto
Per
naufragare tra le braccia
Del gran
Pan!
Intatta
sono
Come un
tulipano, pura
D'ogni
pregiudizio terreno!
Aprile!
aprile!
Felicit
sospesa a un filo!.
Sia! ci
governino
Dunque e
fauna e flora
Dalla sera
all'aurora
Dall'aurora
a sera!
Venga
Eva
Menomuccia,
visitata in sogno!
Epifania,
ah! epifania
Invenzione
mia!
Pan la
smette, poi torna a considerare il mattino felicemente intatto sull'intera
valle. - Un ben radioso mattino, tutto solare, un'impalpabile felicit
universale! Dunque, a lui d'arrangiarsi per essere felice come ha saputo
arrangiarsi il mattino.
Facile a
dirsi. Pan si riabbandona al piffero imperfetto ma fedele e degno d'essere
chiamato vecchio mio. Prova la vecchia ballata: Ho nausea delle fragole di
bosco, e subito
smette perch la ballata gli d la nausea.
Insomma! Il
timo ha un brivido interno, i calabroni ronzano, i gambi delle umbelle si
crogiolano a quell'arietta dolce, le cicale cominciano a rosolarsi a grido
lento, e la felicit non ha limite!
Pan,
sentendosi dentro anche lui la sua brava ragion d'essere, riprende su un tono
pi umano il ritornello del grande amore:
Il mio
corpo ha male all'anima
La mia
anima ha male al corpo.
Da quante
mai notti spasimo
Senza che
niente accada.
Non che
la sua carne mi sarebbe tutto,
N io
presumo d'essere per lei unica-
mente Pan.
Per saremmo folli
Di fare
delle storie tra fratelli!
Poi cerca
di convincersi a voce alta, in un piccolo a parte.
- O donna,
donna! tu che l'umanit fai monomane! Io t'amo, t'amo! Ma cos' questa parola:
ti amo? Da
dove viene e come suona con le sue due sillabe cos comuni e cos neutre? Io
per me, ecco cosa mi sono inventato. Amo mi dice qualcosa solo associandone il suono, con
un'intuizione non cervellotica, al suono della parola britannica aim che vuol dire scopo. - Ah! scopo, s! T'amo significherebbe dunque: A te
tendo, tu sei il mio scopo! Alla buon'ora, ora s che ci sono! E come!
Oh! tu
vieni, a tra poco?
Ma dove
andr a cercarti
O mia
fragile Psiche
Che ogni
attimo deflora
Rubandoti
al mio abbraccio?
O come sar
tanto te! con che
Destrezza
io ti sapr portare
Nel fondo
fitto della foresta,
L dove fa
pi fresco, e tu
Potrai
stirarti sull'erbetta,
Dopo tanti
meriggi virginali,
E
abbandonarti alla stagione buona
Dentro un
concerto di cicale.
Vedrai,
vedrai...
Io ingrato,
e quando mai?
Il mio
abbraccio ricco
Quanto
ricco il mondo.
E non che
la tua carne...
- Zitto! ma
eccola venire avanti burlona e bianca tra le erbe alte della mia prateria! Far
in modo di suonare e di cantare assorto, per non spaventarla. Mio Dio, mio Dio,
che si faccia sotto, dunque!
Ho
nausea delle fragole di bosco
Da quando
in sogno io ho visto
La mia Eva
menomuccia
Sorridermi
portando un dito
Sulla boccuccia.
Ho nausea,
posso dirlo, di mistero
Da quando
l'Eva menomuccia,
Pur
sorridendo carezzevole,
Mi fece
segno velenosetta
Che si
doveva stare zitti!...
Sorriso e
mistero
O mio bel
veliero!
Un sorriso
e poi muto,
Ah! zitto,
mio liuto!
E non che
la sua carne mi sarebbe tutto, dico sul serio...
Al colmo
del mattino e al sacro Sole, nella beata prateria apparsa proprio la ninfa
Siringa, imprevista, fremente di vita e in carne e ossa (con quanta giovinezza
i suoi occhioni lo affermano!): sta l, con lo sguardo estatico, il collo
reclinato, le braccia penzoloni, incantata dalla lagna inoffensiva di Pan. Poco
a poco, credetemi, e per meglio ascoltare s' messa a suo agio, tra il grazioso
timo, standogli di fronte ma a una certa distanza (anche se irreprensibilmente
a distanza).
Oh!
esattamente lei, rosea e pudica, stupenda come un mandorlo in fiore,
nell'attesa.
Non si
vergogna, sa quello che vale, senza tante fisime. Eppure, con la sua forte
capigliatura rialzata d'istinto a diadema, gli occhioni allevati in elevazione
e la smorfietta d'un rosa tenero, non sembra certo presagire di essere al mondo
per abbandonarsi a tal punto alla bella stagione nello stordimento delle
cicale.
Tuttavia,
malgrado gli occhioni allevati in elevazione e i suoi capelli a diadema e la
smorfietta cos atteggiata, proprio venuta al mondo per quella, proprio per
quella tal cosa stata attrezzata.
- S, dice
Pan a se stesso...
- Ahim!
dice Pan a se stesso, e nei domani e nei posdomani essa avr sempre i suoi occhioni
vicinissimi e sovrumani e la sua smorfietta dell'altro mondo!
Ma che
importa! nelle sue meditazioni Pan s' imbattuto in antinomie altrettanto
irriducibili. Oggi, in mal d'amore com', accetterebbe la Donna senza tanto
discutere.
Lascia da
parte gli aggeggi musicali e la guarda. Non osa ancora parlare, per timore di rompere
l'incanto di quell'apparizione, tutto sommato, immeritata. Anzitutto vuol
persuadersi e convincersi che essa l, e che reale!
Si
guardano. Lui a denti stretti, con occhi miserabili; lei coi suoi occhioni
vicinissimi e la boccuccia tirata verso l'alto da bimba viziata, perfettamente
soddisfatta d'essere com', e senza salti d'umore.
Cos, lei
che si assume la responsabilit di rompere l'incanto, giacch d'incanto si
tratta. La sua voce davvero strascicata e nostalgica, eppure incrollabilmente
sorgiva.
- Bellino,
quel che stavate suonando.
- Oh! un
piffero da due soldi. Se avessi un flauto pi ricco, ne farei di cose! Non
dubiterei pi di niente...
Essa tace,
non chiedendo che partecipazione e svago in un giorno cos bello.
- Non
dubiterei di niente, insiste Pan; neanche di...
- Di che?
- Di
dividere con voi il mio vecchio amore.
- Davvero?
Ha detto
quel davvero? con un'aria non mondana ma distaccata. E, senza abbassare gli
occhi, aggiusta le pieghe dritte della sua corta tunica, la sua corta tunica
bianca appena stretta alla vita, proprio sotto i giovani seni, e tenuta da una
fibbia sulla spalla.
- Davvero?
- S, ma
non vale neanche la pena di tentare, basta che guardi i vostri occhi, cos
grandi, e quella smorfia, incantevole, del resto. No. E poi stamane ho un mal
di testa... dico sul serio. Ma grazie d'essere venuta. La vostra presenza qui
un vero riposo per me.
Essa tace,
gli occhi vicinissimi: tutto cos meravigliosamente bello!
Pan china
la testa, si sfoga facendo a pezzi fiorellini e fili d'erba.
Alza gli
occhi: sempre l, a suo agio nel timo, che lo fissa con uno sguardo
verginalmente desto, con la sua smorfia verginalmente desta.
No! Non si
pu guardare con tanta inimitabile innocenza!
- Quando la
finirete?
- Ma cosa?
Insomma! ha
detto quel Ma cosa? con un tale raddoppio di perfezione dei suoi occhi e di
perfezione della sua smorfia che Pan si contorce, che Pan si lascia sfuggire,
nella solitudine radiosa del mattino, un singhiozzo, un unico lungo singhiozzo
d'amore, semplicemente d'amore, alla Pan!
Certo lei
deve sapere da dove viene e dove va quel singhiozzo, dato che non accenna
minimamente a scomporsi! ...
Pan, che se
la vedeva gi tutta spaurita ed era pronto a intervenire con un provvidenziale
oh! non abbiate paura!, deve contentarsi di dire:
- Sto male,
tanto male! Oh, se vi capisco! Mi obbietterete, risentita, che passavate da queste
parti, che non siete che un'occasione. Che ne sapete voi? E intanto com' che
passavate da queste parti? Voi tacete... Io, io non sarei ingrato. Ah, lasciamo
perdere.
Pan abbassa
la testa e riprende la strage delle erbette e dei fiorellini, come un maniaco
imbelle. Rialza gli occhi: con tutto il peso della sua bellezza
apparentemente senza scopo che essa lo guarda. - Se le si gettasse
immortalmente ai suoi piedi per stordirla! Ma si contiene. Accada quel che deve
accadere; tutto nel Tutto. E riprende il suo piffero, il suo vecchio zufolo a
quattro canne, col fare di un giovanotto a cui basta l'arte, a cui bastano
poche scale al giorno.
Chimericamente
tuba:
Occhi
belli accesi
In brillio
di sponsali!
Anima,
tutta in rossori subitanei,
Carne unta
di false piste, interamente!
Non che
la sua carne mi sarebbe tutto
N io
presumo d'essere per lei unica-
mente Pan.
Per saremmo folli
Di fare
delle storie tra fratelli!
Aprile!
Aprile! (qui un ritardando a morire)
Nostra
felicit sospesa a un filo!
Epifania!
Epifania!
Strada
libera al mio genio, via!
Per stamane
ha lavorato anche troppo. Pan rialza la testa. Essa l, sorridente, come
disarmata da quel bambinone, e un po' anche dalla bellezza eccezionale di un
mattino come questo.
E pensare
che basterebbe rispondere a quel sorriso con un franco sorriso! Pan crede di
cavarsela con una superiore alzata di spalle e con una posa da conquistatore.
- Parola
mia, avete degli occhi incredibili, dico a voi, chiunque voi siate! E un ovale
cos sottile in basso! E una smorfia che vi conviene! Vi capita di sognare
d'essere diversa quando vi guardate allo specchio di fonte?
- Ma no,
dato che si ha il viso della propria anima che la mia anima non saprebbe
immaginare qualcosa che sia pi se stessa del mio viso. in un circolo
vizioso, qui vi riconosco bene.
- Fortuna
che siete una dea! se cos non fosse verrebbe un tempo, quello della vecchiaia,
in cui la vostra anima immaginerebbe un viso diverso dal suo.
- Non ci
avevo pensato, siete davvero realista.
- Sono Pan.
- Pan chi?
- Io
sono... ben poco in questo momento, ma normalmente sono tutto, sono per
definizione il tutto. Cercate di capirmi: sono io che sono, e il lamento del
vento...
- Gi, e
Eolo?
- Ma no,
capitemi! Io sono le cose, la vita, le cose... in un certo senso,
classicamente. No, io non sono niente. Ah! sono ben disgraziato! Avessi almeno
uno strumento pi ricco di questo piffero! vi canterei tutto quello che sono,
oh, canterei in un modo straordinario! La sobriet classica mi fa ridere! Dei Kyrie, dei Gloria in excelsis, e poi delle belle ariette vivaci
come dalle mie parti.
- Possibile
che un uomo non riesca mai a essere chiaro con noi donne? basterebbe
dichiararsi in buon francese, voglio dire nel nobile aereo dialetto ionico; e
invece no, ci vuole la musica e subito! la musica cos grossolanamente
infinita...
Pan si
raddrizza infuriato!
- E voi
allora! nient'altro che il suono della vostra voce. Voi, guarda un po', solo la
musica della vostra voce! Cos', pi leale, questo? Ah, miseria, miseria da
tutte e due le parti, vi assicuro io!
E si rotola
davanti a lei, nel timo, come un lercio Calibano, ma disperato. Essa l'osserva
con tanto d'occhioni compassionevoli, per compassionevoli con riserbo.
Pan si
riprende, e con un tono solenne:
- Insomma!
nobile vergine, o chiunque voi siate, voi che pure avete una forma definita,
state a sentire! La giornata procede e io non ho mai amato. Volete lasciarvi
essere tutto per me in nome del Tutto?
Un silenzio
(tempo perso durante il quale la natura continua incurante).
La ninfa
Siringa si erge lentamente in tutta la sua bellezza. E dice pacata:
- Sono la
ninfa Siringa, un po' naiade anche, perch mio padre il fiume Ladone dal bel
torso e dalla barba fiorita. Ritornavo dal monte Lico...
- Capisco,
capisco, una naiade! Devo sembrarvi ben brutto, ben Calibano, ben capricante!
Una naiade! Una cugina del bel Narciso, figlio del fiume Cefiso! Peste! Bello,
Narciso, eh? distinto!
La ninfa
Siringa s'irrigidisce, scosta un ricciolo dalla sua fronte alta, e proclama con
voce rude e sorgiva:
- Voi vi
sbagliate! Io sono un'anima estetica immersa sette volte nell'acqua diaccia
della fonte Castalia cara alle caste Muse; io sono la pi fedele delle compagne
di Diana...
Pan
indietreggia! Siringa alza le braccia a quel puro firmamento dove, stasera,
risplender Ecate; a quel gesto i suoi pallidi seni rimontano sotto la tunica
diafana e si stemperano in proporzione, intatti e lunari:
- O Diana!
Imperatrice delle notti pure! La mucosa del tuo cuore ruvida come la lingua
dei tuoi molossi. Tu salti i fossi e parli poco. L'acciaio dei tuoi sguardi
gela il sangue rosa alle ragazze che vorrebbero subito ammalarsi. Le pieghe
della tua clamide sono di una purezza dorica. Al ritorno dalle tue grandi cacce
un crollare di schianto sulle foglie secche in un sonno che non conosce
sogni, fino alle trombe dell'alba! A caccia! A caccia!
Siringa
prorompe in una stridula risata da Valchiria e, gi dimentica di Pan, d inizio
alla sua corsa, una giovane corsa impetuosa, per prati e nella valle, in un bel
mattino!
E Pan, col
cuore a pezzi per l'ampia tristezza primigenia, la guarda andare! senza che si
volti. Inchiodato e avvilito di botto, infelicissimo come se gli si rivelasse
lo stato di miseria e di lordura in cui senza alcun dubbio viviamo. Schietta a
quel modo e impetuosa e con lo sguardo dritto dinnanzi a s! Povero Pan! Oh!
come in un lampo gli passa dentro la rivelazione del vasto e leggendario dolore
di Cerere che si trascina su tutta la terra, impolverata e mendica,
interrogando i pastori, in cerca di sua figlia Proserpina scomparsa un mattino
mentre raccoglieva dei fiori di campo che metteva insieme per sua madre.
Amore!
Amore! Vuoi dunque che qui m'incenerisca, senza una parola, senza un verso?
Ma Pan
immortale! E al pensiero di quella sera, solo con la sua tristezza di genio,
oh, all'idea del suo genio, all'idea delle dispute sublimi nelle quali
incanterebbe la stessa Diana, Pan si riempie i polmoni d'aria pura, che di
tutti, e corre dietro la preziosa fuggitiva! A caccia! A caccia!
Cos ha
inizio il leggendario inseguimento della ninfa Siringa da parte del dio Pan in
Arcadia. Che avventura!...
Oh se
l'avr! la costringer in ginocchio in qualche angolo buio di bosco, le dir il
fatto suo piegandola al suo stato, allora s che potr adorarla di tutto cuore,
nel suo buon cuore oscuro!
Essa gi
lontana; si volta e si vede inseguita. S'arresta un attimo, a far fronte, poi
riprende il travolgente galoppo!
- Ah, tu
fuggi, fuggi! Ma ti avr! ti torcer i polsi, far a pezzi i tuoi ossicini di
gatta, te lo far vedere io...
Lungo
giorno leggendario, come sei lontano! non ritornerai pi... Questo accadeva in
Arcadia prima della venuta dei Pelasgi.
Il sole
sovrasta, le praterie sono entusiasmanti, gli uccelli si sgolano nel paesaggio,
e tutti quei cespugli degni di nota! Delle coppie di cervi smettono di bere,
gli stambecchi arrampicati sulle rocce a picco non brucano pi, e al margine
dei boschi rasentati in corsa gli scoiattoli spiccano brevi salti secchi, tra
le foglie secche, intervallati da silenzi pieni.
Oh! quando
avr vinto e domato quella piccola selvaggia sovrumana, verranno a errabondare
da queste parti, e lui non si vendicher mai abbastanza, le far del male per
lo sfumato di una foglia!
A caccia,
nell'attesa, a caccia! tutta la mattina...
Siringa
conserver ancora a lungo il suo vantaggio, lei non sfinita da insonnie e da
febbri, non ha perduto l'abitudine alla ginnastica, ha ben dormito e vive con
metodo. Passi ancora finch si sta in pianura, ma se si costeggia un bosco, di
quando in quando Siringa si diverte a sparire al margine tra gli alberi, e Pan
deve fermarsi, che non sia una trappola, che non prenda per i boschi lasciando
il terreno battuto.
- Oh! ti
avr, ti avr! e ti terr il broncio per tre giorni e tre notti. Ma come ti
amo, ti amo, mio unico scopo! Com' bella la tua fuga! E come il mio cuore di
Calibano s'illumina a ogni attimo della tua fuga, e quante mie belle lacrime ti
varr stasera, non appena t'avr perdonato!
Sfilano
boschi e praterie e paesaggi, e nella corsa Siringa si trova di fronte a
un'alta scarpata vertiginosa, stecconata da rovi fioriti. Siringa obliqua e
s'accinge a attaccare l'ostacolo di lato, attraverso un pendio dolce che la
porta a sistemarsi lass, in vista di Pan che sopraggiunge dritto. Essa lo
guarda venire. Invece di obliquare come lei ha fatto, Pan naufraga al piede
della muraglia scoscesa. Si ferma. Sar una tregua, durante la quale potr cos
contemplarla (oh! che almeno ci s'imbeva di questa realt presente!). Non v'
dubbio che riprenderanno a discutere, forse finir da buoni amici, nel sole di
mezzod.
Come domina
irresistibilmente di lass, in quella fiera posa ancora ansante! in tutta la
sua fresca e casta figura, con la chioma che un solido diadema, con i suoi
occhioni vicinissimi, vergini di ogni insonnia cos come l'acqua di fonte lo
dell'essenza di rosa! E le sue gambe, di lass, come appaiono pure e perfette!
- Perch
m'inseguite? essa grida con una voce abituata a lanciare e a trattenere le mute
di Diana.
- Perch vi
amo; voi siete
il mio scopo! risponde, al diapason di panteismo della sua voce.
Al diapason
di panteismo della sua voce! Ma Siringa, compagna di Diana, spiritualista,
deve sapere il fatto suo sulla riproduzione ecc.
- Mi
prendete per una bestiola, una bestiolina catalogata? Sappiate che non ho
prezzo!
- E io sono
un artista, un essere strabiliante! Tutto sommato io ho l'anima di un grande
pastore, vedrete.
- Se vi
dico che il mio orgoglio di rimanere me stessa vale almeno la mia prodigiosa
bellezza! Anche se a volte so essere bambina...
- O
Siringa, osservate, sforzatevi di capire la Terra e la meraviglia di un mattino
come questo e la circolazione della vita. Voi l, io qui! Oh voi! Oh io! Tutto
nel Tutto?
- Tutto
nel Tutto! Davvero? Ah, voi e le vostre formule bell'e fatte! Ebbene, prima
cantatemi la mia bellezza!
- Oh, s,
ecco!
Resta lass
a aspettare, ben piantata, con un'espressione di disponibilit indefinita. Pan
s'arrampica su un albero non lontano, di fronte a lei ma neanche a portata di
mano, e si siede tra i rami con le gambe penzoloni.
Comincia,
guardandola negli occhi per meglio concentrarsi:
- O ben
immacolata concezione... No no! capite che non trover altro.
- Ho tempo,
in fondo non che un gioco, animo! Quando vorrete vantare la mia bellezza se
non ora? Su, analizzatemi! analizzatemi! Mostrate di valere qualcosa, siate il
mio specchio come la coscienza umana vuol essere lo specchio dell'Ideale
indefinito...
- Eh no,
bimba mia ideale! Avreste buon gioco con l'ineffabile! (A dottrinaria,
dottrinario nell'ossa!).
-
riconoscere incidentalmente che la felicit risiede nella ricerca dell'Ideale,
punto e basta.
- A questo
punto non posso rispondere che con uno sgarbo.
- Dite
pure.
- che voi
spostate il problema. Voi non siete lo scopo del mio inseguimento; sotto il
pretesto di questo stesso scopo, voi non siete che una tappa intermedia. In
fondo la stessa cosa perch fintanto che io non vi conosco, voi siete per me
lo scopo in s, l'Ideale. Quando vi avr attraversato, o tappa, pur cos
assoluta, allora io vedr al di l! (A dottrinaria nell'ossa, la verit in
carne e ossa!)
-
D'accordo. Ma potrei facilmente costringervi a marcire dinnanzi all'illusione
che mi appartiene oppure costringervi a saltarla. Ma, come voi, non voglio
essere che vittima di una mutua illusione. Anzitutto ditemi almeno il colore
della mia illusione.
- Ehm
ehm... ben immacolata concezione... Io chiudo gli occhi: due occhioni come i
vostri esistevano gi di per s, come anime immortalmente attente. Il sacro
arco di Diana non ha una curva pi inesorabile dell'arco della vostra bocca...
via, non distendetelo! I vostri occhioni preannunciano qualcosa che chiamer
cristianesimo, e la fierezza del vostro portamento proprio per chi guarda
sopra le greggi di Pan per vedere se il Messia non venisse!
Siringa s'
seduta sulla scarpata con le gambe penzoloni tra i rovi, gambe perfette e soavi
dai piedi calzati di bianchi sandali. S'appoggia sul gomito destro, il capo
sulla mano, offrendo i suoi occhioni nostalgici e inesplorati.
Pan
continua a balbettare inezie:
- Tutto
nel Tutto! E la piccola Siringa un prodotto della Terra. E no! forse che
amandovi io sono in grado di enumerare le vostre bellezze? Aspettate che vi
raggiungo... No no! restate! Siete bella, siete spontaneamente perfetta! I
vostri organi respirano il prezzo dell'immortalit naturale! Noi galopperemo in
perpetui fidanzamenti tra i rovi dei monti! Oh, come dovete essere bella a
caccia!
- A caccia!
a caccia! acclama Siringa che resa divina da quel richiamo balzata in piedi e
riprende il galoppo verso la giornata! emettendo clamori da Valchiria!
Hoyotoho!
Heiaha!
Hahei!
Heiaho! Hoyohei!
Si
ricomincia. Prima di scendere dal suo ridicolo osservatorio, Pan studia la
direzione che prender la sua bella. Gli tocca tornare indietro e scalare la
scarpata sul fianco, lungo il pendio dolce. Scosso d'indignazione, Calibano si
risveglia a un ardore primigenio! un mugolo rauco da povero orso incompreso
che han fatto troppo ballare gli esce dalla bocca. Coi suoi salti divini la
piccola ha preso un certo vantaggio ma non pi che una questione di tempo!
E il
leggendario inseguimento della ninfa Siringa per opera del dio Pan prosegue
lungo l'afoso pomeriggio che finir per sciogliersi nella sera...
Ora s che
donna, di sicuro! Sar sua, sar sua laggi, in cima all'azzurra collina e
non oltre; oppure nel fondovalle che segue, e le metter paura nell'antro a lui
noto dove si sdrucciola pel bagnato. Tutto Tutto, poi la costringer a
gridare Aditi!
Magari per finire col chiederle scusa, ma che importa! Oh! sorga pure stasera
Diana col suo pallido discobolo, e ne vedr di belle! Non per niente tutto
nel Tutto!
Via!
attraverso foreste di pini in solitudini chilometricamente claustrali dove fa
buio dal principio del mondo, allorch Dio disse: Sia fatta la luce!. A
balzi, la piccola immortale riempie i grandiosi anditi d'ostinati clamori:
Hoyotoho!
Heiaha!
Hahei!
Heiaho! Hoyohei!
- Felici
gloriosi richiami! Oh! come mi ha capito! A caccia a caccia! Ora s che ti
capisco! non vuoi essere felice che stremata e coi piedi in sangue! Oh, certo!
curer i tuoi piedi gloriosi, laver le tue membra intatte e perfette, ti
culler tutta notte cantando sottovoce Aditi! In cima alla collina azzurra
accenderemo i fuochi della sera. Cos per tutti i giorni, un giorno dopo
l'altro! E tutto l'Olimpo parler del genio di Pan e dei suoi nuovissimi amori,
pieni di temperamento moderno. Oh! come mi sar preziosa nell'imminente
autunno, alla caduta delle foglie che sfugge ancora a ogni comprensione! Far
in modo, per allora, che il mio piffero sia perfezionato affinch canti alle
prime nevi la cosa che la cosa! Hoyotoho! Corri sempre, fuggi, fuggi! La
sera tarda a scendere.
E Pan, che
vuol lasciare un po' di respiro alla sua fidanzata, giunto in cima a un poggio
dominante una nuova pianura, Pan rist. La fidanzata si volta un attimo e
stupisce; ne ha abbastanza? vuol rinunciare al gioco? Non si fida, riparte! Hoyotoho! la sera tarda a scendere.
In un punto
della pianura c' lo smagliante riquadro di marmo bianco di una tomba. Siringa
vi si arresta e si curva come a odorare un fiore, poi emette un Heiaha! di scherno e riparte veloce
spiccando salti divini!...
E sia Heiaha! Pan si precipita gi pel poggio e
l'insegue con salti ugualmente divini!...
Gli tocca
di fermarsi a sua volta presso quella tomba di marmo bianco, e si curva come
l'oggetto del suo inseguimento; non vi sono dei fiori da odorare ma
un'iscrizione su cui riflettere:
ET IN
ARCADIA EGO
Anch'io
vivevo in Arcadia!.
- Poveri
mortali, ne hanno di ragioni, loro, per amarsi!
Quanto a
Pan e a Siringa, che sono immortali, non c' fretta.
La pianura
si stende fino alla collina azzurra, vasta come un meriggio che finir presto
per sciogliersi nella sera. I clamori: Hoyotoho!... Heiaha! si fanno pi rari. Che pianura!
Che
pianura!...
Che
pianura!...
Poco a
poco, dato che tutto cammina, il sole va gi. La povera ninfa sente che il
crepuscolo s'avvicina tessendo le maglie invisibili della sua rete. Siringa
perde terreno; gi prossima la collina azzurra da scalare, stecconata, senza
dubbio, da rovi atroci. Nei rovi dovr arrampicarsi, nei rovi, fin che potr,
tutta in sangue, da fargli piet!...
- Viene
meno, vien meno e non vuol cedere! Mi prende per un Calibano lussurioso. Ma, in
ginocchio, io arrester il sangue che sgorga dai tuoi piedi! - Oh! sto per
toccare i suoi capelli, per passare pi e pi volte il dito sul suo braccio
delicato; far in modo che si occupi di me! Sapr conquistarla con la dolcezza,
e con qualche argomento fatalista. Dovr anche pensare alla cena. Finir per
confonderla con un mucchio di piccole attenzioni contraddittorie... Ne pianger
di sicuro, in un singhiozzo di perdoni infiniti!
Ecco l'ora
del pastore...
Il sole fa
i suoi addii, o piuttosto dice arrivederci senza eccessive smancerie (altri
tempi!). Ecco che calano sui paesaggi brividi e languori di tardive tenerezze.
Il pioppo
freme, albero cos signorile che sceglie il suo momento! E sull'immotivato
imbrunire dello specchio delle sue acque piange il salice piangente. Colline e
sfondi s'abbuiano di solitudine inquieta. Le raganelle stanno per cantare, n
tarderanno le stelle, le stelle che non potrebbero tardare. Non ci manca che l'Angelus. (Altri tempi, altri costumi).
Ma, o crepuscolo! fraternit, innocenza, e che Dio ce la mandi buona. O
ripositor, nevvero! che l'Ignoto resti dov', e pace in terra alle coppie di
buona volont!
O fastelli
di un passato,
paese natale (si fa per dire), false convalescenze! Presto far notte, e la
lucciola andr in giro, e il gufo dir la sua.
Ma grazie a
Dio, ci si vede ancora, e la giovane donna tiene sempre duro e promette a se
stessa di scalare la collina che ormai la sovrasta, per poco che possa
ritardare la frattura della sua vita in due.
Quel
crepuscolo che strozza gli Heiaha! in gola, altroch se lo conosce! e una volta gettata la
rete della sera, non ci vorr niente di meno del chiaro di luna di
Artemide-Vigilante per spazzar via con la sua inondazione tutto quel po' po' di
ambulatorio. Essa va e va! e giunge alla collina...
- O
crepuscolo tu non mi tocchi, non mi toccherai mai! non c' volutt positiva che
saprebbe penetrare nel ciborio del mio essere!
- Ma chi
mormorava laggi?...
Ah!
sventura! tre volte sventura! a mormorare laggi, dietro le canne, un fiume
traditore, vago e profondo, che impedisce l'accesso alla collina. un'acqua
vaga nella sera...
Scosta le
canne e vede il fiume, largo e silenziosamente mortuario! E Pan che
sopraggiunge, l'uomo, ebbro di notte!
l;
Siringa si volta e alza la mano verso di lui, che si ferma a distanza.
Com' bella
cos nella sera! Cosa pensare?...
- Volete
dimenticarmi?
- Oh!
perdono, perdono! Vedete bene ch'io non c'entro per niente. Ma dimenticarvi! Io
vi amo, voi siete il mio scopo, io sono io, e la sera vien gi! Lasciate, che
m'incarichi di spiegarvi ogni cosa. Oh! ma cos' che di me vi ripugna? Oh!
focolare contro focolare! Non respiri forse da tutti i tuoi liberi pori questa
notte d'estate? Notte d'estate, malattia sconosciuta, quanto male ci fai! Non
sento altro che noi due, io! O ricca notte d'estate, ora s che ricordo i
racconti inebrianti che mi faceva Bacco sulla conquista dell'India! Mi ricordo,
n posso staccarmi da Delfi! Oh la furia del gracile flauto che fa scoppiare la
tempesta sulfurea a chiusura delle vendemmie e si appella alle burrasche
lustrali! Tirsi, e chiome arruffate? Misteri di Cerere, misteri e sagre
paesane, e fossa comune! Astarte! Ashtoret! Drceto! Adonai! In cerchio nella
prateria che si accende di danze, tra convitti di Sulamite, nello schiamazzo di
tutti i flauti salamboici! Tutto nel Tutto!
- Non vi
avvicinate! Il mio respiro va al passo con la gelosa nostalgica ammirazione per
tuttoci che animato e inanimato, per colei che passa sola e in buona salute,
che va verso il chiaro di luna dei monti e i cui amori non conoscono domani ma
unicamente vigilie!
- Certo,
siete perfetta cos come siete, dentro un'armatura che vi calza a pennello. Ma
quando verr l'autunno, povera cara? che farai con un cuore che respirer la
mortalit dei paesaggi fino a tossirne dal fondo del cuore?
- Mi
rannicchier dentro una tana che ci nota in Ircania e non ne uscir Hoyotoho! che per saziarmi Hoyohei! attraverso la manna serena della
caduta delle nevi!
- S, senza
dubbio, l'autunno ancora lontano, se mai ritorner! Ma com' piena la notte
d'estate che stiamo vivendo! O Siringa, io non posso andarmene cos! Dopo una
giornata come questa, come potr dimenticarti, o consolatrice del mio genio
troppo... tutto! Perch tutto nel Tutto! E vorreste farmi credere di esserne
al disopra?... Guardate, gi, quei lampi di caldo!... Astarte! Adonai! Dio
vuole cos!
- Hoyotoho! non mi avvicinate! Heiaha!
Heiaha? Aiuto!...
Come non vedi, bamboccio, che la volutt sta nel desiderio, che la felicit sta
nel passare muovendo a invidia le coppie assetate di felicit?
- E sia, io
morir; io che vi avrei curato cos bene! La mia follia divina, certo, ma non
quanto il prezzo della vostra volont. Perdono, vi chiedo perdono, morir in
dolcezza. Esaler l'anima nel mio semplice e grezzo piffero da due soldi
cantando l'esilio di cui la vostra visione mi ha onorato.
- Lo capite
da voi, non c' che l'arte; l'arte questo desiderio perpetuato...
Ah! come
effetto, si espressa in un tono cos ingannevolmente caritatevole che Pan non
esita pi, non potrebbe pi esitare: a testa bassa, spalancando le braccia, si
butta a caricarla risoluto! Ecco la donna debole, la sola degna in effetti di
tal nome, perseguitata e avvolta nell'indifferenza delle belle sere!
In uno
slancio supremo d'inumanit, con tutta l'immortale purezza dei suoi occhi che
affrontano l'altro, Siringa trattiene ancora un istante Pan, gli getta a sfida
un ultimo Hoyotoho! dopodich va gi a capofitto dentro un sottile sipario di canne,
abbandonandosi alle acque!
E
l'innamorato di genio, che ha spiccato il salto, riesce a trattenere
nell'abbraccio schietto solo qualche arido flabello di canna! Si fa largo e
guarda: vede la bella bimba in salvo, accolta, bianca tra quelle bianche
braccia, dalle chete naiadi che se la portano via in linee chete!
Fuggevoli
trastulli che increspano appena i riflessi crepuscolari del fiume lento e
mortuario sotto il bel cielo della sera...
Tutto si
svolto in silenzio, ed gi finito.
Ed subito
sera, la sera che non porta consiglio.
Oh! laggi
dirimpetto, sul pelo dell'acqua, sempre la sua testa amata che ancora guarda
immobile, o semplicemente un mazzetto di gigli d'acqua che gioisce a suo modo?
la fine,
il fiume s'addormenta.
Fu una vera
vergine e un segno, sicuramente, dei tempi nuovi.
A questo
punto Pan, che non riesce a togliere gli occhi dalla tomba del suo sogno
contraddittorio, a questa rivelazione dei tempi nuovi ai quali il suo genio
forse non sapr adeguarsi, Pan se ne esce in un sospiroso oh! d'un tedio cos
adorabilmente giovane, ah, in un oh! cos disinteressato dopo quel po' po' di
giornata, in un oh! cos inviolabilmente inconsolabile e senza seguito, cos
innocentemente unico, oh, cos beatamente in uno di quegli oh! come non
capiter pi di sentirne qualunque cosa tutti i tempi nuovi ci potranno mai
portare, che d'improvviso ecco che s'alza una voce musicale esalata l
dirimpetto da quel mazzolino di gigli d'acqua, una voce che scivola sul fiume
mortuario e dice: O, brezze, su da brave, commettetegli la mia anima.
E un vezzo
di brezza scivola via a eseguire un qualcosa in fru-fru regolati dentro un
sipario di canne alte e cave, dalle seriche lunghe foglie, dai flabelli che
intonano canti.
Questa
brezza d'anima tra le canne, qualcosa! Pan drizza le orecchie puntute.
O fremito
costante, baci d'ali, ghirigori di rumori, ventagli all'unisono nebulizzanti
l'acqua che zampilla nell'antro d'Armida, stoffe di fate sgualcite, l'alto
silenzio che sogna, spugna passata sull'intera poesia!...
Tuttoci
sussurra misericordioso: Presto presto, amico, l'anima sua che passa in
queste canne che stringi tra le mani!.
A piene
mani Pan si comprime il cuore pi divino che mai; si asciuga una lacrima, getta
il vecchio zufolo nell'avello del fiume e preso da un'ispirazione universale,
senza pi esitare, senza grattarsi l'orecchio n tormentare la barbetta a punta
stringe in un abbraccio quei clami incantati poi taglia tre gambi e ne fa
sette canne di lunghezza decrescente che scava, svuota del midollo, fora di
buchi e lega assieme con due giunchi.
Il flauto
bell'e fatto, e dei pi nuovi!
Pan vi fa
scorrere le sue labbra aride di speranza di baci, e ci che cava da quel flauto
una gamma miracolosa di una nuova ra che dice schiettamente la sua felicit
di flauto, la sua felicit di venire al mondo in una bella sera dell'Et
Pastorale!...
Pan,
ridendo tra le lacrime, gira e rigira con grosse dita di Calibano il nuovo
flauto, il flauto dalle sette canne, la divina Siringa.
- Oh!
grazie, grazie! Sette canne!
Ormai fa
buio, il mazzetto di gigli d'acqua dirimpetto sparito.
Pan si
siede tra le canne, preludia e ripreludia e stringe il suo giocattolo sul
cuore, lo sfiora con le carnose labbra, e si concentra.
calata la
notte. Non si vede pi che la solitudine della campagna, non si sente pi che
il fresco del fiume. O notte memorabilmente attenta, andiamo!
Pan
comincia: Mio inno, sviluppati non in avanti ma su te stesso, cos come dovr
fare la coscienza terrestre se non vuol rompere l'incanto e chiudere per sempre
gli occhi belli a Maia la Placida!.
Dapprincipio
non sono che funambolici lancinanti smaniosi sfacciati trilli che uggiolano, si
spengono e spirano in un rosario pio da miracolato.
Allora
s'alza una nota isolata e tenuta, calma come un aerostato su una folla di
babbei.
Ed il canto,
chilometrico, pallido come una romanza di purificazione, subito interrotto da
una gamma pesante come una campana ruzzolante gi dal suo improvvisato
castello, che poi si smaglia e si sviluppa in ghirlanda attorno a una base che
aspetta la sua statua che per fortuna non verr mai e poi mai.
Allora,
alla rinfusa: introibo rimontanti al diluvio, kirie in carovane senz'acqua,
offertori nel marasma, orazioni intirizzite e cadute ben in basso, litanie
troppo facili, magnificat che si smarriscono in dettagli, schiumanti miserere e
stabat attorno a un presepe o a una cisterna che fa da specchio a
Diana-la-Luna.
Pan
s'asciuga le labbra col dorso della mano, posa un attimo il flauto e parla a se
stesso.
- Son
proprio solo: monotona la mia canzone dato che io non so fare altro che
amare, e gemere fino a nuovo ordine avendomi lasciato la mia bella. Oh!
giornata ormai trascorsa! Siringa, t'ho sognato forse? La ricordo, minuto per
minuto e parola per parola, e il suo modo di guardare e il grado d'inclinazione
del suo collo e il suono della sua voce, e tuttavia non posso dire di averla
vista n di averla sentita! Una volta di pi mi sar mancata la presenza di
spirito d'immedesimarmi nella presenza delle cose! Avrei potuto esaminarla per
sempre da capo a piedi, e ascoltarla in eterno e catturare la sua formula al
vivo! Invece di far questo, a che pensavo? a tutto! Ed passato. Ahi! sono
proprio inguaribilmente nel Tutto. Povero spensierato, chi mai getter un ponte
tra il mio cuore e il presente? M'avesse almeno lasciato una ciocca dei suoi
capelli da premere sulle labbra fino all'evidenza...
E riaccosta
alle labbra il suo flauto a sette canne, il suo flauto talismano, anima di
Siringa. Ed ancora lo Stabat, poich lecito ripetersi in una cos bella
sera dell'Et Pastorale, lo Stabat nei pressi di una cisterna dove si specchia
Diana-la-Luna.
Alza gli
occhi; eccola, la Luna! Palpabile, gloriosa, abbagliante a tutto tondo, che
sale all'orizzonte puro e malinconico su una linea nera di colline.
Pan
strapazza il suo Stabat e scaglia un'imprecazione a Diana:
Hoyotoho! lass! scudo di ghiaccio, Luna
color canfora!
O Diana,
sapessi come la tua divinit mi lascia freddo, io che non ho niente da spartire
coi tuoi difetti di sviluppo...
Ma perch
giri agghindata di un sesso? che te ne fai di quegli organi impuri? o che
castit cos poco immortale la tua che ha bisogno, per resistere, di
ricorrere a simili esche per attrarre (spettacolo sconcio e riconfortante) il
maschio reso insano e schiavo?
E da dove
ti viene questa divinit? da un grande amore impossibile o morto e sepolto?
Macch! scommetto che non hai mai sognato il nostro sesso, il nostro sesso pi
che legittimo! No, sei stata educata nelle foreste, alle grandi cacce in tutte
le stagioni, alle setole ispide dei cinghiali, al sangue, ai latrati, alle
docce ghiacciate in fondo ai boschi. Sei un uomo, piuttosto, sublime e pallido,
un piantatore proprietario di schiave bianche, e tu sferzi crudelmente le tue
compagne di caccia e con riti inconfessabili cauterizzi il loro povero sesso
nel segreto delle selve claustrali. Va, va che so tutto! Non sono un
allucinato. Tutto nel Tutto, a cui io taccio da coraggiosa sentinella
empirica!.
Ma la Luna,
abbagliante a tuttotondo, sola nel firmamento, resta imperterrita...
E Pan,
tremante di febbre, ruzzola dentro sogni da Mille e una Notte d'abiezione, nel
vento della sera che s'attarda bighellone a canzonare le brezze di tutti i
recessi, i belati di tutti gli ovili, i sospiri di tutte le banderuole, gli
aromi di tutte le medicazioni, i fru-fru di tutte le sciarpe perdute sui rovi
delle contrade.
O clima
estatico, incantesimo lunare! proprio vero? l'Annunciazione, o solo la
storia di una sera d'estate?
E Pan,
balzando su come un matto, senza neanche un addio al fiume morto, e stringendo
il suo nuovo flauto contro il fianco ferito, riparte al galoppo
nell'incantesimo lunare verso la sua valle, pilotato dalla Luna, alla ventura!
Per buona
sorte e ormai gli basta di cavare, in queste ore tristi, una nostalgica gamma dalla
sua Siringa a sette canne per rimettersi in cammino, a testa alta, gli occhi
grandi e vicinissimi, verso l'Ideale che maestro a noi tutti.
PERSEO
E ANDROMEDA o Il pi felice dei tre
I
O patria
monotona e immeritata!...
Isola,
unicamente, in un giallo grigio di dune sotto cieli migratori, e il mare
dappertutto che chiude la vista, coi gridi e la speranza e la malinconia.
Il mare! da
qualunque parte lo si scruti, per ore e ore, in qualunque parte lo si
sorprenda: sempre lui, mai in difetto, sempre solo, dominio dell'insocievole,
gesta in feri, inappetibile cataclisma - come se lo stato liquido in cui ci
appare non fosse altro che decadenza! E i giorni in cui butta a mare tale stato
(liquido)! e quelli pi intollerabili quando assume la smorfia vittimistica di
chi non ha una faccia della sua tempra da rimirare, di chi non ha nessuno! Il
mare, sempre il mare, senza un attimo di cedimento! Insomma, non ha certo
stoffa d'amico (Oh davvero! che si rinunci a una simile idea, finanche alla
speranza di condividere familiarmente le sue rabbie, restando soli soletti
malgrado tutto il nostro frequentarci).
O patria
monotona e immeritata!... Quando mai tutto ci finir? - Ma come! in tema
d'infinito: lo spazio monopolizzato da un mare esclusivo impassibile e senza
limiti, il tempo espresso da cieli esclusivi percorsi da stagioni impassibili
in un migrare d'uccelli striduli grigi e selvatici! - Eh! che ne sappiamo noi
di tuttoci, che possiamo fare di fronte a una simile scontrosit confusa e
ineffabile! Allora tanto vale morire subito, dato che ci portiamo dentro fin
dalla nascita un buon cuore sentimentale.
Un mare
qualsiasi, oggi pomeriggio, d'un verde scuro a perdita d'occhi; un accavallarsi
a perdita d'occhi d'innumeri schiume tutte bianche ora accese ora spente ora
riaccese, gregge sterminato di pecore natanti, anneganti, riemergenti e mai
approdanti, e che si lasceranno sorprendere dalla notte. E su tutto questo, i
trastulli dei quattro venti, un trastullarsi per amore dell'arte, pel gusto di
un meriggio trascorso a frustare le creste di schiuma dentro un polvero
iridescente. Che un raggio di sole oh! venga a franare, e sulla schiena delle
onde ecco la carezza d'un arcobaleno simile a un'imponente orata apparsa per un
attimo a galla e subito inabissata, ottusamente malfida.
Ecco tutto.
O patria immeritata e monotona!...
Il vasto
ripetuto mare giunge asmatico e grondante fino alla piccola ansa dalle due
grotte imbottite di piume d'edredone e di pallide stramaglie di fuchi troppo
cresciuti. Ma il suo lamento non copre i gagnoli acuti e rauchi di Andromeda
distesa l, poggiata sui gomiti ventre sotto, in faccia all'orizzonte, intenta
a scrutare immemore il meccanismo dei flutti, dei flutti che nascono e muoiono
a perdita d'occhi. Andromeda si geme addosso; geme e d'improvviso s'accorge che
il suo gemere fa il paio col lamento del mare e del vento, due compari forti e
scontrosi che neppure la degnano d'uno sguardo. Allora smette, brusca, poi
cerca intorno, se c' qualcuno con cui attaccare briga. Chiama:
-
Mostro!...
- Pupa?...
- Ehi
mostro!
- Pupa?
- Si pu
sapere che stai l a fare?
Il
Mostro-Drago accovacciato all'ingresso della sua grotta e col posteriore a
mollo, si volta facendo brillare il dorso tempestato di tutti i preziosi delle
Golconde sottomarine, alza con aria compassionevole le palpebre frangiate di
cartilaginose passamanerie multicolori, scopre due vaste pupille d'un azzurro
acquoso e dice (col tono di una persona a modo che ha avuto i suoi dispiaceri):
- Lo vedi,
Pupa, io spacco e levigo ciottoli per la tua fionda; avremo ancora qualche
passo d'uccelli prima che vada gi il sole.
- Smetti,
questo rumore mi fa male. E non voglio pi uccidere gli uccelli che passano.
Che passino oh! e rivedano i loro paesi. - O voli migratori che passate senza
vedermi, orde di flutti sempre in arrivo che smorite senza portarmi niente, come
mi annoio! Stavolta s che sto male... - Mostro?...
- Pupa?
- Dimmi un
po', perch da qualche tempo in qua non mi porti pi delle gemme? Cosa ti ho
fatto, eh, zietto?
Il Mostro
sfoggia un'alzata di spalle, raspa la sabbia alla sua destra, alza un ciottolo
e afferra una manciata di perle rosa e di cristalli d'anemoni che teneva in
serbo per qualche capriccio, quindi deposita il tutto sotto il nasino
d'Andromeda. Andromeda, sempre ventre sotto e poggiata sui gomiti, sospira
senza scomporsi:
- Se
rifiutassi con durezza, con inspiegabile durezza?
Il Mostro
si riprende il suo tesoro e lo spedisce gi alle natali Golconde sottomarine.
E Andromeda
a rotolarsi sulla sabbia, a gemere tirandosi i capelli sulla faccia in un
disordine patetico:
- Oh! le
mie perle rosa, i miei cristalli d'anemoni! Oh! ne morir, ne morir! e sar
tua la colpa. Ah! tu non conosci l'Irreparabile!
Ma si calma
presto, per venire ad allungarsi strisciando, con abituale civetteria, sotto il
mento del Mostro e con le bianche braccia gli circonda il collo, un collo di un
viola viscido. Il Mostro sfoggia un'alzata di spalle e comincia a secernere,
bonario, il musco selvatico per tutti i pori carezzati da quelle braccine di
carne, le braccine della cara bimba che subito riprende a sospirare:
- O Mostro,
o Drago, tu dici di amarmi, e non puoi niente per me. Vedi che la noia mi
consuma, e non puoi niente. Se tu potessi guarirmi, farmi qualcosa, come ti
amerei! ...
- Nobile
Andromeda, figlia del re d'Etiopia! Il povero mostro, Drago suo malgrado, non
pu risponderti che circonlocutoriamente: - Non ti guarir se non quando mi
amerai, perch amandomi che tu mi guarirai.
- Sempre il
fatidico rebus! Ma se ti dico che ti voglio bene!
- Non che
me lo fai sentire poi tanto. Ma lasciamo perdere; sono ancora un povero mostro
di Drago, uno sventurato Catoblepa.
- Volessi
almeno prendermi in groppa e trasportarmi in mezzo alla gente. (Ah, come vorrei
lanciarmi nel bel mondo!) Una volta l te lo darei davvero un bel bacetto in
premio della tua fatica.
-
impossibile, te l'ho gi detto. Qui dovranno sciogliersi i nostri destini.
- Oh dimmi,
dimmi, che ne sai?
- Non pi
di te, o nobile Andromeda dai rossi capelli.
- I nostri
destini i nostri destini! Ma se invecchio di giorno in giorno, io! No, non si
pu pi andare avanti cos!
- E se
facessimo una giterella in mare?
- Le
conosco le vostre gite! Sarebbe ora di trovare qualcosa di meglio.
Andromeda
torna a buttarsi ventre sotto sulla sabbia che graffia e raspa lungo i fianchi
legittimamente affamati, poi ricomincia i suoi gagnoli acuti e rauchi.
Il Mostro,
tanto per canzonare quella lagna sentimentale, imita il falsetto della povera
bimba che sta cambiando voce, e attacca con aria indifferente:
- Piramo
e Tisbe. C'era
una volta...
- No! niente
storie defunte o m'ammazzo!
- Ma
insomma che c'! Bisogna reagire! Va a pesca, a caccia, infila delle rime,
suona la buccina ai quattro punti cardinali, rinnova la tua collezione di
conchiglie; o se vuoi, incidi dei simboli sulle pietre refrattarie (ecco un
modo per passare il tempo)...
- Non ce la
faccio, ti dico che non ho pi voglia niente.
- Guarda,
guarda! Pupa? guarda lass. Oh! la vuoi la tua fionda?
Dal
mattino, era gi il terzo stormo d'uccelli migratori autunnali; il loro
triangolo passava con lo stesso palpito ben regolato, senza dispersioni.
Passavano, e stasera sarebbero stati ben lontani...
- Oh andare
dov'essi vanno! Amare, amare!... grida la sventurata Andromeda.
La piccola
indemoniata in piedi d'un balzo e urlando tra le raffiche sparisce a gran
galoppo dietro le dune grige dell'isola.
Il Mostro
sorride bonario, poi riprende a levigare i suoi ciottoli; - a quel modo il
savio Spinoza doveva lustrare le sue lenti.
II
Come una
bestiola ferita Andromeda galoppa, galoppa del fragile galoppo di un
trampoliere in una regione di stagni; ancora pi irata di dover ricacciare
indietro, incessantemente, i suoi lunghi capelli rossi che il vento le incolla
sulla faccia e sulla bocca. E dove va cos, pubert pubert! nel vento e tra le
dune, con questi abbai di bestiola ferita?
Andromeda!
Andromeda!
I piedi
perfetti nei sandali di lichene, con al collo un giro di coralli grezzi
infilati in una fibra d'alga, ineccepibilmente nuda, inflessibile e nuda, cresciuta
cos, tra galoppate e raffiche e soli e nuotate e notti all'addiaccio.
La faccia,
le sue mani, non sono pi o meno bianche del resto del corpo; il suo fisico
minuto, con una capigliatura di un rosso seta che casca fino ai ginocchi, ha la
tonalit uniforme della terracotta lavata (Oh quei salti! quei salti!). Bene
armata, ben molleggiata, tutta abbronzata questa pubert selvatica, con tanto
di gambe lunghe e sottili, coi fianchi dritti e fieri che si affinano in vita
proprio sotto i seni, un petto infantile, due ombre di seni cos inadeguati che
il fiato, pur nel galoppo, li solleva appena (e quando e come avrebbero potuto
formarsi, andando sempre cos controvento, il vento salso che viene dal largo,
e contro i getti furiosamente ghiacciati delle onde?) e il lungo collo, e la
piccola testa infantile un po' stravolta entro la cornice rossa, e gli occhi
ora penetranti come quelli degli uccelli di mare ora smorti come le acque
quotidiane... insomma una ragazzina compta. Oh quei salti, quei salti! e quei gagnoli
di bestiola ferita avvezza ai disagi. Vi dico che venuta su cos, nuda e
inflessibile e abbronzata, con tanto di chioma rossa, tra galoppate e raffiche
e soli e nuotate e notti all'addiaccio.
Ma dove va
cos, o pubert, pubert?
Proprio in
fondo, ecco una bizzarra scogliera a forma di promontorio; Andromeda la scala
percorrendo un labirinto di rampe naturali: dalla stretta cengia essa domina
l'isola e la mobile solitudine che la isola. Nel mezzo della cengia le piogge
hanno scavato un catino che Andromeda ha lastricato di ciottoli di nero avorio
che trattengono un'acqua pura; quello il suo specchio, gi da una primavera,
e l'unico segreto che abbia al mondo.
la terza
volta, oggi, che torna a rimirarsi. Non che vi si specchi sorridendo, anzi fa
il broncio, tenta di approfondire la gravit dei suoi occhi, e gli occhi non si
staccano dalla loro profondit. Ma la sua bocca! non si stanca di adorare lo
sbocciare innocente della sua bocca. E chi capir mai la sua bocca?
- Tutto
sommato ho un'aria ben misteriosa! pensa tra s.
Si d un
mucchio di arie:
- E poi
ecco, sono io n pi n meno; prendere o lasciare.
E riflette
che, tutto sommato, manca di distinzione!
Ma ritorna
ai suoi occhi. Ah! gli occhi sono belli, toccanti, e ben suoi. Non si stanca di
conoscerli, resterebbe l a interrogarli fino alle ultime luci del giorno... E
che cos'hanno che se ne stanno cos infiniti? Perch lei non un altro?
passerebbe la vita a spiarli, a sognare il loro segreto, in silenzio!
Ha un bel
rimirarsi! Proprio come lei, il suo viso vive nell'attesa, serio e remoto.
Allora se
la prende con la sua capigliatura: prova una ventina di acconciature, ma alla
fine esce sempre qualcosa di troppo pesante per la sua testolina.
Ecco
sopraggiungere dei nembi carichi di pioggia che alterano il suo specchio. Ha
nascosto sotto una pietra una pelle di pesce seccata che le fa da lima per le
unghie; si siede e si cura le unghie. Sopraggiungono i nembi che si lacerano in
un frastuono di diluvio. Andromeda si precipita gi per la scogliera e riprende
il galoppo alla volta del mare, pigolando sotto l'acquazzone:
Ah! una
panacea
Alla bua
d'Andromeda!
Oh issa!
Alla sua bua.
La nenia
tanto triste che qualche lacrima cola sul seno infantile. E l'acquazzone gi
passato e il vento le scompiglia i capelli, una raffica via l'altra...
Oh
issa!
Nessuno mi
viene in aiuto?
Allora io
mi butto!
Oh
issa!
Ma non
che un'annaffiata, e corre a farsi una doccia di mare. Nell'atto di buttarsi ci
ripensa: ancora e sempre il bagno! Non ne pu pi di giocare con le sorelle
onde, grossolane, formosette, di cui conosce a saziet la pelle e i modi. Ecco.
Si stende di schiena sulla sabbia fradicia, le braccia in croce, di fronte
all'irrompere dei flutti. Meglio cos, non resta che attendere un bel
cavallone; dopo un minaccioso va e vieni una voluta che s'impenna le salta
addosso. La riceve da brava, a occhi chiusi, con un lungo singhiozzo
agonizzante, e si dimena per trattenere con tutte le membra quel mobile
guanciale diaccio che scorre e non le lascia niente tra le braccia...
Si siede,
inebetita, osserva le carni che grondano da far piet, e monda la chioma dalle
alghe che la doccia vi ha impigliato.
Poi si
butta risolutamente in acqua, schiaffeggia le onde a mulinello, si tuffa e
risale e soffia e fa il morto; una nuova bordata sopraggiunge e la piccola
ossessa, ecco, dopo il primo urto fa il salto della carpa e vuole inforcare la
creste! Ne afferra una per la criniera e la cavalca per un attimo abbaiando
selvaggiamente; ne sopraggiunge un'altra a tradimento, che la disarciona, ma
Andromeda si aggrappa a un'altra ancora; e tutte le si ritraggono troppo svelte
poich non sanno aspettare. Il mare, che piglia gusto al gioco, diventa
insostenibile; allora Andromeda come un relitto si lascia naufragare
scarmigliata sulla sabbia, striscia fuori tiro dei flutti e resta ventre sotto,
semisommersa tra le sabbie mutevoli.
Una nuova
falda d'acquazzoni trascorre sull'isola. Andromeda non si ritrae, gemendo pel
fragore diluviale si piglia tutto l'acquazzone, l'uggiolante acquazzone che la
solletica in un ribollo lungo il filo della schiena. Sente che la sabbia
inzuppata le cede sotto poco a poco e si dimena per sprofondare maggiormente.
(Oh! ch'io sia sommersa, sia sepolta viva!)
Ma quei
nembi diluviali se ne vanno com'erano venuti, anche il rumore s'allontana, ed
la solitudine atlantica dell'isola.
Andromeda
si mette seduta a guardare l'orizzonte, l'orizzonte che schiarisce senza un che
d'insolito. E adesso? una volta che il vento l'ha asciugata per benino, essa
corre col fiato corto a scalare di bel nuovo la scogliera promontorio dove
almeno un barlume d'intelligenza l'attende.
Ma la
brutta pioggia ha alterato la fattura del suo povero specchio.
Andromeda
si scosta, sta per scoppiare in singhiozzi quando un grande uccello di mare si
avvicina a vele spiegate, dritto sull'isola, puntando verso la scogliera,
magari destinato a lei! Lancia a richiamo un pigolo prolungato, e s'accascia a
ridosso della roccia con le braccia in croce, e chiude gli occhi. Ah! piombasse
quell'uccello sul suo esserino prometeico esposto l per volere degli dei, e
appollaiato sulle sue ginocchia la frugasse dentro con un becco salutare,
implacabile, fino a estrarle il ncciolo ardente della sua bua!
Avverte invece
il volo del grande uccello che passa: gi lontano, quando riapre gli occhi,
ansioso certo di carogne ben pi eccitanti.
Povera
Andromeda che non sa proprio da che parte abbordare il suo essere per
esorcizzarlo.
E ora? non
resta che ricontemplare il mare cos limitato e tuttavia cos unicamente aperto
alla speranza... E ancora, un ben puerile tormento il suo se confrontato a
quella solitudine a perdita d'occhi! Con una sola ondata il mare pu appagarla
a morte; ma lei, piccola carne gracile, come pu pensare di appagarlo e di
scaldarlo il mare?! Come se bastasse allungare le braccia... Del resto, poi, si
sente cos stanca! Una volta s che galoppava tutto il giorno nel suo regno, ma
oggi con le palpitazioni di cuore... Un altro di quei grandi uccelli di mare
che passa. Vorrebbe tanto adottarne uno, cullarlo! Non uno che faccia sosta
sull'isola. Bisogna ucciderli a colpi di fionda per vederli davvicino.
Cullare,
essere cullata; il mare non che la culli tanto dolcemente.
caduto il
vento, ed la bonaccia; l'orizzonte s'appresta alla cerimonia del tramonto e
fa tabula rasa, in vena di malinconia.
Cullare,
essere cullata!... E la testolina stanca di Andromeda si riempie di ritmi
materni; le ritorna il solo ritmo umano che conosca, una leggenda: La
verit intorno al caso Tutto, poemetto sacro con cui il Drago, suo custode, le cull
l'infanzia.
In
principio era l'Amore, legge universale, centro in cosciente, infallibile.
Nient'altro che l'aspirazione infinita all'Ideale, immanente ai turbinii solidali
dei fenomeni.
Chiave di
volta per la Terra, sua Cisterna, sua Sorgente il Sole.
Ecco
perch il mattino e la primavera s'addicono alla gioia, perch il crepuscolo e
l'autunno s'addicono alla morte. (Ma dato che non c' niente di pi esaltante per
un organismo superiore del sentirsi morire pur sapendo che non vero, il
crepuscolo e l'autunno, il dramma del sole e della morte sono in massimo grado
estetici).
L'impulso
dell'Ideale dato da sempre e da sempre, nello spazio infinito, va oggettivandosi
in innumeri mondi che si formano e organicamente si evolvono nel modo pi
elevato che gli elementi loro consentano, per disgregarsi poi in nuove
gestazioni da laboratorio.
Unica
preoccupazione dell'incosciente iniziale di salire pi in alto, preso com'
dalle sue cure particolari ch'esso tiene sotto controllo in altri mondi pi
vivaci e pi seri; niente lo saprebbe distrarre dal suo sogno futuro.
E i
pianeti, che avendo gi percorso l'evoluzione propria all'Incosciente non hanno
fondamento sufficiente per servire da laboratorio all'Essere futuro, sono
dall'Incosciente trascurati; le loro piccole evoluzioni si fanno fatalmente,
sulla scorta dell'impulso gi dato, come altrettante prove idem e trascurabili
d'un modello acquisito e arcinoto.
Ordunque,
allo stesso modo che l'evoluzione fatale dell'umanit nel grembo della madre
una miniatura riflessa dell'intera evoluzione terrestre, l'evoluzione terrestre
non che una miniatura riflessa della Grande Evoluzione Incosciente nel Tempo.
Altrove,
altrove, negli spazi infiniti l'Incosciente pi progredito. Che feste!...
La Terra,
dovesse anche produrre degli esseri superiori all'Uomo, non che una prova
idem e trascurabile d'un modello d'apprendimento.
Ma la
buona Terra originata dal Sole per noi tutto, dotati come siamo di cinque
sensi cui tutta la Terra risponde. O succulenze, stupori plastici, fragranze,
strepiti, sorprese a perdita d'occhi, Amore! O vita mia di me!
L'Uomo non
che un insetto sotto i cieli; fate che egli si rispetti e pu essere davvero
Dio. Uno spasimo della creatura vale l'intera natura.
Tale il
salmodiare uggioso di Andromeda dinnanzi a un'altra sera che cala; e non
conosce altra dolcezza che la lezione appresa. Ah! essa si stira e geme.
Ah! fino a
quando continuer a stirarsi e a gemere?...
Con voce
alta e intelliggibile, nella solitudine atlantica della sua isola, essa dice:
- S, ma
dal momento che ignoro quale sesto senso sconosciuto vuole schiudersi, e che
niente, niente gli risponde! Ah! - Gratta gratta, la verit ch'io sono troppo
sola, troppo appartata, e che non so proprio come tutto questo andr a finire.
Si
accarezza le braccia, e dall'esasperazione digrigna i denti, si graffia e si
sfregia appena con una scaglia di silice a portata di mano.
- O dei!
non posso mica togliermi la vita tanto per provare!
Piange.
- No, no!
Mi si trascura troppo! Anche se ora venissero a cercarmi per portarmi via... ma
io serberei rancore tutta la vita, serberei sempre un po' di rancore.
III
Un'altra
sera che cala, un bel tramonto in mostra; bilancio classico! bilancio pi che
classico!...
Andromeda
butta indietro la sua rossa capigliatura e riprende il cammino di casa.
Il Mostro
non le viene incontro. Cosa significa? Il Mostro non c' pi! Lo chiama:
- Mostro!
Mostro!...
Nessuna
risposta. Suona la buccina. Niente. Fa ritorno alla scogliera che domina
l'isola e suona e chiama, Dio mio!... Nessuno. Torna a casa.
- Mostro!
Mostro!... - Che disastro! si fosse inabissato per sempre, fosse partito
lasciandomi sola, con la scusa che l'ho tormentato troppo, che gli ho reso la
vita impossibile?...
Nella sera
che cala, l'isola le appare incredibilmente, impossibilmente perduta! Si butta
sulla sabbia davanti alla grotta e geme geme, geme che vuol lasciarsi morire,
che doveva aspettarselo...
Quando si
rialza, il Mostro l, nella solita melma, intento a bucare una di quelle
buccine con cui le fabbrica delle ocarine.
- To'
eccovi, dice. Vi credevo partito.
- Dio me ne
guardi. Fin che vivo sar il vostro carceriere senza macchia e senza paura.
- Come
dite?
- Dico che
fin che vivo...
- Bene
bene; lo sappiamo.
Silenzio e
orizzonte; l'orizzonte dei mari bell'e sgombro per il tramonto.
- Se
giocassimo a dama, sospira Andromeda visibilmente irritata.
- Giochiamo
a dama.
Una
scacchiera a mosaici neri e bianchi incrostata sulla soglia della grotta. La
partita ha inizio e gi Andromeda scompiglia tutto, visibilmente irritata.
-
impossibile, perderei; non ho la testa. Mica ne ho colpa. Sono irritata e lo si
vede.
Silenzio e
orizzonte! Dopo tutte le follie del pomeriggio l'aria ferma, come racconta in
attesa della classica ritirata dell'Astro.
L'Astro!
...
Laggi
all'orizzonte rutilante dove le sirene trattengono il fiato,
salgono le
impalcature del tramonto,
di faro in
faro si dispongono a terrazze le murature di scena;
i
pirotecnici danno gli ultimi ritocchi;
sbocciano
lune d'oro in serie, tanti bocchini di trombe allineate da cui fulminassero
falangi di araldi!
Il
mattatoio pronto, si ripiegano i paramenti;
su lettighe
di diademi, sulle messi di lampioncini veneziani e di caligini e di covoni,
arginate da
barriere in similoro messe a sacco,
l'Astro
Pasci
Sua
Eminenza Rossa
in zimarra
di rovine
cala,
mortalmente trionfale
per interi
minuti attraverso la Porta Sublime!
Eccolo che
giace su un fianco, venato di stigmate atrabiliari.
Svelto,
qualcuno spinge gi con un calcio quella zucca fessa, e allora!...
Addio,
finita la festa!...
L'allineamento
di trombe s'abbassa, le difese crollano coi loro fari di boccioni prismatici! I
cimbali volano via, i cortigiani inciampano negli stendardi, le tende vengono
ripiegate, l'esercito leva il campo portandosi dietro nel panico le basiliche
occidentali, i torchi gl'idoli i fagotti le vestali gli uffici le ambulanze le
cantorie delle fanfare e tutti gli accessori di rito.
Per
stemperarsi in uno spolvero rosa aureo.
Insomma,
andate tutto a meraviglia!...
- Favoloso,
favoloso! sbava in estasi il Mostro Taciturno, e le sue vaste pupille acquose
brillano ancora degli ultimi riflessi occidentali.
- Addio,
finita la festa! sospira crepuscolarmente Andromeda, la cui rossa capigliatura
sembra ben povera cosa dopo quegli incendi.
- Non resta
che accendere i fuochi della sera, cenare, e benedire la luna prima di andare a
letto, per svegliarsi l'indomani e ricominciare una giornata uguale.
Ors,
silenzio e orizzonte pronti per la funerea luna... allorch! - Oh! benedetti
gli dei che inviano proprio al momento giusto un terzo personaggio.
Arriva come
un razzo l'eroe adamantino su un Pegaso di neve le cui ali fremono tinte dai
tramonti, nitidamente riflesso nel pur vasto specchio malinconico
dell'atlantico delle belle sere!...
Non c'
alcun dubbio, Perseo!
Andromeda,
soffocata da acerbi palpiti, corre a rannicchiarsi sotto il mento del Mostro.
E delle
grosse lacrime spuntano sulle ciglia del Mostro, come dei doppieri sulle
balaustre. Parla con una voce che non gli conoscevamo affatto:
-
Andromeda, nobile Andromeda, rassicurati, Perseo. Perseo, figlio di Danae
d'Argo e di Giove tramutato in pioggia d'oro. Viene per uccidermi e rapirti.
- Mann che
non ti uccider!
- Mi
uccider.
- Non ti
uccider se mi ama.
- Non pu
portarti via che uccidendomi.
- Mann, ci
metteremo daccordo, ci si mette sempre daccordo. Aggiuster tutto io.
Andromeda
ha lasciato il suo posto abituale e guarda.
-
Andromeda, Andromeda! pensa al valore della tua carne unica, pensa al valore
della tua anima schietta; un mispatto coniugale cos presto consumato!
Figurarsi
se quella sta a sentire! La faccia protesa, i gomiti incollati al corpo, le
dita contratte sulle anche, piantata l sulla riva del mare, femminilmente,
in atto di sfida.
Prodigioso
e d'un gusto raffinato, Perseo s'avvicina con un batter d'ali pi lento
dell'ippogrifo; - pi s'avvicina pi Andromeda si sente provinciale; e delle
sue braccia incantevoli non sa proprio che farsene.
Giunto a
qualche metro d'Andromeda, l'ippogrifo si ferma con un garbo perfetto, piega le
ginocchia a sfiorare i flutti, pur sostenendosi con un roseo fremito d'ali; e
Perseo fa un inchino. Andromeda risponde d'un cenno del capo. Ecco dunque il
suo fidanzato. Quale sar il suono della sua voce, e la sua prima parola?
Vdilo che
riparte senza una parola e avendo preso quota compie di slancio delle ellissi
passando e ripassandole davanti, caracollando sul filo del mare - prodigioso
specchio! diminuendo via via le sue orbite su Andromeda, quasi volesse dare
all'acerba vergine il tempo di ammirar lo e di desiderarlo. Un ben curioso
spettacolo in verit!...
Stavolta,
sorridendo, le passato cos vicino che avrebbe potuto toccarlo!
Perseo
monta all'amazzone incrociando vezzosamente i piedi calzati da sandali di
bisso; uno specchio sta appeso all'arcione della sella; imberbe, la bocca
rosa atteggiata al sorriso potrebbe definirsi una melagrana spaccata,
sull'incavo del petto laccata una rosa, le sue braccia sono tatuate d'un
cuore trafitto da una freccia, ha un giglio dipinto sul grosso dei polpacci,
porta un monocolo di smeraldo, anelli e bracciali in gran copia; dal balteo
dorato pende uno spadino con l'elsa di madreperla.
Perseo ha
sul capo l'elmo di Plutone che rende invisibili, ha le ali e i calzari di
Mercurio e lo scudo divino di Minerva, dalla cintura penzola la testa della
Grgone Medusa alla cui sola vista, risaputo, il gigante Atlante si cangi in
montagna; il suo ippogrifo quel Pegaso che cavalcava Bellerofonte quando
uccise la Chimera. Un giovane eroe dall'aria maledettamente sicura.
Il giovane
eroe ferma l'ippogrifo davanti a Andromeda e senza smettere di sorridere con
quella bocca di melagrana spaccata, traccia una serie di mulinelli con la sua
spada adamantina.
Andromeda
resta inchiodata, l'incertezza la dispone al pianto, quasi non d'altro in
attesa che del suono della voce di quel personaggio per abbandonarsi al
destino.
Il Mostro
fa la cuccia in disparte.
Con
eleganza e senza turbare lo specchio d'acqua, Perseo compie un volteggio e la
cavalcatura s'inginocchia davanti a Andromeda presentando il fianco; il giovane
cavaliere fa delle sue mani staffa e inclinandole verso la giovane reclusa dice
con un'erre incurabilmente grassa:
- Su, p! a
Citera!
Finiamola
una buona volta! Andromeda ha gi il piede ruvido in quella staffa delicata
quando si volta per dire addio al Mostro. - Ma ecco che costui si getta sotto
l'ippogrifo e riappare inalberato in mezzo a loro, le due zampe in resta,
spalancando l'antro violaceo della gola che getta un dardo di fiamma!
L'ippogrifo s'impenna, Perseo indietreggia per avere pi campo, gridando
smargiassate. Il Mostro le raccoglie, Perseo si fa sotto e subito s'arresta:
- Ah! non
ti dar la soddisfazione di scannarti in sua presenza, grida; fortuna che gli
dei giusti hanno messo pi d'una corda al mio arco. Io... ti meduso io!
Il
mignoncello degli dei sgancia dalla sua cinta la testa della Grgone.
Recisa al
collo, la famosa testa viva ma viva di una vita stagnante e avvelenata, nera
d'apoplessia repressa, gli occhi bianchi e iniettati sono fissi, e fisso il
rictus di decollata; tutto di lei fermo tranne la capigliatura di vipere.
Perseo
l'impugna per quella chioma i cui nodi blu screziati d'oro gli fanno dei nuovi
bracciali, e la presenta al Drago mentre grida a Andromeda: - Voi, gi gli
occhi!
O prodigio!
l'incantesimo non s'avvera.
Non vuole
avverarsi, l'incantesimo!
La Grgone,
di fatto, con uno sforzo inaudito ha chiuso i suoi occhi petrificanti.
La buona
Grgone ha riconosciuto il nostro Mostro. Ricorda bene i ricchi tempi pieni di
brezze quando con le sue due sorelle frequentava quel Drago, gi guardiano del
giardino delle Esperidi, del meraviglioso giardino delle Esperidi, sito nei
pressi delle Colonne d'Ercole. No, mille volte no, non sar lei che
petrificher un vecchio amico!
Perseo
attende sempre, a braccio teso, ignaro di tutto. Il contrasto tra il gesto
valoroso e magistrale che ha assunto e il suo fallimento ha del grottesco; e la
selvatica piccola Andromeda non ha potuto trattenere un sorrisetto; sorrisetto
che Perseo sorprende! L'eroe stupisce, ma che succede alla sua buona testa di
Medusa? Bench l'elmo, in fondo, lo renda invisibile, non senza timore che s'azzarda
a guardare in faccia la Grgone, per sincerarsi dell'accaduto. Lapalissiano;
l'incantesimo petrificante non ha operato perch la Grgone ha chiuso gli
occhi.
Furibondo,
Perseo riaggancia la testa, brandisce la spada con un ghigno da vincitore e serrando
sul cuore lo scudo divino di Minerva, d di sprone (oh! giusto nel mentre
laggi la luna piena si alza sul prodigioso specchio atlantico!) e s'avventa
contro il Drago, povera massa orba di ali. L'accerchia con smaglianti volteggi,
gli d di picca a dritta e a manca poi lo costringe a ridosso d'un anfratto e
l gli affonda cos mirabilmente la spada nel mezzo della fronte, che il povero
Drago s'affloscia, appena in tempo per rantolare spirando:
- Addio,
nobile Andromeda, ti amavo, e con delle prospettive, solo che tu l'avessi
voluto; addio, ci penserai spesso.
Il Mostro
morto. Malgrado l'infallibilit della vittoria Perseo troppo eccitato e vuole
infierire sul defunto; lo lardella lo sfregia gli fora gli occhi e lo massacra!
finch Andromeda non lo ferma.
- Basta
basta, vedete bene che morto.
Perseo
appende la sua spada al balteo, ricompone i riccioli biondi della sua chioma,
ingoia una pasticca e scendendo dalla sua cavalcatura, di cui carezza il collo:
- E ora,
bellezza mia! dice con voce melassata.
Andromeda,
che rimasta sempre l, ineccepibilmente e inderogabilmente nuda coi suoi neri
occhi alcionici, chiede:
- Voi mi
amate, mi amate veramente?
- Se vi
amo? Ma vi adoro! senza di voi la vita mi sarebbe intollerabile e piena di
tenebre! Se ti amo! ma guardati dunque!
E le
allunga il suo specchio; Andromeda con aria esterrefatta rifiuta soavemente
quella bigiotteria. Lui non ci fa caso, anzi s'affretta a aggiungere:
- Ah!
questo per s, bisogner che ci facciamo belle!
Cava di
dosso uno dei suoi collari, un collare di monete d'oro (ricordino di nozze di
sua madre) e vuole infilarglielo al collo. Essa lo respinge dolcemente ma lui
approfitta di quel gesto per cingerle a due mani la vita. L'animaletto ferito
si risveglia! Andromeda manda un grido, il grido dei gabbiani nei momenti pi
neri, un grido che risuona sull'isola tutta buia:
- Non mi
toccare!... - Oh scusate, scusate, ma in verit tutto accaduto cos in
fretta! Vi prego, lasciate ch'io vaghi ancora un po' sola, ch'io dica un ultimo
addio ai luoghi...
Si scosta
per abbracciare con un gesto l'isola, e la cara scogliera su cui cala la notte,
una vera notte, oh! vera per tutta la vita! cos vera e inafferrabile che
Andromeda subito se ne distacca per affrontare colui che viene a strapparla al
suo passato, che rappresenta il suo mi-gioco-tutto. Ma ecco che lo sorprende!
Sbadigliava! uno sbadiglio compassato che si sforza di tramutare in un sorriso
di melagrana spaccata.
O notte
sull'isola del passato! Mostro vilmente ucciso, Mostro senza sepoltura! Paesi
troppo eleganti di un domani... Andromeda non ha che un grido:
-
Andatevene! andatevene! Mi fate orrore! Meglio morire sola, andatevene, avete
sbagliato indirizzo.
- Ah! bene,
bei modi questi! Piccola mia, sappiate che i miei pari un ordine del genere non
se lo fanno dare due volte. E non che siate poi un campione di
raffinatezza...
Traccia un
mulinello con la sua spada adamantina, si rimette in sella e fila via senza
voltarsi nell'incanto dell'aurora lunare; lo si sente che tuba un'aria
tirolese; fila via come una meteora, dilegua verso contrade eleganti e
facili...
O notte
sulla povera isola di sempre!... Quale sogno!...
Andromeda
se ne sta l a testa bassa, inebetita davanti all'orizzonte, al magico
orizzonte rifiutato, che non ha neanche potuto rifiutare, o dei che la forniste
d'un cuore cos grande!
Essa va dal
Mostro, che giace sempre nel suo angolo, esanime, livido e flaccido,
l'infelice. Valeva proprio la pena! ...
Come
sempre, va a rifugiarsi sotto il suo mento, ora senza vita e che deve sollevare
per allacciargli il collo con le sue braccine. ancora tiepido. Incuriosita,
alza con l'indice una palpebra, la palpebra scopre un globo spaccato e ricade.
Scosta le ciocche della criniera e conta i fori sanguinanti che gli ha fatto
l'orribile spada di diamante. Delle lacrime scorrono silenziose, lacrime di
passato e d'avvenire. Come la vita era ancora bella con lui in quell'isola! E
nel passargli con un gesto meccanico la mano tra le ciglia essa ricorda.
Ricorda come le fosse amico, gentiluomo perfetto, scienziato ingegnoso, poeta
eloquente. E il suo cuoricino scoppia in singhiozzi mentre essa si agita sotto
il mento inerte del Mostro non apprezzato abbastanza e gli stringe il collo e
troppo tardi ormai lo scongiura.
- Oh!
povero, povero Mostro! M'avessi detto tutto a suo tempo! non saresti morto qui,
per mano d'uno stupido eroe d'operetta. E io cos sola nella notte! Avremmo
avuto ancora dei bei giorni. Potevi capirlo da te che la mia non era che una
crisi passeggera, quel languore, quella curiosit fatale. Oh! curiosit tre
volte funesta! Oh! Ho ucciso il mio amico, ho ucciso il mio unico amico! Il mio
paterno nutritore, il mio precettore. Di che lamenti potrei far risuonare
queste rive insensibili ormai? Nobile Mostro: - Addio, Andromeda, ti amavo e
con delle prospettive, solo che tu l'avessi voluto! furono le sue ultime
parole. - Ora s che capisco la gravit della tua anima grande! e i tuoi
silenzi e i tuoi pomeriggi e tutto! Troppo tardi, troppo tardi! Ma senza dubbio
questo era il volere degli dei. O dei di giustizia, prendete la met della vita
di Andromeda, prendete la met della mia vita e rendetemi la sua, che io lo ami
e lo serva d'ora in poi con fedelt e con grazia. O dei, fate questo per me,
voi che mi leggete nel cuore e sapete quanto, in fondo, io l'amassi, anche se
obnubilata da fugaci capricci dell'et, io che non ho mai amato altri che lui,
che l'amer in eterno!
E lo
sboccio della bocca della nobile Andromeda trascorre lieve sulle palpebre
chiuse del Drago. A un tratto si ritrae!...
Perch ecco
che alle sue parole fatidiche, a quei baci redentori il Mostro trasale, apre
gli occhi, piange in silenzio e la guarda... Poi parla:
- Nobile
Andromeda, grazie. I tempi della prova sono finiti. Io rinasco, sto rinascendo
a dovere per amarti; e non una parola n un istante siano in grado di definire
la tua felicit. Impara piuttosto a conoscere me e il mio destino. Ero della
stirpe maledetta di Cadmo votata alle Furie! Predicavo la derisione dell'essere
e la deit del nulla nei boschi d'Arcadia. Per punirmi, gli dei della vita mi
cambiarono in Drago dannandomi, in queste sembianze, alla sorveglianza dei
tesori della terra fino al giorno in cui una vergine mi amasse, me Mostro, per
me stesso. Drago a tre teste, custodii dapprima a lungo i pomi d'oro del
giardino delle Esperidi; Ercole sopraggiunse e mi sgozz. Successivamente
passai in Colchide, dove sarebbe approdato il Vello d'Oro. Sull'ariete dal
vello d'oro giungevano il tebano Frisso e sua sorella Elle. Un oracolo m'aveva
fatto intendere che Elle era la vergine promessa. Ma anneg in viaggio legando
il suo nome allo stretto dell'Ellesponto. (Seppi poi che non era un granch).
Vennero allora quegli strani Argonauti, come non se ne vedr pi!... Splendore
di un'epoca! Giasone era il loro capo, quindi veniva Ercole, e il suo amico
Teseo, e Orfeo che si vantava d'incantarmi con la sua lira (e che doveva fare
pi tardi una cos brutta fine!) e ancora i due Gemelli: Castore, domatore di
cavalli e Polluce eccelso nel pugilato. Epoche svanite!... Oh! i loro bivacchi,
i fuochi che accendevano nelle sere! - Dovevo finire sgozzato ai piedi del
Vello d'Oro del Santo Graal, vittima dei filtri di Medea, arsa d'amore folle
pel sontuoso Giasone. E vennero altri cicli: ho conosciuto Eteocle e Polinice,
e la pia Antigone, e il perfezionarsi degli armamenti che segn la fine dei
tempi eroici. Da ultimo, la bizzarra e opprimente Etiopia e tuo padre e te, o
nobile Andromeda, Andromeda la pi bella di tutte, a cui devo di poterti rendere
tanto felice che non ci sar n una parola n un istante in grado di definire
la tua felicit.
Com'ebbe
terminato quel mirifico discorso il Drago, senza preavviso, ecco che si muta in
un giovanotto a modo. Affacciato all'ingresso della grotta, con la sua pelle
umana inondata dagli incantesimi lunari, parla dell'avvenire.
Andromeda
non osa riconoscerlo e si gira appena, sorridendo nel vuoto, con uno di quei
moti fascinosi di tristezza forieri in lei dei pi impensati colpi di testa (la
sua anima cos facilmente soggetta allo sconforto...).
Ma bisogna
pur vivere, e viverla questa vita, perquanto si debba tenere gli occhi bene
aperti a ogni sua svolta.
L'indomani
di quella notte essenzialmente nuziale, ricavarono una piroga da un tronco
d'albero e la misero in mare.
Vogarono,
evitando le coste disseminate di casin. Oh! viaggio di nozze sotto il sole
come al sereno!
Il terzo
giorno approdarono in Etiopia dove regnava l'inconsolabile padre di Andromeda
(lascio immaginare la sua gioia).
- Ah questa
poi, mio caro signor Amyot d'Epinal, ce la racconta bella! esclam la
principessa d'U. E. accomodando appena lo scialle perch la notte, splendida,
s'annunciava fresca. E io che avevo disposto ben altrimenti il mio animo
all'avventura di Perseo e Andromeda! e quel povero Perseo come me l'avete
conciato! (Vi perdono solo pel tocco da maestro con cui m'avete adulato
all'antica, sotto i tratti d'Andromeda). Ma lo scioglimento della storia! Che
questo Mostro a cui nessuno finora aveva mai prestato attenzione? E poi, caro
signor Amyot d'Epinal, alzi un po' gli occhi verso la carta celeste della
notte. Quella coppia di nebulose laggi, vicino a Cassiopea, non si chiama forse Perseo e Andromeda? mentre invece l in fondo,
quella fila sinuosa di stelle, con la sua aria umile, non la costellazione
del Drago, che vivacchia tra l'Orsa Maggiore e l'Orsa Minore, zoticone della stessa razza?...
- Cara
U..., questo non prova niente. I cieli sono sereni e convenzionali; tanto
varrebbe dire che i vostri occhi sono semplicemente castani (voi non lo
vorreste). No, perch - vedete - allo stesso modo, dall'altra parte laggi
verso la Lira,
che la mia costellazione, non c' forse il Cigno, che la costellazione di
Lohengrin ed disposto a croce in ricordo di Parsifal? Ammetter pure che io e
la mia Lira
non abbiamo niente da spartire con Lohengrin e con Parsifal?
- vero,
parabolicamente vero. Ma non c' mai modo di discutere e d'istruirsi con lei.
Via, rientriamo a prendere il t. A proposito, e la morale? dimentico sempre la
morale...
- Eccola:
Ragazze
mie, prima di rifiutare un mostro
Pensateci
su due volte, date retta a me.
Cos come
la nostra storia lo dimostra
Il
poveraccio era il pi meritevole dei tre.