EDMOND ROCHEDIEU

INCONSCIO INDIVIDUALE
E INCONSCIO COLLETTIVO
IN CARL GUSTAV JUNG



 

L'INCONSCIO COLLETTIVO

 

[…] forze collettive inconscie operano nella nostra società. Questa realtà psicologica è stata designata da Jung con il termine di inconscio collettivo.
Ovviamente l'umanità ha l'impressione di dirigersi da sola, di realizzare quanto ha coscientemente deciso. Cosa scopriamo invece? Che allorché gli uomini dichiarano di desiderare la pace, il mondo intero si arma come non mai. Nell'antica mitologia un simile desiderio di stragi veniva attribuito agli dèi. Oggi queste divinità hanno mutato nome e sono divenute "fattori", termine che deriva dal verbo ‘facere’, cioè ‘fare’. Tali "fattori" rimangono dietro le quinte del teatro del mondo. Ora questa constatazione è vera tanto in grande quanto in piccolo: nello stato di piena coscienza siamo padroni di noi stessi, apparentemente siamo i "fattori" stessi. Ma se varcassimo la porta che conduce all'inconscio comprenderemmo allora con terrore di esser gli zimbelli di questi fattori [L'âme et la vie, cit., p. 418].
Un'energia psichica, che sembrava perduta, risveglia o intensifica nel nostro inconscio tendenze che forse non avevano mai avuto la possibilità di esprimersi. Come abbiamo notato, tragici e assolutamente imprevisti avvenimenti hanno contrassegnato la prima metà del Novecento, capovolgendo il nostro universo e facendo del mondo una società colpita da schizofrenia, una società interiormente lacerata.
L'irruzione di forze collettive inconscie può trasformare in un forsennato un essere dolce e pacifico [Ibidem, p. 213]. Colto nella massa, l'uomo è sempre al di sotto del suo livello; non più soggetto a timori personali, egli perde contemporaneamente il senso della responsabilità. Una vera "partecipazione mistica", simile a quella che unisce l'artista alla sua epoca, ma che qui altro non è se non un'inconscia identificazione, regna tra la massa, creando in essa una specie di ebbrezza che, dando all'individuo l'impressione di appartenere a una totalità che lo supera, lo esalta [Ibidem, p. 218]. In effetti da questo momento la situazione cosciente si allontana da un dato punto di equilibrio, travolta com'è dall'irrompere di contenuti inconsci in cerca di equilibrio. Ne risulta alla fine una dissociazione interiore: da una parte la coscienza di sé tenta disperatamente di scuotere un avversario invisibile; dall'altra, essa è sottomessa in misura sempre crescente alla volontà tirannica di un controgoverno interno, che presenta tutte le caratteristiche di una sotto-umanità o di una sovra-umanità demoniaca.
Se alcune migliaia di uomini giungono a questo stadio, si produce una reazione della coscienza che la allontana dalla sua posizione di equilibrio e che si manifesta attraverso una vera e propria follia di distruzione e devastazioni, caratteristica degli eventi contemporanei. Esiste però, tanto per l'uomo che per la società, un equilibrio interno tramite il quale l'io cosciente prende nella dovuta considerazione le "potenze" inconscie che si presentano, e ciò impedisce che esse invadano la vita psichica e ci lascino indifesi davanti a qualunque suggestione, anche la più insensata [Ibidem, pp. 58-59]. Di contro possiamo vedere come in molti casi le riserve dinamiche della suggestione collettiva siano in grado di supplire all'insufficienza di armonia psichica. Quante sono le persone il cui atteggiamento cosciente non corrisponde affatto al loro vero carattere! Gli sforzi che fanno per adattarsi sono superiori alle loro risorse individuali: essi appaiono migliori e di maggior valore di quanto in realtà non siano. Ciò che li sostiene e permette loro di mantenersi a un livello phi elevato di quello donatogli dalla natura è proprio l'efficacia di un ideale comune, il fulgore di un vantaggio collettivo o il sostegno cieco della società, e cioè l'azione benefica dell'inconscio collettivo [Ibidem, p. 203].
Un pericolo però sovrasta l'uomo la cui personalità si è troppo identificata con la psiche collettiva. Immancabilmente infatti egli tenterà di imporre agli altri le esigenze del suo inconscio, esigenze a cui conferisce un valore assoluto e universale. Perché la convinzione di possedere una verità universale scaturisce spontaneamente dalla mentalità collettiva. Ahimé, un simile atteggiamento mentale comporta sempre da parte del soggetto un rifiuto categorico, una reale incapacità a percepire le differenze individuali e di apprezzarle nel loro giusto valore [Ibidem, p. 226].
L'inconscio collettivo permette di cogliere meglio lo svolgimento storico, perché ogni epoca può essere paragonata all'anima di un individuo; come l'individuo, così la storia si svolge su due piani, quello cosciente e quello inconscio. Quando la situazione cosciente è eccessivamente limitata e particolare, è nell'inconscio collettivo che essa trova la necessaria compensazione. E con la mediazione di un poeta, di un visionario o di un capo che si esprimeranno allora i bisogni incompresi di tutta una civiltà, e questo nel bene come nel male [Ibidem, p. 267].
Vi sono periodi nella storia universale - e la nostra epoca ne è un esempio assai comprovante - nei quali quanto precedentemente era stato giudicato buono deve cedere il posto ad altro, e questo spiega come la migliore prospettiva possa di colpo apparire come un male [Ibidem, p. 304]. Ma non facciamoci troppe illusioni sul valore della nostra cultura. Le forze istintive accumulate della nostra civiltà sono infinitamente più pericolose degli istinti dei primitivi perché questi ultimi sanno vivere i loro istinti negativi senza, cercare costantemente di reprimerli. Nei popoli civilizzati, essendo invece repressi dagli imperativi coscienti della civiltà, gli istinti negativi si vanno ad accumulare nell'inconscio collettivo, costituendovi riserve esplosive che possono, invadere all'improvviso l'intera società [Ibidem, p. 305].
Oggi, dopo le guerre mondiali e gli sterminii che le hanno accompagnate, nessuno si azzarderebbe più a sostenere che l'uomo europeo è un agnello e che non è posseduto da alcun demonio [Ibidem, p. 306].
Ci vantiamo di avere eliminato le tenebrose superstizioni del medio evo, giacché abbiamo lasciato cadere l'idea del peccato originale, di una sostanziale malvagità del cuore. L'epoca moderna ha voluto vedere nel male morale soltanto un'erronea interpretazione dell'idea del bene. Ma rendendo in tal modo relativo il male, i pensatori occidentali hanno aperto la strada alla corruzione psichica degli uomini. D'altronde l'occidente ha già fatto un si cattivo uso delle sue qualità e si è lasciato andare ad una tale decrepitezza psichica che è costretto adesso a negare la divinità stessa - cioè la forza psichica misteriosa che l'uomo non ha mai domato né saprebbe arginare - per impadronirsi, oltreché del male che ha già assorbito, del bene di cui non può fare a meno [Ibidem, p. 307].
L'atteggiamento moderno, orgoglioso e troppo sicuro di sé, getta uno sguardo altezzoso sulle "nebbie" della semplicità di spirito e della credulità medievale e primitiva; ignora però che l'intero passato rimane vivo nei piani inferiori di quel grattacielo a cui potremmo paragonare il nostro cosciente razionale. Il positivismo razionalista non ha sostituito nulla alle vecchie credenze da lui distrutte. Privato degli strati superiori, che dovrebbero sostenerlo come appoggio rassicurante, il nostro spirito rimane sospeso nel vuoto; l'uomo moderno diviene così nevrotico [Ibidem, p. 385].

 

L'INCONSCIO INDIVIDUALE

 

Se la collettività possiede un dinamismo che le concede una sorta di autonomia psichica, in cui i dati coscienti sono strettamente mischiati alla realtà inconscia, agli archetipi, che abbiamo visto esprimersi nei simboli, nei riti e nei miti, gli individui che compongono la società, obbediscono a leggi completamente simili che, a un primo sguardo, danno l'impressione di un predominio delle motivazioni volontarie e coscienti. La psicologia classica ha lungamente studiato tali manifestazioni della vita cosciente, precisando le strette relazioni che intercorrono tra la chiarezza dello scopo da raggiungere, il grado di attenzione del soggetto e la padronanza dei mezzi di cui dispone.
Dobbiamo però constatare che le forze inconscie agiscono anche nell'individuo, sia preso isolatamente che inserito in un gruppo. Dopo le osservazioni e le ricerche di P. Janet, di Dwelshauvers e, soprattutto, di Sigmund Freud e di tutta la scuola psicoanalitica, la presenza dell'inconscio è divenuto un fatto incontestabile; anche lo psicologo pii intellettualistico o organicistico deve tenerne conto, qualunque sia l'importanza che gli attribuisce.
Su questo punto la posizione di jung è tra quelle che forniscono maggiori ragguagli sulle difficilmente sondabili profondità psichiche. Lo psicologo zurighese in effetti non si è accontentato di valutare il ruolo dell'inconscio negli stati morbosi, nei quali sappiamo che i comportamenti più bizzarri e più inaspettati si spiegano facilmente giacché ammettiamo l'intrusione di forze psichiche non più controllate dalla volontà cosciente. Oltre all'attento studio della patologia mentale, Jung ha esteso le sue indagini alla vita normale, sia per quanto riguarda le nostre reazioni nel corso ordinario della giornata, sia i fenomeni psichici che presentano una particolare colorazione come l'arte, la mistica, le religioni o anche le credenze che la scienza positivista contemporanea rifiuta generalmente di prendere in seria considerazione, come l'astrologia, l'alchimia o i metodi per raggiungere la padronanza di sé dell'Estremo Oriente.
In questo arco tanto diversificato e ricco, sono apparsi parecchi dati interessanti prima sfuggiti alla perspicacia di altri studiosi, per i quali meritavano di essere esaminate soltanto le turbe psichiche caratterizzate in quanto testimonianze dei segreti dell'inconscio.
D'altra parte Jung riconosce quanto sia irritante per uno scienziato il doversi occupare di fatti che non possono essere indagati né completamente né convenientemente. L'irritazione in questi casi sta nel fatto che i fenomeni sono sì innegabili, ma non sottostanno ad alcuna formulazione intellettua
le [L'homme ecc., cit., p. 91]. Sembra tuttavia che quanto denominiamo inconscio abbia conservato alcune caratteristiche dell'originario spirito umano. E a questi tratti originari che si riferirebbero ad esempio i simboli che popolano i nostri sogni, come se l'inconscio cercasse di risuscitare tutto ciò che lo spirito è riuscito a eliminare nel corso della sua evoluzione [Ibidem, p. 98].
Questo è sicuramente il motivo nascosto della resistenza, e anche del timore, opposta dagli individui nei confronti del loro inconscio personale. Perché non sono assolutamente semplici sopravvivenze psicologiche neutre e indifferenti; al contrario, questi contenuti inconsci sono talmente carichi di energia da provocare spesso più di un malessere e di suscitare un vero panico. E più essi sono rimossi, più il loro dominio si estende all'intera personalità, che allora soffre di nevrosi [Ibidem].
Possiamo tuttavia constatare che se la coscienza si lascia addestrare come un pappagallo, l'inconscio si sottomette soltanto in apparenza. E se ha luogo un tentativo di raddrizzare l'inconscio ciò è sempre di grave danno per la coscienza. Dimenticare l'autonomia dell'inconscio e l'idea che esso non sia null'altro the l'assenza di coscienza riflettono la moderna ipertrofia del cosciente ed esprimono il grande imbarazzo del suo orgoglio [L’homme et la vie, cit., p. 48], perché nel fondo di ogni uomo possiamo scoprire un giudice impietoso che misura gli errori commessi, anche se l'individuo non ha coscienza di avere qualche ingiustizia da rimproverarsi [Ibidem, p. 297].
Nondimeno l'inconscio non è assolutamente un mostro dai modi demoniaci. Per lo più esso è soltanto una realtà naturale indifferente ai problemi morali, estetici e intellettuali; diviene pericoloso quando il nostro atteggiamento cosciente nei suoi riguardi è disperatamente falso. Più lo reprimiamo in noi stessi, più appaiono i pericoli in cui possiamo incorrere per causa sua. Benché neutro, come la natura da cui deriva, l'inconscio contiene tutti gli elementi della nostra personalità, le luci e le ombre, la bellezza e la bruttezza, il bene e il male, la profondità e la sciocchezza. In realtà - e le guerre mondiali con il loro stuolo di abominii ci hanno aperto gli occhi - la nostra coscienza è assai phi diabolica e perversa dell'inconscio. Se a volte l'inconscio esercita una influenza nefasta, è però anche la sorgente dei beni più elevati [Ibidem, pp. 48 e 223; L'homme ecc., cit., pp. 102-103]. È l'ostilità che gli testimoniamo a conferirgli quell'aspetto minaccioso, mentre avvicinandolo benevolmente ne addolciamo le reazioni [L'âme et la vie, cit., p. 47].
Ma quanti pregiudizi sfavorevoli sussistono nei riguardi di tutto ciò che oltrepassa la sfera dell'illuminata coscienza! Anche se da oltre settant'anni l'inconscio è divenuto un concetto scientifico indispensabile a ogni seria investigazione psicologica, restiamo talmente affascinati, occupati dalla nostra coscienza soggettiva, da ignorare volontariamente il ruolo svolto dall'inconscio nella nostra esistenza. Il buddismo vuole vedere nei fantasmi generati dall'inconscio soltanto inutili illusioni; il cristiano frappone tra sé e il proprio inconscio la Chiesa e la Bibbia, il razionalista riduce la vita psichica alla sola coscienza. Compiacentemente noi identifichiamo la coscienza con la ragione e l'inconscio con l'irragionevolezza [L'homme ecc., cit., p. 102]. Le immagini create dal nostro inconscio, e che risalgono alla nostra infanzia, contengono spesso strani frammenti mitologici. Ora diverse immagini hanno un loro carattere altamente "celeste" o, se vogliamo dire in un altro modo, possiedono un'affascinante e terrificante potenza che appartiene esclusivamente alla divinità e di cui l'uomo può fare solo l'esperienza immediata [Ibidem, p. 99; Ma vie ecc., cit., p. 459].
Se queste immagini riappaiono nella vita adulta possono, in alcuni casi, provocare gravi turbe psicologiche o, in altri casi, segnare l'inizio di una miracolosa guarigione o anche di una conversione religiosa. Esse fanno frequentemente rinascere alla memoria frammenti di vita dimenticati da tempo, i quali danno un senso nuovo all'esistenza. Il rammentarsi dei ricordi d'infanzia e il riprodursi di comportamenti psichici archetipici possono aprire orizzonti più larghi e accrescere il campo della coscienza, a condizione però che la coscienza riesca ad assimilare e integrare questi contenuti perduti e ritrovati, completamente carichi di emotività [L'homme ecc., cit., p. 99] .
In realtà si crea una interdipendenza tra le due sfere della nostra personalità. Le trasformazioni che si producono nello stato cosciente hanno ripercussioni sui contenuti dell'inconscio. E più la situazione cosciente si allontana da una data posizione di equilibrio, píú saranno significativi ed anche pericolosi i contenuti inconsci in cerca di equilibrio. Alla fine ne risulta una dissociazione che, dapprima vissuta soltanto da qualche individuo isolato, rischia di estendersi gradualmente e di propagarsi a intere collettività [L'âme ei la vie, cit., p. 59].
Così dunque, e qualunque cosa possano obiettare a questo proposito i vanagloriosi che credono di possedere una volontà che nulla può spezzare, la nostra libertà non è sovrana. Continuamente minacciati da numerosi fattori psichici che sfuggono al controllo della nostra coscienza, possiamo improvvisamente venire "posseduti" da queste "forze della natura". Infatti i contenuti dell'inconscio collettivo si presentano proprio così, quando penetrano nell'inconscio individuale [Ibidem, p. 280]. Ogniqualvolta tali forze inconscie collettive prendono vita nell'individuo, l'avvenimento esercita sulla coscienza un'azione straordinariamente potente, che inizialmente si manifesta con una certa confusione. Se poi la rianimazione dell'inconscio ha come causa il totale fallimento delle speranze e delle aspettative di tutta una vita, vi è il grave pericolo che l'inconscio prenda il posto della realtà, suscitando così uno stato morboso [Ibidem, p. 215]. Però, a dispetto di questi impedimenti psicologici, l'uomo continua a provare un senso di libertà che confonde con l'autonomia della coscienza e nulla può convincerlo della sua schiavitù, perché il semplice fatto che esiste in lui, la coscienza dell'io implica l'affermazione della sua libertà [Ibidem, p. 281].
Nulla è píú adatto a suscitare ua salutare presa di coscienza del disaccordo con se stesso. Ciò è vero tanto per l'individuo che per l'umanità: nulla è più efficace per far uscire l'uno e l'altra da uno stato di irresponsabile dormiveglia, di una crisi morale nel corso della quale l'uomo o la società scoprono le contraddizioni in cui vivono [Ibidem, p. 59]. In effetti in questo momento appare la coscienza morale con tutte le sue esigenze, e in particolare la cattiva coscienza può divenire una prodigiosa forza benefica, un vero dono del cielo, a condizione però che essa sia utilizzata in vista di un'approfondita autocritica, che ci aiuti a capire noi stessi [Ibidem, p. 299]. Poiché lo stimolo costituito dalla cattiva coscienza incita a scoprire pensieri e azioni condannabili fino ad allora inconsci, spingendoci contemporaneamente a superare le soglie dell'inconscio e obbligandoci ad affrontare queste forze impersonali che rendono l'individuo strumento incosciente di quell'omicida inveterato e gregario che si nasconde in ogni uomo [Ibidem, p. 300].
Non dimentichiamo che le più dolorose sofferenze sono quelle che ci vengono dall'inconscio, perché esso le scaglia dall'interno di noi stessi come tante frecce avvelenate e offensive, creando cosI un dolore da cui non possiamo difenderci [Ibidem, p. 328]. E l'amico, intimo e segreto sul quale pensavamo di poter contare si trasforma in un nemico [Ibidem, p. 295]. Per cui, non sarebbe nostro interesse chiederci cosa pensa il nostro inconscio di noi? [L'homme ecc., cit., p. 102] Scopriremmo allora che il nostro più accanito avversario si nasconde in noi stessi. Siamo come la coppia dei Dioscuri, di cui parlava l'antica mitologia, dei quali uno era mortale e l'altro immortale, sempre insieme, eppure non mai totalmente uniti. La trasformazione e lo sviluppo della nostra personalità tendono ad avvicinarci a una unione interna, la coscienza però trova resistenza poiché l'altro, cioè l'inconscio, sembra estraneo e terrificante. E come non possiamo abituarci all'idea di non essere noi gli unici padroni della nostra casa, così preferiamo identificarci sempre con il nostro cosciente che si crede onnipotente. Però, che lo vogliamo o no, siamo incessantemente messi a confronto con questo amico o nemico interiore, e che esso sia amico o nemico dipende esclusivamente da noi [L'âme at la vie, cit., p. 298].
L'uomo porta in sé la sua storia e quella dell'umanità. E consiste proprio in ciò il duplice aspetto, individuale e collettivo, dell'inconscio. Il passato deve in qualche modo poter vivere e esprimersi nel presente [Ibidem, p. 370] Per questa ragione dobbiamo avere la possibilità di lasciare che la nostra vita psichica, tanto cosciente che inconscia, si svolga senza impedimenti [Ibidem, p. 388]. Quando sul piano cosciente non ci si delinea nessuna soluzione ai nostri problemi, il solo consiglio efficace che possiamo ricevere è di "aspettare ciò che ha da dirci sulla situazione il nostro inconscio". Giacché nessuna risposta precisa, nessuna concezione preparata in anticipo possono portare improvvisamente la chiarezza che dissiperebbe l'oscurità in cui ci dibattiamo. Quando si tratta di problemi di vita, e che riguardano il nostro destino, la migliore verità non serve a nulla fino a che non è diventata esperienza vissuta e profonda dell'individuo. Abbiamo bisogno non già di "sapere" la verità tramite uno sforzo della nostra ragione e intelligenza, bensì di comprenderla; non di avere una nuova concezione intellettuale, ma di trovare la strada che conduce all'esperienza interiore irrazionale, forse non esprimibile a parole ma che penetra fino al cuore [Ibidem, p. 389].
A questo punto si verifica una trasformazione dell'intera personalità. Quanto prima disprezzavamo diventa principio supremo, quanto prima era verità appare ora come un errore.
Questo capovolgimento equivale a una distruzione dei valori vitali accettati fino ad allora [Ibidem, p. 430]. Sappiamo però che se il vecchio non fosse già maturo per scomparire non apparirebbe nulla di nuovo, e che non vi sarebbe nessuna necessità, nessuna possibilità di farlo scomparire. L'"abbandono" è allora un distacco e una liberazione da uno stato anteriore di oscurità e di incoscienza e conduce a uno stato di chiarificazione, di sforzo e, finalmente, di trionfo su quei "dati" precedentemente senza valore reale [Ibidem].
Abbiamo veduto come le immagini che sorgono dall'inconscio abbiano un carattere nettamente "celeste", il che significa che esse possiedono un dinamismo al contempo terrificante e attraente, proprio del divino [L'homme ecc., cit., p. 99]. Se stringiamo da presso questa constatazione, scopriamo nella nostra vita una duplice tendenza: quando il nostro atteggiamento cosciente può gloriarsi di una certa somiglianza con la divinità, poiché tende all'assoluto, si sviluppa parallelamente un atteggiamento inconscio la cui somiglianza con la divinità è orientata verso il basso, verso un dio arcaico di natura sensuale e violenta. Se non vi presteremo attenzione, verrà il giorno in cui questo ‘deus absconditus’, questo dio nascosto e primitivo verrà in superficie e ucciderà il dio del nostro ideale [L'âme et la vie, cit., p. 446].