IL PROFESSORE è impazzito studiando le farfalle. Dapprima lo si ricovera in una casa di cura, ma dopo due anni, essendo giunti alla conclusione che la sua pazzia è innocua, viene dimesso. Aveva la mania di saltellare qua e là per il parco con un retino per catturare farfalle: una scena molto divertente, essendo il professore così esile. Quasi non tocca cibo, e dietro sua richiesta si installa nella stanza che lo ospita una grande lavagna nera, sulla quale egli scrive la parola GIOIA. Dopo aver scritto la parola GIOIA, suona sempre il campanello e ordina all'infermiere di cancellarla con una grande spugna. Ogni volta l'infermiere riceve dal professore una moneta, e così ne ha già messe da parte un intero sacco. Quando il professore a malincuore è costretto ad andarsene, esprime il desiderio che la parola GIOIA rimanga scritta sulla lavagna. A un determinato istante, ancora assai lontano, impartirà all'infermiere l'ordine di cancellarla. Gli inservienti della casa di cura sono realmente addolorati quando il professore viene portato via, e condotto nella tenuta di sua sorella. In campagna può certo muoversi liberamente, ma vive solo del ricordo del soggiorno nella casa di cura. Tutto il resto lo ha dimenticato da tempo. Nella tenuta indossa d'estate abiti bianchi o color crema. I contadini si prendono gioco di lui, quando lo vedono passeggiare sulla collina agitando il retino per le farfalle. Ma da un certo giorno in poi il professore desidera uscire solo di notte, richiesta a cui né la sorella né il medico di famiglia, che gli dedicano la loro intera esistenza, vogliono accondiscendere. Ma egli impone il proprio volere. Afferma di voler catturare le « luci», ogni luce, e che non esiste nulla di più prezioso della luce. Intende collezionare le luci, conservarle in un luogo sicuro e pubblicare un libro su di esse. Così passeggia indisturbato nella notte a caccia di luci. Una notte giunge sui binari della ferrovia. Protende il suo retino verso le due luci sempre più grandi del treno espresso. Quando sono a un passo da lui, le cattura con un rapido movimento delle sue minuscole mani contratte.


IL FERROVIERE, che per diciassette anni ha svolto il proprio lavoro con soddisfazione dei superiori, costruendosi col denaro risparmiato una casetta sotto il terrapieno della linea ferroviaria, mentre torna a casa lungo lo scalo merci si accorge di un vagone frigorifero lasciato aperto, nel quale sono appesi dei maiali macellati. I doganieri, che di solito sono sempre nei pressi dei carri-merce, non si vedono, e così il ferroviere vinto dalla curiosità entra nel vagone, volendo verificare di persona quanto sia freddo. Si mette a sedere su una pedana di legno appoggiata al fondo del vagone e si addormenta. Poiché l'uomo si trova in un angolo in cui non può essere visto, i doganieri, che hanno già controllato il carico prima che egli salisse, non si accorgono della sua presenza e sigillano la porta del vagone. Quattro giorni dopo il ferroviere viene ritrovato nella stazione di arrivo tra le carcasse dei maiali, morto, seduto sulla pedana di legno. In un primo momento coloro che rinvengono il suo corpo pensano sia morto assiderato; ma successivamente si scopre che l'uomo, che indossa la sola tuta da lavoro e di cui dunque si ignora l'identità, non può esser morto in quel modo, poiché l'impianto frigorifero del vagone non ha funzionato, e la carne di maiale, come risulta a un controllo più accurato, appare guasta e immangiabile. Gli uomini che trasportano provvisoriamente il cadavere sulla rampa di carico ritengono che egli, in preda al panico di non poter più uscire e di dover morire assiderato, sia stato colpito da infarto.
IL DIRETTORE chiama a colloquio l'insegnante e lo accusa di aver esercitato violenza su uno dei suoi allievi. Non sa come dirlo, ma il suo trasferimento in un altro paese s'impone. Ma probabilmente sarà persino costretto a lasciare l'attività didattica. In ogni caso non può non stendere rapporto al provveditorato, e l'intera vicenda avrà conseguenze ben più gravi di quelle ora elencate. L'insegnante non si giustifica e afferma semplicemente di non aver esercitato alcuna violenza sul bambino, e che una simile azione - che il direttore non può tralasciare di descrivere minuziosamente - non gli passerebbe mai per la testa. Ma i suoi tentativi di difendersi non servono. E immediatamente sospeso dal servizio, gli comunica il direttore, e lo congeda senza porgergli la mano come di consueto. Cosciente della propria innocenza l'insegnante ritiene che verrà alla luce col tempo, e pensa di sfruttare il periodo della sospensione come una semplice vacanza. Non oltrepasserà neppure le mura della scuola, una tale diceria. Ma si sbaglia. La voce si diffonde con la velocità del vento e persino il giornale cittadino ne dà notizia. Scrive che un uomo come l'insegnante dovrebbe esser messo dietro le sbarre. Nessuna pena risulterà troppo severa per lui. La gioventù, e soprattutto i bambini, devono esser difesi dalla sua persona con ogni mezzo. Poiché l'insegnante è da poco sposato, la vicenda è per lui due volte sgradevole. La moglie non crede alle sue parole, e quando viene a conoscenza dell'accusa lo lascia. Non sono trascorsi che quattro giorni dalla sua sospensione e già l'insegnante riceve una citazione in giudizio dal tribunale distrettuale. Si ignora come trascorra i giorni prima dell'udienza. In ogni caso non si mostra più in pubblico. Nel frattempo la sua vicenda è sulla bocca di tutti. La sua padrona di casa esige che si trasferisca e gli restituisce la pigione pagata in anticipo. Un giorno prima dell'udienza il suo cadavere viene ritrovato in un fiume in piena, a diciassette chilometri dal luogo di residenza. Dalla ricostruzione dell'accaduto risulta che non si è suicidato ma, sventuratamente, è precipitato e annegato nel fiume. Ora lo scolaro si fa vivo e afferma che l'intera storia è falsa - l'ha inventata per vendicarsi del giovane insegnante.

IL DITTATORE ha scelto tra più di cento candidati un lustrascarpe. Non lo incarica d'altro che di pulirgli le scarpe. Questo giova al semplice uomo di campagna, che rapidamente acquista importanza, e con l'andare degli anni assomiglia al suo superiore - e solo al dittatore egli è soggetto - come una goccia d'acqua. Forse ciò si deve, almeno in parte, alla circostanza che il lustrascarpe mangia gli stessi cibi del dittatore. Ben presto ha il suo stesso naso ingrossato e, dopo aver perso i capelli, il suo stesso cranio. Una bocca tumida sporge in avanti e quando ghigna mostra i denti. Tutti lo temono, persino i ministri e i confidenti più stretti del dittatore. La sera incrocia gli stivali e suona. Scrive lunghe lettere alla famiglia, che diffonde la sua fama in tutto il paese. « Quando si è il lustrascarpe del dittatore» affermano «si è la persona a lui più vicina ». Effettivamente il lustrascarpe è la persona più vicina al dittatore, dovendo sempre rimanere e addirittura dormire davanti alla sua porta. In nessun caso si può allontanare dal suo posto. Una notte comunque, sentendosi forte abbastanza, entra senza esitare nella camera del dittatore, lo sveglia e lo soffoca con il pugno, uccidendolo. Rapidamente il lustrascarpe si libera dei propri abiti, vi infila il corpo del dittatore e ne indossa a sua volta i panni. Davanti allo specchio del dittatore constata che effettivamente gli somiglia. Presa una rapida decisione, si precipita fuori dalla stanza e urla che il suo lustrascarpe lo ha aggredito. Lo ha soffocato e ucciso per legittima difesa. Si deve rimuovere il corpo e informare la famiglia.


IL SAGRESTANO scopre se stesso dinanzi all'altare, tra gli scanni del coro. Ogniqualvolta accende le candele la sua scarna figura appare incastrata tra due colonne. Accorre verso quel punto. Nell'attimo in cui raggiunge se stesso, l'immagine è svanita. Dopo la messa si verifica la medesima cosa. I fedeli sono andati via, egli smorza le candele - e « si» vede avanzare sulle file dei banchi. Quella figura, se stesso, suscita in lui una tale angoscia da farlo crollare in lacrime sui gradini dell'altare. Ma egli non parla mai di quanto gli accade. Neanche a sua moglie, da anni costretta a giacere nel letto, fa un solo cenno. E tuttavia non può celare del tutto la sua situazione. Tutti notano un cambiamento. Lo vedono diventare ancora più scarno - e giocando a carte commette errori che nessuno farebbe. Di pomeriggio si chiude in casa e legge vecchi giornali che il parroco gli lascia di quando in quando sulla cassapanca dell'ingresso. Vede sua moglie soltanto a pranzo e a cena; ma lei è simile ad ogni altra donna: evita di richiamare l'attenzione sulla sofferenza del marito, e tenta, pur ignorando di che si tratti, di non ricordargliela. La domenica di Pasqua accade che la figura - che egli riconosce sempre più chiaramente come la propria - improvvisamente lo colpisca al capo e che egli stramazzi al suolo. Ancor prima che giunga un solo fedele riesce a risollevarsi. Sul cranio gli appare una macchia fresca di sangue. E costretto a fasciarsi la testa. Il parroco gli chiede cosa sia accaduto ed egli risponde: «cascato ». E scivolato, racconta. Qualche giorno dopo Pasqua alcuni fedeli rinvengono il suo corpo in chiesa, con la testa spaccata. Sino ad oggi si ignora chi lo abbia ammazzato; giacché nessuno ha il sia pur minimo sospetto verso un altro o verso se stesso.


IL DOGANIERE è schernito dai ragazzi del paese per la sua bassa statura. Gli affibbiano dei soprannomi ingiuriosi e, annidati tra gli alberi, lo bersagliano a tal punto con le castagne che spesso egli si piega per il dolore sulla branda. E fiducioso nel prossimo. Se avesse delle gambe più lunghe e un busto più pronunciato sarebbe benvoluto da tutti. Accade invece che si isoli sempre di più e che non trascorra il suo tempo libero in paese, ma con i propri colleghi o da solo nel giardino della dogana. Poi, a un certo punto, ha escogitato qualcosa di straordinario, che non rivela, poiché - così dice a se stesso nell'intimo - le idee migliori bisogna tenerle per sé. Da un giorno all'altro si è procurato un esercito - non un esercito che sia costretto ad ubbidirgli, ma un esercito nemico. Lo formano gli alberi del viale che conducono alla casetta doganale sul ponte: la colonna di salici, la formazione di felci e l'unità delle foglie a forma di serpente. Non è semplice esporsi ogni giorno, senza esser notato, a un simile, possente esercito ostile. Ma una tale strategia, che assorbe la maggior parte delle sue forze, è esattamente quello di cui ha bisogno. Ne parla in sogno, ma gli altri doganieri non comprendono di cosa si tratti. Notano che ora si rivolge a loro meno che in passato. Ha totalmente rinunciato a frequentare il paese. Lo si vede solo nel viale, tra i salici, le felci e le foglie a forma di serpente. In loro compagnia si comporta come Napoleone, come Alessandro. La sera mangia molto e ingrassa. Un giorno gli saltano i nervi per l'irritazione, e il doganiere estrae il revolver e abbatte furiosamente l'uno dopo l'altro gli alberi del viale, finché il campo è vuoto. Poiché questo accade in presenza degli altri doganieri, viene disarmato e rinchiuso in cella. A tarda sera viene prelevato da due uomini indossanti soprabiti militari.


IL SOPRAVVISSUTO ANNOTA: Verso la fine della guerra in entrambi i colli della città vengono scavate delle gallerie, in cui uomini e donne affluiscono, minacciati dallo sterminio. Soltanto rifugiandosi nelle gallerie riescono a sopravvivere. In un primo momento non osano affacciarsi alla luce del sole. Solo con esitazione lasciano varcare la soglia a chi appare loro debole o privo di importanza, successivamente anche ai bambini, e nel pomeriggio tutti abbandonano silenziosi le gallerie, in cui molti sono soffocati per mancanza di ossigeno. Volontariamente estraggono i morti e li seppelliscono davanti alle entrate. Ma quando la guerra è finita accade qualcosa che nessuno riesce a comprendere: non richiudono le gallerie, ma si dirigono, com'è ormai divenuta abitudine, al loro interno. Ogni giorno, alla stessa ora. Si recheranno nelle gallerie finché vivranno.