Augusto Guzzo

BUSONI DIRETTORE D'ORCHESTRA

Nella primavera del '14 Busoni, direttore del Conservatorio di musica di Bologna, aveva messo su un'orchestra formata e addestrata da lui, e la portava in una tournée attraverso le varie città d'Italia.
Ai due concerti di Busoní andava con un amico musicísta. Questi conosceva qualcuno degli orchestrali, e da lui aveva saputo come Busoní aveva formato l'orchestra. Con assoluta spregiudicatezza aveva scelto in tutti i complessi gli strumentisti che aveva giudicato adatti. Li aveva fusi alle prove, e l'orchestrale parlava del Maestro con ammirazione e con affetto: il che fa pensare che Busoni trattasse gli orchestrali con umanità pari alla autorevolezza della sua preparazione e del suo temperamento musicale. E come in un'orchestra ci sono strumenti che non sono di proprietà dei singoli strumentísti, Busoni li aveva comprati fiammanti. Un tam-tam come quello portato da Busoni, non l'ho mai più visto, tanto era lucido ed efficiente (gli serviva per certi passaggi coloristici della Sposa sorteggiata).
Colpiva la particolare scelta dei programmi. Era chiaro che Busoni dirigeva le musiche che sentiva. Il che si può dire - s'intende - di tutti i direttori d'orchestra, e specialmente dei grandi. Ma Busoni era perfettamente svincolato dalle convenzioni e, quindi dai conformísmi. In un tempo in cui non c'era programma di concerto sinfonico dove non campeggiasse Wagner, non ricordo una sola nota di Wagner eseguita da Busoni. Era un'esclusione? A ripensarci a tanta distanza di anni, mi vien fatto di domandarmi che posto avesse, nel mondo musicale di Busoni, il wagnerismo. O il suo modo stesso di far musica era antiwagneriano? Non mi avventuro in una risposta che non sono in grado di darmi, Busoni aveva formato la sua orchestra come aveva voluto; l'aveva addestrata a modo suo: era, ormai, la sua tavolozza, il suo pianoforte. Faceva sonare, a suo modo, le musiche che sentiva come sue. Senza Wagner, Busoni era risalito a Weber. Ricordo l'ouverture del «Freischiátz». I disegni sinfonici erano il forte di Busoni. Era straordinaria non tanto la rapidità, quanto la precisione e la perfezione, e, soprattutto, la vibrazione. Seguì il concerto op. 61 di Beethoven. Violinista Arrigo Serato, l'amico, il corrispondente, il confidente di Busoni. Bellezza indimenticabile di suono in Serato; vibrazione, altrettanto indimenticabile, nelle riprese orchestrali busoniane.
Nel secondo concerto c'era la settima di Beethoven - la sinfonia dionisíaca. Busoni -mi diceva il mio amico musicista - faceva la semiminima con la bacchetta.
A volte i musicisti rivelano ai semplici musicofili come me, certi segreti: che le esecuzioni sono spesso approssimative; che ci sono tante note, scritte su le partiture, ma gli strumentisti, in certe volate, ne suonano solo le salienti, tralasciando il resto: e come stare a pedanteggiare, quando le prove sono poche, e il pubblico è più sensibile alla messa in scena della direzione orchestrale, che non alla preparazione dell'orchestra, lavoro che non fa spettacolo il giorno dell'esecuzione, ma è avvertito solo da chi ha pratica e consuetudine dei concerti?
Busoni, invece, aveva curato tutto, nell'insieme e nei particolari. Né era pedanteria. Era un aver vissuto quelle musiche con una intensità di partecipazione, comunicata anche agli orchestrali. Così l'orchestra vibrava, precisissima e perfettissima: Busoni disegnava col movimento, indimenticabile, della bacchetta, quel che l'orchestra, multanime e una, suonava. Le preferenze personali di Busoni si facevano sentire in certe predilezioni per autori che il pubblico non era né avvezzo né disposto a mettere in primo piano come faceva lui.
Tuttavia quello cbe mi convinse pienamente fu Busoni autore. Della «Sposa sorteggiata» [«Die Brautwahl»] Busoni presentò, non tre pezzi, come spesso vedo fare ora, ma cinque. Ricordo il «pezzo lirico» e il «pezzo mistico». Non c'era abbandono romantico - Busoni doveva aver oltrepassato, da molto, il sentire romantico - ma quei «largo» rivelavano un aspetto dell'umanità busoniana che chiariva il senso della rítmicità dionisiaca: l'altro aspetto, più appariscente, del comporre di Busoni.
La tournée della primavera del '14, non so quanto sia durata. Visse quell'orchestra qualche tempo - per esempio, fino ai richiami alle armi nell'autunno di quell'anno - o si sciolse subito dopo la tournée? Non ne so nulla. Anni dopo io sentii Busoni, pianista d'eccezione, in un concerto dedicato interamente alle ultime sonate beethoveniane, e ricordo l'op. 106, víssula da lui, Ma mentre, per gli altri, Busoni era un pianista con velleità di direttore d'orchestra, per me rimase il compositore felicissimo, direttore d'orchestra, nel suo genere, unico, che s'adattava a rendere al piano quello che era stato scritto per piano ma con la mente all'orchestra e alía sua multanimità.