Guido Guerrini

BUSONI A BOLOGNA
Nella primavera del 1912 Busoni si reca ancora una volta in Italia per un giro di concerti e vi ottiene, finalmente, una collana di trionfi che portano il suo nome alla popolarità, procurandogli, fra i musicisti italiani e specialmente fra i giovani, un folto gruppo di seguaci entusiasti. Il Maestro sente finalmente che anche l'Italia musicale può avere una sua resipiscenza, riscattandosi da quella esclusiva passione pel melodramma che, agli occhi degli intellettuali di allora, costituiva la grande colpa degli italiani; vede diminuita la distanza che lo aveva separato fino allora dai suoi connazionali, e risorge in lui la speranza di poter ritornare fra essi a compiere opera di elevazione spirituale. Proprio in quei giorni il Maestro Marco Enrico Bossi aveva lasciata la Direzione del Liceo Musicale di Bologna, perché chiamato alla Direzione del Liceo di Santa Cecilia a Roma, cosicché il posto era rimasto vacante.
Per Bologna il Liceo Musicale è, insieme al Teatro Comunale e all'Università degli Studi, ricca fonte di legittimo orgoglio. Fondato dal famoso Padre Martini, che per mezzo secolo dominò con indiscussa autorità tutta l'Europa musicale erudita; ne sono stati direttori musicisti di vasta rinomanza, dal Padre Mattei al Mancinelli, dal Martucci al Bossi. Fra gli insegnanti vi sono stati nomi importanti; il Comunel cercava di accentrare quanto vi fosse di meglio in Italia, per mantenere alte le grandi tradizioni dell'Istituto. Era stata famosa la Scuola di Canto di Leonida Busi; famosissimi poi i quattro maestri d'arco e celebre il Quartetto da essi formato e in nome del quale era stata fondata dal Martucci quella «Società del Quartetto» che, fra le primissime in Italia, aveva iniziato la divulgazione della musica classica da camera.
L'Antonelli prima e il Codivilla poi, con le loro famose Bande, avevano compiuto opera di attiva propaganda fra il popolo, mentre Mancinelli e Martucci, dal podio direttoriale del Teatro Comunale, avevano iniziato il pubblico bolognese ai misteri dell'arte dotta, guidando una delle più perfette orchestre del tempo.
La nomina di ogni nuovo Direttore rappresenta quindi per i bolognesi una specie di grossa responsabilità di fronte al mondo. Discussioni senza fine fra i Consiglieri comunali, fra i musicisti, fra gli appassionati, nei salotti e nei ritrovi.
È durante l'interregno di Luigi Torchi alla direzione lasciata vacante dal Bossi, che hanno luogo i concerti pianistici di Busoni. Questi, come abbiamo detto, a Bologna fanatizzano addirittura. Busoni stesso sente in questa dotta e sensibilissima città possibilità di sviluppi musicali quali in nessun'altra italiana. I bolognesi, da parte loro, simpatizzano con Busoni. Così è offerta a lui la Direzione del Liceo Musicale.
Dubbi e perplessità tengono sospeso per vari mesi l'animo del Maestro. Lo spaventano i grattacapi e le responsabilità; lo allarma dover trasferire il proprio campo d'azione in Italia, dove abitudini, preparazione, sensibilità, tradizioni, sono così diverse dall'ambiente nel quale ha vissuto e operato finora; lo addolora infine di dover lasciare, almeno per lunga parte dell'anno, la sua bella casa di Berlino, con la ricca biblioteca, e la raccolta bizzarra ed eteroclita di oggetti e mobili d'arte, il bel salone da musica ove riunire amici e discepoli; le tipiche trattorie, le istituzioni culturali, ecc. D'altra parte lo attrae di Bologna quell'aura di mistica intellettualità che ha dato alla città l'appellativo di «dotta», coll'antichissimo e glorioso Studio, ove ancora sono fari di civiltà i luminari delle lettere, delle scienze, della medicina. Lo attira la visione di una villetta sui ridenti colli bolognesi (finalmente la possibilità di godere il sole della a terra); rna sopratutto lo seduce il miraggio di poter finalmente intraprendere quell'opera di elevazione spirituale italiana che da tanti anni è l'oggetto dei suoi sogni. Chiede ed ottiene condizioni di ampia libertà per attendere agli impegni della sua arts, ed infine accetta. Siamo all'inizio dell'anno scolastico 1913-14.
Anche l'esperimento bolognese non riuscì. Busoni aveva sperato di poter finalmerlte superafe ed abbattere la barriera che sempre si era posta fra lui e i suoi connazionali. Era giunto a Bologna col cervello traboccante progetti: riformare il Liceo, modernizzandone l'attrezzatura spirituale e materiale; organizzare concerti che elevassero e allargassero la cultura del pubblico italiano; fondare un'orchestra stabile che, avendo a perno Bologna, svolgesse la propria attività anche nelle maggiori città delle regioni limitrofe. Le battaglie wagneriane, la riscossa del Mefistofele dopo il fiasco della Scala, la piena adesione data dai cittadini ai concerti sinfonici del Mancinelli e del Martucci, erano altrettante prove di possibilità spirituali avvenire. Lo stesso Busoni pianista aveva trovato nella città «dotta» accoglienza e comprensione che gli erano mancate in centri anche maggiori, tanto che la schiera dei suoi ammiratori e seguaci si accresceva di anno in anno, più a Bologna che altrove. E gli amici erano in numero anche maggiore di quanto lo stesso Maestro sospettasse. In ogni città v'era un capo gruppo (a Parma Brugnoli, a Venezia Gino Tagliapietra, a Firenze
Felice Boghen, a Napoli Longo, a Bergamo gli Anzoletti) che faceva propaganda di ammirazione e seminava entusiasmo sul cammino del grande pianista. Ma Bologna, fra tutte, era la città ove più numerosi si contavano gli ammiratori e gli amici: da Arrigo Serato a Ottorino Respighi, da Francesco Vatielli a Luigi Torchi, da Cesare Paglia a Mario Corti, da Antonio Certani a Guido Guerrini.
Questa volta però, giunto Busoni a Bologna, i primi contatti sono tutt'altro che invitanti. Egli si accorge che anche i bolognesi, come tutti gli italiani d'allora, hanno, nella maggioranza, più istinto che sapere. Lo irrita poi enormemente la provincialità delle abitudini, la riservatezza quasi monacale delle donne, la meschinità delle consuetudini sociali (specialmente per ciò che si riferiva ai rapporti fra uomo e donna), le prevenzioni, le scontrosità, ecc.
Scrive a Egon Petri:

Vi è [in Italia] altissima intelligenza e cultura fra le persone della élite, ma una proporzione di imbecilli, di indifferenza e di ignoranza terrificante. Vi è inoltre un americanismo nel mondo degli affari e dello port da cui gli ottimisti si aspettano il sorgere di nuove energie. E un malanno ancora è apparso: le periodiche visite di direttori d'orchestra stranieri di second'ordine nelle Sale dei Concerti sinfonici. Gli italiani stanno educandosi e conseguentemente scocciandosi, come le donne che si avventurano nella conversazione intellettuale. Il grand'uomo Toscanini passa i suoi inverni nel Nord e nel Sud-America. Se egli compisse il suo dannato dovere e stesse a casa propria, la gente gli metterebbe chissà quali bastoni fra le ruote. Poiché nel sangue degli italiani (e lo si deve alle ristrettezze delle loro città) è l'eredità di un passato troppo ricco di tradimenti.

E sullo stesso argomento alla moglie, ancor più crudo:

Sono venuto nella mostruosa conclusione che gli italiani d'oggi non hanno senso d'arte. Essi leggono, ascoltano e guardano male; costruiscono in cattivo stile e ammobigliano le loro case senza gusto..... Essi innalzano una grossa barriera fra ciò che è storico e il presente...

Ora, ad essere sinceri, si può anche convenire che nell'immediato anteguerra (e qui ci riferiamo, s'intende, alla guerra 1915-18) le condizioni spirituali non fossero, in Italia, molto diverse da quelle che il Busoni denuncia. La vita intellettuale era riservata a pochi ed anche questi non peccavano per eccessiva larghezza di vedute. La musica classica aveva rari amatori, più appassionati che colti; poche erano le Società di Concerti da Camera e coltivavano più l'ammirazione al virtuosismo che la fede nel valore dell'arte. Vi era una sola orchestra sinfonica, quella di Roma, che restava in attività pochi mesi dell'anno. Tutto il resto dell'attenzione e della tensione musicale era rivolto al Teatro d'opera. Però, se è v.ero che gli italiani ebbero per Busoni incomprensione, per non dire ostilità, è anche vero (e questo ci faceva osservare un uomo al di sopra di ogni sospetto:
Augusto Anzoletti) che Busoni ebbe verso gli italiani un imperdonabile torto: pretenderli diversi da quello che sono. Il Busoni, insomma, che pure aveva così marcati tutti i caratteri positivi e negativi dell'italiano, non seppe tollerare nei suoi connazionali proprio quei difetti che fan matrice alle loro stesse virtù: provincialità, istintività, impetuosità, scontrosità. E per quel che riguarda la musica, potremmo anche aggiungere (ma questa è opinione personale di chi scrive) che se in Italia si fosse continuato a coltivare più particolarmente il Teatro, anziché disperdere e annacquare le nostre energie nella musica da camera e sinfonica, si sarebbero forse potuti mantenere più integri i caratteri della «nostra» arte, e avremmo evitato quell'imbastardimento che inquinò la musica italiana per più di trent'anni.
A Bologna l'accoglienza al Maestro fu degna di lui, e la deferenza grandissima. I primi attriti si ebbero, dopo pochi giorni, fra il nuovo Direttore e i rappresentanti del Consiglio Comunale, più che per colpa loro, per ragioni di bilancio. Busoni intendeva svolgere il rinnovamento tanto sul piano artistico quanto su quello organizzativo ed esteriore. Da un lato tonificare la parte didattica con l'istituire nuove scuole e nominare nuovi professori, dall'altro acquistare strumenti, abbellire e imettere in luce d'arte il bellissimo monastero che ospita l'Istituto, impiantare la luce elettrica (si andava ancora a gas e a candele) e il riscaldamento centrale, riordinare la ricchissima Biblioteca, rinnovare i vecchi servizi igienici, ecc. ecc. Durante le precedenti trattative - lunghe e complicate - fra il Maestro e il Comune, questo aveva fatte molte promesse e date molte assicurazioni che poi, a contatto di bilanci, ci si avvede di non poter mantenere se non in parte. A peggiorare la situazione capita inoltre, con l'avvento al potere dei socialisti, un cambiamento di Amministrazione Comunale, e i nuovi padroni han ben altro pel capo che le cose dello spirito.
Avviene così che il Maestro, giunto a Bologna col sogno di una miracolosa trasformazione del Liceo Martini in Istituto Modello, dopo vari mesi deve accontentarsi di un solo rinnovamento: quello dei servizi igienici.
Per farsi perdonare dal Maestro le involontarie delusioni infiittegli nel campo materiale, Bologna gli affida il compito di riorganizzare la città musicale; lo si nomina membro del Comitato per il Teatro, gli si conferisce la Presidenza della Società del Quartetto, e gli si offre anche la direzione artistica di un ciclo di concerti sinfonici da tenere ogni anno al «Comunale».
È questo, per Busoni, il primo passo verso la realizzazione del suo progetto di orchestra stabile; e vi si getta anima e corpo. Nella primavera dél 1914, infatti, si hanno i primi concerti orchestrali, che il Maestro stesso dirige, e coi quali si compie poi un giro per varie città d'Italia.
Ma anche qui altro cozzo, e questa volta bicornuto. I programmi compilati da Busoni sono giudicati ostici e indigesti; e l'impressione che Busoni produce come direttore d'orchestra è poco meno che disastrosa.
Per quanto si riferisce al primo appunto, va detto che i bolognesi ebbero torto. È vero che i programmi erano formati di musiche poco note, e in parte anche moderne e modernissime. (L'Aroldo in Italia, di Berlioz, alcuni Poemi Sinfonici di Liszt, un Concerto per pianoforte e orchestra di Saint-Saens [pianista Egon Petri], e in più qualche composizione moderna fra cui la Suite della «Sposa sorteggiata»). Di consueto soltanto la VII di Beethoven.
Da ciò appare chiaro che Ferruccio Busoni, nel compilare i programmi, seguiva un suo piano ben preciso, logico e ponderato, che aveva per iscopo «una graduale preparazione» del suo pubblico, e presupponeva un ulteriore e razionale svolgimento, con cui condurre poco a poco gli ascoltatori alla comprensione e quindi alla passione della musica contemporanea. Per la verità, la musica moderna non era allora, come non lo è ora, né pei bolognesi, né per i pubblici di tutto il resto dell'universo, pietanza molto ricercata. Nessuna meraviglia dunque se la Suite della «Sposa sorteggiata» che rappresenta anche ora una delle più ardite concezioni della musica contemporanea, restò un po' indigesta al pubblico bolognese, che nondimeno l'accolse con deferenza, in un successo di stima.
Più arcigna fu l'ostilità a Busoni come direttole d'orchestra. Due cause e tutte e due apparenti, furono contro di lui: l'essere egli un famosissimo pianista, e il non possedere quella che si chiama l'estetica direttoriale.
Noi siamo certi che se Busoni fosse giunto al podio come uno sconosciuto qualunque, il pubblico, pur senza andare in delirio, lo avrebbe tollerato e forse anche apprezzato. Ma egli era quel Ferruccio Busoni che alla tastiera trascinava il mondo, era il pianista affascinante, il virtuoso-tipo. E un raffronto fra il risultato dei due mezzi d'espressione era inevitabile. Ascoltandone le interpretazioni orchestrali, il pubblico non poteva dissociare il pensiero da quelle pianistiche; vedendolo sul podio direttoriale, aveva l''impressione di essere defraudato di qualcosa che gli spettava. Era frequente il caso che, alla fine di una esecuzione sinfonica, varie voci del pubblico reclamassero il Maestro «al pianoforte!». E nessuna offesa era più atroce per Busoni, il quale ad essere buon direttore d'orchestra teneva molto di più che ad essere, com'era, il più grande pianista del mondo.
L'altra deficienza direttoriale era, come abbiamo detto, quella «estetica». Anche Busoni aveva il gesto parco, timido, schivo da ogni teatralità, quasi pudibondo, che hanno in genere tutti i compositori, da Strauss a Strawinsky, da Sibelius a Respighi, da Pizzetti a Zandonai. E questa è, per il pubblico, deficienza imperdonabile. Ben pochi riconoscevano in lui lo stilista e l'interprete di grandissima classe.
Fra gli altri progetti ideati da Busoni per la riforma di Bologna musicale, fu anche la trasformazione in Sala da Concerti di quella palestra di ginnastica che ha sede nella chiesa di Santa Lucia, in via Castiglione. Progetto che avrebbe potuto dare finalmente a Bologna una Sala degna delle sue tradizioni, ma che, fatti piani, disegni, riunioni, sopraluoghi, preventivi, rimase allo stato embrionale. Tutto consìderato, il Maestro ebbe l'impressione di perdere il suo tempo. La vita del Liceo poi, lo irritava per le tante meschinità che troppo spesso s'inframmettono inesorabilmente in tutte le idealità artistiche. Molti professori, abituati alla serietà, austerità, solennità dei precedenti Direttori, trovandosene fra mani uno che aveva in dispregio ogni formalismo ed esteriorità, gli divennero ostili. Così, anche fra gli alunni, i più, non sapendo discernere l'oro dall'orpello, si schierarono coi loro insegnanti. Gli rimase fedele solo una esigua minoranza di professori, di musicisti e di allievi; ma questi gli si diedero con entusiasmo e fede garibaldini, cerc,ando, sia pure invano, di lenire i disagi e far meno aspri gli attriti.
Non occorre dire che le opposizioni, diíiicoltà e vischiosità di cui si è detto, frenarono a poco a poco in Busoni ogni impeto d'entusiasmo. Inoltre, lo stipendio percepito per la sua carica, pure essendo altissimo nei confronti di quelli assegnati ai suoi predecessori, ben poco basta alla liberale esistenza del Maestro, che ha gusti e abitudini da gran signore della Rinascenza. Egli conserva il suo bell'appartamento di Berlino, dove si reca di frequente per veder la famiglia, e una villa ha affittata sui colli di Bologna, continuando però ad abitare in un grande albergo di città. Bisogna dunque controbilanciare in qualche modo le spese, e non vi è che un mezzo: quello dei Concerti. Suonare il pianoforte qualche mese all'anno, per lavorare poi in pace il resto del tempo.
È venuta a tentare nuovamente il Maestro la proposta di un giro in Russia e di uno in America. Egli, sapendo già troppo bene che cosa significhi l'America, terminato il giro di Concerti in Italia, parte per la Russia, ritornando a Bologna per presenziare agli esami. Alla fine di giugno riparte per Berlino a trascorrervi le vacanze.
Frattanto è stata dichiarata la guerra e, seppur l'Italia sia rimasta neutrale, il suo atteggiamento politico lascia facilmente prevedere una partecipazione al conflitto a fianco delle potenze alleate. Busoni cerca di dimenticare la bufera, lavorando accanitamente, insieme a Egon Petri, alla edizione di tutta l'opera pianistica di G. S. Bach. Tuttavia l'abitare in quel tempo e in quel frangente a Berlino, diviene in breve, per lui italiano, insopportabile disagio.
L'America può rappresentare una via d'uscita. Chiede dunque a Bologna un anno d'aspettativa (com'era nei patti) e firma il contratto.