KLAUS KROPFINGER

L'UTOPIA MUSICALE DI BUSONI
E LA BERLINO DEGLI ANNI VENTI


QUADERNI DI M/R 11

IL FLUSSO DEL TEMPO
SCRITTI SU FERRUCCIO BUSONI

pp. 174-189


IL CURATORE DELLA BUSONI WEBSITE RINGRAZIA DI CUORE IL PROF. DR. KLAUS KROPFINGER PER IL GENTILE E GENEROSO PERMESSO DI PUBBLICAZIONE DI QUESTO SAGGIO. COL TEMPO TUTTO IL SAGGIO SARÀ AMPIAMENTE ANNOTATO E CONTESTUALIZZATO.

Ferruccio Busoni visse a Berlino dal 1894 e Berlino rimase la sua residenza, interrotta solo da viaggi per concerti e dal soggiorno a Zurigo durante la prima guerra mondiale. Ma quando Busoni morì il 27 luglio 1924, a soli 58 anni, non aveva partecipato che per quattro anni scarsi all'eccitante vita culturale degli anni '20.


VIKTORIA-LUISEN-PLATZ - AL N. 11 ABITAVA BUSONI - CLICK TO ENTER [BI]

Quale dunque poté essere il suo contributo a questo periodo storico? In che cosa consiste la sua importanza per questo periodo proprio a Berlino, visto che la vita culturale si intensificò proprio anche nella metropoli prussiana, a profitto della musica e soprattutto della musica moderna, soltanto nella seconda metà del decennio, dopo la fine dell'inflazione in Germania? Basta pensare alla Krolloper! [A]

Oggi, negli studi sulla musica moderna, Busoni viene menzionato quasi sempre piuttosto marginalmente. Come compositore, e per quel che riguarda i suoi lavori più avanzati, lo si colloca di solito nell'ambito del neoclassicismo (1), come un artista che ha raggiunto fama duratura ma che, in confronto a Schönberg, Berg e Stravinskij, ha contribuito solo marginalmente al progresso con la sua produzione.
Egli deve la sua fama di musicista d'avanguardia soprattutto all'Abbozzo di una nuova estetica della musica (2), pubblicato per la prima volta nel 1907.


© LAURETO RODONI

Ma l'estetica che vi è esposta non ostacola un giudizio appropriato sulla sua produzione di compositore, e con ciò sulla sua fama? Non c'è profonda discrepanza tra l'ardita prospettiva del futuro ivi delineata e i suoi lavori? Dove sono i terzi e i sesti di tono, dove la nuova strumentazione, dov'è il linguaggio musicale affrancato da tutto ciò che è tradizionale? Aveva forse ragione Pfitzner [] quando la lettura dello scritto di Busoni, con le sue «promesse trascendentali

e d'altro lato con i suoi sesti di tono», gli ricordava i «romanzi di Jules Verne, il quale ci invita a fare un viaggio sulla luna e vuol renderne plausibile la riuscita mendiante numeri e aridi calcoli di cui non si sentirà pienamente soddisfatto né colui che cerca informazioni scientifiche né colui che si aspetta un godimento artistico?» (3).Nello studiare la vita di Busoni dobbiamo prendere in esame un campo molto vasto; per rispondere alle domande e ai problemi sollevati dobbiamo vedere il suo pensiero artistico ed estetico in tutta la sua portata. Fattori essenziali sono anche il suo atteggiamento di fondo e l'influenza esercitata da questo.
Dovremo tener conto dei suoi concerti orchestrali a Berlino all'inizio del secolo, miranti ad aprire nuovi orizzonti, come pure dei suoi rapporti con Arnold Schönberg; della sua
opposizione alla guerra [B] e alla deformazione sociale dell'uomo, del trasferimento delle sue idee artistiche nella politica culturale per opera di Kestenberg [C], della corrispondenza di queste con lo stile esecutivo e la
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programmazione della Krolloper: ma, in conclusione, si tratta della dimensione e della differenziazione della utopia artistica stessa, la cui portata puntava a oltrepassare la sua creazione personale.Se a Berlino ci fu una personalità del mondo musicale che, già prima dello scoppio della guerra mondiale, operò in preparazione del futuro, e quindi anche degli anni '20, questa è Ferruccio Busoni (4).
Sui «Concerti orchestrali dedicati a lavori nuovi o raramente eseguiti, organizzati da Busoni tra il 1902 e il 1909» (5), il suo allievo Leo Kestenberg scrive: «La straordinaria, unica personalità di Busoni, la sua grandiosa generosità di mecenate non avrebbero potuto esprimersi in modo più convincente che nell'organizzazione assolutamente disinteressata di questi concerti, 12 in tutto. Essi ingoiarono un intero patrimonio, che egli aveva dovuto guadagnare con le sue 10 dita, come diceva scherzosamente; perché per questi concerti esistevano quasi soltanto biglietti omaggio» (6).
Accanto a compositori oggi dimanticati, l'elenco delle opere eseguite contiene nomi come Edward Elgar, Camille Saint-Saëns, Frederick Delius, Vincent d'Indy, Claude Debussy, César Franck, Hans Pfitzner, Jean Sibelus,

Gabriel Fauré, Hector Berlioz, Franz Liszt e Béla Bartók.
A proposito di questi concerti bisogna certamente spingersi al di là della caratterizzazione di Kestenberg e rilevare che qui viene già in luce una premessa fondamentalmente dell'utopia busoniana: la vasta prospettiva del suo orizzonte spirituale, in cui non soltanto i fenomeni dell'epoca non venivano intesi come avvenimenti del momento storico via via attuale, ma anche la loro forza d'irradiazione verso il futuro veniva soppesata sia nella teoria che nella pratica.
Dal nostro odierno punto di osservazione questi concerti hanno un valore indicativo anche per la reazione del pubblico: ciò vale soprattutto per la produzione di Busoni. Non solo le opere di Busoni, ma anche e più la risposta del pubblico può indicarci se e in qual misura Busoni percorresse i tempi con le sue composizioni.
In uno dei concerti, il 10 novembre 1904 (7), fu eseguito il Concerto per pianoforte e orchestra con coro per voci maschili op. 39 (8):
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In uno dei concerti, il 10 novembre 1904 (7), fu eseguito il Concerto per pianoforte e orchestra con coro per voci maschili op. 39 (8): il lavoro suscitò uno scandalo simile a quello sollevato dalle composizioni eseguite proprio allora di Schönberg. Il concerto finì in mezzo a un violento tumulto (9) e l'eco di stampa fu quasi unanimemente negativo. La «Tägliche Rundschau» scrisse: «Per tutti i cinque tempi siamo stati sommersi da un torrente di cacofonie; un 'pezzo giocoso' descriveva i piaceri di barbari esaltati dalla guerra e una 'tarantella' le orge di bevitori di assezio e di sgualdrine; e per concludere un 'cantico' ci ha fatto inorridire, mostrandoci che un compositore può prendere sul serio il singolare umorismo di un'associazione corale maschile. È stato spaventoso!» (10).
La grande apertura mentale di Busoni dette prova di sé nella prontezza con cui seppe accogliere quanto era nuovo e volto al futuro soprattuto nel suo rapporto con Schönberg.
Fu proprio in quel tempo che Busoni venne in contatto con Schönberg. Nella primavera del 1903 Schönberg propose a Busoni l'esecuzione di Pelleas und Melisande (11). Busoni chiese di vedere la partitura e la ricevette, ma esitò ad eseguire quest'opera certamente troppo spinta per il pubblico berlinese (12). Invece mise in programma, nel terzo concerto, i Syrische Tänze di Heinrich Schenker [C] strumentali da Schönberg (13).
Può darsi che la ragione per cui Busoni rinunciò al Pelleas und Melisande fosse dovuta alla sua opinione personale su questa composizione. In una cartolina del 15.10.1903 Busoni definisce Schönberg un «maestro dell'orchestrazione», ma confessa di non essersi «potuto fare ancora un'opinione definitiva» sul «contenuto» del lavoro (14). Tuttavia Busoni mantenne sempre un atteggiamento disponibile nei riguardi delle nuove aperture e delle aspirazioni di Schönberg. Il 16 luglio 1909, dunque ancora prima che Schönberg si trasferisse per la seconda volta a Berlino, gli scrisse che aveva avuto l'intenzione di eseguire la Kammersymphonie op. 9. Ciò avveniva - si badi bene - dopo la tempestosa esecuzione viennese. Il concerto non ebbe luogo per circostanze esterne; tuttavia i contatti non si interruppero perché nella stessa lettera Busoni chiese a Schönberg di mandargli i Klavierstücke op. 11, n. 1 e 2, allora già terminati (15). Come è risaputo, sul secondo Klavierstück si accese una discussione artistica che evidenzia le differenze tra il pensiero artistico di Busoni e quello di Schönberg. Busoni apprezzava i Klavierstücke e riconosceva che erano «raffinati prodotti artistici» di un'arte soggettiva, personale e basata sul sentimento» (16). Ciò che criticava era invece «l'estensione limitata nel tempo e nello spazio», «l'eccessiva concisione» (17): determinante era in proposito la sua «impressione in qualità di pianista». Tuttavia non si limitò a questa critica, ma rielaborò - o «ristrumentò» - il pezzo (18) modificandolo sì da darne un'interpretazione da concerto (19). Così facendo tolse al Klavierstück di Schönberg il suo profilo specifico. Già di qui risulta evidente che Busoni non era sensibile all'intensificazione e alla compressione della forma musicale di Schönberg. Schönberg nel 1910 rispose per corriere rifiutando la parafrasi con l'osservazione che Busoni non aveva capito il suo pezzo. Busoni non se ne risentì: l'impressione che Schönberg gli aveva fatto era troppo forte. Nel 1911 Busoni fu al primo posto tra coloro che resero possibile il ritorno di Schönberg a Berlino. Con Oskar Fried, Arthur Schnabel, Edward Clark e Alfred Kerr firmò un annuncio sulla rivista «Pan» in cui «si pregavano i futuri allievi di Schönberg di comunicare il loro nome e indirizzo alla rivista» (20). È vero che a Berlino i desideri e le aspettative di Schönberg non si realizzarono nella misura sperata; ma non si può mettere in dubbio che Busoni gli prestò grandissimo aiuto. Tra l'altro cedette immediatamente a Schönberg il suo allievo Eduard Steuermann, non appena questi ne espresse il desiderio. Inoltre fu tra coloro che si adoperarono per rendere possibile il concerto antimeridiano dedicato a musiche di Schonberg del 4 febbraio 1912 nel Harmoniumsaal: fu anche presente al concerto, a cui collaborarono due suoi allievi. E in seguito ne scrisse una breve recensione su «Pan», nella quale trova espressione il fascino esercitato dal concerto ma si manifesta anche la difficoltà di comprensione che quella musica incontrava (21). Infine, organizzò anche un'esecuzione del Pierrot lunaire in casa sua (21 a).
Non che Busoni non avesse delle riserve. Tuttavia riconosceva e ammirava in Schönberg «una personalità estremamente singolare, anzi insolita, [...] un uomo che sa il fatto suo» (22). Uguale era l'atteggiamento di Schönberg verso Busoni: «... è senza dubbio un uomo geniale. Ad ogni modo di gran lunga quanto di meglio abbia conosciuto finora», questo è l'appunto del 29 gennaio 1912 nel diario di Schönberg (23). A proposito della Berceuse élégiaque, eseguita in un concerto di Oskar Fried, scrive di un «pezzo assolutamente commovente» (24); mentre in precedenza aveva nutrito delle riserve nei confronti di Busoni compositore. Questa composizione fu fatta poi strumentare da Schönberg nel 1920 per il «Verein für musikalische Privataufführungen» (25).
Nell'intensità e nella franchezza dei rapporti spirituali e artistici tra Busoni e Schönberg si sviluppò, per così dire in anticipo, qualcosa di quell'atmosfera di tensione spirituale che avrebbe caratterizzato, nei suoi aspetti positivi, il clima culturale della Berlino negli anni '20. Sopraggiunse, certo, un altro elemento importante e ugualmente anticipatore: il rifiuto della guerra come arte, come avvenimento che sconvolge fino in fondo gli uomini e l'umanità, ove non li distrugga. Busoni ebbe la percezione della catastrofe lontano dagli avvenimenti, ma ben consapevole del contesto delle circostanze, durante una tournée di concerti in America.

Io credevo che tutti i tempi fossero uguali - ma questo è peggiore -. Ogni uomo dovrebbe lottare con se stesso (è questo a cui si dà troppo poca importanza) e ogni paese avrebbe abbastanza da fare e da sacrificare per ripulire se stesso. - E la follia meccanica fa progredire tanto poco, è altrettanto micidiale e porta altrettanta infelicità quanto la guerra.
I grandi datori di lavoro sacrilicano per i loro interessi personali centinaia di migliaia di esltenze umane non altrimenti che i guerrafondai. -
Se si spinge lo sguardo nel cuore del distretto industriale dell'Inghilterra, vi si vede uno spettacolo infernale quanto quello d'un campo di battaglia. Lavoratori e soldati hanno lo stesso destino, una situazione identica
(26).

Sono pensieri che informano anche l'articolo di Busoni contro la guerra scritto a Zurigo, articolo a cui Schönberg reagì con una lettera indirizzata a Busoni il 14.11.1916:

Caro, stimatissimo sig. Busoni, sento che Ella è a Zurigo, che ha scritto un articolo sulla pace, che dunque la guerra La affligge: debbo quindi scriverLe subito.
Questa guerra ci fa soffrire orribilmente. Ha interrotto tante relazioni intime con persone di prim'ordine. Ha confiscato metà dei miei pensieri e mi ha mostrato che, se non posso continuare ad esistere con la metà che mi rimane, non posso farlo nemmeno con quella confiscata.
Per favore mi mandi il Suo articolo sulla pace e mi dia Sue notizie. Se fosse permesso a noi due e a persone simili a noi di tutti i paesi di radunarci e deliberare sulla pace, la regaleremmo al mondo entro una settimana e in più mille idee che basterebbero per una mezza eternità, per una pace più o meno eterna.
(27)

La critica incondizionata di Busoni alla distruzione apportata dagli uomini mediante le macchine e la guerra è un tratto significativo che completa il ritratto della sua personalità. Alla altissima competenza nel campo della composizione, per non parlare di quella del pianista, e a una vastissima prospettiva artistica si accompagna il rifiuto dei processi e delle «costellazioni» che deformano l'uomo e la società, un rifiuto ispirato a una concezione ideale di umanità. Pertanto non può meravigliare che Leo Kestenberg, suo amico e allievo, presidente, quale convinto socialista, del dipartimento per la musica del Ministero delle scienze, arti ed educazioni dal 1918, proponesse e poi nominasse nel 1920 Busoni direttore della classe superiore di composizione all'Accademia di Stato delle arti (28).
A questo proposito Kestenberg scrive nella sua autobiografia:

La nomina di Busoni a direttore di una dasse superiore di composizione musicale presso l'Accademia delle arti di Berlino nel 1920, mi riempie ancor oggi di straordinaria soddisfazione, perché, seppure i miei oppositori e nemici l'abbiano attaccata dapprincipio come una «protezione» dovuta alla carica ufficiale ricoperta dall'amico e allievo del Maestro, questa nomina si risolse in un grande successo; infatti nell'insegnamento della composizione Busoni si dedicò con tutto il suo fervore e con tutta l'anima ai suoi allievi mantenendo anche al di fuori della scuola i più cordiali e vivaci contatti con loro, cosa che ebbe un'eco estremamente favorevole nel mondo musicale. Tra i suoi allievi che hanno conquistato fama internazionale citerò qui solo Philipp Jarnach, Wladimir Vogel e Kurt Weill. A Jarnach toccò poi il compito di grande responsabillià di portar a termine l'ultima opera di Busoni, il Doktor Faust, rimasta incompiuta per la sua morte (29).

Chi era e quali scopi perseguiva Leo Kestenberg? Franz Beidler, nipote di Richard Wagner, per 6 anni collaboratore di Kestenberg, lo descrive come una «personalità... caratterizzata da un mirabile equilibrio di energia, intelligenza e doti artistiche. Inoltre da una ricchezza, compiutezza e unità spirituale che lo facevano un uomo raro e meraviglioso; e, ancora, dotato di un incredibile dominio e controllo di se stesso». Il suo pensiero di ispirava a un'idea di fondo a volte riformistica, a volte rivoluzionaria. Naturalmente, come allievo e segretario di Busoni, Kestenberg conosceva bene «le sue aspirazioni a una riforma musicale» e cercò di realizzarle. Del resto, in questo modo, si ricollegava strettamente alle intenzioni di riforma musicale di Liszt nel sec. XIX. Kestenberg era «socialista per convinzione profonda» e, in quanto tale, era compenetrato della missione culturale del socialismo. Questa aveva due facce: 1) L'arte per il popolo, vale a dire per un popolo inteso come società senza classi e 2) «Educazione all'umanità con e per mezzo della musica» (30).
Queste osservazioni di Beidler sottolineano e commentano le parole di Carl Heinrich Becker, che fu per lunghi anni il superiore di Kestenberg, nonché segretario di stato e poi ministro delle scienze, arti ed educazione; già nel 1930 egli concludeva la sua lettera d'augurio per il 50º compleanno di Kestenberg con queste parole: «In tutta la Sua attività Le è stato e Le sta davanti agli occhi un ideale educativo molto preciso, quello che Ella ha conosciuto nella vita e nell'insegnamento del Suo maestro Busoni...: educazione all'umanità con e per mezzo della musica» (31).
Non si esagera certo se si definisce Kestenberg una personalità in possesso di una capacità eccezionale di comprendere quali fossero le possibilità del suo tempo e di sfruttarle; ma, al tempo stesso, in grado di spingere lo sguardo e il pensiero al di là di esse, utopicamente. Per suo mezzo lo spirito dell'utopia busoniana divenne politica culturale: come risulta anche, e non da ultimo, dalla nomina di Schönberg, dopo la morte di Busoni nel 1924, a suo successore e da quella di Franz Schreker a direttore della Scuola superiore di musica.

Questa volontà fondamentale di guardare al futuro sta al centro dell'utopia busoniana. È lecito parlare di utopia busoniana, perché tutti i caratteri che vi erano riuniti si rivolgevano a qualcosa che andava molto al di là della coscienza del tempo: anzi, la mèta stava al di là dell'orizzonte che lo stesso Busoni poteva vedere. E infine, l'utopia di Busoni conteneva una contraddizione, un conflitto interno che rendeva impossibile, ad ogni modo a Busoni stesso, la realizzazione che egli ne vagheggiava.
L'utopia di Busoni non è unidimensionale, non si può ridurre semplicemente a un comune denominatore. Essa collega una componente estetico-compositiva - che è l'idea iniziale, - cioè l'invito a liberare la musica da tutti i vincoli formali e tonali, con l'idea formulata molto più tardi - di una nuova classicità, cioè dell'integrazione di tutte le esperienze precedenti in una nuova unità puramente musicale.
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Questi due aspetti convergono nell'idea di una musica genuina, ancora da raggiungere: l'idea della vera musica. Busoni pensava all'opera come alla forma più alta, esigendo un'opera che fosse il «Gesamtkunstwerk 'musicale', in opposizione al Gesamtkunstwerk, di Bayreuth» (32). Quest'opera avrebbe dovuto presentarsi sotto una specie di mondo illusorio e non avrebbe dovuto coinvolgere il pubblico, e rivolgersi al sentimento privato delle persone singole: avrebbe dovuto portarle invece a una «ricezione spirituale». Proprio questo tipo di musica, questa forma d'opera di altissimo livello artistico, esigeva però - e da qui prendono le mosse i tentativi di Kestenberg - un'esistenza umana elevata per mezzo dell'educazione e plasmata secondo principi spirituali, estetici e morali. Tale mèta non era raggiungibile in un periodo di pochi anni: la crisi è infine la chiusura della Krolloper nel 1931 dovevano dimostrarlo.
Busoni delineò questa problematica già nell'Abbozzo di una nuova estetica della musica: «Stando a queste premesse, un futuro per l'Opera si può concepire benissimo. Ma temo che l'ostacolo-primo e più duro l'opporrà il pubblico stesso. Di fronte al teatro le sue disposizioni, mi sembra, sono addirittura criminali: si può pensare che i più esigano dalla scena una forte emozione realistica, proprio perché sifatte emozioni mancano alla loro mediocre esistenza; certo anche perché il coraggio vien loro meno di fronte a quei conflitti cui aspirerebbero. E la scena offre al pubblico questi conflitti senza i pericoli concomitanti e le cattive conseguenze, senza comprometterlo e soprattutto senza affaticarlo. Perché il pubblico non sa e non vuol sapere che chi vuol accogliere in sé un'opera d'arte deve fare metà del lavorò lui stesso» (33).
L'atteggiamento critico di Busoni nei confronti del pubblico era dunque in funzione del suo pensiero e della sua attività di compositore, vòlti verso il futuro, anticipatori. Su questo sfondo, i concerti berlinesi di Busoni tra il 1902 e il 1909 appaiono non soltanto un aprire l'attività concertistica al nuovo e offrirgli l'occasione di manifestarsi, ma anche un'impresa - certo faticosa e di lunga durata - vòlta ad abituare e possibilmente educare il pubblico; e i concerti ripresi nel 1920 e 1921, dopo la sua nomina a Berlino, e dedicati a musiche sue, devono venir intesi come una continuazione degli sforzi precedenti. Ma si trattò insieme di un passo avanti e di una concentrazione: infatti Busoni si limitò ad eseguire opere proprie, a meno che non si presentasse come pianista in musiche di Mozart e di Beethoven. Le composizioni di Busoni non incontrarono affatto un successo unanime. I tre concerti del gennaio 1921, organizzati dall'«Anbruch», furono affiancati da un discorso di Oskar Bies sulla figura di Busoni. Ma proprio le esposizioni di Bies provocarono lo scherno dei critici, a spese di Busoni. Così si legge nella «Vossische Zeitung»:

Tra il primo e il secondo concerto del ciclo busoniano organizzato dall'«Anbruch», Oskar Bies, sempre per incarico dell'«Anbruch», ha parlato della figura di Busoni. Egli rifiuta un giudizio definitivo e tenta piuttosto di penetrare a fondo nell'essenza umana della personalità leggendaria del Maestro. Tutto quel che scaturisce da tale essenza è, per lui, significativo e importante soltanto come espressione di un uomo che vuoi raggiungere quanto c'è di più alto. Le interessanti esposizioni dell'oratore non ci spiegano l'origine della leggenda che si è formata intorno a Busoni, e la leggenda non trova alcuna giustificazione. Per il momento dobbiamo accontentarci di vedere in Busoni l'uomo che vuol raggiungere quanto c'è di più alto. (34)

È con questo tono ironico che la recensione liquida anche i seguaci del Maestro, portando ad esempio il modello di un giovane frequentatore di concerti ricalcato su E.T.A. Hoffmann. Le composizioni invece vengono poste a confronto con quelle di Johann Strauss e Richard Strauss e giudicate poco convincenti. Dei due pezzi del Doktor Faust - Sarabande e Cortège - infine è detto: «I due studi per il 'Faust'... rivelano lo spirito sublime dell'autore nelle linee e nei colori, le sue bramosie secessionistiche, le sue aspirazioni avveniristiche; ma hanno un che di vago, a causa della debolezza delle idee, che è proprio una caratteristica della produzione busoniana» (35).
Intanto, dunque, si prendeva atto del modo di comporre di Busoni teso verso il futuro; ma, come sempre avviene quando c'è di mezzo l'incomprensione per tutto ciò che è insolito e utopico in arte, lo si riduceva al comune denominatore dell'intellettualismo, poco vitale al confronto della vera musicalità.
Le voci di incomprensioni e di rifiuto continuarono a farsi sentire anche nei confronti delle altre opere di Busoni eseguite a Berlino fino alla sua morte. Ciò vale soprattutto per Turandot
e Arlecchino, le cui prime rappresentazioni berlinesi ebbero luogo nel maggio 1921 (36). Ma ci furono anche voci positive, a dimostrazione di quanto le opinioni differissero. Così nei «Musikblätter des 'Anbruch'» Arlecchino fu posto in risalto come «spiritosa presa in giro dell'opera del giorno d'oggi» (37), e la rappresentazione alla Staatsoper ottenne grandi elogi per l'eccellente lavoro svolto da Kleiber. In realtà non si può non vedere il rapporto esistente tra l'Arlecchino, che realizza con particolare virtuosismo il principio busoniano dello «specchio deformante», e le musiche di Weill sui testi di Brecht: basti pensare alla Dreigroschenoper. Con il rifacimento e l'attualizzazione della Beggar's opera di Gay e Pepusch, Weill fa entrare in gioco un elemento di parodia operistica; accentuando certi moduli ritmici e interrompendo l'andamento melodico col parlato, impiega forme chiuse, concentrate in scene, e la cosiddetta «fragilità semitonale» (38), elementi che si trovano già in Busoni. Con la sua voluta presa di distanza delle passioni romantiche, Busoni esercitò un'influenza anche sulla corrente che si usa definire «neo-oggettiva».
Eppure, anche e proprio in questo campo Busoni mantiene la sua indipendenza: evitando del tutto i riferimenti all'attualità, che ridussero numerose composizioni degli anni '20 a «opere del giorno». E questo è certamente uno dei motivi per cui le su opere furono rappresentate rarissimamente negli anni '20, anche a Berlino (39). Le opere di Busoni possono venir riferite a problemi attuali solo per la loro tematica fondamentale, ma restano staccate dal fuggevole avvenimento del giorno.
Tanto più colpisce perciò che si possano trovare corrispondenze a un livello superiore. Non può sfuggire, infatti, che nei programmi della Krolloper, costituiti da una molteplicità di nuove composizioni di Stravinskij, Krenek, Hindemith, Milhaud, Schönberg e Janácek da un lato e da opere di repertorio, persino da operette, dall'altro, si delinei proprio un disegno che rispecchia il concetto determinante della «nuova classicità» busoniana: la possibilità di estrarre dal complesso delle tendenze storiche un qualcosa di nuovo che oltrepassa. E anche lo stile esecutivo della Krolloper dà l'impressione di essere un riflesso - seppur certamente non pilotato - dell'estetica busoniana. Le interpretazioni di Klemperer alla Krolloper erano indiscutibilmente centrate sul carattere musicale; ma al tempo stesso egli praticava un modo di far musica «oggettivo», cioè un modo di far musica che, pur nella sua intensività, rimaneva controllato e privilegiava la tensione formale (40). Programmi e stile esecutivo della Krolloper corrispondevano dunque a determinati elementi dell'utopia busoniana; e non è certo un caso che uno degli scenografi più importanti della Krolloper fosse Ewald Dülberg, amico di Busoni.
Ci si potrebbe domandare quanto la morte prematura di Busoni abbia arginato e rallentato l'influenza e la diffusione della sua musica. Egli non poté più sfruttare possibilità quali quelle che venivano offerte dai «Donaueschinger Musiktage». Ma, soprattutto, la sua ultima e «vera e propria» opera, il Doktor Faust, rimase incompiuta. La prima assoluta a Dresda dovette essere rimandata; le critiche all'opera non poterono venir controbattute. La prima berlinese, diretta da Leo Blech il 27 ottobre 1927, quarto e splendido allestimento dopo Dresda, Amburgo e Francoforte, si avvalse di una straordinaria compagnia di canto; ma nel pubblico suscitò soltanto una «moderata ammirazione» per «la spiritualità contenuta in quest'opeta di un nobile artista». Accanto a questa notizia di stampa si fecero sentire però anche voci positive: si parla ora di «ammirazione per la ricchezza artistica» e di «amore per un uomo che cercò e trovò nuove forme di espressione in una lotta solitaria riuscendo ad esercitare un influsso decisivo sullo sviluppo della nostra arte contemporanea» (41). Ma queste sorprendenti affermazioni vengono subito ridimensionate. Si osserva che lungaggini e parti fiacche smorzano il puro piacere artistico, di modo che la debolezza del libretto, il fatto che «non si tratta di un dramma in sé», non può venir compensata (42). Questa recensione dimostra che, prendendo a metro di giudizio il dramma «vero», il critico usa proprio quel criterio che Busoni aveva rifiutato e dichiarato inadatto alla ricezione della sua opera nel saggio Sulle possibilità dell'Opera (43).
Una simile critica colpiva indubbiamente anche le idee espresse da Busoni nel 1923 (secondo quel che riferisce al suo allievo Wladimir Vogel) sulla fuga intesa come principio e non come forma stabilita una volta per tutte (44). Secondo questa concezione funzionale il principio della fuga si rivela elemento della «nuova classicità». Nel suo saggio Busonis 'Faust' und die Erneuerung der Opernform Kurt Weill ha inteso e analizzato in questo senso la polifonia di Busoni, cioè come «inserimento... in una... forma creata dallo spirito del nostro tempo» (45). Egli fa notare che nel Faust di Busoni la polifonia non è scopo a se stessa, bensì forma appropriata al contenuto latente. Così «la musica di Busoni diventa puramente polifonica ogniqualvolta il pensiero faustiano si porta in primo piano...» (46).
I problemi dell'efficacia teatrale che scaturiscono dal principio della «nuova classicità» e dal concetto dell'assoluta preminenza della musica nell'opera dimostrano che - al di là dei riferimenti biografici del soggetto - il Doktor Faust è un prodotto dell'utopia. Esso sta a dimostrare, però, che nella sua attività creativa Busoni travalica decisamente gli anni '20.
In fondo, l'idea della «nuova classicità» va ancora oltre, oltre a ciò che Busoni, evidentemente, vide o volle vedere. Al cospetto del procedere della produzione sua propria e altrui, «il vaglio e lo sfruttamento di tutte le conquiste di esperienze precedenti» (47) appare un principio generatore la cui mèta, in sostanza, non è determinabile. Viene qui alla luce una concezione del materiale completamente diversa da quella di Schönberg: le note di Schönberg all'Abbozzo di una nuova estetica della musica di Busoni lo dimostrano chiaramente. Schönberg rifiutava l'ampliamento busoniano del materiale musicale mediante la divisione della scala cromatica in terzi e sesti di tono e la produzione di un ventaglio di scale: le 113 scale al posto delle usuali 24. A differenza di Busoni, che mirava a un ampliamento del materiale disponibile, Schönberg era interessato a uno sfruttamento più intenso del materiale esistente per mezzo di nuovi e ulteriori modi di sfoggiare la melodia e il suono, e mediante strutture compositive più complesse.
Così si spiega anche la discrepanza, continuamente osservata e criticata, tra idee e realizzazione nell'opera di Busoni. Il suo articolo Relazione sui terzi di tono, scritto per «Melos» nel 1922, mostra che egli era cosciente di questo problema; ma rifiutava una forzatura precipitosa del progresso (48). Certe forme di impiego della bitonalità quali si trovano nella Sonatina seconda, studio per il Doktor Faust, nell'opera stessa e nelle Elegie mostrano fino qual punto Busoni tendesse nelle sue composizioni a un superamento dei confini del sistema tonale. Così alla fine della sesta Elegia, intitolata Erscheinung, le sovrapposizioni cromatiche.
È un cromatismo che si spinge già oltre i limiti del cromatismo esistente. L'utopia di Busoni è ancorata alla sua concezione del materiale musicale. Ma a guardar meglio, ci si accorge che la sua idea di materiale musicale è bivalente, divisa in se stessa. L'un aspetto, la vasta fusione «di tutte le conquiste di esperienze precedenti», cioè la «nuova classicità», e l'altro, l'ampliamento fisico-acustico dei suoni, si contrappongono più che associarsi e favorirsi reciprocamente. Busoni si era proposto il compito veramente faustiano di amalgamare i due ambiti del materiale in vista di un futuro che l'operazione stessa avrebbe determinato. Busoni non voleva «negare e cancellare», ma integrare in modo completo: quindi a passo a passo e in uno sviluppo continuo. La realizzazione dei compiti e la risoluzione dei problemi compositivi a ciò collegati sorpassavano le possibilità esistenti al suo tempo: si trovavano, per lui, nella terra di nessuno della storia. Soltanto il nostro tempo può vedere più oltre e mostrare quanto lontano arrivasse realmente la sua idea, proiettata verso uno stadio della composizione allora inesistente. Edgar Varèse, che conobbe Busoni nel 1908 a Berlino, ha avuto una parte essenziale nella soluzione storica dell'utopia busoniana. Egli lo ha per così dire documentato in una lezione al Sarah Lawrence College:

In quegli anni della mia formazione ho avuto la fortuna di far amicizia con Busoni... Ho incontrato Busoni quando vivevo a Berlino, prima della prima guerra mondiale. Conoscevo già bene il suo notevole libro Abbozzo di una nuova estetica della musica, che rappresentò un'ulteriore pietra miliare nel mio sviluppo musicale. Immaginatevi la mia eccitazione nel leggere le seguenti parole: 'La musica è nata libera e divenir libera è il suo destino'. Fino ad allora avevo creduto che nessuno all'infuori di me sostenesse tale teoria. Quando mostrai le mie partiture a Busoni, egli ne fu subito interessato e tra noi si stabilì un'amicizia nonostante la grande differenza di età... Sebbene su molte questioni connesse con l'arte le nostre opinioni fossero radicalmente diverse, sono convinto che quelle lunghe conversazioni con Busoni, durante le quali mi si aprivano a poco a poco nuovi orizzonti, mi abbiano aiutato ad arrivare a una cristallizzazione delle mie idee e abbiano rafforzato il mio convincimento che bisognava trovare nuovi mezzi per liberare il suono dai vincoli del sistema temperato. Questi mezzi dovevano darmi la possibilità di realizzare il mio concetto di ritmo quale elemento di stabilizzazione e di raggiungere una simultaneità di metri privi di relazioni reciproche. (49)

Riassumendo, Busoni era una persona di larghe vedute, generosa e di grande apertura mentale verso le cose del mondo, cose di cui nel corso della sua vita poté farsi una visione sempre più vasta e integrale, fino a trasformarle in lungimiranza: una lungimiranza caratterizzata dalla tolleranza, la quale a sua volta non mancava di senso critico. Berlino fu per lui un luogo d'attrito, e il calore generato dall'attrito Busoni lo spandeva intorno a sé; ma ne era anche investito di ritorno: si creò così un clima favorevole allo sviluppo, mai però un clima di serra. Anche la peculiarità della sua concezione del materiale affonda le radici nella vastità dei suoi orizzonti. Busoni era ben lontano dal voler creare sistemi. La sua non era una di quelle menti che amano trapanare, che ambiscono a sistemizzare, a creare una scuola e un proselitismo incondizionato, come quella di Schönberg. Non avrebbe mai potuto scrivere un articolo come Brahms il progressista. Le «tendenze del materiale» - per usare un termine di Adorno - non erano per lui un oggetto: il serbatoio della storia aveva maggiore rilevanza che non una data tendenza dichiarata convincente. Naturalmente anche Schönberg accolse vari aspetti di quel che la storia gli metteva a disposizione - si pensi, se non altro, al collegamento di Brahms e Wagner operato dal giovane Schönberg -, ma lo proiettò su un piano preciso dal punto di vista strutturale. Schönberg poté percorrere la sua strada fino alla fine. Busoni morì proprio nel momento in cui la prima grande opera di integrazione di un vasto materiale storicamente raccolto e acusticamente avanzato (si pensi alle parti bitonali del Doktor Faust) stava per essere conclusa: un momento in cui cominciavano a crescere le prime «culture» potenziate dal punto di vista cromatico. Pensiamo un momento: se Schönberg fosse morto per esempio nel 1917, che cosa sarebbe rimasto di lui di portata storica? Sapremmo quel che sappiamo oggi della dodecafonia e della composizione seriale?
Di Busoni è comunque rimasta un'idea, già inizialmente di vasta portata, della musica del futuro, e un avvio di costruzione di questa; ed è rimasto uno studio sperimentale sui terzi di tono, sistemato per metà. È significativo che un uomo come Varèse vi si sia riferito. Varèse, un nome che evoca l'intero contesto della musica elettronica, della «liberazione» del suono e illumina il concetto della musica che si libra, libera, nello spazio.

(Traduzione di Laura Dallapiccola)

(*) Ringrazio sentitamente Helga v. Kugelgen per la revisione del manoscritto e per la raccolta di importante materiale dalle fonti.

(1) La formula è di solito: Busoni «precursore» del neoclassicismo (cfr. HERMANN DANUSER, Die Musik des 20. Jahrhunderts [= Neues Handbuch der Musikwissenschaft, vol. 7], a cura di Carl Dahlhaus, Laaber 1984, pag. 92). Anche Peter Heyworth definisce Busoni «a harbinger of the neoclassicism» (cfr. HAYWORT, Otto Klemperer: His Life and Times, 1885-1933, vol. 1, Cambridge 1983, pag. 126, nota). In realtà Busoni stesso era tutt'altro che un neoclassico. Il concetto di nuova (o giovane) classicità era collegato con l'integrazione di «tutte le conquiste di esperienze precedenti», anche di quelle «degli inizi del sec. XX». Il «nuovo» non si otteneva, secondo Busoni, abbattendo quanto esiste, bensì superando la modernità quotidiana mediante la fusione di tutte - si badi bene - le «esperienze» in un qualcosa di definitivo che ha da venire. Al posto della modernità «di moda» si affacciava l'idea di una modernità duratura nel tempo. Ma nella pratica compositiva ciò poteva esser raggiunto solo difficilmente - seppur poteva esserlo - e solo nel corso di un lungo cammino e con l'accumularsi di spinte integrative, certamente non in un'opera sola (Doktor Faust!).

(2) FERRUCCIO BUSONI, Entwurf einer neuen Ästhetik der Tonkunst, Trieste 1907,

Lipsia, 1910; accresciuta: Lipsia 1916 (Abbozzo di mia nuova estetica della musica, in F. B., Lo sguardo lieto, Milano 1977).

(3) HANS PFITZNER, Futuristengefahr, [Bei Gelegenheit von Busonis Ästhetik], Lipsia/Monaco, 1921, p. 47. (Pericolo futurista [A proposito dell'estetica di Busoni]) in: SERGIO SABLICH, Busoni, Torino 1982, pp. 299-300.

(4) Anche Richard Strauss eseguì musica moderna a Berlino, per es. nell'inverno 1902-1903 (cfr. H.H. STUCKENSCHMIDT, Schönberg. Leben-Umwelt-Werk, Zurigo/Friburgo 1974, pag. 56). In quel tempo Strauss mostrò anche grande interesse per Schönberg (cfr. STUCKENSCHMIDT, pp. 57-60). Ma non ebbe il coraggio di eseguire gli Orchesterstücke op. 16 (cfr. STUCKENSCHMIDT, p. 65 sg.).

(5) Vi furono eseguiti tra l'altro lavori di Bartók, Delius, Sibelius e di Busoni stesso. (Cfr. tra l'altro The New Grove, 3, Londra 1980, p. 509).

(6) LEO KESTENBERG, Bewegte Zeiten. Musisch-musikantische Lebens Erinnerungen, Wolfenbättel/Zurigo 1961, p. 24. Vedi anche l'elenco dei programmi in EDWARD J. DENT, Ferruccio Busoni. A Biography, Londra 1933 (ristampa 1974), p. 332-336. Ci si potrebbe domandare se l'«Associazione per esecuzioni private di opere musicali» non possa aver tratto ispirazione da questi concerti busoniani, a cui Schönberg dovrebbe aver assistito in parte durante il suo primo soggiorno a Berlino nel 1901-1903. (Cfr. in proposito anche il progetto di fondazione dell'«Associazione di musicisti creatori» del 1904 [Cfr. STUCKENSCHMIDT - v. nota 4 - p. 62]).

(7) Cfr. DENT, (v. nota 6), pag. 333.

(8) Cfr. JÜRGEN KINDERMANN,
Thematisch-chronologisches Verzeichnis der Werke von Ferruccio Busoni (= Studien zur Musikgeschichte des 19. Jahrhunderts, vol. 19), Regensburg 1980, p. 224 ss.

(9) Cfr. DENT, (v. nota 6), p. 135.

(10) Citazione, tradotta dal testo di DENT (v. nota 6), p. 135.

(11) Cfr. STUCKENSCHMIDT, (v. nota 4), p. 56. Cfr. anche: Briefwechsel zwischen Arnold Schönberg und Ferruccio Busoni 1903-1919 (1927) a cura di Jutta Theurich, in: «Beiträge zur Musikwissenschaft», 19 (1977), p. 163 sg., 205 (note 1, 3).

(12) Le successive esperienze di Busoni con il suo Concerto per pianoforte, non poterono che accentuare questi problemi: seppur hanno avuto un peso nel caso di Pelleas und Melisande.

(13) Cfr. DENT, (v. nota 6), p. 333, inoltre THEURICH, (v. nota 11), p. 164, 205 [nota 4].

(14) Cfr. THEURICH (v. nota 11), p. 164. Certo però un ulteriore ostacolo era costituito dall'organico orchestrale estremamente vasto. (Cfr. THEURICH, p. 205 [nota 3]).

(15) La lettera di Busoni era stata preceduta da una in cui Schönberg lo pregava di eseguire i due Klavierstücke (cfr. Theurich [v. nota 11], p. 164). Il terzo Klavierstück, dell'op. 11 fu portato a termine soltanto il 7 agosto 1909 (cfr. JOSEF RUFER, Das Werk Arnold Schönberg, Kassel 1959, p. 10).

(16) Cfr. THEURICH, (v. nota 11), p. 166.

(17) Cfr. THEURICH (v. nota 11), p. 166.

(18) Cfr. THEURICH (v. nota 11), p. 166.

(19) Cfr. STUCKENSCHMIDT (v. nota 4), p. 204.

(20) ARNOLD SCHÖNBERG, Gedenkaustellung 1974, Vienna 1974, p. 229.

(21) Cfr. THEURICH (v. nota 11), p. 200 sg.

(21 a) Questa esecuzione ebbe luogo il 17 giungo 1913; per prepararla furono fatte 29 prove (cfr. THEURICH [v. nota 11], p. 197, 210 [nota 124]).

(22) Cfr. THEURICH (v. nota 11), p. 178. Nel suo saggio Schönberg and Busoni: Aspect of Their Relationship («Journal of the Arnold Schönberg Institute», VII [1983], pp. 7-27) Daniel M. Rässeler tenta di individuare con maggior precisione i fattori di attrazione e di avversione nel rapporto tra Busoni e Schönberg. Inoltre bisogna tener sempre conto che, trattandosi di uomini dalla personalità tanto pronunciata, si deve attribuire un valore particolarmente alto agli elementi positivi del giudizio.

(23) Cfr. ARNOLD SCHÖNBERG, Berliner Tagebuch. Con un «Hommage à Schönberg» del curatore Josef Rufer, Francoforte s.Meno 1974, p. 16.

(24) Cfr. A. SCHÖNBERG, Berliner Tagebuch (v. nota 23), p. 9.

(25) Cfr. STUCKENSCHMIDT, (v. nota 4), p. 204. A Schönberg piacevano soprattutto le 6 Elegie (di Busoni), che Eduard Steuermann suonò per la prima volta il 2.3.1919 e poi di nuovo all'«Associazione per esecuzioni private di opere musicali» (cfr. THEURICH [v. nota 11], p. 197; inoltre: Schönbergs Verein für musikalische Privataufführungen [«Musik-Konsepte», 36], a cura di Heinz-Klaus Metzger e Rainer Riehn, Monaco 1964, pp. 102-111).

(26) F. BUSONI, Briefe an seiner Frau, a cura di Friedrich Schnapp, Erlenbach-Zurigo/Lipsia 1935, p. 317. (F.B., Lettere alla moglie, Milano 1955, pp. 242-243).

(27) THEURICH (v. nota 11), p. 194 sg.

(28) STUCKENSCHMIDT, Bewegte Zeiten, (v. nota 6), p. 52.

(29) STUCKENSCHMIDT, Bewegte Zeiten (v. nota 6), p. 53.

(30) HANS CURJEL, Experiment Krolloper 1927-1931. [Aus dem Nachlass herausgegeben von Eigel Kruttge], Monaco 1975 (= «Studien zur Kunst des 19. Jahrhunderts», vol. 7), p. 17 sg.

(31) HANS CURJEL, Experiment Krolloper (v. nota 30), p. 214; anche: KESTENBERG, Bewegte Zeiten (v. nota 6), p. 78 sg.

(32) F. BUSONI, Wesen and Einheit der Musik, Berlin-Halensee/Wunsiedel 1956, p. 17. (F.B., Lo sguardo lieto, Milano 1977, p. 121).

(33) F. BUSONI, Entwurf einer neuen Ästhetik der Tonkunst, Wiesbaden 1954, p. 21 sg. (In: F.B., Lo sguardo lieto, cit., p. 50).

(34) «Vossische Zeitung» dei 26.1.1921 (ediz. del mattino; recensore Max Marschalk).

(35) V. nota 34.

(36) «Vossische Zeitung» del 20.5.1921 (ediz. del mattino; recensore «M. M.»

(37) Cfr. CURJEL, Experiment Krolloper (v. nota 30), p. 187.

(38) Cfr. GOTTFRIED WAGNER, Weill und Brecht. Das musikalische Zeittheater, Monaco 1977, p. 50 sg.

(39) Nel 1926 fu rappresentata la Sposa sorteggiata.

(40) Cfr. CURJEL, Experiment Krolloper (v. nota 30), p. 41 sg.

(41) «Vossische Zeitung» del 28.10.1927 (Pagina degli spettacoli; recensore «M. M.»

(42) Vedi nota 41.

(43) F. BUSONI, Über die Möglichkeiten der Oper und über die Partitur des 'Doktor Faust', Wiesbaden 1967, p. 14 sg. (In: F.B., Lo sguardo lieto, cit., p. 121 sg.).

(44) Pubblicato in: F. BUSONI, Wesen and Einheit der Musik (v. nota 32) p. 69. (F.B., Un testamento. Comunicate da Vladimir Vogel, in: F.B. Scritti e pensieri sulla musica, Milano 1954, p. 119 sg.).

(45) F. BUSONI, Wesen and Einheit der Musik (v. nota 32), p. 70 (F.B., Scritti e pensieri sulla musica, cit., p. 120).

(46) KURT WEILL, Ausgewälte Schriften, Francoforte s. Meno 1975, p. 33.

(47) F. BUSONI, Wesen and Einheit der Musik (v. nota 32), p. 35. (F.B., Lo sguardo lieto cit., p. 113). A questo proposito è anche interessante notare che Busoni, da parte sua, vedeva nei Klavierstücke op. 11 di Schönberg un passo importante verso quella meta lontana a cui puntava nel suo Abbozzo di una nuova estetica della musica. Nella prefazione pubblicata solo parzialmente alla sua rielaborazione dell'op. 11 di Schönberg Busoni scriveva: «In un libriccino che si propone di promuovere una maggior ampiezza di vedute si trova la frase: 'caleidoscopio dove, nella camera a tre specchi del gusto, della sensibilità e dell'intenzione, vengono agitati alla rinfusa dodici semitoni: ecco l'essenza dell'odierna armonia'. L'idea espressa in questa frase è realizzata - forse per la prima volta - nel pezzo per pianoforte di Schönberg; il concetto di un modo maggiore e di un modo minore e delle loro 12 trasposizioni vi è cancellato. Il curatore [cioè Busoni] ha visto in questa composizione il punto di partenza di una musica futura.»

(48) F. BUSONI, Wesen and Einheit der Musik (v. nota 32), p. 46 sg. (F.B., Lo sguardo lieto, cit., p. 137 sg.).

(49) EDGAR VARÈSE, Spatiale Musik, pubblicato in: Edgar Varèse. Rückblick auf die Zukunft ( «Musik-Konzepte», 6), a cura di H.K. Metzger a R. Riehn, Monaco 1978, p. 20 sg.


[A] Cfr. DUE LETTERE DI BUSONI A KESTENBERG E UN ALLEGATO DI KESTENBERG SUL THEATER AM BÜLOWPLATZ - BUSONI NEI RICORDI DI LEO KESTENBERG

[C] [...] Chi conosce la biografia di Busoni sa che egli aveva anche rapporti personali con Cassirer [l'editore berlinese], risalenti ad anni precedenti la guerra, quando l'editore pubblicava la rivista «Pan»; questi rapporti furono ripresi durante gli anni dell'esilio svizzero. Il personaggio più importante, colui che determinava la linea seguita dall'editore, era Leo Kestenberg; egli va associato a Busoni sotto un duplice aspetto: il Kestenberg musicista, allievo di Busoni, e il Kestenberg esperto di politica culturale, il socialdemocratico indipendente, nominato direttore generale per la musica al Ministero. Fu lui che fece chiamare Busoni a dirigere un corso superiore di composizione alla Accademia statale di belle arti di Berlino. Tra gli autori della casa editrice Cassirer sono da ricordare anzitutto Ernst Barlach, Else Lasker-Schüler, Walter Hasenclever, per gli anni 1918-1923 il già menzionato René Schickele, i cui «Weisse Blätter» uscirono presso Cassirer nel 1919 e nel 1920. Anche qui dunque grandi figure della letteratura, soprattutto Barlach e Else Lasker-Schüler, che ebbero parte attiva nel rinnovamento della lingua letteraria e della forza espressiva. Essi erano contemporanei della generazione dei poeti più giovani e ribelli (i quali, a dire il vero, non erano di casa da Cassirer), ma lo erano solo per un certo verso. Artisti di questa generazione più anziana, che avevano dato la spinta decisiva alla secessione dal gusto e dalla pratica artistica dominanti, continuarono su questa loro linea con maggior ampiezza e profondità nei decenni successivi, ma sempre sotto il segno di quella concezione fondamentale che attribuisce all'arte una funzione liberatoria: concezione a cui corrispondono modi di pensare mitici e un'arte stilizzata. Quando, prendendo un nuovo avvio intorno al 1910 circa, autori della giovane generazione si sentono incoraggiati nei propri intenti da precursori come Else Lasker-Schüler (oppure da Busoni, come abbiamo visto in Rubiner, oppure - lo domando ai musicologi - Schönberg da Busoni?), li sentono contemporanei e fondano su questa base un sodalizio ideale, hanno ragione di farlo; ma trascurano, con un parziale fraintendimento, l'esistenza di specifici punti di partenza nella concezione del mondo e nell'estetica.

[3] Analisi musicale e Filosofia di Marco de Natale