"L'ultimo quadro è il più arduo da valutare e analizzare. Pesano su di esso non soltanto l'incompiutezza del finale, ma anche le difficoltà obiettive e l'ansia angosciosa degli ultimi, travagliati mesi della vita di Busoni. L'arco musicale soffre di un certo allentamento della tensione, forse intenzionale in previsione dell'ultima, impervia salita, forse dovuto a cause meramente esterne, accidentali. Non mancano però i momenti di grazia, nella prima metà: la poesia delicatissima e trasfigurata della notte preparata dal suono del corno fuori scena e dal canto del Guardiano notturno (qui come nella successiva minibaruffa fra gli studenti, messi in fuga - anche metaforicamente, dato che Busoni si serve di un animatissimo fugato - dalla voce del Guardiano notturno, incombe l'ombra dei Maestri cantori wagneriani); la variopinta scena della 'Serenata in tempo di Minuetto', quasi una spensierata arlecchinata che venga a rischiarare la spettrale atmosfera di una notte d'incubi (e Busoni sembra citare se stesso quando appaiono i vocalizzi di Arlecchino accompagnati dagli archi pizzicati e da una voce sola di tenore a far da guida); e su tutto il lunare passaggio orchestrale, di rarefatto lucore diatonico, che precede l'entrata di Faust e il canto soffocato, struggente e ammonitore insieme, del coro in chiesa. Le apparizioni della Duchessa e del soldato armato sono sostenute da reminiscenze tematiche cariche di mistero e di nuove, fortissime attese: un addensarsi delle tensioni drammatiche che va a sfociare, come una piena inarrestabile e travolgente, nel grande monologo di Faust, punto cruciale nella parabola ascendente che porta alla soluzione mistica e soprannaturale del finale. Qui Busoni s'interruppe e subentro Jarnach, come sappiamo. Certo è che questo finale non doveva ricalcare spunti e mezzi compositivi usuali, come quelli già precedentemente sfruttati nell'opera, bensì costituire un unicum, il vero, compiuto superamento di tutte le tensioni accumulate nell'opera e, forse, più in generale, di tutto quanto Busoni aveva fino ad allora concepito e scritto. Gli occorreva una nuova 'trovata', un'illuminazione folgorante, un'idea musicale assoluta: forse un'idea melodica, forse un simbolo armonico che sanzionasse il ritorno allo stato originario dopo il sacrificio e la trasfigurazione di Faust nell'adolescente nudo che raccoglie la sua dolorosa eredità. E' interessante rilevare, sulla base degli appunti lasciati da Busoni, come il finale dovesse tendere verso una distesa diatonicità, quasi il recupero della quiete originaria espresso in simboli tonali classicamente accostati." [SABLICH, pp. 242-243]

"Il "bambino" diventa il simbolo da cui scaturisce e che rende possibile una soluzione per così dire riconciliante, la quale trascende l'ambito del dramma. - L'essere, generato dall'impulso più puro, determina la sopravvivenza spirituale dell'individuo, della "eterna volontà", come Faust stesso si definisce alla fine. Non vi è niente di volutamente filosofico: lo svolgimento mi si è configurato in senso puramente poetico. Affidando la parte del Guardiano notturno a Mefistofele, ho escluso il Kasperle che nello spettacolo di marionette assume questa parte e che in un primo tempo avevo preso in considerazione. La scena della taverna e quella degli studenti sono completamente di mia invenzione." [BUSONI I, p. 426]

"Nell'ultimo quadro l'apparizione della Duchessa illumina Faust sul significato che il bambino ha per lui. Quando Faust - al suo ultimo tentativo di avvicinarsi a Dio - ha rigettato da sé anche la fede, si accinge all'azione mistica che rinnova la sua vita esausta." [BUSONI II, pp. 194-195]

"L'ultima battuta del libretto, detta da Mefistofele-Guardiano notturno sul corpo inanimato di Faust, non è cantata, ma declamata seccamente in Sprechstimme, esattamente come l'autore l'aveva prescritta. Nella sua tagliente forma dubitativa, essa e per così dire il suggello e la chiave interpretativa di tutto il lavoro: un interrogativo senza risposta, un dubbio senza certezze, l'ironia e l'ambiguità elevate a massimo sistema di conoscenza. L'opera di fatto non chiude, rimane aperta e non finita riaffermando, in modo fortemente critico, il dubbio. Giacché, come Busoni avvertiva già nel 1915, 'verunglückt' può intendersi in duplice senso, sia come 'dannato', sia come 'vittima di una disgrazia': 'così la realtà stessa del concetto 'diavolo' è talmente messa in dubbio, che perde il suo significato. Che ha più da fare col diavolo l'ultimo quadro? - Un uomo malato, disilluso e tormentato dalla coscienza, muore di un attacco cardiaco ed è trovato dal guardiano notturno.' Dal Guardiano notturno o da Mefistofele venuto a esigere il riscatto del patto? Vittoria o sconfitta, dunque? In realtà, col passare del tempo quella battuta così ambigua si era caricata di ben più profondi, sottili significati, il cui senso tragico a Busoni non poteva sfuggire." [SABLICH, pp. 243-244]