SALZBURGER FESTSPIELE 1999


Laureto Rodoni

Willkommen, Doktor Faust!

La Regione Ticino 21 agosto 1999

DOKTOR FAUST INDEX


"Doktor Faust", opera in due prologhi, due intermezzi (uno scenico e uno orchestrale) e tre quadri di Ferruccio Busoni. Quadro finale completato da Philipp Jarnach. Testo poetico del compositore. Prima rappresentazione, postuma, il 21 maggio 1925 a Dresda, sotto la direzione di Fritz Busch. Personaggi e interpreti dell'edizione salisburghese: Doktor Faust: Thomas Hampson; Mefistofele: Chris Merritt; Wagner, assistente di Faust: Làzlò Polgàr; il Duca di Parma: Kurt Schreibmayer; la Duchessa di Parma, Katarina Dalayman; il soldato, fratello di Margherita: William Dazeley. Coro della Staatsoper di Vienna; Wiener Philharmoniker; direzione: Kent Nagano; regia: Peter Mussbach; scene: Erich Wonder; costumi: Andrea Schmidt-Futterer; luci: Konrad Lindenberg.

Salzburg, 7 agosto 1999

Ci volevano il coraggio e la sensibilità culturale di Gérard Mortier, non troppo amato direttore artistico dei Salzburger Festspiele, per rendere un degno omaggio, nel 75º dalla morte, a Ferruccio Busoni, uno dei musicisti più importanti e, paradossalmente, meno conosciuti del Novecento. E Mortier, a Busoni, ha offerto l'omaggio senza dubbio più gradito: una superba rappresentazione del Doktor Faust, l'opera sua ultima, che è anche il suo testamento spirituale e che molti autorevoli musicologi considerano un capolavoro del teatro musicale di questo secolo (secondo il Langevin è addirittura "l'incontestable sommet de l'art lyrique du XXème siècle").

Busoni, profeta dell'arte
Ma chi era Ferruccio Busoni? Nato a Empoli nel 1866 e morto a Berlino nel 1924, formatosi in area mitteleuropea e germanica, idealmente cosmopolita, Busoni è noto soprattutto per essere stato uno tra i più grandi pianisti di tutti i tempi, forse il più grande dopo Franz Liszt. Ma egli fu anche prolifico compositore, trascrittore ed editore delle opere di Bach e di altri musicisti (e quindi anche filologo), poeta, saggista, filosofo della musica, direttore d'orchestra, insegnante di pianoforte e di composizione, operatore culturale, raffinato bibliofilo e collezionista di opere pittoriche (nel suo appartamento berlinese campeggiavano, per esempio, tre capolavori di Umberto Boccioni, di cui il musicista era grande amico: "La città che sale", "Il Lutto" e... il "Ritratto del Maestro Busoni" dipinto a Pallanza sulle rive del lago Maggiore).
Per la vastità dei suoi interessi e per le sue molteplici attività in campo letterario e musicale fu spesso paragonato agli artisti rinascimentali. Sul piano filosofico-musicale la sua breve estetica (Abbozzo di una nuova estetica della musica, pubblicata nel 1907 e poi nel 1916: nuova edizione riveduta e dedicata a Rilke) svolse un ruolo fondamentale per l'evoluzione di tutte le avanguardie storiche dei primi del Novecento e costituì la chiave di volta per un trapasso dall'estetica romantica a quella del nostro secolo. "Dappertutto, nei suoi scritti, si trovano profezie sulla musica del futuro che si sono in seguito avverate. Di fatto, non c'è sviluppo che lui non abbia previsto," - scrisse per esempio il compositore francese Edgard Varèse che fu influenzato in maniera determinante dal pensiero estetico busoniano: "Io ho un enorme debito di gratitudine nei confronti di quest'uomo straordinario," - ammise infatti nel 1966.
Busoni fu anche uno tra i più lucidi e perspicaci testimoni del suo tempo: le oltre diecimila lettere che scrisse sull'arco della sua non certo lunga vita e le testimonianze di coloro che lo conobbero lo provano inconfutabilmente. Nel 1912 Arnold Schönberg, con cui Busoni fu in stretti ma difficili rapporti, nel suo Diario berlinese, lo definì "indubbiamente un uomo geniale; in ogni caso di gran lunga il migliore che io abbia mai conosciuto".
Busoni ebbe un intenso e proficuo rapporto con la Svizzera, che gli concesse asilo durante la Grande Guerra (il suo esilio non fu del tutto volontario, perché era considerato persona non grata sia in Italia - la sua patria istituzionale - sia in Germania - la sua patria d'adozione). Dall'ottobre del 1915 al settembre del 1920 visse a Zurigo e la sua abitazione in Scheuchzerstrasse 36 divenne ben presto il punto di riferimento di insigni uomini di cultura e artisti tra cui Stefan Zweig, Rainer Maria Rilke, Franz Werfel, Ermanno Wolf Ferrari, Othmar Schoeck, Hans Richter, Max Oppenheimer, Otto Klemperer ed Ernst Bloch, per non citare che i maggiori. Per l'impulso dato allo sviluppo culturale della città, l'Università di Zurigo gli conferì, nel 1919, il dottorato honoris causa in filosofia, titolo che esibì sempre con fierezza, nonostante detestasse le onorificenze. Molte lettere a partire dal '19 sono infatti firmate "Dr. F. Busoni". Nel '20 rientrò poi a Berlino dove fu insegnante di composizione nella prestigiosa "Akademie der Künste" (Wladimir Vogel, compositore molto legato al Ticino, fu suo allievo in quel periodo).

Un capolavoro incompiuto
Il testo del Doktor Faust fu scritto dal compositore stesso alla fine del 1914, poco prima della precipitosa (e dolorosa...) partenza da Berlino. Venne lievemente modificato, soprattutto nella parte finale, nel 1918 a Zurigo e pubblicato nell'autunno di quell'anno sulla rivista "Die weissen Blätter" diretta da René Schickele. Per la stesura del libretto, Busoni fece capillari ricerche sul mito (la sua conoscenza delle fonti, letterarie e musicali, era pressoché perfetta) ma basò il libretto sui "Faustpuppenspiele", cioè sulle versioni del dramma di Faust proposte negli spettacoli di marionette (di cui era un grande conoscitore ed estimatore), per non misurarsi con Goethe: riteneva infatti un compito superiore alle sue forze musicare o adattare per la musica il capolavoro goethiano.
La composizione fu iniziata nell'estate del 1917 a Zurigo e si protrasse fino alla primavera del 1924, a pochi mesi quindi dalla morte dell'autore che avvenne il 27 luglio. Busoni non riuscì a concludere questo suo lavoro estremo. L'opera si interrompe (significativamente) dopo le parole che Faust pronuncia dinanzi a un crocifisso: "Pregare, pregare... Ma dove trovare le parole?" La scena finale venne completata tra il 1924 e il 1925 dall'allievo, collaboratore, amico e alter ego Philipp Jarnach. Recentemente, all'inizio dagli anni '80, il musicologo Antony Beaumont (autore di una acuta analisi dell'opera busoniana e curatore di un'ampia antologia delle lettere tradotta anche in italiano) sulla base di manoscritti busoniani non presi in considerazione da Jarnach, compose un finale diverso, che fu presentato per la prima volta a Bologna nel 1985, sotto la direzione di Arturo Tamajo e per la regia di Werner Herzog.
Per le rappresentazioni salisburghesi Kent Nagano e Peter Mussbach si sono avvalsi del finale di Jarnach, più per motivi di carattere drammaturgico che musicali. È infatti opinione di parte della critica specializzata che il finale di Jarnach sia troppo enfatico e quindi stilisticamente non del tutto convincente in rapporto al resto dell'opera.

Il soggetto
In breve, la trama dell'opera. L'azione si svolge nella prima metà del sedicesimo secolo.
Alla Symphonia che funge da preludio orchestrale (alla fine della quale un coro invisibile ripete ossessivamente la parola "Pax") segue il
Vorspiel I: a Wittemberg, nel suo studio, il dottor Faust riceve la visita di tre misteriosi studenti, che gli offrono in dono un libro di magia, con il quale egli può ridurre in proprio potere le forze infernali.
Vorspiel II: seguendo le indicazioni del libro, a mezzanotte Faust dà inizio al rituale: evoca gli spiriti infernali, li interroga, ma i primi cinque lo deludono. Il sesto, Mefistofele, che si definisce "veloce come il pensiero umano", gli promette cose desiderate da molto tempo (tra cui il genio e il tormento interiore ad esso legato), ma in cambio, dopo la sua morte, dovrà diventare suo schiavo per l'eternità. Faust in un primo momento rifiuta; ma quando Mefistofele gli ricorda i suoi numerosi nemici è costretto a firmare il patto, mentre nella vicina cattedrale giungono le voci dei fedeli che intonano il Credo, in modo quasi furibondo a partire da "Et iterum venturus est...", cioè dal momento in cui le "trattative" tra Mefistofele e Faust diventano frenetiche.
Szenisches Intermezzo: nella cattedrale, il fratello di Margherita, nel frattempo sedotta da Faust, è inginocchiato in preghiera e chiede vendetta a Dio. Faust sopraggiunge e lo fa uccidere da un manipolo di soldati con l'aiuto di Mefistofele.
Hauptbild: durante una festa nel parco del palazzo ducale di Parma, Faust sbalordisce i cortigiani con le sue arti magiche e innamora di sé la duchessa. Il duca, ingelosito, tenta di avvelenarlo, ma Mefistofele lo avvisa in tempo. Faust fugge e la duchessa lo segue come se fosse in trance.
Symphonisches Intermezzo: la celebre "Sarabande", che rappresenta "il punto di massima concentrazione espressiva dell'opera nel momento in cui Faust comincia a indirizzarsi verso un nuovo, sublime orizzonte di ideali" (Sablich).
Zweites Bild: in una taverna di Wittemberg, Faust discute distrattamente di filosofia e teologia con alcuni studenti cattolici e protestanti. Poi accenna alla sua avventura con la duchessa di Parma. Sopraggiunge Mefistofele, che porta la notizia della morte della duchessa e getta sul pavimento il cadavere di un neonato, nato dalla relazione tra Faust e la nobildonna. Gli astanti sono inorriditi, ma Mefistofele trasforma il cadavere in un mucchio di paglia e lo incendia. Dal fumo si delinea la figura di una donna: è la bellissima Elena di Troia. L'apparizione, però, all'avvicinarsi di Faust, svanisce. Arrivano di nuovo i misteriosi tre studenti: questa volta, frenetici e minacciosi, sono venuti a riprendersi il libro di magia, ma Faust non lo possiede più, avendolo distrutto. Essi allora gli comunicano che la sua morte è vicina. Per Faust questo drammatico annuncio è come una liberazione: "Partiti, partiti finalmente! Sgombro è il cammino. Benvenuto, sentiero del mio tramonto, che tu sia il benvenuto!"
Letztes Bild: Faust vaga nelle strade innevate di Wittenberg. In preda al rimorso cerca disperatamente di compiere un'opera che lo redima. Sui gradini della chiesa intravede una mendicante con un bimbo in braccio. Faust si avvicina e inorridisce: è la duchessa rediviva con il cadavere del figlio. Cerca di rifugiarsi in chiesa, ma l'apparizione del fratello di Margherita glielo impedisce. Disperato si inginocchia dinanzi a un crocifisso per pregare, ma il volto di Cristo viene trasformato da Mefistofele travestito da guardiano notturno nel volto di Elena. A questo punto Faust fa un tentativo disperato: ripetendo parte del rituale del Vorspiel II, solleva il bambino e gli infonde nuova vita con le parole: "Ridona splendore a ciò che ho deturpato; compi ciò che ho trascurato. Così, al di sopra di ogni legge, abbraccio tutte le epoche per unirmi infine alle ultime generazioni: io, Faust, volontà eterna." Poi muore, ma dal cadavere del bambino sorge un adolescente nudo che tiene in mano un ramo fiorito e si avvia lentamente verso la città, scomparendo nella notte: Faust rinnova la sua vita esausta affidando la sua opera alle nuove generazioni. Evidente qui il riferimento biografico: Faust-Busoni consegna il testamento artistico (la sua stessa opera) a chi comporrà la musica del futuro. (In una delle ultime lettere, Busoni, consapevole di non avere le forze per concludere l'opera della sua vita, scrisse, alludendo alla trasfigurazione di Faust: "Credo che anche un corpo senza vita possa gettare luce verso l'alto.") Agghiacciante il finale dell'opera: Mefistofele, sempre travestito da guardiano notturno, vedendo Faust morto si chiede cinicamente: "Sollte dieser Mann etwa verunglückt sein?" Il significato della battuta è duplice: "Che è accaduto a quest'uomo? Una disgrazia?" Ma "verunglückt" in tedesco significa anche "dannato". Quindi il diavolo stesso dubita della dannazione del suo adepto: "Nessuna certezza più. Il dubbio è entrato nel teatro dell'opera" - scrisse Luigi Dallapiccola commentando questa scena finale.

Un grande interprete
Lo spettacolo proposto a Salzburg è, senza alcun dubbio, di notevole spessore artistico e culturale: in esso viene messa in rilievo la singolarità affascinante e nel contempo inquietante della partitura (Zweig afferma che Busoni stesso era turbato quando si accingeva a comporre questa sua opera), talmente originale da apparire come un unicum nella produzione musicale e teatrale degli anni Venti, come un'isola solitaria nell'oceano, incomparabile a opere coeve. Non solo: dopo la sciatta mise en scène di Pierre Strosser a Lione, in questo spettacolo viene esaltato, con una regia ponderata, studiata nei minimi particolari, coerente e aderente agli ideali teatrali di Busoni, il magnifico libretto, scritto dal compositore stesso in lingua tedesca.
Sul piano musicale la direzione dell'opera è stata affidata a uno massimi interpreti di Busoni, il musicista americano di origine giapponese Kent Nagano, che già l'aveva diretta con esiti mirabili nel '97 a Lione. Egli si destreggia nell'impervia partitura (impervia anche per i mitici Wiener Philharmoniker che hanno palesato a tratti, incredibile a dirsi, qualche difficoltà, soprattutto a causa dei ritmi stretti impressi dal maestro) con una disinvoltura e una sicurezza sbalorditive, dimostrando una conoscenza profonda del composito stile busoniano: in esso vi sono infatti influssi disparati e apparentemente antitetici, che partono dalla musica medioevale e arrivano fino allo Schönberg atonale, passando per Monteverdi, Bach, Mozart e naturalmente per l'opera italiana, soprattutto verdiana (Busoni fu fortemente influenzato dalla partitura del Falstaff di Verdi, a esempio; non aveva nulla a che vedere, invece, con il verismo in musica). Nagano ha saputo inoltre evidenziare con esemplare chiarezza la monumentale architettura drammaturgico-sonora dell'opera: i sette episodi dell'opera sono infatti organizzati come se costituissero un enorme edificio: ai primi tre corrispondono, specularmente, gli ultimi tre: al centro, isolata, la scena maestosa alla corte di Parma, non a caso denominata "Hauptbild", cioè "Quadro principale". Infine, da virtuoso della bacchetta qual è, l'insigne musicista ha fatto risaltare nitidamente l'orchestrazione originale e raffinata (che offre spesso all'ascoltatore effetti sonori inauditi); complessa ma mai greve, poiché Busoni guardava a Mozart e, come detto, al Falstaff con ammirazione e devozione.

«Une distribution parfaite»
Di alto livello anche il cast. Memorabile il Mefistofele di Chris Merritt, non solo vocalmente (una parte di tenore, la sua, irta di difficoltà soprattutto a causa dell'acuta tessitura) ma anche sul piano puramente teatrale: un diavolo insinuante, cinico, sarcastico che però alla fine, grazie a un colpo di genio del regista, si umanizza pronunciando la frase dubitativa di cui sopra con la voce rotta dall'emozione e scomparendo rapidamente dietro le quinte, come per celare il turbamento: una conclusione inaspettata che ha fortemente impressionato l'attento pubblico del Grosses Festspielhaus e che sarà davvero difficile dimenticare.
Notevole anche il resto del cast ("une distribution parfaite" l'ha definita il Monde), nel quale spicca per eleganza, intensità ed espressività il soprano Katarina Dalayman nel non facile ruolo della duchessa.
E che dire del protagonista? Thomas Hampson non solo ha compreso in ogni minima piega le intenzioni di Mussbach, ma, durante le prove, grazie alla sua notevole cultura (è laureato in germanistica) ha anche attivamente partecipato alla costruzione del suo personaggio discutendone i vari aspetti con il regista, e ha saputo trasmettere il suo entusiasmo a tutta la compagnia. Il risultato è stato sorprendente, non solo sul piano artistico, ma anche su quello della fruizione da parte del pubblico: quest'opera, considerata a giusta ragione di arduo ascolto per i non addetti ai lavori, è riuscita a entusiasmare o per lo meno a convincere, anche gli spettatori più tradizionali e poco attratti dalle periferie del repertorio. E chi malignamente prevedeva (o si augurava: Mortier ha molti nemici...) il Grosses Festspielhaus semideserto se lo è invece ritrovato gremitissimo, attento e, alla fine, grato ed entusiasta.
Il Faust di Hampson è, come deve essere, un personaggio poliedrico: il baritono americano sa indossare con incredibile disinvoltura sia i panni del ricercatore universitario rigoroso e inflessibile con se stesso prima che con gli altri, sia quelli dell'innamorato estatico dinanzi all'apparizione di Elena. Sa essere inoltre un medium esigente e sprezzante nei confronti degli spiriti che evoca, un cinico mandante di un efferato delitto, un fatuo seduttore, un borioso illusionista, un saccente e sarcastico filosofo, un innamorato estatico e, infine, un essere tormentato, nevrotico, devastato dai rimorsi, in cerca della salvezza e di Dio.
Sul piano vocale Hampson non fa rimpiangere Dietrich Fischer-Dieskau, il più grande Doktor Faust che sia mai apparso sulle scene dall'Urafführung di Dresda e che, per nostra fortuna, è stato immortalato in una formidabile registrazione discografica diretta da Ferdinand Leitner. Voce possente, dal timbro splendido, con un'estensione ragguardevole che gli consente di emettere acuti sicuri, non forzati, sostenuta da solida tecnica (fondamentale per padroneggiare il difficilissimo ruolo) e da un fraseggio che delinea anche vocalmente le innumerevoli sfaccettature del personaggio. Un'interpretazione davvero magistrale!

Regia colta, pertinente e di grande fascino
Il regista tedesco Peter Mussbach e i suoi collaboratori hanno offerto uno spettacolo di grande suggestione, soprannaturale e metafisico come Busoni prescrive nel libretto e nelle pagine teoriche dedicate al suo Faust, con appropriate citazioni cinematografiche (il libro magico evoca il monolito kubrikiano; la scena nella cattedrale il Kagemusha di Kurosawa). Difficile esemplificare, tanto lo spettacolo è solido e omogeneo. Il più convincente di Mussbach, finora, secondo Le Monde e Repubblica che lodano la grande perizia del regista nell'orchestrare i movimenti di scena. Il vertice è forse stato toccato nel quadro finale: indimenticabile quell'incedere lento, funebre di Faust verso il fondale sull'enorme palcoscenico vuoto e innevato (che evidenzia ancor di più la sua greve, lacerante solitudine), con il cadavere del figlio in braccio, mentre Mefistofele si chiede, turbato, che cosa gli sia successo. Mussbach si permette qui una licenza: è Faust stesso che si incammina verso la città, non l'adolescente nudo che sorge dal cadavere del neonato. Il significato è duplice: Faust non può morire poiché è l'eterna volontà, è l'idea, è l'immortale pensiero. Ma il regista tedesco vuol anche trasmetterci un ben più ferale messaggio: in questa drammatica fin de siècle, in cui anche l'arte sembra sia entrata in un vicolo cieco, sembra non trovare sbocchi plausibili, Faust può consegnare, rassegnato, soltanto un cadavere alle generazioni future. Pessimismo radicale, quindi, se prevale questa seconda interpretazione. Un pessimismo che, se può essere in contrasto con l'essenza del libretto, non lo è di certo nei confronti dell'artista Busoni, esausto, povero, malato e disilluso, negli ultimi mesi del suo calvario esistenziale nella Berlino prostrata dalla guerra.
Pure stupefacente è la scena della taverna in cui gli studenti cattolici e protestanti litigano discutendo di Platone e di Lutero e poi, con rabbia fanatica, intonano simultaneamente il "Te Deum" e la "feste Burg" luterana. Qui Busoni, col suo amaro sarcasmo, acuito dall'esperienza dolorosa dell'esilio, dà forse il meglio di sé (e ne era ben consapevole...). E Mussbach, da par suo, conferisce alla baruffa anche una connotazione tragica che palesa ciò che nella musica di Busoni esiste soltanto in nuce.

Successo trionfale
Successo strepitoso e meritatissimo per tutti! Credo che Gérard Mortier, proponendo questo sontuoso allestimento, abbia reso l'omaggio più toccante a un grande musicista ingiustamente dimenticato, contribuendo forse a far entrare stabilmente in repertorio quest'opera meravigliosa. Bentornato, Doktor Faust, rettore magnifico dell'Università di Wittenberg! E, per concludere: merci, Monsieur Mortier!
Repliche fino al 23 agosto con lo stesso cast; ripresa dello spettacolo al Metropolitan di New York, con di nuovo Thomas Hampson nel rôle en titre, ma con James Levine sul podio, nel 2001.