L'ORCHESTRA DELLA PACE / UNA SPERANZA IN MUSICA

OSLO – Il mondo salvato dai ragazzini: un centinaio di intrepidi ragazzini musicisti che suonano con energia fantastica. Vedere e ascoltare per credere: ogni concerto, per i musicisti arabi e israeliani della West-Eastern Divan Orchestra, pare questione di vita o di morte. Come se in quel fare musica si concentrasse tutto, aspirazioni, desideri, ansia di catturare il tempo; guardare oltre la quotidianità minacciata da rabbia e paure nel luogo più esplosivo e lacerato della Terra; proiettarsi in una fertile convivenza con l'altro, il nemico, assorbito in quel modello di rapporti improntati all'armonia e al rispetto che è un'orchestra; sentire che parole come pace e libertà, sfuggenti o svilite dall' abuso di retorica, potrebbero acquisire concretezza. Ero piccolissimo quando mio fratello e mio padre sono stati uccisi dai soldati israeliani, e per anni ho pensato solo a vendicarmi, spiega in una pausa delle prove a Oslo, una tra le tappe dell'annuale tour dell' orchestra, Ramzi Aburedwan, palestinese dallo sguardo di brace, nato a Betlemme e cresciuto a Ramallah, nei Territori occupati, dove ha passato un'infanzia intrisa d'odio e soffocata dai muri. Un giorno Ramzi entrò in contatto con gli strumenti occidentali ad arco e scelse la viola: Mi aiutò a placare la disperazione e a scavalcare i muri che mi opprimevano di più, quelli che avevo dentro. Suonava molte ore al giorno, divenne sempre più bravo. Finché giunse un gruppo di musica da camera americano e Ramzi prese lezioni dal violinista dell'ensemble, conquistando una borsa di studio per gli Stati Uniti. Andò anche in Francia, e tornato a Ramallah vi fondò una scuola di musica per bambini: L'ho chiamata "Al Kamandjati", che in arabo vuol dire "il violinista" e che oggi è un progetto didattico diffuso in tutta la Palestina, con centinaia di allievi che studiano gratis. Per imparare ad ascoltare e a comunicare. Ramzi considera irrinunciabile il suo lavoro nella West-Eastern Divan, comunità senza confronti, perché vi esiste finalmente un canale di dialogo con gli israeliani. Nelle riunioni che si alternano alle prove parliamo come individui, indipendentemente dalle nostre origini: diritti, priorità, princìpi, valori etici. Racconta che a Ramallah c'è chi si oppone all'orchestra. Quando, dopo molte difficoltà, nell'agosto 2005 riuscimmo a portarvi un concerto – evento sconvolgente per una parte degli orchestrali, e per loro fu durissimo risolversi a partire – le reazioni del pubblico palestinese furono divise. Qualcuno disse che quel concerto rischiava di rappresentare una normalizzazione della situazione di fatto, in pratica un accettare l'occupazione. Altri compresero l' importanza del nostro scambio creativo. E oggi sono tanti coloro che approvano questo nostro lavoro, che mi ha fatto entrare in contatto con ebrei come Guy, persona straordinaria e grande amico. Guy è l'israeliano Guy Braunstein, irruente gigante biondo e "anziano" della Divan: ha 37 anni. Lavora come spalla dei Berliner Philharmoniker, come dire la Ferrari delle orchestre; ma l'estate salta le vacanze per unirsi alla Divan, dove suona seduto accanto a un bambino prodigioso, Yamen Saadi, dieci anni: Qui gli aspetti umani e la sostanza dei rapporti vanno ben oltre l'esito professionale, facendomi percepire quest' esperienza come fondamentale. Detto questo l'orchestra è eccezionale: in pochi anni ha raggiunto un livello altissimo. Oggi è tra le migliori al mondo. A Oslo gli spettatori sembrano condividere la valutazione. Tutti, a fine concerto, s'alzano in piedi tributando applausi frenetici al direttore Daniel Barenboim e all'orchestra, e in platea c'è anche l'intera commissione che attribuisce il Nobel per la Pace. Trascinante il programma, con il Concerto di Mozart per tre pianoforti KV 242 (suonato da Barenboim che dirige da una delle tre tastiere, e affidato, per quanto riguarda gli altri due solisti, all' arabo Karim Said e all' israeliana Yael Kareth) e col primo atto della Valchiria wagneriana. Barenboim, ovviamente, sa bene ciò che Wagner rappresentò per i nazisti, che ne fecero la colonna sonora dei lager; ma è pronto a difendere una musica sublime di per sé, fuori da strumentalizzazioni ideologiche: Wagner è un mondo imprescindibile in musica. Di questo il carismatico maestro ha convinto i suoi ragazzi. Confessa il violinista israeliano Asaf Maoz della Divan: Sono ebreo, e a volte penso che per me suonare Wagner sia un mostruoso paradosso. D'altra parte solo se sarà eseguito anche dagli israeliani i suoi capolavori torneranno ad essere apprezzati al di là dell' orrenda macchia di antisemitismo che vi è sovrapposta. Oggi la Divan è un mito in Europa, dice stremato e orgoglioso dopo il concerto, nel camerino del Teatro dell'Opera di Oslo, l'artefice e guida dell'orchestra Daniel Barenboim. È una realtà che ha cambiato la vita di tutti quelli che vi sono passati e una dimensione esistenziale irripetibile. Nato nel 1942 a Buenos Aires da genitori ebrei russi e cresciuto in Israele, ha dato all' ensemble il nome di una raccolta di poesie di Goethe, Divano occidentale-orientale, versi focalizzati sull'idea d'incontro con l'altro: Goethe fu tra i primi europei a interessarsi a culture diverse. Sviluppò il progetto dell'orchestra una decina d' anni fa con il palestinese Edward Said, morto nel 2003. Saggista, teorico della letteratura e attivista politico, Said fu un appassionato animatore delle discussioni tra arabi e israeliani che fin dall'inizio dell'avventura hanno caratterizzato la vita del complesso. I workshop, scanditi da musica e conversazioni, si svolgono a Pilas, in un ex monastero vicino a Siviglia dove i ragazzi si riuniscono ogni anno in luglio per affrontare con Barenboim due serrate settimane di prove prima del tour estivo. Qui ha sede l'orchestra, gestita dalla Fondazione Barenboim-Said che s'occupa tra l'altro del reperimento dei fondi. Che arrivano, oltre che dai concerti, dalle sovvenzioni dell'Andalusia, patria ideale in quanto luogo dove per sette secoli hanno convissuto in pace ebrei e musulmani, segnala Barenboim. I componenti della formazione si sono fatti sempre più numerosi negli anni: A ogni stagione se ne aggiungono di nuovi, reclutati in Medio Oriente da due musicisti della Staatskapelle di Berlino, spiega l' organizzatore dell' orchestra Tabaré Perlas. Siamo arrivati a 120 elementi, per metà ragazzi e studenti e per metà giovani professionisti. Marian Said, vedova dello scrittore e attiva nella Fondazione, si adopera per invitare studiosi che parlino ai musicisti del problema di Israele "da entrambi i punti di vista", dice la signora, la quale pare animata da un luminoso ottimismo: Mio marito era convinto che alla fine, in Israele, tutto si sarebbe risolto in una convivenza più o meno pacifica. Sarà un processo di anni, ma l'accettazione reciproca è inevitabile. Bisogna pur cominciare da qualche parte, e la musica è un ottimo punto di partenza. Edward era un grande umanista: la scuola, affermava, insegna a ragionare, ma la musica apre i sentimenti. Con le due cose messe insieme si ottengono equilibrio, consapevolezza e capacità di assumersi rischi. Oggi i musicisti della Divan provengono non solo da Israele e Palestina, ma anche da Siria, Libano, Giordania, Iran, Turchia e Spagna, ammessa in quanto Paese ospitante. Un'iraniana prega che nell'articolo non compaia il suo nome: Vivo a Teheran, sono musicista e questo progetto è la mia vita. Ma il mio governo non sa che sono qui. Se si fosse saputo che andavo a suonare con gli israeliani mi avrebbero vietato di partire. Il libanese Nassib Ahmadih, violoncellista che ha partecipato a tutti i raduni della Divan, spiega che ai gruppi di discussione non sono ammessi visitatori esterni: Sono momenti per noi soli, dove possiamo azzuffarci. Risaltano palestinesi di vellutata bellezza bruna, poco più che adolescenti, con occhi foschi che inquietano. È ombrosa, per esempio, Tyme Khleifi, splendida palestinese diciottenne che sfida la cronista: Perché mi chiedi che significa suonare col nemico? Sposta la domanda. Domandami come mi sento quando c'è un musicista come Barenboim che arriva ad aprirmi la mente. Qui, musicalmente, siamo diversi come livello di preparazione, e ogni estate, in Spagna, abbiamo due settimane di prove per amalgamarci in un corpo solo. È un lavoro frenetico e meraviglioso, non ci sono parole per descriverlo, solo la musica può darne conto. Ho fondato due anni fa un Conservatorio di musica a Nazareth sovvenzionato dalla Fondazione Barenboim-Said, riferisce Nabil Abbud Ashkar, 29 anni, e i risultati sono stati velocissimi. I tre musicisti più giovani della Divan - dieci, dodici e quindici anni - arrivano proprio dalla mia scuola, dove per molti ragazzi la musica non è studio o hobby, ma ciò che dà significato alla vita. I palestinesi soffrono per mancanza di vita culturale, e la musica classica può spalancare porte verso il mondo. Nabil è nato a Nazareth, e la sua famiglia non volle lasciare la città quando nel 1948 divenne parte dello Stato d'Israele, scatenando quel che gli arabi chiamano nakbah, la catastrofe. Non ama parlare del dramma della sua terra: La realtà è schiacciante, che fare? Siamo solo musicisti. Come tali mandiamo un messaggio, e cioè che ci si può sedere l'uno accanto all'altro a parlare, lavorare e creare insieme. Niente più di questo. Dice l'israeliano Daniel Cohen, da sei anni nella Divan: Qui ho grandi amici, ma molti non posso più incontrarli nel resto dell'anno. Per questo tornare ogni estate è un privilegio. Prima di unirmi a quest'orchestra non avevo mai conosciuto qualcuno che vive oltre il confine israeliano. Il mio modo di pensare il conflitto prendeva in considerazione solo una parte. Ora metto alla prova di continuo le mie opinioni con le storie degli altri. Perché qui si parla e si ascolta nello stesso tempo, come nel suonare: la musica dà e prende; si esprime e reagisce; esiste anche in quanto riceve il suono altrui. Questo vuol dire stare in orchestra. A volte quando si discute scattano i contrasti, incalza il diciassettenne palestinese Baki Khleifi, contrabbassista. Preferisco di gran lunga suonare. è il solo modo per accettare l' altro. Le parole sono acide, crudeli: portano tensioni. Non solo i palestinesi s'infiammano durante le discussioni che a Pilas, e nelle città toccate dai tour, s'affiancano al lavoro musicale: a tutti, quando si parla di Israele, capita di litigare, e c'è chi sta talmente male che s'alza e se ne va. Eppure quando fanno musica vince compatta la potenza del linguaggio comune. Cenni d'intesa viaggiano tra le fila degli archi e più indietro, tra fiati e percussioni; e alla fine s'intrecciano gli abbracci. Miracolo di un organismo che esulta dell'intelligenza del suono e della conquista di un sentimento unificante. Condivisione musicale che investe il pubblico con forza inaudita, e che è il riflesso commovente di un modo umanitario, e non politico, di guardare alla tragedia del conflitto. Un piccolo episodio dice molto: narra Barenboim, eccelso pianista, che alla fine di un suo concerto al pianoforte a Ramallah, brani di Chopin stillati dal suo tocco magnetico e inventivo, una bambina palestinese gli si avvicinò per dirgli: Sei la prima cosa che arriva da Israele che non sia un soldato o un carro armato. Per questo sono felice che tu sia qui.

Interviste di Leonetta Bentivoglio – Repubblica – 28 settembre 2008

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