INTRODUZIONE DAL BOOKLET


«Il turco in Italia» è la meno conosciuta delle grandi opere comiche di Rossini. Nata in circostanze avverse, essa continuò per tanti anni ad essere afflitta da una quantità di edizioni infelici che crearono, di conseguenza, confusioni musicologiche. I milanesi amarono «L'italiana in Algeri» di Rossini ripresa, sotto la direzione dell'autore, al piccolo Teatro Re nell'aprile dei 1814, ma quando Rossini e il suo librettista, Felice Romani, offrirono loro quella che apparentemente sembrava essere una copia esatta (almeno, nel titolo) dell'«Italiana» al Teatro alla Scala il 14 agosto dello stesso anno, essi si sentirono profondamente offesi. Le cronache del tempo annunciarono un fiasco. «C'est du vin de son cru» sogghignò il Corriere Milanese, mentre Stendhal spiegava: «L'orgoglio nazionale fu ferito. Essi sostenevano che Rossini avesse plagiato se stesso. Un compositore potrebbe prendere tali libertà per piccoli teatri di provincia, ma per La Scala, primo teatro dei mondo - ripetevano, con enfasi, i degni milanesi - dovrebbe prendersi la pena di fare qualcosa di nuovo.»


Ma i milanesi si erano ingannati, perché fra la trama dei «Turco in Italia» e quella dell'«Italiana in Algeri» l'analogia è scarsa, mentre la musica è quasi del tutto nuovamente composta. Altri pubblici si affezionarono all'opera, ed essa fu rappresentata frequentemente nella prima metà dell'Ottocento; dopodiché scomparve virtualmente dai palcoscenici. Con la sua scomparsa i critici si rivolsero sempre più alle fonti pubblicate, e ciò nocque ancor più alle fortune e alla reputazione dell'opera. Molte opere subirono alterazioni infelici nelle rappresentazioni coeve, ma le devastazioni inflitte al «Turco in Italia» furono immortalate in edizioni a stampa. L'opera, come fu ripresentata al Théátre des Italiens di Parigi il 18 maggio 1820, conservava solo parzialmente la partitura di Rossini. Grossi squarci di musica furono aggiunti a questo tronco: vari brani levati integralmente da «La Cenerentola», un'aria da «L'italiana in Algeri», un'altra ancora da una delle sue prime opere, «Ciro in Babilonia», e anche un'aria di Valentino Fioravanti. Anche se gli storici hanno secondato Stendhai nel deplorare questo pastiche, di cui attribuirono la responsabilità alle gelosie e agli intrighi che coinvolgevano Ferdinando Paër, direttore musicale del Théátre des Italiens, la situazione fu più complessa e Rossini ne ebbe una piccola parte di colpa. Sembra che Paër abbia chiesto a Rossini di ridurre «Il turco in Italia» in un solo atto. In una lettera a Paër - citata nel catalogo di un commerciante, apparso nel 1928 - Rossini annunciava che l'opera così ridotta era stata mandata a un certo Signor Andreoti a Parigi, presso il quale Paër l'avrebbe potuta prelevare. Rossini probabilmente fece proprio una tale riduzione, perché una versione in un atto fu rappresentata sotto la sua direzione nel maggio dei 1830, a Bologna, presso il teatro privato dei suo amico, il marchese Sampieri. Purtroppo non ne resta alcuna traccia. Paër, in un primo tempo, avrà voluto rappresentare l'opera in un atto, ma avendo poi deciso di ampliarla di nuovo agli originali due atti, fu costretto a raccogliere altro materiale qua e là. Se la storia fosse finita qui, non varrebbe la pena di raccontarla, ma questo pastiche fu prontamente pubblicato da vari editori parigini - Janet et Cotelle, Carli, Pacini, e Vve. Launer - confondendo così gli studiosi per un secolo e mezzo. E la confusione, incredibilmente, continua. L'unica partitura in vendita oggi del «Turco in Italia» non è che una ristampa di una di queste mostruosità francesi.


Recentemente le fortune del «Turco in Italia» sono migliorate in modo considerevole. Dopo la rappresentazione leggendaria con Maria Callas, diretta da Gianandrea Gavazzeni al Teatro Eliseo di Roma nel 1950 e ripresa alla Scala nel 1955 con enorme successo, l'opera si ristabilì gradualmente nel repertorio, sebbene in una versione sfigurata da alcuni tagli infelici. Ora la Fondazione Rossini di Pesaro, in collaborazione con la Casa Ricordi, ha reso disponibile l'edizione critica della partitura, curata da Margaret Bent. Con questa edizione, di prossima pubblicazione nell'ambito dell'Opera Omnia rossiniana, «Il turco in Italia» verrà di nuovo conosciuto come Rossini lo scrisse. Questa incisione è un altro passo nella sua diffusione. La storia del «Turco in Italia» è, in realtà, piuttosto semplice, e Rossini aggiunse poco, dopo la prima stagione. Preparò una cavatina alternativa per Fiorilla, "Presto amiche", probabilmente nell'autunno del 1815, quando curò personalmente la ripresa dei «Turco in Italia» al Teatro Valle di Roma. Non esiste un autografo di questa cavatina, ma è chiaramente di Rossini, perché la utilizzò di nuovo, leggermente modificata, in La gazzetta, un'opera comica rappresentata per la prima volta a Napoli il 26 settembre 1816. in questa incisione la cavatina originale di Fiorilla, "Non si dà follia maggiore", si trova nella posizione giusta; "Presto amiche" viene aggiunta in appendice. L'aria di Don Narciso, nel secondo atto, "Tu seconda il mio disegno", originariamente non faceva parte dell'opera. Fu aggiunta in qualche ripresa dell'opera nel corso della prima stagione, presumibilmente per accontentare il tenore Giovanni David, deluso perché non gli era stata assegnata un'aria solistica. Rimane incerto se questa aggiunta fu fatta prima o dopo la prima rappresentazione. Numerosi pezzi, infatti, non sono di Rossini.


Nell'autografo del «Turco in Italia», conservato negli archivi di Casa Ricordi, molti brani non sono scritti di suo pugno: tutti i recitativi secchi, la cavatina di Don Geronio nel primo atto ("Vado in traccia d'una zingara"), l'aria di Albazar nel secondo atto ("Ah! sarebbe troppo dolce"), e l'intero Finale dei secondo atto ("Son la vite sul campo appassita", fino alla fine dell'opera). Chi scrisse questi pezzi compose anche i recitativi di un'altra opera di Rossini data in prima rappresentazione alla Scala, «La gazza ladra» (1817). Molti particolari della struttura, dell'orchestrazione, della dinamica e di certi dettagli musicali in tutti e tre i brani rendono improbabile che fossero stati scritti da Rossini. Inoltre, ci sono dei cambiamenti, in questi manoscritti, chiaramente dovuti a decisioni compositive e non solamente a errori di copiatura. In breve, pare probabile che questi tre pezzi e tutti i recitativi secchi dei «Turco in Italia» fossero composti dalla persona che preparò i manoscritti allegati all'autografo. Benché non si conosca la sua identità, un possibile candidato è Vincenzo Lavigna, maestro al cembalo alla Scala durante questo periodo e, più tardi, maestro di composizione di Giuseppe Verdi. Questa non fu l'unica occasione in cui Rossini richiese taiuto di un amico per la preparazione di un'opera: «La Cenerentola», «Mosè in Egitto», e «Matilde di Shabran» sono altri esempi. A differenza di questi casi, però, Rossini non riscrisse in seguito i brani dovuti a un altro compositore; né è possibile rappresentare l'opera senza la cavatina di Don Geronio, ed il Finale del secondo atto. Che siano di Rossini oppure no, debbono continuare a formare parte integrante del Turco in Italia. Il libretto di Felice Romani ha sempre raccolto critiche contrastanti: favorevoli per l'invenzione del Poeta "pirandelliano", che tenta di controllare l'azione e "creare" un'opera buffa dalle sfortune degli altri personaggi; sfavorevoli per l'apparente immoralità di Donna Fiorilla, che la conduce capricciosamente dal marito, all'amante, al Turco.


In realtà, Romani non si merita né tutti gli elogi né tutti i biasimi. Il suo libretto deriva in buona parte da un modello precedente di Caterino Mazzolà, un famoso librettista del tardo '700 che revisionò anche «La clemenza di Tito» di Metastasio per Mozart. Il turco in Italia di Mazzolà, musicato da Franz Seydelmann, fu dato in prima al Hoftheater di Dresda durante la stagione dei carnevale del 1788. Anche se c'è molto di nuovo nella versione di Romani, alcuni versi sono riportati verbatim dal Mazzolà, e il Poeta esiste già in quella versione, come anche la struttura base del libretto e la trama secondaria che ruota attorno a Zaida e Albazar. Il libretto di Mazzolà, o una sua variante, fu anche musicato da Franz Xaver Süssmayr a Praga nel 1794. Süssmayr, come si sa, fu allievo di Mozart, e fu lui a completare il Requiem del maestro dopo la morte di questi. Probabilmente compose anche i recitativi secchi della «Clemenza di Tito» di Mozart, il che dimostra come la pratica rossiniana di ricorrere frequentemente all'aiuto altrui per alcuni brani fosse d'uso comune fra i compositori dell'epoca. Nel libretto di Romani, Selim, un turco, ama Zaida, ma sospettando della sua infedeltà decide di farla uccidere. Zaida viene salvata da Albazar, e i due fuggono insieme a Napoli, dove incontrano, all'inizio dell'opera, il Poeta, Prosdocimo. Egli informa Zaida che un turco dovrebbe visitare Napoli proprio in quel giorno, e che forse questi potrà farle ottenere la riconciliazione con Selim, che Zaida ama ancora. Attorno a quest'intrigo, il Poeta spera di costruire la sua opera buffa. Ci riesce al di là dei suoi sogni perché il Turco che verrà in visita è, naturalmente, proprio Selim. Prima però di vedere Zaida, Selim è attratto dalla bellezza di Fiorilla, una ragazza italiana. Questa è sposata ad un uomo molto più anziano di lei, Don Geronio, ed ha un cicisbeo stabile, Don Narciso. Ella però è molto capricciosa: decide di mettere alla prova i suoi poteri di seduzione, e Selim cade in trappola. Come osserva il Poeta, questi sono gli elementi per un'opera buffa e Romani, tramite il suo alter ego, ci conduce tra i capricci della trama: la gelosia delle due donne; la disperazione di Don Geronio, menato per il naso da Fiorilla; la scena meravigliosa dove Selim offre a Don Geronio di comprare Fiorilla, un ballo mascherato nel quale Geronio tenta inutilmente di trovare sua moglie; una scena finale dove Geronio chiude Fiorilla fuori di casa; e una riconciliazione piena di lacrime che vede Zaida e Selirn tornare insieme in Turchia, mentre Fiorilla giura la sua rinnovata fede a Don Geronio, una promessa dei cui mantenimento abbiamo ragione di dubitare. Rossini risponde a questa buffoneria con una partitura ispirata e costantemente divertente. «Il turco in Italia» è per lo più un'opera d'ensemble: le arie solistiche giocano una parte importante solamente nel ruolo di Fiorilla. Quello che attrae di più di questi ensembles è un elemento generalmente ritenuto estraneo allo stile di Rossini, ma che qui è molto preminente: c'è, certamente, una base tipicamente rossiniana di moto frenetico, ma spesso il compositore si tira indietro e, o per ragioni specificamente drammatiche, o per ragioni puramente musicali, crea momenti di straordinaria bellezza e sensitività. Gli esempi classici di "strette" tipicamente rossiniane alla conclusione di un Finale di un primo atto sono l'onomatopeico "Din din tac tac cra cra bum bum" dell'«Italiana in Algeri» o la confusione regnante nel «Barbiere di Siviglia». Anche nel «Turco in Italia» la scena è tumultuosa, a causa della battaglia per motivi di gelosia tra Fiorilla e Zaida.


Scrive Romani:

"Quando il vento improvviso sbuffando
scuote i boschi li spoglia di frondi;
Quando il mare in tempesta mugghiando
spuma, bolle, fiagella le sponde,
meno strepito fari di due femmine
quando son rivali in amor...".

La musica inizia con tutta la fragorosa impetuosità che ci si aspetta da un finale rossiniano, ma d'un tratto il fragore cessa, l'orchestra sparisce: i personaggi cantano, "sottovoce e legato", senza accompagnamento, "Quando sono rivali, rivali in amor", una frase di incantevole bellezza. L'intera "stretta" è caratterizzata dall'uso esplicito che Rossini fa delle dinamiche estreme, pp e ff, per non parlare dei crescendi, perché le frasi possano svilupparsi in modi inaspettati. La frase in crescendo viene ripresa in seguito come frase conclusiva; in quest'ultimo aspetto la musica dev'essere rigorosamente mantenuta nel pianissimo senza il minimo accenno di crescendo. In questi dettagli l'edizione critica offre gli effetti accuratamente calcolati di Rossini, e gli esecutori devono seguire alla lettera le sue istruzioni. Il quintetto, nel quale Geronio tenta di individuare Fiorilla, mentre Zaida, Fiorilla, Narciso e Selim, tutti in costume, gli ballano attorno, è straordinariamente comico, ma Geronio è anche trattato in modo molto umano. Anche qui c'è un passaggio squisito di canto non accompagnato, sotto il quale Geronio declama, su una sola nota, la sua perplessità. Egli emerge come un personaggio genuinamente toccante. Il breve Allegro canonico che segue, "Questo vecchio maledetto", è il miglior pezzo del genere scritto da Rossini: i suoi contrappunti, in particolare, sono perfettamente collocati per porre in rilievo la melodia ed agevolare il fluire delle modulazioni. Si potrebbe facilmente discorrere così su ogni brano. Il Trio con Narciso, Geronio e il Poeta, nel quale quest'ultimo esprime la sua gioia per la trama che si va sviluppando, mentre gli altri due progettano un loro dramma nel quale il poeta viene pestato da marito e amante, è di una struttura insolita. L'ensemble è per lo più costruito su una frase orchestrale di quattro battute di semibrevi (la cui somiglianza col finale della sinfonia "Jupitee" di Mozart è stata più volte notata) che appaiono sia come tema sia come accompagnamento a una briosa melodia orchestrale. Da notare anche come il crescendo che appare verso la fine dei Trio venga usato, in forma modificata, come tema principale della Sinfonia. Egualmente delizioso è il duetto tra Fiorilla e Geronio. Con meraviglioso finto realismo Rossini segue marito e moglie nel loro confronto, mostrandoli in scene di rabbia e sentimentalità (il passaggio nel quale Fiorilla finge di piangere è uno dei momenti scenici più divertenti di tutta la storia dell'opera comica). Fiorilla passa all'attacco quando si rende conto d'aver preso il sopravvento, e le sue battute finali sono indirizzate direttamente al pubblico. Anche qui Rossini gioca affettuosamente con la struttura formate della cabaletta. Fiorilla canta la prima esposizione del tema della cabaletta da sola, dicendo al pubblico: "Con marito di tal fatta ecco qui come si fa." Dopo una breve frase in crescendo la melodia viene ripetuta ma questa volta partecipa anche Geronio. "Fiorilletta!" egli
invoca, totalmente sconfitto. Quando questo tentativo fallisce, ci riprova con "Fiorillina!", Si intende che entrambe le apparizioni del tema della cabaletta debbano essere sentite affinché la comicità della situazione emerga completamente. L'edizione del «Turco in Italia» di Margaret Bent ha finalmente reso disponibile un'edizione fedele di questo capolavoro. Sembra evidente che sta entrando nel repertorio tanto saldamente quanto vi è entrata «La Cenerentola». Non c'è dubbio: «Il turco in Italia» ci mostra Rossini nella sua migliore comicità, il che è dire tutto.

Traduzione di Gabriele Dotto

Questo saggio è l'adattamento d'un articolo apparso in «Opera News», una pubblicazione del Metropolitan Opera Guild.