I dizionari Baldini&Castoldi

Troyens, Les di Hector Berlioz (1803-1869)
libretto proprio, da Virgilio

Grand-opéra in due parti e cinque atti

Prima:
Karlsruhe, Teatro di corte, 6 e 7 dicembre 1890

Personaggi:
Cassandre, profetessa troiana (S); Ascagne, figlio d’Enée (S); Hécube, sposa di Priam (Ms); Polyxène, figlia di Priam (S); Enée, eroe troiano (T); Chorèbe, amante di Cassandre (Bar); Panthée, sacerdote troiano (B); l’ombra di Hector, eroe troiano (B); Priam, re di Troia (B); un soldato troiano (Bar); un capo greco (B); Hélénus, figlio di Priam (T); Andromaque, vedova di Hector (m); Astyanax, figlio di Hector (m); soldati troiani e greci, cittadini, donne e fanciulli, pastori (La prise de Troie); Didon (A); Enée, eroe troiano (T); Ascagne, figlio di Enée (S); Anna, sorella di Didon (A); Narbal, ministro di Didon (B); Panthée, sacerdote troiano (B); Iopas, poeta tiriano (T); Hylas, giovane marinaio frigio (T); due sentinelle (Bar, B); Mercure (B); gli spettri di Cassandre (S), Hector (B), Chorèbe (Bar), Priam (B); tiriani, Troiani, Cartaginesi, schiavi di Nubia, sacerdoti di Pluton, ninfe, satiri, fauni (Les Troyens à Carthage)



Fu agli inizi del 1856, a Weimar, dove si era recato per incontrare l’amico Liszt, suo generoso sostenitore, che Berlioz decise di tradurre finalmente in atto il suo vecchio progetto di un grande poema drammatico musicale ispirato all’ Eneide , di cui era stato lettore appassionato fin dagli anni giovanili. L’ambiente, i personaggi e gli incontri di Weimar, dominati dalla presenza occulta di Wagner, che nel suo esilio zurighese stava lavorando alla colossale impresa del Ring , agirono come un potente elemento catalizzatore sull’animo del musicista, tanto sicuro dei propri mezzi quanto bisognoso di una sollecitazione esterna. Oltre che da Liszt, questa gli venne dalla principessa Caroline Sayn-Wittgenstein, dal cui fascino anche Berlioz era stato stregato: il suo ultimatum – o scrivere la progettata opera virgiliana o non farsi nemmeno più vedere ai suoi occhi – accese la miccia decisiva al fuoco artistico che già covava. Rientrato a Parigi, Berlioz si pose alacremente al lavoro e nell’arco di due anni – dal 5 maggio 1856 al 7 aprile 1858 – scrisse testo e musica de Les Troyens ; opera di soverchianti dimensioni, suddivisa in due parti distinte, forse occhieggiando al modello wagneriano di un lavoro ciclopico che esorbitasse dalle dimensioni di un’unica serata. Una volta compiuti, e per quanto più volte negli anni seguenti la partitura venisse ritoccata ed elaborata, si imponeva la questione non certo facile di una rappresentazione secondo la concezione originale: la quale, non solo nella sostanza ma anche nelle dimensioni, era tale da spaventare qualunque teatro, perfino quello avvezzo per eccellenza a celebrare i fasti del grand-opéra . Proprio dal massimo teatro parigino vennero i primi dinieghi, protrattisi per anni, nonostante tutti gli sforzi di Berlioz; e quando si trattò di aprire le porte alla ‘musica dell’avvenire’, egli fu scavalcato proprio dal suo rivale Wagner, in quella storica serata del 13 marzo 1861 che, con la tumultuosa prima parigina del Tannhäuser , segnò definitivamente la rinuncia a perseguire il sogno di una rappresentazione all’Opéra. In soccorso di Berlioz giunse il baritono Léo Carvalho, che da alcuni anni aveva assunto la direzione di una nuova sala parigina, il Théâtre Lyrique: tra buone, anche se non eccezionali accoglienze, I Troiani vi andarono in scena il 4 novembre 1863 sotto la direzione dell’autore. Si trattò però di una rappresentazione parziale: le abnormi dimensioni dell’opera indussero Carvalho a sopprimere tutta la prima parte, La prise de Troie , e a operare sulla seconda, Les Troyens à Carthage , ampi tagli e alleggerimenti: con il forzato consenso di Berlioz, che fu tenuto inoltre a pagare di tasca propria gli orchestrali aggiunti ritenuti più indispensabili. Da quel momento la partitura rimase chiusa a lungo nell’archivio dell’editore Choudens. Berlioz morì pochi anni dopo senza aver mai potuto udire La prise de Troie ; e se la prima rappresentazione integrale ebbe luogo solo alla fine del 1890 – ben più di trent’anni dopo la creazione – per iniziativa dell’eminente direttore wagneriano Felix Mottl, che la presentò a Karlsruhe, all’Opéra di Parigi non ebbe accesso in questa forma fino al 1921: preceduta dalla rappresentazione della sola prima parte, La prise de Troie , il 15 novembre 1899, allo spirare di un secolo che non aveva compreso né tanto meno acquisito coscienza della vocazione teatrale di Berlioz.

Atto primo . ‘La prise de Troie’. Il campo abbandonato dei Greci nella piana di Troia. I Greci hanno tolto l’assedio alla città di Troia e i Troiani, dopo tanti anni di guerra, finalmente escondo dalle mura e si danno alla più grande esultanza (“Ah, ah, après dix ans”). Solo Cassandra è in preda alla più grande agitazione: ma le sue profezie non trovano ascolto nemmeno presso Corebo, suo innamorato. Irrompe Enea, interrompendo i festeggiamenti della pace. Egli narra come Laocoonte, che aveva espresso i suoi sospetti circa il cavallo di legno che i Greci hanno abbandonato sul campo, sia stato divorato da serpenti (“Du peuple et des soldats”). Cassandra ripete le sue profezie in modo ancora più esplicito: la partenza dei Greci è solo un inganno, che porterà alla rovina e alla morte tutti i Troiani (aria “Non, je ne verrai pas”). Ciononostante il cavallo viene trascinato in città, quale dono propiziatorio ad Atena.

Atto secondo . Quadro primo . Una stanza nel palazzo di Enea. L’ombra di Ettore appare a Enea e lo esorta a fuggire da Troia per fondare in Italia una nuova città. Entra il sacerdote Panteo, ferito al viso. La città è in fiamme, e il fuoco è stato appiccato dai Greci che si erano nascosti all’interno del cavallo di legno. Enea prende per mano il figlio Ascanio e si accinge a combattere l’ultima battaglia. Quadro secondo . Nel palazzo di Priamo, davanti all’altare di Vesta. Cassandra, in preda al più profondo abbattimento e con i capelli scarmigliati, annuncia alle donne troiane la morte di Corebo e la fuga di Enea, che ha portato con sé il tesoro di Priamo per fondare in Italia una nuova Troia (“Tous ne périront pas”). All’irrompere dei Greci, Cassandra e le donne troiane si uccidono piuttosto che cadere in mano ai vincitori; la loro ultima parola è: «Italia».

Atto terzo . ‘Les Troyens a Carthage’. Una grande sala del palazzo di Didone a Cartagine. Nella città sono in corso i festeggiamenti in onore della regina Didone, che ha dato al suo popolo prosperità e ricchezza. La regina, nel ricevere gli omaggi della sua gente, afferma la propria volontà di mantenersi fedele alla memoria del marito (“Nous avons vu finir sept ans à peine”); benché sua sorella Anna cerchi di smuoverla da questo proposito, ella non intende dare a Cartagine un nuovo re. Il poeta Iopas annuncia che degli stranieri stanno giungendo dal mare: sono i Troiani in fuga, giudati da Enea. Didone li accoglie con amicizia. Proprio in quel momento il ministro Narbal porta la notizia che Iarbas, re dei Numidi, si apresta ad attaccare con le armi Cartagine. Enea, fino ad allora in incognito, si rivela e offre il proprio aiuto. Didone, turbata, accetta che i Troiani combattano a fianco dei Cartaginesi contro il re barbaro.

Atto quarto . Quadro primo . Una pantomima, sulla musica di un interludio sinfonico intitolato ‘Caccia reale e tempesta’, mostra Didone ed Enea inoltrarsi nella foresta e addentrarsi in una grotta dove, mentre infuria la tempesta, danno compimento al loro amore. Quadro secondo . I giardini di Didone in riva in mare. Vinti i Numidi, Enea viene festeggiato nei giardini di Didone. Fra l’eroe e la regina è nato l’amore, che è visto con simpatia da Anna ma che preoccupa Narbal, consapevole della missione che attende Enea. Si celebrano grandi feste, tra canti e balli appena offuscati da oscuri presagi. Rimasti soli al chiaro di luna, Didone ed Enea si abbandonano finalmente alla passione (“Nuit d’ivresse, et d’exstase infinie”). Ma al culmine dell’estasi appare improvvisamente Mercurio; con voce grave, egli ammonisce: «Italia!».

Atto quinto . Quadro primo . La riva del mare gremita di tende troiane; è notte. Un giovane marinaio frigio canta dall’albergo di una nave una nostalgica canzone (“Vallon sonore”). Panteo e i capi troiani si preparano a partire, nonostante l’incertezza di Enea. L’eroe si avanza in grande agitazione, ancora indeciso tra amore e dovere (“Inutiles regrets... je dois quitter Carthage”). Un coro d’ombre lo chiama per nome: sono gli spettri degli eroi troiani che vengono a esortarlo affinché compia la sua missione. Enea non può sfuggire al destino e ordina la partenza. Mentre fervono i preparativi, Enea si congeda da Didone, che cerca invano di trattenerlo. Quadro secondo . Nella casa di Didone. La regina, rientrata nelle sue stanze, ordina alla sorella Anna di recarsi da Enea per implorarlo di restare. In quel momento giunge la notizia che i Troiani sono partiti. Fuori di sé, Didone prima maledice Enea, poi si accascia e dà sfogo alla sua disperazione (“Je vais mourir... Adieu, fière cité”). Quadro terzo . Nei giardini di Didone. La regina ha dato ordine di innalzare un grande rogo; è la cerimonia funebre allestita per se stessa, un sacrificio per gli dèi degli inferi. Salita sul rogo con le armi di Enea, ha la visione della vendetta di Annibale sui Romani; poi estrae la spada dal fodero e si uccide (“D’un malheureux amour, funestes gages”). Mentre tutti accorrono, in un ultimo sussulto Didone annuncia la fine di Cartagine e il trionfo di Roma immortale: i Cartaginesi maledicono in eterno la gloria di Roma (“Haine éternelle à la race d’Enée”).

Tutto, non solo le vicende esterne della sua fortuna, concorre a fare dei Troiani un’opera di grandezza tragica, quasi un monumento funebre alla storia dell’Opera. Che ciò avvenisse in un’epoca nella quale le sorti del teatro musicale erano tutt’altro che irrevocabilmente segnate, accresce il suo fascino di capolavoro postumo, di grandioso affresco di classicismo e romanticismo, di ragione e sentimento, di destino e sogno. Le forme nelle quali s’incarna appaiono anch’esse ricostruite sulle macerie della storia e non offrono molto più che riferimenti labili. La stessa tradizione del grand-opéra , sul cui tronco si innesta, è vista con occhio non critico ma piuttosto disincantato, forse con l’orgoglio di rinnovare schemi ormai consolidati ritrovandone la freschezza e la sostanza. Certo i Troiani non inclinano verso il dramma musicale più di quanto non guardino al passato, alla forza espressiva della parola incorniciata in forme apparentemente chiuse. Dove non si tratta di fare di necessità virtù, ma di ridare all’arte una sua necessità. Soltanto un giudizio basato sulla concezione originale e globale – ossia mettendo in relazione la prima e la seconda parte in un arco unico e complessivo – può rendere giustizia al significato dell’opera. Non è con i tagli o con le suture che il suo valore può essere riconosciuto; al contrario, ne viene irrimediabilmente compromesso. Anche se non mancano pagine isolate di grande bellezza – a cominciare dal fastoso interludio sinfonico che apre il quarto atto, in realtà una pantomima di audace visionarietà, per finire con le arie e i duetti che ne costellano il percorso – è il respiro dell’insieme, la collocazione delle singole parti nel tutto, a costruire passo dopo passo il senso sia drammaturgico sia musicale: il quale, a onta delle proporzioni dilatate e delle numerose digressioni, attese e sospensioni, risponde a un principio eminentemente classico di esposizione, sviluppo e scioglimento, tanto nell’azione quanto nella musica. E ciò nonostante che fin dall’inizio, e non solo in base alle nostre conoscenze della storia antica e di Virgilio, noi si sappia – e Berlioz non manca di ricordarcelo in ogni momento – che il destino è irrimediabilmente segnato e che non vi saranno vie d’uscita.

Non è senza peso nell’economia dell’insieme che al centro di tutte e due le parti, quasi come principio unificatore che si rispecchia in se stesso, vi siano due figure femminili votate alla sconfitta e al sacrificio: Cassandra e Didone. Ciò che a Cassandra non riesce in forza della sua lucidità – evitare la rovina dei Troiani – non riesce neppure a Didone in forza dell’amore: trattenere Enea e impedire che il destino faccia il suo corso. Parallelamente, la prima e la seconda parte si aprono con cori gioiosi in un’atmosfera di festa; e in entrambi già si stende l’ombra di presagi funesti in modo immediatamente percepibile, quasi implicito. Ne consegue che la drammaturgia dell’opera non si basa sull’evolversi di un’azione in presa diretta, ma sulla riflessione e sulla memoria da un lato, sull’immaginazione dall’altro, come se i personaggi, attraverso Berlioz, rivivessero non fatti ma suggestioni ideali a essi collegati. E in effetti quasi tutti i fatti dell’azione – dalla presa di Troia all’amore di Didone e Enea – sono elusi e raccontati, quando non evocati: ciò che interessa a Berlioz è cogliere il momento che precede e che segue all’azione, il momento della speranza (ingannevole) e dell’ineluttabile conseguenza funebre, ossia della preparazione e dello scioglimento. E su questi per l’appunto indugia, lasciando ai personaggi secondari, di contorno, la concretezza della vita vissuta. Il tempo e lo spazio in cui questo periplo si compie, quasi avvitandosi su se stesso in un istante eternamente prolungato, in un centro continuamente spostato, non hanno nulla a che fare con uno spettacolo d’opera nell’accezione convenzionale: ne sono per così dire la sublimazione, una sorta di celebrazione rituale fuori dal tempo e dallo spazio. Al punto che la grandezza tragica dell’opera non sta neppure, in fondo, nel soggetto che tratta e nei personaggi che pone in scena, bensì nel modo in cui considera quel soggetto e quei personaggi alla stregua di simboli di un mondo ideale, forse mai esistiti, o comunque appartenenti a un lontano regno di memorie. Che Berlioz sentisse con infinita nostalgia le ombre e i fantasmi di questo mondo non significava soltanto rifiuto delle strategie teatrali più o meno inclini al compromesso della sua epoca, ma anche convinta affermazione di una funzione del teatro musicale che alle ragioni della spettacolarità opponesse quelle dello spirito e dell’elevazione verso più alte mete: commozione senza sentimentalismi e pietà verso i perdenti, nella convinzione che solo così il teatro, potenziato dalla musica, avrebbe onorato la sua missione artistica.

s.s.

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