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BIOGRAFIA, PENSIERI, FILOSOFIA DI

PETR ILJIC CIAJKOVSKIJ

ATTRAVERSO


LETTERE, RICORDI E TESTIMONIANZE


DIMISSIONI DAL CONSERVATORIO

SETTEMBRE 1878

In quel frattempo la signora Nadezda stava a Parigi dove in settembre, durante l'Esposizione Universale, s'eran dati, sotto la direzione di Nicolai Rubinstein quattro grandi concerti interamente dedicati alla musica russa. Di Ciajkovskij eran stati eseguiti il Concerto per pianoforte, suonato dallo stesso Rubinstein, la fantasia sinfonica La Tempesta, la Serenata ed alcuni pezzi minori.
Rubinstein ottenne per sé e per l'amico compositore un successo travolgente; la quarta sera, il Concerto per pianoforte si dovette replicare tutto.
Nadezda von Meck assistette ad alcune di queste manifestazioni e il 6 settembre 1878 scrisse all'amico:

Prima di tutto le voglio dar notizia del concerto curato dalla Società russa degli Amici della Musica di Parigi. Domenica andai al secondo concerto. La sala era gremita da cima a fondo, gli applausi furono abbastanza insistenti, tuttavia lo stolto pubblico parigino sembrò deluso nelle sue aspettative. Aveva creduto che volessero divertirlo col trepak [danza nazionale russa] e con altre musichette dello stesso genere. Invece gli venne offerta musica sinfonica, una musica, per giunta, a lui assolutamente ignota. Tutti sanno come i Francesi si mostrino ottusi di fronte a qualsiasi progresso musicale. Prima che diano segno di apprezzare la musica nuova questa dev'esser ribadita loro nel cervello per almeno cinquant'anni.
E adesso, caro amico, le dirò le mie impressioni. Mentre entravo al Trocadero, mi sentivo in uno stato di intensa eccitazione nervosa, perché desideravo ardentemente che la musica russa e soprattutto la sua, trovasse in Europa consenso e diffusione. Dapprima venne eseguita l'ouverture dell'Ivan il terribile di Rubinstein. L'orchestra e l'acustica della sala, entrambe piuttosto cattive, mi misero quasi alla disperazione. Con spavento pensavo all'effetto che avrebbe fatto, in quelle condizioni, la sua Tempesta, quella stessa che prima fra le sue opere, aveva prodotto in me un'impressione incancellabile e fatto provare quella sensazione di ebbrezza che mi è cara sotto ogni rapporto. Non appena però si levarono le prime note, dimenticai tutto quel che mi stava intorno, non pensai più a nulla. Nella sala regnava un assoluto silenzio, sembrava che il pubblico trattenesse il respiro. Quando risuonò quell'accordo nel 'ritenuto' i miei nervi fremettero e poi... poi... tutto fu sommerso: Parigi, il pubblico sciocco, la mia ambizione patriottica, il mondo intero. Nel mio cuore c'era posto soltanto per la musica della Tempesta, per l'amore verso il compositore lontano, per colui che sa magicamente dare vita alle note e renderci capaci di stringere in un solo abbraccio il mondo intero, concedere all'umanità beatitudine e gioia.
La sua intenzione di dedicare a me la Suite mi ha colmata di gioia e la prego di formulare la dedica con le stesse parole usate un tempo per la Sinfonia: «Al mio migliore amico». Vorrei procurarmi il piacere di contemplare queste dolci parole sapendo che sono rivolte a me.

Nel frattempo Petr era arrivato a Pietroburgo. Durante il viaggio, aveva comperato un giornale e, sfogliandolo, si era imbattuto in un articolo sprezzante, offensivo sulla situazione del Conservatorio. Bersaglio degli attacchi era soprattutto Rubinstein, il direttore; ma si parlava anche dei singoli professori e delle loro presunte relazioni amorose con le allieve. Si accennava anche a Petr, escludendolo, però, da tali intrighi.

Lei non può immaginare, - scrisse allora all'amica, - quale impressione mi abbia fatto quell'articolo: fu come se mi avessero dato una mazzata in testa... Niente mi riesce più increscioso, più terribile che vedere il mio nome trascinato in pubblico...
Tuttavia, per quanto cattivo e calunnioso, quell'articolo contiene un pizzico di verità. Non si può ignorare che l'avidità di comando di Rubinstein e il suo dispotismo, ignaro di riguardi per chicchessia, non possono mancare di far sorgere inimicizie. Solo chi gli dimostra la più completa sottomissione può respirare liberamente. Per quanto vi sia in quest'uomo energico più di un lato degno di considerazione; per quanto grandi possano esser i suoi meriti nei confronti di Mosca e della musica russa, è tuttavia ben chiaro che egli tollera intorno a sé soltanto coloro che si piegano ciecamente alle sue direttive.
È dunque più che mai logico che io mi senta triste, oppresso, disgustato fino alla nausea al pensiero di dover riprendere la mia attività di insegnante in mezzo a quella gente.
Mi ero appena riavuto un poco dalle sgradevoli sensazioni che quell'articolo aveva suscitato in me, che un nuovo incidente venne a sconvolgermi fin nel profondo dell'animo. Di fronte a me, nel treno, si eran seduti alcuni signori fra cui un musicista di Pietroburgo. Facevano ogni sorta di pettegolezzi sul mondo musicale, sicché, a un certo punto, venne fuori anche il mio nome. Non parlavano della mia musica, bensì della mia persona, del mio matrimonio, della mia pazzia. Mio Dio, com'era avvilente quel che mi toccò udire! Non le starò a raccontare i particolari: tutt'un mare di balordaggini e di invenzioni. L'intero viaggio fino a Pietroburgo si trasformò in una sequela di tormenti insopportabili, derivanti dal trovarmi a contatto con estranei che mi irritavano e che senz'alcun tatto cercavano di frugare nella mia vita privata.
Provai un inesprimibile, irresistibile desiderio di fuggire, di nascondermi, e fui preso da un'angoscia, da un orrore indicibile, pensando alla vita che mi aspetta a Mosca. Mi sembrava di non desiderare, di non bramare altro che la pace assoluta, ossia la morte. Sono riuscito a vincermi ed ora è di nuovo ben desta in me la voglia di vivere, di condurre a termine la mia vita di lavoro, di dire tutto quello che non è stato detto ancora.
Sa, mia cara, che cosa temo soprattutto? Mi fa paura la vita a Mosca, così come me l'andavo figurando durante il viaggio, col Conservatorio e il relativo ambiente antipatico, con tutte quelle lezioni che mi avviliscono, con gli inevitabili attacchi di depressione che mi coglieranno non appena riprenderò l'insegnamento e riallaccerò i rapporti con quelle persone... mi fa fremere il pensiero che dovrò adattarmi a tutto questo e che non mi sarà più possibile opporre alcuna resistenza.
Che cosa direbbe lei se fra qualche tempo, senza farmi troppo notare, abbandonassi il Conservatorio? Se dovessi risolvermi a vivere ancora per un anno o due lontano dal teatro della mia attività didattica? Finora ho sempre considerato un dovere quello di non abbandonare il Conservatorio, mancando la persona adatta a prendere il mio posto. Ma questi ultimi tempi ho cominciato a dubitare di questo mio immaginario dovere. In primo luogo sono e sarò sempre un cattivo maestro perché sono portato a veder immediatamente in ogni allievo e in ogni allieva un nemico destinato a mettermi alla tortura. In secondo luogo mi domando ancora: non vuole forse il mio destino che io dedichi tutto il mio tempo, tutte le mie forze a quell'attività che prediligo, che dà un senso e uno scopo alla mia vita, vale a dire la composizione?
Forse lei si domanderà dove andrei a stabilirmi nel caso decidessi di rinunciare all'attività didattica. Certamente né a Pietroburgo, né a Mosca. Pietroburgo non mi è mai piaciuta; Mosca l'amo, ma con una certa amarezza in fondo al cuore. Mi piace come città, amo la sua architettura, perfino il suo clima; ma lei sa perché adesso, meno che mai, la potrei prendere in considerazione.
Quello che gradirei sopra ogni altra cosa, sarebbe di passar la maggior parte dell'anno in campagna: da mia sorella o a Brailov qualora lei mi concedesse di passar colà qualche periodo in primavera o in autunno. Per farla breve: vorrei condurre ancora una vita svincolata da ogni impegno come lo scorso anno. Oh Dio, come se ne avvantaggerebbe il mio lavoro! Che felicità sarebbe per me fruire di una tale libertà!
Che pace finalmente, al riparo da tutte le contrarietà che la vita finora mi ha date! Con che fervore potrei dedicarmi alla mia attività di compositore!
Ed infine un'ultima considerazione ancora: soltanto in campagna, soltanto fuori dalla Russia, soltanto libero di scegliere la mia residenza, sarei sicuro di evitare ogni incontro con quella tal persona la cui vicinanza fatalmente mi sconvolgerebbe e mi tormenterebbe sempre. Intendo quella donna, quel documento vivente della mia follia, capace di avvelenare ogni istante della mia esistenza qualora fra me e lei non si frapponesse una distanza insormontabile.
Dunque, amica mia, che cosa direbbe se io lasciassi il Conservatorio? Non ho ancor preso una decisione definitiva. Anzi, prima andrò a Mosca e farò ogni tentativo per riabituarmi a quell'ambiente. Devo però assolutamente conoscere la sua opinione in merito a tutta questa faccenda. Non vorrei a nessun costo agire contro il suo consiglio e il suo desiderio. Risponda, la prego, a questa mia domanda.

A Pietroburgo, Petr trascorse ore serene in compagnia del vecchio padre e di Anatol. Non si lasciò però vedere da nessun altro ed evitò qualsiasi incontro con amici e conoscenti. Fece eccezione soltanto per Davidov, direttore del Conservatorio, col quale passò una serata in istato di perfetta grazia, sentendosi del tutto a suo agio. Davidov esplose in frasi indignate quando apprese che Ciajkovskij, considerato ormai un uomo celebre, veniva sfruttato dal Conservatorio di Mosca e sprecato per insegnare i rudimenti della teoria e dell'armonia.

Con le lagrime agli occhi, - scrisse Petr all'amica, - Davidov mi propose una cattedra nel suo Conservatorio. Si tratterebbe di tenere soltanto quattro ore di lezione la settimana con un guadagno quasi doppio di quello di Mosca. Davidov vorrebbe affidarmi una classe libera di composizione, in tal modo che potrei perfino insegnare stando a casa mia. Egli non voleva assolutamente credere che finora, e cioè per dodici anni, io mi fossi dedicato all'insegnamento dell'armonia e fossi stato obbligato a sacrificare al Conservatorio, ogni settimana, ventisei o ventisette ore del mio tempo. Indirettamente mi erano pervenute anche altre volte offerte di trasferimento a Pietroburgo; ma questa era la prima proposta veramente concreta.
Il colloquio con Davidov mi fece molta impressione. Tuttavia il cambiamento di sede non mi attira gran che. Per quanto vantaggiose possano essere le offerte che mi fa Davidov, esse non son tali da concedermi la libertà assoluta. Inoltre, attirato da uno stipendio più alto e da un lavoro gradevole, non potrei mai risolvermi a dare una grossa delusione a Rubinstein e a farmene così un nemico per tutta la vita. D'altro canto però, il colloquio con Davidov mi ha aperto gli occhi su non poche faccende e mi ha rafforzato nell'intenzione di rinunciare a quel penoso impiego in una città dove vivere mi è diventato insopportabile. Può immaginare che sollievo sarebbe, invece di insegnare ogni giorno per quattr'ore di fila le combinazioni degli intervalli di «terza» a quaranta ragazzine che non capiscono né si sforzano di capire nulla, avere soltanto due o tre allievi di talento e soltanto per quattro ore la settimana.

Dopo una sosta di pochi giorni a Pietroburgo, ecco Petr di nuovo a Mosca, incapace, però, di trovare più alcun punto di contatto con la città così amata in addietro, la città dove era stato così bene, dove si era sempre sentito come a casa propria.
Scrive Petr all'amica il 10 settembre 1878:

Con un profondo senso di sgomento, di tristezza, e con l'impulso irresistibile a riconquistare la mia libertà, sono arrivato questa mattina a Mosca. Voglio prender tutte le misure per lasciare pacificamente e senza clamore il Conservatorio verso il quale non provo sentimenti diversi da quelli di un prigioniero per la propria cella. Ma chissà perché non mi sono reso conto prima che, dopo tutto quello che è successo, non avrei mai più potuto fissare a Mosca la mia residenza. Non potrò mai più sentirmi felice qui, neppur per un'ora soltanto.

Se ne sono andati poco fa due amici, Laroche


German Avgustovich Larosh

e Kaskin, - scrive due giorni più tardi, - la cui compagnia un tempo mi riusciva piacevole. Perché adesso invece la loro presenza mi annoia a tal punto che non ho neppur la forza di dissimulare, tanto che l'ho lasciato trapelare ripetutamente? Perché i tre giorni che ho già passato qui mi sembran tre anni, lunghi a non finire? Perché tutto qui mi dà una sensazione di angoscia, di ribrezzo, di nausea? Perché ieri e oggi sono fuggito dal Conservatorio come se qualcuno mi inseguisse, completamente stordito, come uno che sia stato per qualche tempo privato d'aria e di luce e che finalmente le assapora entrambe, felice di averle ritrovate e di potersene ristorare? Possibile che sembrino belli soltanto i luoghi dove non siamo? Eppure a Brailov ero infinitamente felice, così come a Verbovka, a Firenze e in Svizzera ho trascorso ore lietissime, libero, sicuro e sereno. Perfino Pietroburgo, che non mi piace, mi sembra, a paragone, attraente; se non altro perché là vivono persone cui voglio veramente bene e la cui vicinanza dà calore al mio cuore. Mi vado sempre più convincendo che devo fuggire di qui. Con tutto me stesso non aspiro ad altro: andarmene e basta. Un abisso si è spalancato fra il mio passato e l'avvenire: o riesco a superarlo oppure sprofonderò in un pantano di malinconia, di tedio, di nausea della vita.

Petr alla signora Nadezda:

Mosca, 19 settembre 1878

Mia carissima amica!

Dal mio arrivo a Mosca è già passata una settimana. Mi sembra un'eternità. Non si può descrivere quale vita faccia qui. Sono continuamente ossessionato dal desiderio di nascondermi non so dove e non so da chi. All'ora fissata mi trovo al Conservatorio, di corsa vado nella mia classe, non mi muovo più finché duran le lezioni e alla fine mi precipito fuori come una freccia e mi infilo in una carrozza per andarmi a rifugiare da qualche parte, nei dintorni della città. Soltanto lì ritrovo un po' di pace. Come sono grato ai moscoviti di amare così poco la natura! I dintorni della città sono, infatti, assolutamente deserti. Una volta sono rimasto nel parco alcune ore di seguito senza incontrare per quegli stupendi viali neppure un'anima viva. Alla sera mi tappo in casa, oppure vado vagando per strade fuori mano, al di là della Moscova e mi abbandono a tetre fantasticherie. La cosa peggiore è che non riesco a lavorare; devo quindi trovare un modo di ammazzare il tempo. Ma come? È triste che le ore mi passino così, vuote di senso e prive di scopo.
Non le starò a raccontare tutti i fatterelli tragicomici che mi avvengono quando voglio sfuggire i miei simili. Sono accaduti alcuni incidenti veramente spassosi. Così per tre giorni di seguito, udii il cantante Korsov, un individuo assai poco simpatico, prendersela col povero Aljoscia perché alla domanda: «È in casa Petr Ilijc?» l'altro rispondeva invariabilmente: «Non è in casa!». Alla fine quel seccatore è riuscito ad acchiapparmi: pretendeva che gli componessi immediatamente un'Aria da interpolare nella sua parte. Gli risposi che non avevo tempo, che non ero in vena, che non mi sentivo in quel momento di comporre nulla di buono. «Non fa nulla, rispose, se lei scrive qualcosa di brutto, io non la lascerò in pace e starò qui finché l'Aria non le sarà riuscita». Se non si arrischiassero i rigori della legge, sarei veramente disposto a prezzolar qualcuno per far eliminare l'insolente.
Al Conservatorio mi sento come un estraneo. Tutto quel che vi accade non mi tocca più. Ho smesso perfino di inquietarmi e di andar in collera come facevo una volta; ormai, non provo più che sordo rancore per tutto ciò che, prima, mi faceva montar sulle furie. Tuttavia, così non può continuare: sento che devo andarmene da Mosca. Confesso sinceramente: se non avessi la speranza, anzi la certezza di riavere in un modo o nell'altro la libertà, non mi resterebbe che una risposta: abbrutirmi a forza di bere.
Perché mai son venuto qui? Come mai non sono riuscito a supporre tutto ciò in anticipo? Perché mi son stabilito qui senza prevedere che non avrei più potuto sopportare l'atmosfera di Mosca?

La signora Nadezda aveva proposto all'amico di andare ad abitare nella sua casa di Mosca. Vi sarebbero state allestite e messe a sua disposizione due delle cinquantaquattro stanze ed egli sarebbe stato servito nel modo più accurato, senza pericolo che qualcuno osasse di venire a disturbare. Ma Petr aveva declinato l'invito per timore di scatenare con ciò nuove chiacchiere. Tuttavia, volle andare una volta a vedere la casa.

Ho sempre l'intenzione di visitare la sua casa di boulevard Roshdestvenski. Ma si figuri che, fino adesso, mi è mancata l'energia anche per decidermi a far questo. Non mi crederà, ma ancora non mi sono spinto in quella zona neppure una volta. La mia paura di incontrare qualcuno che conosco è degenerata in una specie di mania di persecuzione. In effetti, non sono altro che un invasato.

Con viva impazienza Petr attende che l'amica risponda alle sue reiterate, vibranti domande di approvazione al suo progetto di rinunciare all'impiego nel Conservatorio e di condurre d'ora innanzi una vita libera da ogni impegno. Tutto dipende da lei, è lei che gli dà i mezzi per vivere, è lei che tiene il suo destino nelle sue mani. Con finissimo intuito femminile la signora von Meck comprende la situazione e misura perfettamente il suo valore di musicista.
Si dà così il caso rarissimo di un artista sottratto alle miserie della vita di ogni giorno, affinché si dedichi esclusivamente al proprio lavoro creativo. Quella donna rara e singolare non soltanto provvede a lui, ma lo pungola, lo stimola, lo rafforza nella sua capacità e nella sua fede. Non è la prima volta che Nadezda von Meck si trova impegnata in un'impresa di questo genere. Allorché il marito aveva corso il rischio di restar soffocato sotto il peso della carriera burocratica, era stata lei che non gli aveva lasciato tregua finché non lo aveva indotto a rinunciare all'impiego e a intraprendere la libera professione di ingegnere. L'impresa audace fu coronata dal successo: il marito seppe far valere la sua abilità e riuscì a guadagnar milioni come costruttore di ferrovie. Noi abbiamo l'impressione che una donna così energica e volitiva abbia tenuto il bastone di comando nel matrimonio come negli affari.

La signora Nadezda a Petr:

Sanremo, 20 settembre 1878

Amico caro!

Mi affretto a risponderle. Lei mi domanda se sarei contenta di un suo ritiro dal Conservatorio. E come no? Già da gran tempo infatti considero addirittura mostruoso che lei, con la sua intelligenza, la sua cultura, il suo talento, dipenda dall'arbitrio e dalla grossolana prepotenza di un uomo che vale tanto meno di lei, contro natura e contro ogni senso comune. Ritengo che ella possa giovare assai meglio alle generazioni future di quanto non lo possa fare con l'attività didattica adempiendo alla sua missione autentica, che è quella ben più nobile di elevare gli animi attraverso la sua opera creativa. Per correggere 'quinte' ed 'ottave' non mancano uomini, capaci unicamente di questo. Lei invece lascerà all'arte monumenti che la nuova generazione prenderà a modello. Le dà dunque la mia benedizione perché lei compia questo passo e mai, caro amico, abbia a pentirsene.
Sono adesso a Sanremo. Non è strano? Sei mesi fa ella mi scriveva a Mosca da Sanremo ed ora sono io a scriverle di qui. Venga in questo splendido paese, amico mio, venga ad abitare vicino a me. Che piacere mi farebbe! Venga sul lago di Como, che è così pittoresco e dove ci sono tante altre località amene, oltre a Bellagio. Come sarebbe bello se potessimo entrambi abitare là, separati uno dall'altra da un paio di chilometri!
Mi rallegro che a Mosca abbia trovato un alloggio così bello, ma mi dispiace che non si sia trasferito in casa mia. Tuttavia, anche se lei non andrà ad abitarci, ho un vivo desiderio che ella veda almeno tutta la casa per farsi un'idea dell'atmosfera in cui vivo. Nessuno la disturberà e per me sarebbe una gioia grande se lei andasse là, si installasse comodamente e provasse tutti i miei pianoforti. Ho due Erard, un Bechstein e un meraviglioso Steinway.

L'offerta di Davidov mi ha fatto molto piacere perché ne deduco che ci sono persone che si rendono conto del suo valore. Sono tuttavia del parere che lei non dovrebbe accettare, dato che rifiutando non perde nulla. Lei potrebbe infatti ovunque, in Russia e in tutta l'Europa, avere un posto come quello che le è stato offerto, in qualsiasi momento lei volesse. Ma come autore, con una fantasia così fertile, lei ha bisogno di piena libertà e di pause di riposo.
Ha veramente ragione, amico caro; basta un'allusione, una mezza parola appena, perché io capisca quello che lei sente. Anzi dirò di più: ancor prima di lei mi ero resa conto che la sua situazione era intollerabile e che aveva bisogno di un mutamento. Da molto tempo ormai desideravo saperla pienamente libero.

Frattanto Nicolai Rubinstein, reduce dai grandi successi di Parigi, era ritornato a Mosca come un trionfatore. Petr aveva atteso con ansia quell'istante per poter sciogliersi dai suoi impegni al Conservatorio, trattando direttamente con lui.

Petr a Nadezda:

Mosca, 24 settembre 1878

Rubinstein è arrivato qualche giorno fa. Il Conservatorio gli aveva preparato una accoglienza solenne e la sera stessa all'Ermitage ebbe luogo un ricevimento al quale partecipai anch'io. Rispondendo al primo brindisi in suo onore, Rubinstein replicò dicendosi particolarmente felice del grande successo ottenuto dalle mie composizioni nei suoi concerti ed affermò che io sono artista di tale ingegno che il Conservatorio poteva ritenersi fortunato di contare su un talento della mia forza. Terminò il discorso con un brindisi al mio indirizzo. Può immaginare come mi riuscirono importune quelle parole e quel brindisi. Tornai a casa in preda alla disperazione. Dopo tutti i servizi che Rubinstein mi aveva reso a Parigi, dopo tutti gli onori che mi erano stati tributati quella sera, chieder di andarmene così, sui due piedi, dal Conservatorio sarebbe stato ricambiare tanta gentilezza con un grosso sgarbo e con la più nera ingratitudine.
Ma l'indomani ebbe luogo un aperto scambio di idee. Rubinstein chiese di parlarmi a quattr'occhi ed io acconsentii. Cominciò col domandarmi perché mai avessi un'aria così tetra, come mi sentissi, che cosa facessi. Ovvio che non mi fu possibile rispondere altrimenti che con assoluta franchezza. In uno stato di grande eccitazione gli confessai che quella vita mi era diventata insopportabile, che mi sentivo in preda a un orribile tedio, che non potevo più resistere a Mosca.
Si figuri ora il mio stupore! Mi aspettavo da Nicolai Rubinstein un'esplosione di collera e d'indignazione e il tentativo di dimostrarmi che il restare a Mosca era indispensabile per il mio bene. Accadde invece tutto il contrario. Rubinstein mi ascoltò sorridendo, come si ascolta un bambino viziato e capriccioso, né manifestò alcun rammarico. Lasciò soltanto intendere che il Conservatorio, rinunciando alla mia collaborazione, avrebbe perso grande parte della sua fama. Con ciò voleva certo dire che agli allievi non sarebbe venuto gran danno dalla mia partenza. Ha ragione, in fondo, poiché inetto e irascibile come sono, valgo ben poco come insegnante; mi sarei tuttavia aspettato una maggior resistenza da parte sua.
Sia come sia, mi sento alleggerito da un gran peso. Mi attendevo una scenata spiacevole, tempestosa ed ecco invece che ad un tratto posso andarmene in pace e senza clamore, restando ottimi amici. La persona che lei sa ha adottato una nuova tattica per farsi ricordare. Osserva coscienziosamente la condizione da me posta per accordarle una rendita: o trasferirsi in un'altra città o disporre le cose in modo che io non debba vederla. In questo momento non so neppure dove si trovi. In compenso è sua madre a subissarmi di lettere nelle quali mi protesta il più tenero affetto, mi chiede di andarla a trovare e mi prega perfino di far da testimonio alle nozze della figlia minore, poiché la mia benedizione, dice, le porterebbe fortuna!!! Cerca inoltre di convincermi a riprendere i rapporti con Antonina, promettendomi la più grande felicità. Dio, come sarebbe bello esser lontano mille miglia da tutto questo!

Il fatto che la signora Nadezda avesse approvato senza riserve la sua uscita dal Conservatorio mise Petr fuori di sé dalla gioia.

Ieri finalmente ebbi la sua lettera, mia eccellente, infinitamente generosa, unica amica. Sapevo fin dal principio che non mi avrebbe consigliato di andar contro la mia natura. Ma soltanto dopo aver penetrato le sue parole così preziose, ho ritrovato la pace. La mia felicità non ha limiti: conto i minuti che ancor mi separano dalla partenza.
Oggi non le scrivo che queste poche righe per ringraziarla di avermi, come il mio buon angelo, liberato da questa odiosa schiavitù.
Con che slancio lavorerò adesso, con quale accanimento lotterò per dimostrare a me stesso che sono degno di quanto ella fa per me! Spesso, molto spesso, mi assale il pensiero che lei mi dia più felicità di quanta io ne meriti. Soprattutto quando smetto di lavorare, considero la mia inettitudine e comincio a disprezzarmi e a cedere alla disperazione. In tali istanti mi sembra che l'idea che lei si fa di me e quello che io valgo in realtà siano due cose infinitamente distanti. Non appena però mi rimetto al lavoro e quello che vado facendo mi soddisfa, la voragine si chiude sotto di me e mi sento di nuovo degno della sua bontà, del suo affetto. E come lavorerò! Oh Dio, che felicità essere liberi!

L'indomani Petr scrive:

Finalmente ieri ho visitato la sua splendida casa. Ivan Vassiljev (il maggiordomo) mi ricevette con grande cortesia e mi lasciò piena libertà di girare per tutte le stanze. Passai nella sua casa due ore e osservai bene ogni cosa. Non ho certo bisogno di dirle che l'enorme salone e le altre stanze di ricevimento mi hanno riempito di ammirazione. Molto di più però mi piacquero le camere dove vive lei e l'appartamentino a me destinato. Era già pronto per accogliere l'ospite; che angolino delizioso! Con che piacere mi sarei fermato per approfittare della sua atmosfera accogliente! Ma purtroppo è impossibile. Come professore al Conservatorio devo intrattenere rapporti col mondo esterno, non posso andarmi a rinchiudere nel suo delizioso palazzo. Debbono sapere dove sono alloggiato; nascerebbero pettegolezzi a non finire se si venisse a sapere che abito in casa sua. Eppure non potrei desiderare niente di meglio di quel recesso fatato, inaccessibile a chiunque...
Ho provato i suoi strumenti. Il pianoforte Bechstein e lo Steinway sono splendidi. Ho visitato la casa da cima a fondo, ho visto perfino la sua bellissima stanza da bagno. Ivan Vassiljev mi ha pregato insistemente di tornare ancora. Naturalmente tornerò poiché mi son sentito così bene e a mio agio in casa sua.

E due giorni più tardi:

Cara amica! Ieri, d'un tratto ho avuto quest'idea luminosa: a che scopo restar a Mosca ancor tutt'un mese? La mia vita qui è completamente priva di senso e mi riesce difficile attendere un altro mese. Sulle prime avevo l'intenzione di restare per due motivi: primo, dare a Taneev


Sergei Ivanovich Taneev

il tempo di provvedere alle mie classi; secondo, assistere al concerto dell'«Associazione per la Musica russa» nel quale Rubinstein suonerà proprio il mio Concerto per pianoforte e orchestra. Adesso però ho saputo che sarà Hubert e non Tanejev a prender le mie classi superiori; in quanto al concerto, capisco che non riuscirò ad andarci per nulla al mondo.
Le confesso che, per tirare avanti, continuo a cercar conforto nell'alcool. Ho quindi affrettato tutto quel che dipendeva da me e ho comunicato oggi stesso a Rubinstein che ho intenzione di partire alla fine di questa settimana.
Dunque, amica cara, fra meno di una settimana sarò fin mente libero!
Tanti tormenti sono dunque arrivati felicemente alla conclusione. Il giorno della partenza gli amici si radunano per una festa d'addio. Sono presenti Rubinstein, Albrecht, Kaskin, Tanejev e altri.
Sebbene sentissi la più grande gioia per la libertà infine riconquistata, tuttavia provavo una certa tristezza nel separarmi da quella gente con cui avevo passato più di dodici anni. Tutti mi sembrarono molto commossi e questo mi turbò profondamente.

Petr Iljic parte dunque per Pietroburgo, dove si trattiene soltanto poche settimane. Indipendentemente dalla sua volontà, si trova qui a condurre una vita movimentata che non gli giova e che gli impedisce di lavorare. È giunto nella capitale nordica unicamente per rivedere il padre e Anatol; invece, il folto parentado lo sequestra, sicché non gli riesce possibile salvarsi dai banchetti, da ricevimenti, da manifestazioni di ogni sorta.
Al Teatro Imperiale dell'Opera, il Teatro Maria, si rappresenta proprio una sua vecchia opera, Vakula il Fabbro, tratta da un racconto di Gogol. Ciaikovski scrive alla signora von Meck:

C'è una persona contro la quale provai un'irritazione violenta durante l'intero spettacolo, e quella persona sono proprio io. Mio Dio, che quantità di errori imperdonabili ho da rimproverarmi! Quasi tutta l'opera sovrabbonda di particolari inutili e di un cromatismo stucchevole. I diversi numeri mancano di misura. È una specie di banchetto troppo succulento. Vi si trovano una quantità di leccornie, ma troppo scarsi sono i sapori genuini, semplici, sani. Mi rendo chiaramente conto di questi difetti che purtroppo non sono rimediabili. Tuttavia, riascoltando la mia musica ne ho ricavato una buona lezione per l'avvenire. L'Eugen Onegin rappresenta, di questo sono più che convinto, un buon passo avanti.