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BIOGRAFIA, PENSIERI, FILOSOFIA DI

PETR ILJIC CIAJKOVSKIJ

ATTRAVERSO


LETTERE, RICORDI E TESTIMONIANZE


NADEZDA VON MECK

DICEMBRE 1976 -INIZIO 1977

Si avvicina il 1877, l'anno del destino e della crisi, l'anno in cui accade un fatto destinato a dare piega del tutto nuova alla vita di Ciajkovskij. Uno degli allievi prediletti, il violinista Kotek,


KOTEK (a sinistra) e CIAJKOVSKIJ

ha ottenuto una specie di impiego fisso presso la signora Nadezda Filaretovna von Meck, ricchissima dama della società moscovita, che ha un amore appassionato per la musica.

Kotek le parla di Ciajkovskij e della sua penosa situazione. La dama manifesta il desiderio di conoscerne le composizioni e ben presto si accende di così forte entusiasmo per quella musica da decidere senz'altro di aiutare il compositore. Per mezzo di Kotek, chiede a Ciajkovskij, offrendo un elevato compenso, di trascrivere per violino e pianoforte alcune sue composizioni. Ecco la prima lettera:

Mosca, 18 dicembre 1876

Egregio Petr Iljic!
Mi permetta di esprimerle la mia sincera gratitudine per aver dato così sollecito seguito alla mia richiesta. Ritengo inopportuno dirle quale senso d'incanto abbiano destato in me le sue composizioni, perché ella è certamente avvezzo a ben altri omaggi e l'ammirazione di una creatura insignificante quale son io nei campo musicale, non potrà che sembrarle ridicola. Tuttavia, questa passione per la musica rappresenta per me un bene tanto prezioso che non permetto a nessuno di riderne tutto quanto le voglio dire, pregandola di credermi. In compagnia della sua musica, vivere diventa più facile e più piacevole.

Ciajkovskij, allora, risponde:

Mosca, 19 dicembre 1876

Egregia Nadezda Filaretovna!
La ringrazio di cuore per le amabili e lusinghiere parole che mi ha scritto. A un musicista come me, che ha incontrato tanti insuccessi e tante delusioni, è di grande conforto sapere che esiste un piccolo numero di persone come lei, così fervidamente e sinceramente appassionate per la sua arte.

Due mesi più tardi, facendo seguire una nuova ordinazione, la signora von Meck scrive fra l'altro:

Le racconterei molto, moltissimo a proposito della mia fanatica ammirazione per lei, se non temessi di abusare del suo poco tempo libero. Le voglio dire soltanto che una tale passione, per quanto possa apparire insensata, mi è cara come il più sublime di tutti i sentimenti di cui sia capace la natura umana. Mi consideri pure una visionaria, una pazza forse, ma non rida di me.

Immediatamente il musicista risponde:

Mi dispiace che lei non mi abbia detto tutto quanto aveva nel cuore. Le assicuro che sono profondamente toccato, dai suoi sentimenti poiché anch'io provo per lei la più calda simpatia. Non sono soltanto parole: la conosco meglio di quanto forse ella non creda. Se un bel giorno si decidesse a scrivermi tutto ciò che ha da dirmi, le sarei molto grato...

Mosca, 7 marzo 1877

Egregio Petr Iljic!
La sua cara risposta alla mia lettera mi ha procurato una gioia quale non provavo da tempo... Eccomi ora a lei con una fervida preghiera che potrà forse sembrarle strana. Ma un individuo che come me conduce vita da eremita, viene naturalmente a trovarsi in uno stato d'animo per cui convenzioni sociali, regole di buona creanza e cose del genere sembrano concetti vuoti di senso. Non so in realtà come la pensi lei, ma alcune osservazioni mi fanno ritenere che, meno di chiunque altro, possa esser lei a condannarmi per questo. Se però dovessi ingannarmi, la prego vivamente di dirmelo con franchezza e di respingere la mia istanza. Ecco che cosa vorrei: la sua fotografia. Posseggo già due suoi ritratti, ma vorrei riceverne uno proprio da lei. Mi piacerebbe ricercare sul suo volto le tracce delle ispirazioni e dei sentimenti sotto il cui influsso ella compone quelle opere capaci di rapirci in un mondo di sensazioni e di aneliti collocati al di là di quanto la natura può offrire. Quale godimento e quanta nostalgia suscita la sua musica!...
La prima delle sue opere orchestrali che ebbi occasione di ascoltare fu La tempesta. È impossibile descrivere le sensazioni evocate in me da questa musica. Per giornate intere mi sentii come in preda alla febbre senza che riuscissi a liberarmi da un tale stato di eccitazione.
Considero il musicista una creatura superiore e sebbene a tal riguardo abbia sofferto non poche delusioni, questa convinzione è ben radicata nel mio animo profondamente.
Come mi fui riavuta dalla prima violenta impressione suscitata in me dalla sua opera, provai l'impellente desiderio di sapere che razza di uomo fosse colui che aveva composto una tale musica. Cominciai a fare indagini sul suo conto, colsi ogni occasione per apprendere qualcosa di lei, ascoltai ogni osservazione, ogni giudizio che la riguardasse e le devo confessare che spesso era proprio quello che gli altri trovavano da biasimare che mandava me in visibilio. Anche recentemente mi è capitato di udire, per caso, riferire una sua opinione che mi ha entusiasmato tanto da rendermela caro ed amico ad un tempo. Come sono felice che in lei il musicista e l'uomo si integrino così armoniosamente! Sapesse cosa provo ascoltando la sua musica e come le sono grata per tali sensazioni!
Ci fu un tempo in cui avrei tanto voluto conoscerla di persona. Ma ora che subisco così intensamente il suo fascino, temo a incontro. Se un giorno dovessimo per avventura conoscerci, non potrei comportarmi con lei come un estraneo, non potrei stringerle la mano senza profferir parola. Preferisco quindi pensare a lei da lontano...
Ho ancora una preghiera da rivolgerle: nella sua opera Opricniki c'è un passaggio che mi rende addirittura pazza ogni volta che l'ascolto. Per tale musica che esprime la sublimità della morte, mi sentirei capace di dare la vita. Se ne ha voglia, faccia con tali motivi, una marcia funebre per me, e precisamente per pianoforte a quattro mani. Se la mia richiesta dovesse però riuscirle importuna, sia come non detto. Mi dispiacerebbe certo, ma non ne sarei offesa.
Vorrei inoltre pregarle di permettermi di omettere nelle mie lettere simili formalità come: «egregio». Non sono di mio gusto. E prego lei di fare altrettanto nelle sue. Non rifiuterà, nevvero?

Petr si sottomette a tutte queste condizioni:

Già la circostanza che soffriamo entrambi dello stesso male ci avvicina l'uno all'altra. Questo male si chiama misantropia... Ci fu un tempo in cui questa malattia mi faceva soffrire a tal punto da farmi perdere la ragione... Fu il lavoro a salvarmi, il lavoro che è per me necessità e godimento ad un tempo.

Quanto alla Marcia funebre che ha ordinato, Nadezda Filaretovna è fuori di sé dalla gioia:

La sua Marcia è talmente splendida che mi ha fatto sprofondare in una specie di follia, in uno stato in cui si dimentica tutto quanto la vita ha di amaro e di deprimente. Non è possibile descrivere quali sensazioni caotiche suscitino nel mio cuore e nella mia mente le note di quel lavoro. I miei nervi tremano, vorrei piangere, vorrei morire, anelo a un'altra vita; non a quella cui credono gli uomini, ma a un'altra, superiore ed inafferrabile. Il sangue pulsa nelle tempie, il cuore batte, davanti agli occhi cala un velo nero e soltanto l'orecchio ascolta rapito le magiche note di quella musica...
Oh Dio! Com'è grande l'uomo che può donare a un altro una simile beatitudine... Com'è bella la sua Francesca da Rimini!
Esiste un altro, capace di rendere meglio l'orrore dell'inferno e l'incanto dell'amore?

Ma chi è, dunque, questa signora von Meck, chiamata a rappresentare una parte così determinante nella vita del nostro musicista?
Nadezda von Meck, figlia di un possidente russo, aveva nove anni più di Ciajkovskij. A diciotto era andata sposa a Karl Georg von Meck, nobiluomo baltico, i cui antenati erano stati un tempo i signori del feudo di Sunzel, nelle vicinanze di Riga. Il giovane Karl Georg non aveva però ereditato alcun bene ed al momento del suo matrimonio occupava un modesto impiego come ingegnere. La giovane coppia dovette sostenere una dura lotta contro le difficoltà della vita.

Non sono sempre stata ricca - scrive Nadezda Filaretovna in una lettera a Petr. - Per gran parte della mia esistenza mi son trovata povera, poverissima. Mio marito era ingegnere delle comunicazioni, alle dipendenze dello Stato, guadagnava millecinquecento rubli all'anno, e queste entrate dovevano bastare per mantenere una famiglia con cinque figli. Situazione assai poco brillante, come vede. Ero allo stesso tempo la balia, la governante, la maestra, la sarta dei miei bambini e la cameriera e la segretaria di mio marito. Il lavoro era molto, ma lo facevo volentieri.
Ben altro mi affliggeva. Sa lei, Petr Iljic, che cosa significa avere un impiego? Lo sa che si deve dimenticare di essere individui dotati di ragione, di volontà propria, di dignità? Che bisogna essere automi, burattini? Non potevo sopportare che mio marito si trovasse in una situazione simile e perciò non cessavo di insistere e di pregarlo perché lasciasse quel posto. All'obiezione che non avremmo avuto più niente da mangiare, replicavo che avremmo lavorato e che di fame non saremmo morti. Quando finalmente cedette alle mie preghiere, venimmo ben presto a trovarci in grandi difficoltà, tanto che per il nostro sostentamento non potevamo spender più di venti copechi al giorno. Eppure non rimpiansi mai quella nostra decisione.

È l'epoca in cui in Russia si costruiscono strade e ferrovie in quantità: agli imprenditori accorti si offrono possibilità enormi. Progetti e stanziamenti son fatti senza economia. Trattandosi di collegare con una ferrovia le due capitali, Mosca e Pietroburgo, si chiede allo zar Nicola I di esprimere i suoi desideri. Il sovrano si fa dare allora una carta e una riga e con la matita congiunge le due città con una linea retta. La strada ferrata viene infatti costruita secondo quella direttiva, lunga quasi settecento chilomentri, senza curve, senza riguardo per gli ostacoli naturali, tale quale corre ancor oggi fra le due città maggiori della Russia. Karl von Meck è un abile ingegnere. Pungolato dalla volontà prepotente della moglie, compie imprese straordinarie e lega il suo nome a parecchie ferrovie di grande importanza. Non è però tagliato per gli affari e lascia quindi che la moglie si occupi della parte commerciale delle sue imprese. Quando muore nel 1876, dopo ventott'anni di matrimonio, lascia in eredità alla consorte undici figli e un patrimonio di molti milioni. La vedova si trova ad affrontare un compito gigantesco che assolve con molta energia e intelligenza. L'ultimogenito viene al mondo soltanto nel 1877. Si noti che Ciajkovskij appare all'orizzonte proprio nel momento in cui muore il marito.
Nadezda von Meck si ritira allora dalla vita di società quasi in modo assoluto e si dedica all'educazione dei figlioli, sette dei quali vivono ancora sotto il suo tetto, mentre gli altri sono già in grande parte sposati. Il figlio prediletto Vladimir, il maggiore, ha la natura tipica dell'autentico signore. Affascina la gente con la sua gentilezza, spende il denaro a piene mani e, insieme con la madre, sovraintende alle ferrovie che il padre ha costruito. Non sembra però che sia stato molto laborioso ed abile negli affari. Siamo dunque di fronte, una volta di più, a un caso assai frequente: quello di una seconda generazione che vale meno della prima. I figlioli sono cresciuti nella ricchezza; non hanno dovuto lottare per il pane quotidiano e non conoscono il valore del lavoro.
Nadezda von Meck, che è ormai la più ricca signora di tutta Mosca, abita in un severo palazzo di ben cinquantadue stanze. La casa è arredata col gusto sovraccarico del tempo: ovunque una profusione di velluti e di mazzi di fiori sotto campane di vetro. Un esercito di domestici è a disposizione, precettori e istitutrici si occupano dell'educazione dei figlioli. Un impiego stabile e molto apprezzato vi trovano i musicisti, che suonano insieme duetti e trio con la padrona di casa (pianista eccellente) e che dànno lezioni di musica ai ragazzi.
La signora Nadezda possiede inoltre alcune splendide tenute di campagna; fra tutte, la più bella è quella di Brailov, in Ucraina.
La salute di lei non è eccellente: il freddo, soprattutto, le riesce insopportabile e la spinge continuamente verso il sud. Quasi senza posa, intraprende lunghi viaggi all'estero dove un intero seguito di maestri, governanti, cuochi, cameriere e servitori accompagna lei e i figli. Abituata com'è a dominare, nei suoi viaggi si serve fino al confine di una propria vettura-salone. All'estero prende in affitto piani interi negli alberghi o lussuose ville ammobiliate. Ovunque le vengon resi onori come ad una principessa.
Con gli anni la sua misantropia aumenta. Nicolai Rubinstein, il signore della vita musicale moscovita, è una delle rare persone che di quando in, quando può andare a farle visita. Non di rado egli ha bisogno dl sovvenzioni per il suo Conservatorio ed ella allarga generosamente i cordoni della borsa. Non si lascia vedere neppure dalla maggior parte dei suoi parenti. Ai concerti e a teatro se ne sta nascosta in fondo ad un palco e non vuoi parlare con nessuno.
I membri della famiglia soffrono per il suo dispotismo: tutti devono sottomettersi alla sua volontà. Non è possibile opporre resistenza: quando essa comanda, agli altri non resta che obbedire. Ha il carattere dispotico ed ostinato che ricorda quello della «zia» nel romanzo di Dostojevski Il giocatore.
Conosciamo di lei l'alta figura slanciata, gli espressivi occhi scuri, la folta chioma castana. Come molte donne russe, è capricciosa e in certo qual modo irresponsabile. Tratti essenziali della sua natura sono tuttavia la passionalità irruenta e la bramosia di dominio. Si strugge dal desiderio di trovare persone su cui riversare il suo affetto. Adora i figli e non nasconde la sua netta preferenza per alcuni fra essi.
Quand'ecco, al suo orizzonte appare Ciajkovskij che ha allora trentasette anni. Questo singolare vincolo di amicizia durerà tredici anni, e mai uno udrà la voce dell'altra. La signora Nadezda ha posto infatti questa condizione: mai egli dovrà fare il tentativo di conoscerla personalmente. Di buon grado il musicista acconsente al suo desiderio e i due non si scambieranno mai una sola parola.
Non ci fu che qualche rarissimo incontro, fortuito e fugace, per lo più per la strada, incontri da cui tutti e due restarono profondamente sconvolti, cercando di allontanarsi quanto più presto possibile.


MUSSORGSKI E IL «GRUPPO DEI CINQUE»
VITA MUSICALE DI PIETROBURGO