HOME PAGE
________________________________________________________________________________________________________

  RITRATTO DI RICHARD STRAUSS
NUOVA STORIA DELLA MUSICA EINAUDI


  BARONI - FUBINI - PETAZZI - SANTI - VINAI

NUOVA STORIA DELLA MUSICA

EINAUDI

1999, pp. 402-407
 

Mahler considerava se stesso l'inattuale per definizione, e vedeva invece nel collega Strauss (con cui ebbe cordiali rapporti personali e professionali) il «grande attuale». [...] L'apparizione del primo capolavoro di Strauss compiutamente rivelatore, il poema sinfonico «Don Juan» (composto nel 1888) segna una data. Il «Don Giovanni» straussiano si ispira a Lenau, ma le suggestioni che il compositore accolse non vanno cercate in specifici episodi del testo: determinante è l'immagine di una vitalità erotica incessante, di uno slancio impetuoso che si brucia e si rinnova istante per istante. Come «Don Giovanni», in Lenau, vorrebbe vivere ogni esperienza solo nella magica intensità dell'attimo, di un sempre nuovo presente, cosí la musica straussiana si basa sul principio della sorpresa, sul nervoso e mutevole accumularsi dei colpi di scena, su una trascinante inventiva, su una insaziabile sensualità sonora.
Una lettera a Hans von Bülow (che protesse e apprezzò Strauss e Mahler nella loro carriera direttoriale, guardandone invece con perplessità le opere) scritta il 24 agosto I888, durante la composizione del «Don Juan», contiene significative riflessioni di Strauss sulla musica a programma: secondo Strauss, se l'opera «deve avere plasticamente efficacia sull'ascoltatore, bisogna che davanti agli occhi spirituali del pubblico sia plasticamente evidente ciò che l'autore voleva dire. Ciò è possibile soltanto grazie alla fecondazione attraverso un'idea poetica, che venga o non venga aggiunta all'opera come programma».
Strauss appare consapevole della magistrale sicurezza con cui la sua fantasia risponde ad ogni spunto immaginifico, creando gesti di plastica evidenza. Con «Don Juan» si lasciò definitivamente alle spalle la formazione e le prime esperienze, di natura classicheggiante, post-brahmsiana (seguite da un accostamento a Wagner), e aperse la stagione dei poemi sinfonici, legati ciascuno ad una idea poetica; ma anche all'evidente preoccupazione di definire di volta in volta un progetto formale dotato di autonoma coerenza musicale, attraverso un ripensamento delle problematiche legate alla tradizione sinfonica, in particolare quelle della forma sonata e del rondò, sempre vitalizzate peraltro da sorprendenti colpi di scena.
Un rondò, è, secondo la definizione dello stesso Strauss, «Till Eulenspiegels lustige Streiche» (I tiri burloni di Till Eulenspiegel, 1894-95); alla forma sonata si può ricondurre «Tod und Verklärung» (Morte e trasfigurazione, un tema massimamente attuale nel clima culturale della fine del secolo), del 1888-89, in modo tuttavia piuttosto complesso, riferibile anche al modello lisatiano di sovrapposizione in un unico blocco di forma sonata e ciclo in piú tempi. Di piú ampio respiro «Also sprach Zarathustra» (Così parlò Zarathustra, 1895-96), dove Nietzsche è molto liberamente preso come spunto per una celebrazione dell'evolversi dell'umanità «fino alla concezione nietzschiana del Superuomo ».
E in una celebrazione si risolve l'«idea poetica» di «Ein Heldenleben» (Vita d'eroe, I897-98), dove la violenza fonica della sezione corrispondente ai vittoriosi conflitti dell'eroe con i suoi avversari è un eloquente esempio della rassicurante cautela con cui per lo piú si presentano, in Strauss, le innovazioni linguistiche. Nella sua poetica esse non mirano mai allo scardinamento eversivo, e nel caso dell'esempio citato il dissonante fragore appare «giustificato» dall'evidenza dell'immagine della battaglia.
Si può osservare, del resto, che nelle idee poetiche dei poemi sinfonici di Strauss ricorre spesso uno schema che dal trascinante impeto vitale dell'inizio conduce ad una pacata, trasfigurata, conciliata quiete conclusiva: un aspetto che conferma l'immagine di Strauss come l'interprete per eccellenza «attuale» della sicurezza dell'era guglielmina, anche se non si possono dimenticare le ombre e le inquietudini che si addensano, ad esempio nella mortale conclusione del «Don Juan».
Una definizione di incisiva esattezza, innegabile anche per chi non volesse condividerne gli umori polemici, si legge in un celebre passo del «Doctor Faustus» di Thomas Mann (ispirato dalla consulenza musicale di Adorno) a proposito della «Salome». Strauss vi è definito «rivoluzionario fortunato, audace e conciliante», e si osserva: «Mai avanguardismo e sicurezza di successo si sono uniti in maggiore confidenza. Non mancano gli affronti e le dissonanze, e poi quella bonaria condiscendenza che fa la pace con il timorato di Dio e gli fa capire che, in fondo, la cosa non è tanto grave...»
Motivi di scandalo e un successo strepitoso caratterizzarono la fortuna della «Salome» (Dresda 1905), terza opera teatrale di Strauss, che dai primi del secolo rivolse la sua attenzione in primo luogo al teatro musicale (e nel 190I era già giunto ad un esito personalissimo con «Feuersnot», che appare oggi quasi come un manifesto del gusto Jugendstil).
«Salome» fu composta tra il 1903 e il 1905 direttamente sulla traduzione tedesca del celebre dramma di Wilde, opportunamente sfrondato: con una travolgente foga inventiva, con autentica frenesia evocativa, Strauss reagisce con istantanea prontezza agli stimoli della situazione scenica, conferisce ad ogni gesto una eccitata evidenza, con una rapida mobilità che diventa legge formale di questa partitura, la cui disponibilità non ammette altri principi di necessità costruttiva. La trasformazione del tema in motto segno, arabesco, già chiara nei poemi sinfonici, investe qui i Leitmotive, la cui funzione è sensibilmente diversa da quella wagneriana. E i momenti di piú notevole arditezza della viscida, spesso sfuggente armonia, come le molte mirabili intuizioni timbriche, non possono essere separati dalla loro funzione evocativa.
Ad arditezze anche maggiori la fantasia straussiana fu stimolata dal testo dell'«Elektra» di Hofmannsthal (anch'esso concepito come lavoro autonomo, non destinato alla musica, risalente al I903): quest'opera, composta tra il I906 e il I908 e rappresentata a Dresda nel I909, segna il massimo avvicinamento di Strauss all'espressionismo. Nel dar voce alla ossessione di vendetta che domina questa tragedia, dove la saga degli Atridi è vista fuori da implicazioni etiche, nei suoi aspetti di sanguinosa violenza, Strauss tocca punte di allucinata esasperazione espressiva.
In questa direzione Strauss non proseguí il 1909 è l'anno di una svolta, chiarissima fin dall'opera immediatamente successiva, una commedia impregnata di malinconie retrospettive, il «Rosenkavalier». A spingere Strauss nella direzione di un nobilmente manieristico e riflessivo ripiegamento contribuí anche la lunga collaborazione con Hofmannsthal, che fino alla morte (1929) fu per lui un librettista supremamente congeniale (ferma restando l'autonomia delle due personalità, avvertibile sempre in una certa divaricazione tra le intenzioni dell'uno e dell'altro).
Il primo frutto della collaborazione fu anche il piú fortunato, «Der Rosenkavalier» (Il cavaliere della rosa), composto nel 1909-10 e rappresentato a Dresda nel gennaio 1911: è una commedia ambientata nella Vienna di Maria Teresa, dove alcuni personaggi sembrano alludere a figure delle «Nozze di Figaro» di Mozart (dietro Octavian si può scorgere in trasparenza Cherubino, dietro la Marescialla la malinconia della Contessa) e dove sono accortamente mescolate, intorno al nucleo poetico della mesta riflessione della Marescialla sul trascorrere del tempo, situazioni comiche e tenerezze amorose, e l'evocazione di una Vienna settecentesca vista come un mito fuori dalla storia (anche grazie al felice anacronismo dei valzer che percorrono la partitura).
Hofmannsthal scorgeva nella personalità di Strauss un aspetto mozartiano e uno wagneriano, e diceva di voler esaltare il primo: di fatto una orchestra di dimensioni molto ridotte viene trattata da Strauss con supremo virtuosismo nel lavoro successivo, «Ariadne anf Naxos» (Arianna a Nasso, 1911-12), che originariamente doveva legarsi alla rappresentazione del «Borghese gentiluomo» di Molière (la cui funzione introduttiva fu sostituita nel 1916 da un prologo, che contiene le pagine piú alte dell'opera). Hofmannsthal aveva voluto mescolare i lazzi dei comici dell'arte e la storia di Arianna abbandonata a Nasso, dove incontra Bacco, per sperimentare una inconsueta mescolanza di generi e creare per questa via una immagine della contraddittoria complessità della vita. Il musicista è sollecitato a ripensare liberamente diverse convenzioni del passato operistico.
Con l'«Ariadne», e poi con «Die Frau ohne Schatten» (La donna senz'ombra) si ribadisce in modo definitivo la fedeltà di Strauss alla propria poetica, al proprio linguaggio, il suo estraniarsi dalle novità radicali degli anni dell'Espressionismo. Soggetto di quest'opera, composta tra il 19I4 e il 19I8, è una fiaba densa di simboli (che Hofmannsthal sentí il bisogno di sviluppare autonomamente in un lungo racconto, scritto parallelamente al libretto), una fiaba dunque che rimanda idealmente al «Flauto magico» di Mozart: la fantasia straussiana ne coglie mirabilmente, con tutte le seduzioni dell'arabesco, soprattutto gli aspetti fatati, le magiche fascinazioni del mondo della coppia «nobile» (quella dell'Imperatore e dell'Imperatrice, ai quali si contrappone il bozzettismo realistico del tintore Barak e della moglie), tra incanti sonori di incredibile leggerezza, o arcane dissolvenze, ed evocazioni trascinanti di eventi e paesaggi prodigiosi.
Nel primo dopoguerra Strauss, che nei decenni a cavallo fra i secoli aveva rappresentato agli occhi di molti il musicista «moderno» per eccellenza, è sempre piú estraneo ai mutamenti del gusto e si isola in crescente misura in una posizione che ai nuovi compositori parve «tardoromantica», e che era semplicemente coerente con il mondo della sua giovinezza. Le otto opere teatrali che seguirono la «Frau ohne Schatten» non sono ripetitive (almeno per ciò che riguarda le pagine piú felici), ma restano legate a questa posizione isolata e retrospettiva. Giunge a culmini di raffinatezza e di fluida scorrevolezza lo stile di conversazione già individuato nel prologo dell'«Ariadne» (e approfondito fra l'altro nell'ultima opera su testo di Hofmannsthal, «Arabella»); nell'ultima stagione, poi, si tende ad una sorta di attenuazione delle tinte, a suggestioni piú rarefatte, come nei morbidi colori a pastello, nel sobrio lirismo del clima pastorale della Daphne (1935-37), o nella riflessione e nei colori argentei di «Capriccio» (Monaco 1942), «conversazione per musica» dove non c'è una vera vicenda, dove tutto lo svolgimento appare giocato su puri pretesti, posto sotto il segno della rinuncia, della suprema celebrazione dell'artificio, in un clima sospeso tra ironia e mestizia.
Un carattere di congedo hanno anche le «Metamorphosen» per 23 archi, una meditazione sul tema della «marcia funebre» dell'Eroica composta nel I945, di fronte al crollo della Germania, e i mirabili «Quattro ultimi Lieder» del I948, che concludono il catalogo straussiano in un clima struggente, in una luce di autunnale splendore, di filtrata rievocazione.
Si è visto come nel percorso di Strauss si possa agevolmente riconoscere una svolta netta in senso retrospettivo nel 1909 dopo «Elektra». Il 1909 fu l'anno di alcuni dei piú radicali lavori dello Schonberg «atonale» (i pezzi pianistici op. 11 e quelli orchestrali op. 16, «Erwartung»): queste pagine segnarono una sorta di cesura nelle vicende della musica nuova, e ci fu chi, di fronte al loro radicalismo, si ritrasse perplesso, pur avendo condiviso in precedenza almeno alcuni aspetti della ricerca «moderna». Così fece Strauss...