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JACQUES CHAILLEY

LE OPERE DI RAMEAU

STORIA DELL'OPERA UTET II, 1

pp. 34-38

Rameau aveva iniziato la sua carriera musicale come organista e come tale era venuto a Parigi nel 1705. I suoi studi sull'armonia, coronati dal famoso trattato (Traité de l'harmonie réduite à ses principes naturels), pubblicato nel 1722, lo avevano subito portato nel numero dei teorici più eminenti. Era entrato nel teatro assai modestamente, come compositore di musiche per gli opéras-comiques al Théátre de la Foire Saint-Germain, poi al Théátre Italien verso il 1723. Pare non avesse molto gradito questi incarichi, anche se queste prove di mestiere gli sarebbero state assai utili in seguito. Infatti, oltre a costituire una occasione di contatto, sia pure duro, con la realtà materiale e le limitazioni della scena, è quasi certo che molti pezzi per clavicembalo, di musica da camera, e anche certi frammenti di musica strumentale (come la danza dei «selvaggi» dell'atto IV dell'«opéra-ballet» Les Indes galantes) più tardi inseriti nelle sue grandi opere liriche, erano originariamente il frutto - a quanto dice egli stesso - di un'ordinazione ricevuta da «un direttore di teatro italiano».
L'unica ambizione valida per lui era quella di comporre opere di tradizione lullista, allo stesso modo dei suoi colleghi coltivati dai partigiani dell'angolo del Re. Dovette però aspettare molti anni prima che gli si presentasse l'occasione di esibire una sua opera. Di questo periodo di attesa ci è rimasta una sua particolareggiata corrispondenza con dei librettisti, oggi giustamente dimenticati, ma che allora erano la gloria deH'Académie Royale de Musique e anche dell'Académie Française, come Houdart de la Motte. A costui, che diffidava di Rameau come di un «musicista scolastico», l'autore del trattato sull'armonia rispondeva:
«La natura non mi ha privato completamente dei suoi doni, e non mi sono dedicato alla combinazione delle note in modo tanto esclusivo da dimenticare il loro legame profondo con il bello naturale, che basta da solo per piacere...».

E ancora:

«Sarebbe augurabile che si trovasse, per il teatro, un Musicista che studiasse la natura prima di ritrarla e che sapesse scegliere secondo la sua scienza quei colori e quelle sfumature il cui rapporto col modo ordinario di esprimersi gli fosse fatto intendere dal suo spirito e dal suo gusto».
Gli ricordava infine di aver lavorato per il teatro italiano, e di aver scritto delle cantate «i cui manoscritti son tanto diffusi in Francia...». L'accademico fu irremovibile, e Rameau dovette rivolgersi all'Abbé Pellegrin. Questo personaggio aveva almeno il merito di possedere perfettamente il mestiere alla moda: si era fatto conoscere in primo luogo per aver adattato ad arie operistiche o di vaudeville dei testi sacri, e persino l'Imitation de Jesus-Christ. Aveva anche scritto tragedie che avevano avuto abbastanza successo, e libretti d'opera, tra i quali soprattutto uno aveva attratto su di lui l'attenzione di Rameau, Jephté (1732), musicato da Montéclair. La prima opera di Rameau nacque dalla collaborazione dell'Abbé Pellegrin e fu l'Hippolyte et Aricie. Le prove vennero effettuate nel teatro privato del famoso mecenate La Pouplinière e tutti ne furono entusiasti; ma all'Opéra, il 10 ottobre 1733 le cose andarono un po' diversamente. Infatti, se Rameau aveva pur cercato di percorrere la strada segnata da Lully (come avevano fatto Campra, Destouches o Colasse), aveva una personalità troppo marcata per limitarsi ad imitare il maestro, e quindi il grande pubblico lo apprezzò solo parzialmente.
Molti furono disorientati dalla complessa varietà, insolita in quel contesto, dell'orchestrazione, dalla novità del linguaggio armonico, dall'ampiezza delle linee melodiche, dalle inflessioni nuove che la personalità del musicista aveva imposto al recitativo, caduto nello stereotipo dalla morte di Lully. Solo alcuni conoscitori indiscutibilmente autorevoli compresero l'importanza di questa partitura, come il vecchio Campra che dichiarò ai suoi colleghi - in presenza del Principe di Conti che aveva assistito alla prima rappresentazione: «Non fatevi ingannare, c'è più musica in quest'opera che in dieci delle nostre, e l'uomo che vedete là ci eclisserà tutti!»
Rameau, scoraggiato sul momento, riprese presto fiducia vedendo aumentare a poco a poco il successo, che cresceva ad ogni rappresentazione e che suscitava scambi di libelli tra i lullisti, ammiratori di una tradizione già completamente svuotata, e Ramoneurs [Gioco di parole per designare come «spazzacamini» gli ammiratori di Rameau - N. d. T.] conquistati dalla musica di Hippolyte et Aricie. Questa prima querelle dell'Opéra si sarebbe indirizzata altrove quando Grimm, come abbiamo visto prima, avrebbe pubblicato la sua Lettre sur Omphale, preludio della famosa querelle sui commedianti. Anche se le circostanze avevano fatto sì che l'Opéra gli avesse aperte le porte solo quando aveva già cinquant'anni, Rameau continuò a scrivere e produsse una dopo l'altra una trentina di opere che sono considerate quasi tutte importanti, e alcune di esse dei capolavori.
Dopo il colpo da maestro dell'Hippolyte, si cimentò nell'opéra-ballet (genere poco differente dall'opera propriamente detta, come abbiamo visto a proposito di Campra), con Les Indes galantes (prima rappresentazione, 23 agosto 1735) che dopo l'incerto successo iniziale si andò affermando gradualmente, con la ripresa nel 1736, dopo la quale rimase nel repertorio del teatro fino al 1771. Il libretto, scritto da Fuzelier, è stato spesso criticato; aveva però il merito di contenere episodi numerosi e coloriti, di cui il musicista si valse magnificamente. La partitura che ci è giunta è frutto di numerosi ritocchi e dell'aggiunta, posteriore alla prima rappresentazione, di un quarto atto (Les Sauvages). Da questa partitura furono poi tratti «quatre grands concerts en différents tons» per gruppi strumentali da camera, e pezzi per clavicembalo. L'opera brilla soprattutto per il suo aspetto sinfonico e coreografico. A proposito del recitativo e della parte vocale, Rameau disse che «sempre preso dalla bella declamazione e dall'ampio respiro melodico che regnano nel recitativo del grande Lully [ha tentato] di imitarlo, non copiando pedissequamente, ma prendendo a modello la bella natura, come già lui fece».
In conclusione questo recitativo non ha tratti originali, ed è solo grazie a qualche aria (come, ad esempio, il celebre «Inno al Sole» dell'atto II, per baritono e cori) che la parte vocale di questa composizione è passata alla storia. Con il Castor et Pollux (24 ottobre 1737), Rameau tornò alla tragedia in musica vera e propria: il libretto di Gentil-Bernard (noto come poeta per una sua Art d'aimer) viene considerato il migliore fra quelli da lui musicati, e la partitura che ne risultò, forse, il suo capolavoro. L'Académie Royale de Musique la rappresentò, dal 1737 al 1758, ben 254 volte, il che conferma l'enorme favore che incontrò; l'opera fu rimaneggiata a varie riprese, una volta dagli autori nel 1754, un'altra nel 1760 da Gossec, che introdusse strumenti a fiato nella partitura. Particolarmente brillanti sono alcune arie, tra cui la famosa «Tristes appréts, páles fiambeaux...», le parti corali e la celebre ciaccona dell'ultimo atto. In Les jétes d'Hébé ou Les talents lyriques, «opéra-ballet» del 1739, il compositore non fece altro che utilizzare musiche precedentemente scritte per un Samson, su libretto di Voltaire, che non fu mai rappresentato. Il libretto di Les jétes d'Hébé è «senza pretese», ma la musica «raggiunge a volte il vertice della perfezione».
Dardanus, come già il Castor, è uno dei più clamorosi successi dell'arte di Rameau, ed è comprensibile che queste due partiture abbiano scatenato le ire dei partigiani di Lully. Questa composizione, più delle altre, è stata criticata come troppo densa: «è talmente piena di musica - diceva qualcuno - che per tre ore nessun suonatore d'orchestra aveva nemmeno il tempo di sternutire». Anch'essa subì tanti rimaneggiamenti tra la prima e la seconda serie di rappresentazioni che in totale, si può dire, sono sette gli atti che Rameau ci ha lasciato. Scriveva Paul-Marie Masson che essi sono: «D'ispirazione molto varia e composti nella piena maturità del suo genio artistico. Nessuna opera gli è costata tanto lavoro; forse, di tutte le sue composizioni, è quella in cui ha saputo trovare gli accenti più profondamenti umani».
Dopo un'opera celebrativa, La Princesse de Navarre (1745), scritta su un libretto di Voltaire, Rameau compì un'innovazione introducendo l'ispirazione comica nel teatro lirico con Platée ou Junon jalouse, il cui libretto scritto da J. Autreau, si può immaginare che sarebbe andato benissimo a Offenbach. Rameau seppe adattarsi perfettamente alla sbrigliata fantasia del libretto, giungendo persino a fare interpretare il ruolo comico dell'eroina, Platea, da un uomo travestito, con espediente un po' facile, ma infallibile. Ma presentare sulle scene degli amori ridicoli non era forse la trovata più adatta per un lavoro destinato ad essere rappresentato a corte, in occasione delle nozze del Delfino, figlio di Luigi XV. Perciò Rameau dovette aspettare quattro anni prima di essere ammesso all'Académie Royale de Musique, incontrando inoltre l'ostruzionismo dei grandi cantanti della compagnia. Nonostante fosse stato eseguito da un cast di second'ordine (a eccezione della famosa Marie Fel) il successo fu grandissimo, e il partito dell'angolo della Regina - specialmente Grimm e Rousseau - accolsero l'opera come un capolavoro.
Le opere che seguirono, circa una all'anno, furono quasi tutte accolte favorevolmente: Les Jétes de Ramire, Les Jétes de Polymnie, Les lites de Wymen et de l'Amour, Zaïs, Pygmalion, Naïs, La guirlande, Acanthe et Céphise, La naissance d'Osiris, Abaris ou Les Boréades, ecc. Ma una partitura di quest'ultimo periodo della produzione lirica di Rameau merita una attenzione particolare: Zoroastre; con quest'opera, su libretto di Cahusac, rappresentata per la prima volta all'Opera di Parigi il 5 dicembre 1749, gli autori sembrano precorrere il Mozart della Zauberflöte. Il librettista, segretario al seguito del conte di Clermont, gran maestro della Massoneria francese, non aveva certo saputo trovare i sontuosi pretesti simbolici che più tardi Schikaneder offrirà a Mozart. Zoroastre - sbiadita prefigurazione del Sarastro di Mozart - rasenta il peggior stile convenzionale allora alla moda sulla scena lirica, ma Rameau aveva, nei limiti del possibile, trasfuso nella sua partitura un'autentica solennità iniziatica. Aveva tratto profitto in senso musicale ed espressivo, impostando una continua opposizione di ombre e luci, dalla lotta tra il bene e il male che determinavano i principali effetti drammatici dell'azione scenica.
Scrive il maggior biografo moderno di Rameau, Paul-Marie Masson:
«A tratti, anima e innalza quest'opera un anelito religioso, che annuncia le grandi scene sacerdotali del Flauto Magico. Il pubblico non errò nel giudicarla fece un'accoglienza trionfale ai cori, ai sorprendenti incantesimi del quarto atto, distinguendo perfettamente la banalità e la ridicolaggine di altre scene più convenzionali».
Va notato un altro particolare: in questa partitura Rameau utilizza, per la prima volta all'Opéra, i clarinetti, strumenti il cui uso, con i corni di bassetto, sottolinea spesso in Mozart l'ispirazione massonica; tuttavia non è certo che questo strumento non sia stato aggiunto più tardi alla strumentazione originale.
La pagina certamente più densa di simbolismo cosmico è l'Ouverture: sostituisce qui l'antico prologo dell'opera, che viene per la prima volta abbandonato e, precorrendo Mozart e Gluck, si lega per la prima volta intimamente all'azione: si tratta di una vera sinfonia a programma, il cui argomento è stato cosi formulato esplicitamente dal musicista:
«La prima parte è un quadro forte e patetico del potere di Abramane (il genio del male) e delle sofferenze dei popoli da lui oppressi; segue una dolce calma, rinasce la speranza. La seconda parte ritrae in toni vivaci e ridenti la potenza benefica di Zoroastro e la felicità dei popoli che ha liberato dall'oppressione.»
Alla sua morte, avvenuta nel 1764, l'arte di Rameau si era imposta, lentamente ma profondamente, quasi del tutto isolata dalle discussioni sulla musica italiana.