L’edificio teatrale

Gli spettacoli si svolgevano all’aperto: i primi, al tempo di Tespi e Pisistrato (prima metà del VI sec. a.C.), nell’orchestra dell’Agorà di Atene e i cittadini assistevano agli spettacoli da tribune in legno. Poi di lì a poco, al tempo di Eschilo, sulle pendici meridionali dell’Acropoli fu costruito il teatro di Dioniso Eleutherios, dove saranno tenute le rappresentazioni più significative dell’età classica. Gli edifici teatrali sono importanti per capire la natura e il senso profondo del teatro greco, che era soprattutto un luogo della parola, come l’agorà e il tribunale. L’edificio dell’epoca classica si sviluppa dall’orchèstra, lo spazio in cui durante le rappresentazioni agiva il coro, un cerchio religioso e magico che nella sua forma ricorda l’aia in cui i contadini celebravano le loro danze rituali in onore di Dioniso, il dio simbolo della fecondità e della forza fecondatrice della natura, essenziale in una civiltà prevalentemente agricola come quella ateniese. E non a caso durante gli agoni tragici una statua del dio veniva portata con una processione solenne in teatro, posta di fronte al palcoscenico e celebrata con sacrifici sulla thymèle, l’ara sacrificale situata al centro dell’orchèstra. La collocazione ideale del thèatron ("luogo da cui si guarda"), come è a tutti noto dai numerosi resti archeologici, era la pendenza ai piedi di un colle, sulla quale prendevano posto gli spettatori che così godevano di una visuale più efficace. Tale pendenza assunse la forma di una gradinata semicircolare, il koilon o cavea, realizzata per la prima volta in pietra a Siracusa. L’edificio teatrale sicuramente più perfetto è, però, quello di Epidauro, appartenente all’età ellenistica. Le gradinate erano tagliate in senso verticale da quattordici scalinate dette klìmakes e in senso orizzontale da due corridoi detti diazòmata. La cavea aveva alle due estremità due accessi per l’orchèstra, detti pàrodoi, dai quali faceva il suo ingresso solenne il coro (il canto d’ingresso del coro era detto appunto pàrodos). La tenda (skenè, da cui "scena"), che, sviluppandosi lungo la tangente dell’orchèstra, serviva alle origini da camerino per gli attori, si trasformò nel tavolato (proskènion) di una scena che di solito rappresentava un palazzo reale a tre porte da dove entravano ed uscivano gli attori, oppure un tempio, una grotta, una tenda militare, ecc. Poi dalla seconda metà del IV sec. a.C. fu impiegata la pietra come materiale anche per la scena, che fu spinta in avanti con un proscenio rialzato, sostenuto da un piccolo colonnato con tavole di legno dipinte (pìnakes) per connotare l’ambiente e la parete di fondo venne ornata di una o più serie di colonne.

Le macchine teatrali

Nel teatro greco si faceva uso anche di marchingegni teatrali; i più importanti erano lo enkyklema e la mechanè. Il primo era una sorta di piattaforma che, eseguendo un movimento circolare o rettilineo, girevole, serviva a rendere visibile al pubblico quanto avveniva in un interno (soprattutto i fatti di sangue che non venivano rappresentati davanti agli occhi dello spettatore) e a consentire il passaggio da un esterno a un interno. La seconda era una macchina per volare, una specie di gru che, con un sistema di cavi e carrucole, serviva a tenere sollevato un personaggio e spesso anche a calare dall’alto una divinità (deus ex machina). Gli dèi apparivano anche dal theologèion, una piattaforma nascosta in alto sopra la parete di fondo. Per le apparizioni dei fantasmi o delle ombre di morti si ricorreva ad una botola, posta nell’orchestra, cui si accedeva tramite un passaggio sotterraneo detto charòneioi klìmakes ("scale di Caronte"). Il teatro greco non rinunciava nemmeno agli ‘effetti speciali’ grazie appositi strumenti che servivano a simulare tuoni, lampi, fiamme, ecc.

 


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