Die Vernunft hat kein Herz,
ohne Musik ist der mensch kein Mensch
 
"Non riesco proprio a ricordarmi una vita senza musica. Mio padre suonava al pianoforte i valzer e le opere di Johann Strauss, così come li aveva sentiti spesso a Vienna ai tempi della prima guerra mondiale. E così più tardi, quando ho cominciato a suonarla in orchestra, questa musica per me era divenuta già da molto tempo una cosa spontanea e naturale, l'ho sempre presa sul serio, proprio come una sinfonia di Brahms o come la Matthäus-Passion. Mi affascinava la naturalezza con la quale a Vienna, e soltanto a Vienna, si suonava Strauss: qui c'era appunto una tradizione ininterrotta, che risaliva addirittura all'orchestra degli Strauss. Tuttavia non si poteva ignorare che di anno in anno certe piccole cesure diventavano più lunghe, i tempi lenti diventavano più lenti, quelli veloci diventavano più veloci, il brio diventava più brioso, e lo Schmär (il tipico humour viennese) diventava più accentuato. Il materiale dal quale suonavamo era sempre un "arrangiamento" di cosiddetti "specialisti" straussiani, i quali sostenevano che dopotutto lui non avesse strumentato tanto bene, e che non avesse fissato tutto così precisamente. In complesso è più facile ottenere un testo critico di Bach che uno di Strauss!"        La sua carriera è cominciata tardi e porta il segno di una ostinata opposizione. Nikolaus Harnoncourt aveva già passato la quarantina quando, negli anni Settanta, fece furore con le sue interpretazioni di Claudio Monteverdi, quando le sue nuove ed eccitanti interpretazioni di Johann Sebastian Bach e Georg Friedrich Händel suscitarono discussioni, capaci a volte di trasformare le sale da concerto in campi di battaglia. Nel frattempo Harnoncourt è stato riconosciuto universalmente come specialista della musica antica, come strenuo difensore del discorso sonoro e maestro del dialogo musicale. Ma il fatto che egli non si voglia ancora accontentare produce sempre nuove controversie. Soprattutto nella sua terra natale, l’Austria, non gli si perdona di aver "violato" con interpretazioni fuori dagli schemi il sacrario nazionale, Mozart. Stupore e scetticismo sono la moneta con cui lo si ripaga del fatto che, dopo aver conquistato il classicismo viennese, esteso a Schumann e Mendelssohn, Brahms e Bruckner, Weber e Johann Strauss, Harnoncourt ora si presenti al pubblico addirittura con Verdi, Wagner e Alban Berg.

      In materia di musica antica Nikolaus Harnoncourt è senza dubbio non solo assolutamente competente, ma ha avuto un ruolo determinante nella seconda metà del nostro secolo. Oltre alla sua attività di interprete, per più di vent’anni ha formata un’intera generazione di giovani musicisti, insegnando "pratica dell’esecuzione storica" al Mozarteum di Salisburgo e pubblicando due libri su questo argomento, capisaldi imprescindibili della letteratura scientifica relativa.

      Riposare sugli allori dello specialista sarebbe stato assolutamente contrario alla sua natura. In fondo Harnoncourt si è dedicato così intensamente alla storia unicamente perché, essendo un esecutore, voleva farsi una immagine personale dell’evoluzione della musica occidentale; perché quello che aveva sentito come violoncellista in un’orchestra viennese di primo rango lo aveva annoiato e frustrato; perché sin da quando era bambino era importante per lui trovare la sua strada al sapere, piuttosto che riprendere le opinioni altrui. Essendo nato in una vecchia famiglia dell’alta nobiltà austriaca, probabilmente questo era l’unico modo per ottenere l’indipendenza spirituale.

      Johann Nikolaus de la Fontaine e d’Harnoncourt-Unverzagt, nato il 6 dicembre 1929 per circostanze particolari a Berlino, dove il padre era riuscito a trovare un posto nella crisi successiva alla prima guerra mondiale, ha assorbito la tradizione centenaria nella quale la sua famiglia affonda le proprie radici. Un gigantesco sistema di valori incorruttibili ai quali Harnoncourt si sente strettamente legato nella stessa misura in cui prova il bisogno impellente di ribellarvisi.

      L’impulso ad opporsi è per Harnoncourt un fattore elementare, la premessa imprescindibile di ogni espressione veramente artistica. Come musicista Harnoncourt non ama annoverarsi tra gli artisti, tuttavia nel suo discorso inaugurale al Festival di Salisburgo 1995 ha rivelato il suo credo personale, ha definito i propri parametri, caratterizzando l’artista come un tipo permanentemente scomodo, fondamentalmente sovversivo, che si trova a vivere la sua esistenza sotto il segno di una ricerca infaticabile, che non può e non deve mai accontentarsi dei risultati raggiunti né lasciarsi influenzare da nulla e da nessuno.

      Le massime di Harnoncourt sono il frutto delle profonde impressioni della sua giovinezza, vissuta all’ombra della seconda guerra mondiale; l’insicurezza economica e il bisogno materiale, ai quali nella sua famiglia si reagiva con un accentuato disprezzo delle cose materiali; la barbarie politica e le minacce concrete, ai quali venivano opposti i pilastri spirituali della religione e dell’arte, unici garanti di una vita dotata di un senso, indipendentemente dalle circostanze esterne.

      La filosofia della sopravvivenza cosi conquistata si è dimostrata da quel momento in poi quanto mai praticabile, non soltanto negli anni di povertà, quando era studente a Vienna o durante i più che modesti esordi, ma anche quando fondò una famiglia con la compagna dei suoi sogni, Alice, dotata della sua stessa musicalità e animata dallo stesso idealismo, pronta a condividere con lui ogni rischio.

      Nel loro matrimonio, che dura ormai da oltre quattro decenni e che si è trasformato in una simbiosi quasi inconcepibile per chi li osserva dal di fuori, Alice Harnoncourt, violinista di prima classe, nel frattempo ha allevato quattro figli come se nulla fosse, procurando che a casa regnasse la stabilità anche in situazioni spesso avventurose. Come primo violino del Concentus Musicus, ruolo che ha ricoperto per molti anni, Alice ha contribuito in maniera essenziale a delineare il profilo dell’ensemble. Che poi la sua fondazione nel 1953 sia coincisa con le nozze degli Harnoncourt, fa quasi l’impressione di un segnale sonoro di questa unione inusuale. Costante accompagnatrice e accorta manager del marito, musicista autonoma e critica, Alice è l’interlocutrice irrinunciabile in tutte le questioni artistiche, l’unica persona a cui Nikolaus Harnoncourt chieda sempre un parere e del cui giudizio si fidi ciecamente. Grazie a questo rapporto il violoncellista ostinato si è trasformato in un direttore stimato internazionalmente. Negli ultimi tempi lo si è chiamato addirittura Maestro, una definizione odiata da Harnoncourt, perché implica tutto ciò contro cui egli si ribella: il terrore, l’effetto esteriore, l’autorappresentazione.

      Harnoncourt non ha bisogno della bacchetta; la musica parla attraverso tutto il suo corpo. Lui è il mezzo, non il messaggio. Ma Harnoncourt un messaggio da darci lo ha - e questo, ai giorni nostri, è una vera rarità.
 
 
 

Monika Mertl
(L'autrice è giornalista culturale a Vienna e segue da più di dodici anni il lavoro di Nikolaus Harnoncourt)