LA PSICOLOGIA DI NIETZSCHE
E IL SUO INFLUSSO SULLA PSICANALISI

Prof. Martín Federico Echavarría
Universitat Abat Oliba CEU, Barcelona


La psicoanalisi ha ormai compiuto un secolo e malgrado tutte le crisi che ha subito, continua a esistere e ad influire notevolmente in molti campi della cultura, tra i quali, e non in ultimo posto, la religione e la sua cura animarum. Purtroppo, non sempre è conosciuta, nemmeno tra quelli, religiosi o laici, che si occupano professionalmente della psicologia, lo sfondo filosofico e spirituale che ha sostenuto le sue origini. Tra questi troviamo Friedrich Nietzsche. Per questo crediamo che l’argomento che ci proponiamo di esporre in questa sede sia centrale, non solo per capire quello che avviene in importanti scuole della psicologia contemporanea, ma anche in filosofia, in teologia ed in altri aspetti della cultura occidentale contemporanea. La brevità, che ci impone il limite di tempo, ci costringe a trascurare importanti temi e argomenti, su cui si fondano le nostre affermazioni.

1) La psicologia del profondo di Nietzsche

La psicologia, “signora di tutte le scienze”

Per cominciare, bisogna collocare la psicologia di Nietzsche nell'insieme del suo pensiero filosofico. Dobbiamo ricordare che il nostro autore considera che la verità è pura finzione, poiché ha soppresso la cosa-in-sé (compresa la “volontà” schopenhaueriana), lasciando sussistere soltanto il mondo fenomenico. Per questo, la sua psicologia non può essere una disciplina teoretica, che si limiti a contemplare passivamente la realtà, come di solito fa l’antropologia filosofica, ma uno strumento per operare una profonda trasformazione nella cultura. L’idea centrale è quella di una “transvalorazione (Umwertung) di tutti i valori”. L’intenzione di Nietzsche è di superare il modo cristiano e moderno di giudicare, soprattutto in campo morale, e accettare il mondo come divenire puramente immanente, senza nessuna unità di misura esterna (Dio, le idee, la cosa-in-sé). In funzione di tale scopo di transvalorazione, la psicologia svolge il ruolo distruttivo dell’immagine che gli uomini hanno di loro stessi.

Non è assolutamente necessario, sia detto tra noi, sbarazzarci (...) dell’“anima” e rinunziare a una delle più antiche e venerande ipotesi (...). Ma la strada per nuove forme e raffinamenti dell’ipotesi anima resta aperta: e concetti come “anima mortale” e “anima come pluralità del soggetto” e “anima come struttura sociale degli istinti e delle passioni” vogliono avere, sin d’ora, diritto di cittadinanza nella scienza.

La sua meta finale sarà porre di manifesto che il cristianesimo, e la morale sorta da esso, hanno come esito la malattia. I cristiani, e più in generale gli europei, sarebbero dei malati mentali, dei nevrotici. Dimostrare questo è il fine che Nietzsche si prefigge (e certamente nel suo pensiero il fine ha un ruolo non trascurabile) quando sviluppa le sue analisi psicologiche.

La psicologia di Nietzsche vuol essere, esplicitamente, una "psicologia del profondo" che diviene la “signora di tutte le scienze”. Siamo davanti ad una "svolta psicologica" con delle conseguenze molto importanti. La psicologia diviene "la strada per i problemi fondamentali".

Mai fino ad oggi un più profondo mondo della conoscenza si era dischiuso a navigatori e avventurieri temerari, e lo psicologo che in tal modo “compie il sacrificio” (...) potrà per lo meno pretendere che la psicologia sia nuovamente riconosciuta signora delle scienze, al servizio e alla preparazione della quale è destinata l’esistenza delle altre scienze. La psicologia infatti è ormai di nuovo la strada per i problemi fondamentali.

Non è quindi un’antropologia filosofica teorica, come abbiamo già detto, ma una “fisio-psicologia” delle pulsioni, soprattutto della volontà di potenza, cioè una vera e propria psicologia del profondo.

Tutta quanta la psicologia è rimasta sino ad oggi sospesa a pregiudizi e apprensioni morali: essa non ha osato scendere nel profondo. Concepirla come teoria evolutiva della volontà di potenza, come io la concepisco: - questo non è stato da nessuno neppure sfiorato col pensiero (...). Una peculiare fisio-psicologia deve lottare contro le resistenze incoscienti poste nell’animo dell’indagatore, essa ha il “cuore” contro di sé.

In realtà, non c’è soltanto “una” volontà di potenza, ma una molteplicità di centri di potere, in lotta reciproca, all’interno dello stesso individuo: “L’uomo è una pluralità di forze che sono ordinate secondo una gerarchia, sicché ci sono elementi che comandano (...). Il concetto “individuum” è falso”. Anzi, quante più contraddizioni portiamo in noi, più ricchi siamo, e più possibilità creative abbiamo.


L’annulazione dell'individuo, il corpo e il Selbst

Una caratteristica del pensiero psicologico nietzschiano è la derivazione “dal basso” di tutte le realtà dell’anima. Anche ciò che sembra più spirituale ed elevato, sia la filosofia che la religione, è soltanto il sintomo di una determinata costituzione psicofisica della quale non si ha coscienza. Per questo Nietzsche spera in una nuova generazione di "medici filosofi", che sappia analizzare le trasformazioni e sublimazioni inconsce dei bisogni fisiologici e degli istinti in ideali e pensieri.

L’inconsapevole travestimento di necessità fisiologiche sotto il mantello dell’obiettivo, dell’ideale, del puro-spirituale va tanto lontano da far rizzare i capelli (...). Dietro i supremi giudizi di valore, da cui fino a oggi è stata guidata la storia del pensiero, sono nascosti fraintendimenti della condizione corporea, sia da parte d’individui sia di classi o di razze intere. E’ legittimo ravvisare in tutte quelle ardite stravaganze della metafisica, specialmente nelle sue risposte alla domanda sul valore dell’esistenza, in primo luogo e sempre i sintomi di determinati corpi (...) tali affermazioni o negazioni (...) costituiscono (...) per lo storico e lo psicologo indici tanto più apprezzabili, in quanto sintomi, come si è detto, del corpo, del suo riuscire bene o male, della sua pienezza, potenzialità, dominio di sé nella storia, oppure invece delle sue inibizioni, stanchezze, scadimenti, del suo presentire la fine, del suo volere la fine. Sono ancora in attesa che un medico filosofo, nel senso eccezionale della parola – attento al problema della salute collettiva di un popolo, di un’epoca, di una razza, dell’umanità -, abbia in futuro il coraggio di portare al culmine il mio sospetto e di osare questa affermazione: in ogni filosofia non si è trattato fino a oggi, di “verità”, ma di qualcos’altro, come salute, avvenire, sviluppo, potenza, vita...

Con tutto questo, afferma Nietzsche, la nozione di “individuo” si mostra sbagliata. Non c'è soggetto, non c'è io. Se vogliamo possiamo parlare di "Es" , “esso”, a condizione di non intenderlo in modo sostanzialistico, ricadendo così nell'interpretazione cristiano-morale, che cerca un responsabile del divenire.

Per quanto riguarda la superstizione dei logici, non mi stancherò mai di tornare a sottolineare un piccolo, esiguo dato di fatto (...) che un pensiero viene quando è “lui” a volerlo, e non quando “io” lo voglio; cosicché è una falsificazione dello stato dei fatti dire: il soggetto “io” è la condizione del predicato “penso”. Esso pensa: ma che questo “esso” sia proprio quel famoso vecchio “io” è, per dirlo in maniera blanda, soltanto una supposizione, un’affermazione, soprattutto non è affatto una “certezza immediata”.

Il Sé (Selbst) , in realtà, è fuori dalla coscienza, siamo governati dal di fuori. “Il corpo.e la sua grande ragione” governano l’io come uno strumento.

‘Io’ dici tu, e sei orgoglioso di questa parola. Ma la cosa ancora più grande, cui tu non voi credere, - il tuo corpo e la sua grande ragione. Essa non dice ‘io’, ma fa ‘io’. (...)
Strumenti e giocattoli sono il senso e lo spirito: ma dietro di loro sta ancora il Sé [Selbst]. Il Sé cerca anche con gli occhi dei sensi, ascolta anche con gli orecchi dello spirito.
Sempre il Sé ascolta e cerca: esso compara, costringe, conquista, distrugge. Esso domina ed è il signore anche dell’io.
Dietro i tuoi pensieri e sentimenti, fratello, sta un possente sovrano, un saggio ignoto – che si chiama Sé. Abita nel tuo corpo, è il tuo corpo.


2) Il periodo postcristiano, la morte di Dio e l’eterno ritorno

A Nietzsche non importa, in fondo, se questo modo di rappresentare l’anima sia vero o non lo sia. Secondo lui, la verità non esiste. Non sarebbe che una menzogna che ha perso coscienza di essere menzogna. Quello che è importante, invece, è che la "finzione" sia “utile”. Il criterio di utilità è la non ostilità nei confronti della vita, cioè della volontà di potenza e delle lotte che la volontà di potenza genera. L’unica cosa che esiste, è questo mondo, il fluire costante, l’autocreazione e autodistruzione, e il conflitto delle interpretazioni antagoniche del mondo. Poichè il conflitto, la guerra, forma parte essenziale della realtà; anzi meglio, è la realtà stessa. Il motore del divenire corrisponde a questa dialettica fondamentale, come direbbe Hegel. E questa dialettica si sviluppa oggi ad un livello più complesso ed elevato. Perciò, questa teorizzazione dell'anima e dell’inconscio non ha la pretesa di verità, ma è uno strumento in mano del “cacciatore delle anime”, dello spirito della transvalorazione.

Il cristianesimo, con il suo presunto disprezzo della sessualità e della crudeltà, i due aspetti fondamentali, creativo e distruttivo, della volontà di potenza, è il nemico principale della vita, benché abbia reso la vita più interessante, sublimando il conflitto ad un livello spirituale. In effetti, secondo Nietzsche il cristianesimo, o la volontà di potenza attraverso il cristianesimo, ha prodotto una spiritualizzazione del conflitto, e questo è considerato da lui come qualcosa di positivo. Perché Nietzsche non vuole tornare al periodo premorale dell'umanità, ma arrivare a una tappa essenzialmente postmorale, che presuppone il cristianesimo come momento astratto. Per essere postmorali, si ha bisogno della morale, perciò, afferma Nietzsche, gli immoralisti (come definì il nostro a chi segue la sua dottrina) non vogliono la totale distruzione della Chiesa, perché hanno bisogno di essa, come il peccato ha bisogno della legge. La Chiesa ha prodotto delle contraddizioni (vg. i gesuiti e la democrazia) che hanno reso più interessante la vita (che si alimenta della contraddizione) e che hanno acuito la mala coscienza, sino a limiti insospettati.

Nella sua opera psicologica fondamentale, La genealogia della morale, che fu oggetto di discussione nelle sedute del mercoledì dell’Associazione Psicoanalitica nel 1908, Nietzsche psico-analizza il cristianesimo, e lo mina nella sua essenza. Lo scopo di Nietzsche è dimostrare che il cristianesimo, e l’occidente da esso formato, è nichilismo (passivo) e malattia del corpo e dell’anima. La genealogia spiega quest’idea, mettendo in luce le radici nascoste e inconsce delle concezioni fondamentali del cristianesimo, come la separazione tra buono e cattivo , la coscienza morale, ecc. Queste radici sarebbero, secondo Nietzsche, le pulsioni che il cristianesimo stesso condanna, soprattutto la crudeltà.

Nietzsche considera come origine della “coscienza di colpa” l’introiezione della crudeltà e del risentimento. Così nascerebbe il soggetto, nel senso cristiano-moderno del termine, e cioè dalla scissione, prodotta da una pressione culturale esterna, all’interno di un insieme di pulsioni in contraddizione. Questo sarà ripreso esplicitamente da Freud, nella sua teoria del Super-io, che ha due volti: l’ideale dell'io e la coscienza morale. Il responsabile di questo sarebbe il “sacerdote ascetico” , che avrebbe bisogno della malattia per poter redimere, e creerebbe quel organismo di controllo interiore che sarebbe, appunto, la coscienza morale. La Chiesa è per Nietzsche una specie di manicomio, pieno di malati della mente, che sono il risultato del cristianesimo e della morale da esso derivata.

Il cristianesimo ha necessità della malattia, pressappoco allo stesso modo in cui per la grecità è necessaria una sovrabbondanza di salute – rendere malati è la vera riposta intenzione dell’intero sistema procedurale salvifico della Chiesa. E la Chiesa stessa – non è essa il manicomio cattolico come ultimo ideale? – L’uomo religioso, come la Chiesa lo vuole, è un tipico décadent; il momento in cui la crisi religiosa s’impadronisce di un popolo è caratterizzato ogni volta da epidemie nervose; il “mondo interiore” dell’uomo religioso è analogo al “mondo interiore” dei sovreccitati e degli esauriti, al punto da confondersi con esso; gli stati “supremi”, che il cristianesimo ha tenuti sospesi sull’umanità come valore di tutti i valori, sono forme epilettoidi – la Chiesa ha santificato in maiorem dei honorem soltanto pazzi o grandi impostori... Mi sono permesso una volta di definire l’intero training cristiano della penitenza e della redenzione (...) una folie circulaire prodotta metodicamente, come è naturale, su un terreno già preparato, vale a dire, fondamentalmente malaticcio.

L'archetipo dei cristiani malati sarebbe, secondo lui, lo stesso Gesù.

Il tipo “Gesù”...
Gesù è esattamente l’opposto di un eroe: è un idiota. Si senta la sua incapacità di intendere una realtà: egli si muove nel giro di cinque o sei concetti da lui prima uditi e a poco a poco capiti (cioè falsamente) – in essi ha la sua esperienza, il suo mondo, la sua verità – il resto li è estraneo. Dice parole che tutti adoperano, ma non li intende come tutti, capisce solo i suoi cinque o sei sfuggenti concetti. Che i veri e propri istinti virili – non solo quelli sessuali, ma anche quelli della lotta, della fierezza, dell’eroismo – non siano mai maturati in lui, che sia un ritardato e sia rimasto infantilmente nell’età puberale: ciò fa parte del tipo di certe nevrosi epilettoidi.

La terapia di Nietzsche, che ci porterebbe alla “grande salute”, è però per pochi eletti. Non tutti sono chiamati a scoprire queste verità inconsce ed essere i "filosofi del futuro". Si deve accettare l’innocenza del divenire, l’eterno ritorno dell’uguale, che in fondo è accettare una vita infernale, e fare “esperienza” del bene e del male. Questo suppone non solo prendere coscienza passivamente della “morte di Dio” ma realizzarla attivamente. Chi sopravvive a questo deserto gelido, si trasforma in legislatore, creatore di valori. Come ciò avvenga lo spiega lui stesso, nel IV libro della "Gaia Scienza", come la rivelazione di un demone.

Il peso più grande. Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle solitudini e ti dicesse: “Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni cosa indicibilmente piccola e grande della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e sucessione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra gli alberi e così pure questo attimo e io stesso. (...) Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immane, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: “Tu sei un dio, e mai intesi cosa più divina!”


3) Nietzsche e la psicoanalisi

Nietzsche e la psicologia

Come abbiamo detto, il pensiero di Nietzsche è stato molto influente in diversi ambiti della cultura. Uno di questi è stato la psicologia. Noi ci occuperemo qui in particolar modo della psicoanalisi. Ma prima faremo un accenno agli psicologi non psicoanalisti. Fra loro, fortemente influenzati da Nietzsche ci sono, ad esempio, Ludwig Klages, uno dei pionieri della caratterologia tedesca, creatore della grafologia, il quale si riconosce esplicitamente come continuatore di Nietzsche. A sua volta, furono influenzati da Klages autori molto importanti, come Hans Prinzhorn e Philipp Lersch. Inoltre, molti autori del gruppo di scuole esistenzialistiche e fenomenologiche hanno fortemente recepito l’ispirazione di Nietzsche, in particolare Karl Jaspers e Ludwig Binswanger, i quali lo considerano una delle loro fonti principali.

Per quanto riguarda la psicoanalisi, ci occuperemo del suo fondatore, Sigmund Freud e del disidente Carl G. Jung.


Freud e Nietzsche

Il rapporto di Freud con Nietzsche si può considerare da due punti di vista fondamentali: storico e dottrinale.

a) Dal punto di vista storico, si deve accenare in primo luogo alla relazione di Freud con la filosofia. Diversamente di quanto lo stesso Freud ha detto molte volte, l’influsso della filosofia nella sua formazione intellettuale è stato di capitale importanza. Attraverso il suo epistolario giovanile, sappiamo che ha letto Feuerbach, Strauss e Aristotele, che tradusse Stuart Mill, e che frequentò i corsi di Brentano. Sotto l’influsso di quest’ultimo, pensò seriamente di iscriversi alla Facoltà di Filosofia e intraprendere il dottorato, ma alla fine questo desiderio non si realizzò.

Nietzsche fu uno dei filosofi letti da Freud, per lo meno sin dall’età di 17 anni. Il suo grande amico, Joseph Paneth, conobbe il filosofo personalmente. Un altro amico, Sigfried Lipiner , fu riconosciuto da Nietzsche esplicitamente come suo discepolo. Con questi due amici, Freud creò un giornale di filosofia d’ispirazione materialistica, che durò però pochi mesi. Più avanti, nel 1908, quando la psicoanalisi era già stata fondata, La Genealogia della morale e la malattia mentale di Nietzsche furono argomento delle sedute psicoanalitiche del mercoledì. Nel 1911 Alfred Adler, chi considera causa della nevrosi un’eccessiva volontà di potenza, si separò definitivamente da Freud. Nel 1912, dopo il congresso psicoanalitico tenutosi a Weimar, durante il quale un gruppo fece una visita a la sorella del filosofo, Elisabeth, si avvicinò al movimento psicoanalitico Lou Andreas-Salomé, amica e discepola di Nietzsche. Molti dei seguaci di Freud tentarono di stabilire dei rapporti tra il maestro e il filosofo tedesco (ad esempio il giovane Binswanger , Otto Gross , Otto Rank e Arnold Zweig). Lo stesso Freud presenta qualche volta Nietzsche come precursore intuitivo della psicoanalisi.

b) Dal punto di vista dottrinale, l’influenza di Nietzsche su Freud si può vedere in molti temi, alcuni dei quali abbiamo già accennato (l’inconscio, l’Es, l’origine della coscienza morale, la rimozione, ecc.). Un tema basilare comune a entrambi i pensatori è la derivazione dell’alto dal basso. Tutto quello che sembra nobile e puro, non sarebbe altro che una sublimazione delle pulsioni. Anzi, il cristianesimo e la morale della civiltà occidentale sono la causa principale della nevrosi, come afferma chiaramente Freud; si può vedere, ad esempio, La morale sessuale civile e la nervosità moderna (1908). Nelle Cinque conferenze sulla psicoanalisi (1909), si trova questo brano, che ci ricorda la concezione nietzschiana dei cristiani nevrotici ed esauriti: “La nevrosi sostituisce nella nostra epoca il convento nel quale solevano ritirarsi tutte le persone che la vita aveva deluso o che si sentivano troppo deboli per affrontarla.”

Negli scritti di maturità Freud applica il metodo genealogico di Nietzsche all’analisi della cultura, specialmente della religione. Così, in Totem e Tabù, Freud analizza l’origine della religione cattolica e dell’Eucaristia, e li fa derivare dalla sua celebre ipotesi sull’assassinio del primo padre.

Nel mito Cristiano il peccato originale dell’uomo è indubbiamente un’offesa contro Dio Padre. Ora, se Cristo libera gli uomini dal peso del peccato originale sacrificando la sua stessa vita, ci costringe a concludere che questo peccato fu un assassinio. Secondo la legge del taglione, profondamente radicata nella sensibilità dell’uomo, un assassinio può essere espiato soltanto col sacrificio di un’altra vita; il sacrificio di sé ci fa risalire alla colpa di avere versato sangue altrui. E se questo sacrificio della propria vita conduce alla riconciliazione col Dio Padre, il crimine da spiare non può essere altro che l’uccisione del padre.
In tal modo, nel cristianesimo, gli uomini ammettono, come più apertamente si potrebbe, la colpevole azione commessa nella notte dei tempi, dal momento che la completa espiazione di essa è ora trovata nella morte sacrificale dell’unico Figlio. La riconciliazione con il padre è tanto più profonda perché, contemporaneamente a questo sacrificio, ha luogo la rinuncia totale alla donna, a causa della quale ci si era ribellati. Ma a questo punto anche la fatalità dell’ambivalenza reclama i sui diritti. Con la medesima azione che offre al padre la massima espiazione possibile anche il figlio raggiunge lo scopo dei suoi desideri contro il padre. Diventa egli stesso Dio accanto, anzi propriamente al posto del padre. La religione del Figlio si sostituisce a quella del Padre. Il segno di questa sostituzione viene richiamato in vita l’antico pasto totemico in forma di Comunione, nella quale la schiera dei fratelli consuma la carne e il sangue del Figlio, non più del Padre, e con questo atto si santifica e identifica con Lui. Il nostro sguardo persegue attraverso il trascendere dei tempi l’identità del pasto totemico col sacrificio degli dei umani incarnati e con l’Eucaristia cristiana e riconosce in tutte queste solennità la conseguenza del crimine che ha tanto oppresso gli uomini e del quale tuttavia essi dovettero andare tanto superbi. Ma la Comunione cristiana è in fondo una nuova eliminazione del padre, una ripetizione dell’azione da espiare.

Alla fine della sua vita in L'uomo Mosè e la religione monoteistica, il "maestro di Vienna" riprende questo argomento. Il crimine primigenio, che la tradizione giudeo-cristiana miticamente ha chiamato "peccato originale", tende a ritornare alla coscienza dell'umanità. Il cristianesimo supera come religione il monoteismo giudaico, perché ammette l’uccisione di Dio.

Solo una parte del popolo ebraico accettò la nuova dottrina. Coloro che la rifiutano si chiamano ancor oggi Ebrei. (...) Dalla nuova comunità religiosa, che oltre a Ebrei aveva raccolto Egiziani, Greci, Siriaci, Romani e in fine anche Germani, toccò loro sentirsi rivolgere il rimprovero di aver ucciso Dio. Espresso distesamente questo rimprovero suonerebbe: “Non vogliono accettare per vero di aver ucciso Dio, mentre noi lo ammettiamo e siamo lavati da questa colpa”. E’ facile vedere quanta verità si nasconda dietro questo rimprovero. Quanto a perché gli Ebrei non riuscirono a prender parte al progresso implicito nella confessione, per deformata che fosse, del deicidio, la sua spiegazione costituirebbe l’oggetto di un indagine apposita.

Certo, questa confessione dell’uccisione di Dio nel cristianesimo è mascherata, non del tutto svelata. Perciò, invece di manifestarsi chiaramente alla coscienza, appare sotto la forma di sintomi, cioè come nevrosi.

Nonostante tutte le approssimazioni e anticipazioni nel mondo circostante, fu nello spirito di un ebreo, Saulo di Tarso, il quale come cittadino romano s’era dato il nome di Paolo, che per la prima volta si fece strada la nozione: “Siamo così infelici perché abbiamo ucciso Dio Padre”. Ed è ben comprensibile che egli non poté cogliere questo frammento di verità che nella veste delirante della nuova novella: “Siamo redenti da ogni colpa dacché uno di noi ha sacrificato la sua vita per assolverci”. In questa maniera di esprimersi era naturalmente taciuta l’uccisione di Dio (...).

Freud sembra considerare sé stesso come un nuovo San Paolo o Mosé , che porta la coscienza dell'umanità verso una nuova era (postcristiana). La finalità della psicoanalisi è, in fondo, fare riaffiorare nella coscienza questo crimine originale, non come il cristianesimo, nel quale questa “verità” apparirebbe sotto forma di sintomo e allucinazione, ma a un livello superiore. In questo modo, la psicoanalisi supera il cristianesimo, perché, mentre nel cristianesimo il “ritorno del rimosso” produrrebbe dei sintomi nevrotici ossessivi, soprattutto negli atti liturgici, nella psicoanalisi si verificherebbe la presa di coscienza, e i sintomi sparirebbero. In fondo, è portare a compimento la morte di Dio nella coscienza, che sarebbe “l’azione suprema” (Goethe).


Jung e l’esperienza nietzschiana del bene e del male

In Jung, l’influenza di Nietzsche non è minore, anzi, è più esplicita. La sua terapia consiste nel compiere il processo d’individuazione , e superare l’io cosciente, che sarebbe soltanto un aspetto limitato di una realtà più ampia alla quale si appartiene, che lui chiama con il termine di Nietzsche Sé (Selbst), rappresentato attraverso l’immagine archetipica della quaternità, che è sintesi degli opposti. Così come in Freud l’io è un giocattolo nelle mani dell'Es, nella teoria di Jung l’io è sottomesso a forze possenti e autonome nascoste nell’inconscio.

Mettere una persona davanti alla propria ombra equivale a mostrarle anche ciò che in essa è luce. Chi ha fatto questa esperienza, chi nel giudicare sta a mezza strada tra gli opposti, sente inevitabilmente cosa s’intenda con il proprio Sé. Chi percepisce contemporaneamente la propria ombra e la propria luce, vede sé stesso dai due lati e, in tal modo, raggiunge il centro.
È questo il segreto dell’atteggiamento orientale: la contemplazione degli opposti rivela all’uomo orientale la natura della maya che presta alla realtà un carattere illusorio. (...) L’introspezione ci fa dire: “Io sono colui che dice il bene e il male”, e ancor meglio: ‘Io sono colui per mezzo del quale è detto ciò che è bene o male. Colui che è in me, che pronuncia i principia, si serve di me per esprimersi. Egli parla attraverso me” (...) In tedesco adoperiamo a questo fine la parola Selbst [Sé], in opposizione al piccolo Io.

A questo si arriva attraverso l’assunzione dell’inconscio nel conscio, che è l’unione di razionale e irrazionale, bene e male. Jung considera questo il vantaggio del vero protestante , cioè di avere la possibilità di arrivare all’autentico fondo del reale attraverso la malattia della mala coscienza, senza l’ausilio della confessione cattolica.

Il protestante è solo, alla mercé di Dio; non c’è per lui né confessione, né assoluzione, né possibilità alcuna di un opus divinum propiziatorio. Egli deve sopportare da solo il peso dei suoi peccati e non è mai troppo sicuro della grazia divina, la quale per mancanza di un appropriato rituale si è resa inaccessibile. A questo deve la coscienza protestante di essere diventata così vigile, e questa cattiva coscienza ha preso la spiacevole proprietà di una malattia insidiosa, procurando agli uomini una condizione di disagio. Ma si offre così al protestante un’occasione unica di acquistare coscienza del peccato in misura quasi irraggiungibile alla mentalità cattolica, poichè nella Chiesa cattolica la confessione e l’assoluzione sono sempre pronte a equilibrare una tensione troppo forte. Ma il protestante è abbandonato alla sua tensione, che, continuando, rende sempre più acuta la coscienza. La coscienza, e particolarmente la cattiva coscienza, si può considerare un dono del cielo, una vera grazia quando serve ai fini di una più profonda autocritica. Come attività introspettiva e discriminatrice l’autocritica è indispensabile per ogni tentativo di comprendere la propria psicologia. [...] Il pungolo della cattiva coscienza ci srpona anzi a scoprire cose delle quali non avevamo coscienza, e in questo modo possiamo oltrepasare la soglia dell’inconscio e renderci conto dell’esistenza di quelle forze impersonali che fanno del singolo uno strumento inconscio dell’assassino in grande che è nell’uomo. Un protestante che sopravviva alla perdita completa della sua Chiesa rimanendo ugualmente protestante, cioè un uomo di fronte e Dio e senza difesa, e non più protetto da mura o da comunità, si trova nelle condizioni di spirito che sole danno luogo a un’esperienza immediata.

L’archetipo della quaternità supera l’astrazione del bene (Trinità), propria dell’“anima bella”, con l’inclusione in essa del male. È ancora l’esperienza del bene e del male di Nietzsche, e del peccato originale, che, secondo loro, toglierebbe le catene alle energie della psiche. Questo è proprio il nocciolo della psicologia di Jung.


4) L’influsso di Nietzsche e la psicoanalisi nel mondo cristiano

Il tema, come si può capire, è molto importante, soprattutto perché oggi le scienze umane, e in particolare la psicologia, sono entrate a far parte della vita quotidiana di tanti cristiani, ma anche negli studi teologici e nella formazione di molti seminaristi e religiosi , e, se non conosciamo le basi teoriche di molte scuole di psicologia, non capiremo neanche le loro conseguenze pratiche sull’esistenza cristiana. Per vedere un esempio dell'assimilazione da parte del mondo cattolico delle idee di Nietzsche, Freud e Jung sul carattere patologico della morale cristiana, leggiamo i seguenti brani del noto psicoanalista Albert Görres.

Gli psicoterapeuti conoscono per esperienza le cosiddette nevrosi ecclesiogene, vale a dire le nevrosi condizionate da una educazione ecclesiastica, che costituiscono un folto gruppo nel numero ancor più grande dei 'danneggiati dal Vangelo'.
Ci sono tanti individui, per i quali il Vangelo, così come è proposto e spiegato dalle Chiese e capito dagli uditori, non è divenuto un nutrimento e una medicina, bensì una sostanza indigeribile o addiritura un veleno. Esistono non pochi suicidi ecclesiogeni, angosce, depressioni, depravazioni, sviluppi errati ancora peggiori ecclesiogeni.

Il cristianesimo, secondo questo psicoanalista ispirato da Nietzsche, condanna la natura dell'uomo e le sue tendenze. Ad esempio, l’aggressività.

Altre sentenze di Gesù le troviamo spaventose, anzi distruttive. Così, ad esempio, il divieto radicale dell'agressione (Mt 5, 22): “Chiunque si adira con il proprio fratello sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice a suo fratello: stupido, sarà sottoposto a sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geena”. Pur astraendo della contraddizione che riscontriamo tra queste affermazioni e il comportamento di Gesù, nonché l'aggressività di molti testi e precetti dell'Antico Testamento, siamo inquietati dall'ingiunzione di dover per così dire inaridire una metà del nostro patrimonio biologico naturale, cioè la capacità di prender parte energicamente alla lotta per l'esistenza. E questo, così almeno ci sembra, non è possibile. Coloro che vogliono essere troppo buoni e pacifici il collerico Jahvé li lascia cadere nelle mani degli psicoterapeuti. L'evitare in maniera essagerata l'aggressività non rende buoni, ma falsi, ipocriti e malati.

Tra queste tendeze, anche la sessualità.

Poche righe dopo il divieto dell'aggressione troviamo di nuovo una richiesta, che ci sembra rendere impossibile un rapporto umano e ragionevole con la nostra sfera istintuale: “Chiunque guarda una donna per desiderarla, già ha commesso con lei adulterio nel suo cuore”. E quasi ciò non bastasse, ecco Paolo rincaricare la dose e pretendere che gli uomini non debbono possedere le loro mogli in maniera passionale come i pagani (Mt 5, 28; 1 Ts 4,4).

Il carattere soprannaturale della vocazione cristiana, che nel pensiero tradizionale, dai Padri a san Tommaso, è considerato come un invito a abbandonarsi nelle mani di Dio, che porta a compimento la nostra perfezione è, invece, messo sotto accusa come antinaturale. Il problema sarebbe che "l'invito di Gesù: 'Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste' (Mt 5, 48) supera ogni misura umana. Esso”, dice Görres, “sembra fatto apposta per avvelenare la vita con sentimenti permanenti di fallimento e di colpa" . Alla fine il cristianesimo viene concepito in prospettiva dialettica, perchè il bene e il male sarebbero complementari: "Il messagio del cristianesimo ricco di tensioni corrisponde al messaggio dialettico della realtà" . Bisogna trovare un compromesso tra "Dioniso e il Crocifisso", come direbbe Nietzsche.
I testi parlano da soli. Ci sembra evidente la chiara contraddizione tra il vero cristianesimo e queste teorie, radicalmente anticristiane. Crediamo, per tanto, molto pericolosa la sua asunzione da parte dei cristiani e dei teologi. Rimandiamo ad un’altra occasione la critica di queste impostazioni, e la presentazione di un'autentica psicologia cristiana. Per finire, ci sembrano opportune le parole di Edith Stein, una vera e autentica psicologa del profondo, perché mistica:

Costituirebbe un lavoro specifico esaminare una buona volta la storia della psicologia sotto questo profilo, per scoprire in quale rapporto stia – nel singolo ricercatore e nella corrispondente epoca – l’atteggiamento assunto nella vita di fede e la relativa concezione dell’anima.